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Autore: Charme    13/09/2012    34 recensioni
A causa di una trascurabile dimenticanza, Tony ha scordato a casa il Mark V, e ora è troppo tardi per tornare indietro a prenderlo. Dovrà abbassarsi a chiedere aiuto, e il servizievole Steve sarà ben lieto di accontentarlo, ma necessita di un mezzo di trasporto. Ma con il garage di Stark a completa disposizione, non sarà un problema trovarne uno, né individuare l'auto a cui Tony tiene maggiormente.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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  La serata di beneficienza che portava l’idilliaco nome di “Hope to shimmering eyes”, organizzata da Michael Bloomberg, sindaco della città, era stata da molti caldeggiata come l’evento dell’anno per una serie di mirabolanti fattori. Tanto per cominciare, la località scelta per ospitare la serata era il Dream Downtown Hotel, noto per la sua ricercata raffinatezza; inoltre, i soldi del ricavato sarebbero stati devoluti per la costruzione di ospedali e scuole e per l’approvvigionamento di numerosi altri aiuti umanitari in Mozambico. Se anche tutto questo non fosse bastato a smuovere l’etica morale dei benefattori d’America, certo ci avrebbe pensato l’ospite speciale della serata, il noto filantropo Tony Stark, conosciuto anche sotto l’evocativo ed eroico nome di Iron Man.
  Il tempo era agli sgoccioli: la giornata volgeva al termine, e di lì a poche ore sarebbero arrivati i primi invitati, ma c’erano solo alcuni ritocchi da ultimare. Ad esempio, l’entrata in scena di Iron Man.
  “Bene, signor Stark, dovrebbe arrivare in volo e atterrare qui, al centro del palco. Il suo segnale sarà la fine del balletto delle ragazze, coordinato al lancio dei fuochi d’artificio, ma per sicurezza le daremo il via anche tramite la ricetrasmittente. Tutto chiaro?”
  Chiunque conoscesse – anche solo di fama – Tony Stark sapeva che, tra ascoltare un tecnico nervoso e sudaticcio e concentrarsi sulle grazie di una dozzina di ridacchianti ballerine con abiti succintamente atti a ricordare l’armatura di Iron Man, certamente Stark non avrebbe mai privilegiato il tecnico.
  Nondimeno, il piano per l’entrata in scena non era cambiato di una virgola, e Pepper glielo aveva ripetuto ad nauseam, per cui Tony non avrebbe potuto scordarsi cosa fare nemmeno se a ballonzolargli davanti fossero state duecento Iron Maidens.
  “Cristallino, sì. Esattamente come il Martini che vorrei. Con permesso…”. E, con la classe e la faccia tosta che lo contraddistinguevano, sparì dalla vista del tecnico frustrato, avviandosi verso il già familiare barista.
  Stark camminava con l’impiccio di una ventiquattr’ore in apparenza comunissima, ma che in realtà consisteva nel pratico contenitore da viaggio dell’armatura di Iron Man.
  Era una delle solite trovate fenomenali di Tony, che così gli permetteva di gironzolare tranquillamente – vagando prevalentemente tra bar e camerini delle ballerine – nei suoi costosi abiti firmati per il tempo che lo separava dall’entrata in scena vera e propria. Ed era proprio quella la sua occupazione, quando la sua attenzione venne attirata da qualcos’altro.
  Non erano molte, le cose in grado di scuotere l’imperturbabile Stark, ma scorgere il compromettente lembo di un calzino spuntare impudentemente dalla chiusura della valigia che doveva contenere la sua armatura – che, stando a quanto ricordava, non comprendeva calzini – era una di queste.
  Sebbene il simpatico accessorio non fosse compreso nella tenuta da eroe, assai probabilmente era un elemento irrinunciabile, nella valigia che aveva preparato – anzi, che aveva fatto preparare – per la vacanza sulla Côte d'Azur con Pepper, la cui partenza era decisa per l’indomani. Tony imprecò sottovoce, rendendosi conto che ci doveva essere stato un madornale quanto stupido scambio, e che pertanto la sua ipertecnologica armatura doveva essere rimasta in camera. O nel laboratorio, visto che l’attività cerebrale sempre in funzione del genio faceva sì che il più delle volte queste due stanze fossero intercambiabili.
  Si prega di notare che il genio in questione era lo stesso che aveva confuso il proprio bagaglio vacanziero con un inestimabile concentrato di tecnologia e metalli rarissimi, nonché armi dall’incommensurabile potenziale distruttivo.
  Ma non era un problema insormontabile, dopotutto. Bastava chiamare Pepper, e lei sarebbe arrivata in un baleno. Cara Pepper, lei era un faro nella notte, una certezza inossidabile, un…
  “Tony? Hai per caso apportato qualche miglioria all’armatura? Ammettendo che dei calzini possano essere considerati ‘una miglioria’, certo.”
  “Pepper! Che ci fai qui?”
  “Partecipo alla serata, proprio come te. Solo che io lo faccio in maniera meno arrogante”.
  Vero. Pepper era lì in qualità di accompagnatrice, e in una qualunque altra occasione Tony non avrebbe mancato di elogiarla per la sua bellezza ed eleganza, ma la prospettiva di tramutarsi in Iron Man in versione turistica, con bermuda e camicia hawaiana sarebbe stato un smacco totale, per lui.
  “Bene – disse sbrigativamente – Adesso però devi tornare a casa e prendere l’altra valigia. C’è stato uno scambio, e a meno che tu non mi voglia vedere in armatura rosso-dorata sotto il sole francese, è bene che tu corra”.
  Pepper lo fissò sbigottita.
  “Quindi io dovrei lasciare la festa all’improvviso, sotto gli occhi di tutti i presenti e tornare a casa?”
  “Esattamente. Sapevo che non ne avresti fatto un dramma…” e fece per baciarla.
  Se mai ci fu un momento in cui Stark si trovò a un soffio dal farsi rompere la faccia, fu quello. L’espressione di Pepper minacciava di riuscire dove perfino la granitica testata di Thor aveva fallito.
  “Gli ospiti stanno già cominciando ad arrivare, e io figuro come la tua accompagnatrice ufficiale, per cui non mi umilierò a farti da galoppino! No, Tony, non stavolta.” disse Pepper, con amarezza.
  Perfino la scarsissima empatia di Tony fu sufficiente a fargli capire che Pepper era rimasta profondamente ferita. Gli sfuggiva precisamente quale fosse il perché, ma la prospettiva di farla scoppiare in lacrime era addirittura peggiore dell’immagine – già orribile di per sé – di Iron Man in camicia hawaiana.
  Il genio si mise all’opera. Aveva bisogno di qualcuno di cui si potesse fidare tanto da dirgli di entrare nella sua stanza, o peggio, nel suo laboratorio, e affidargli l’ipertecnologica armatura senza timore.
  Niente.
  L’unica persona che rispondesse totalmente a quei requisiti era e continuava a essere Pepper, ma lei stava eroicamente fingendo di cercare qualcosa nella borsetta per mascherare una grande frustrazione e l’eventualità che una lieve ma sgradita umidità le offuscasse gli occhi, e Stark non era la persona migliore, per quanto concerneva consolare le persone. In ogni modo, delle lacrime trattenute erano comunque un’alternativa leggermente migliore al farsi rompere la faccia da una fidanzata imbufalita.
  Fermi tutti.
  C’era pur sempre Rhodey.
  No, giusto, Jim era occupato in un qualche noiosissimo vertice governativo, e probabilmente avrebbe dato a quello la priorità, piuttosto che al prestigio di Iron Man.
  Stupido governo.
  Dopo tutto quello che aveva fatto per la città – e per il mondo – veniva ripagato così. Se solo avesse pensato a portare con sé il congegno a distanza che gli permetteva di collegare Jarvis al Mark VII e di comandarlo a distanza… ma che bisogno ce n’era, quando aveva la valigietta – così credeva – a portata di mano?
  Maledizione.
  Come poteva lasciare il Dream senza farsi notare? Impossibile, ormai.
  Ma in effetti c’era un’ultima speranza. Ma era tanto flebile quanto umiliante.
 
  “Capitano Rogers, il signor Stark chiede di lei al telefono.” comunicò la voce metallica di Jarvis, e un braccio metallico spuntò apparentemente dal nulla accanto a Steve, porgendogli un cordless. Il capitano non l’avrebbe mai ammesso, ma abitare in un luogo dove era perennemente tenuto sotto osservazione lo inquietava non poco.
  “Pronto?”
  “Rogers? Sei da solo?”. Il tono di Steve si fece immediatamente più circospetto. Se Stark gli chiedeva di sincerarsi se era da solo, forse c’era l’eventualità di essere spiati, o qualcosa del genere. Si guardò attorno per un paio di istanti, cercando di cogliere un segno di pericolo.
  “Rogers, non ho tempo per te. Ti spiegherò un’altra volta come mai la mia voce esce dalla magica scatoletta malgrado io non sia lì.”
  “SO cos’è un telefono, Stark!”
  “Bravissimo, sono favorevolmente colpito. Ascolta, ho lasciato alla Torre una cosa molto importante. Ho bisogno che tu me la porti al più presto al Dream Downtown Hotel.”
  Malgrado tra Tony e Steve decisamente non corresse buon sangue, Capitan America era e restava uno degli uomini più leali e affidabili che mai avessero calcato il suolo della Terra, e Stark sapeva di poter contare sul suo aiuto.
  “Certamente. Cos’hai dimenticato, e dove lo trovo?”
  Fu probabilmente la prima volta in cui la voce di Stark suonò impercettibilmente… imbarazzata?
  “È proprio necessario che tu lo sappia?”
  “Mi pare evidente.”
  “Oh, be’. Dovrebbe trovarsi nel mio laboratorio, o nella mia camera privata. È una valigia.”
  “Una valigia? Cosa può esserci là dentro, perché tu ne abbia bisogno immediatamente?”
  “Voi soldati non dovreste essere addestrati a obbedire agli ordini senza fiatare?”
  “Non all’ordine di un civile, signor Stark.”
  Vi fu un silenzio persistente, e Cap sorrise, rendendosi conto di aver ottenuto, perlomeno per una volta, l’ultima parola.
 “Mark V. Prima che tu faccia altre domande dal sapore retrò, sarebbe la mia armatura.” disse Stark, molto velocemente e in tono decisamente stizzito.
  A quel punto, toccò a Steve rimanere in silenzio. Solo che nel suo caso stava lottando per non scoppiare a ridere.
  “Rogers.” Lo ammonì fermamente Tony.
  “Non sto ridendo.” negò Steve, che era notoriamente l’uomo meno in grado di mentire del mondo.
  “Allora è un attacco d’asma. Reminiscenze del tuo periodo di rachitismo?”
  Cap non raccolse la provocazione.
  “Sto sorridendo mentre respiro velocemente. Vado a cercare la valigia”.
  L’operazione in sé non richiese troppo tempo, visto che Jarvis segnalò al capitano che la valigia si trovava, come previsto, in laboratorio, e piuttosto in bella vista, anche. Quando gli fu fatto notare, Stark borbottò qualcosa riguardo alla ben nota e scusabilissima distrazione dei genî.
  “E ora ti pregherei di muoverti, visto che non ho più molto tempo. Sai come arrivare? Altrimenti puoi sempre usare il sistema GPS di Jarvis, basta che tu prenda un auricolare, così potrò rimanere in contatto con te e assicurarmi che tu faccia in fretta, senza fermarti ad aiutare le tue coetanee ad attraversare la strada.”
  “Impiegherò parecchio, per arrivare. Perlomeno un’ora.”
  “COSA? Capisco il traffico, e non fatico a immaginare che tu sia un motociclista estremamente lento, ligio al codice della strada e noie varie, ma un’ora per arrivare sulla Sedicesima mi sembra decisamente troppo, specialmente considerando che io non ho un’ora di tempo.”
  “Devo forse ricordarti che, dopo aver definito la mia moto un cimelio antelucano, l’hai smontata, dicendo di voler apportare delle modifiche, ma poi non l’hai più fatto?”
  “Oh. In effetti, ‘cimelio antelucano’ è una definizione che mi suona piuttosto familiare. Sicuro che mi riferissi alla moto e non a te?”
  “Stark. Ti ricordo che mi hai appena chiesto un favore, e che io non sono assolutamente obbligato a fartelo.”
  “Va bene, va bene. Prendi un taxi, pago io. Ma ora muoviti!”
  “Signore, suggerirei, per ottimizzare i tempi, che il Capitano Rogers prendesse una delle sue automobili, anziché il taxi”.
  Il Reattore Arc al centro del petto di Tony dimostrò per l’ennesima volta la propria utilità, impedendo un arresto cardiaco.
  “Stark? Sei ancora lì?”
  “Jarvis, dopo questo palese tradimento, ti rinominerò Judas.”
  “Come vuole lei, signore.”
  “Il computer ha ragione, Stark. Tra l’altro, non mi sono mai sentito troppo a mio agio coi tassisti newyorkesi e la loro discutibile metodologia di guida.”
  “Non. Le. Mie. Auto.” Sillabò Tony, digrignando i denti al punto tale che Rogers udì lo scricchiolio delle ossa.
  “Come vuoi. Tempus fugit.” Lo provocò Steve.
  Dannazione, era vero. Gli restava meno di un’ora, dopodiché sarebbe dovuto apparire in tutto il suo metallico splendore.
  Ma non poteva permettere a un vecchietto degli anni ’40 di mettersi alla guida di una delle sue bellissime, sportivissime, costosissime bambine.
  In quel momento il suono di una porta sbattuta ridonò un refolo di vita a Stark.
  “È arrivato qualcuno? C’è qualcun altro, a parte te, Rogers?” domandò, con un tono insolitamente euforico che stonava terribilmente con l’immaginario tipico di Stark, che lo vedeva impassibile perfino di fronte a un nemico mortale.
  Ma lì non si trattava di lui: erano le sue piccoline a essere in pericolo.
  “Sì, certo che c’è qualcun altro.” replicò Steve, e per Tony il sollievo fu tale da non accorgersi del tono vagamente sornione con cui aveva risposto.
  Era salvo.
  Rogers non sarebbe mai entrato in contatto con una delle sue auto. Il lieto fine era una realtà.
  “BENE! Problema risolto. Guiderà quella splendida, altra persona. Grazie comunque, Rogers, apprezzo la disponibilità che hai dimostrato.”
  “Hai qualche preferenza, sulla macchina che vorresti che Thor guidasse?”
  Di nuovo, il Reattore Arc funse da peace-maker. Lo shock fu tale che Stark non riuscì nemmeno a formulare un pensiero che altrimenti gli sarebbe risultato spontaneo: Capitan America, dietro alla faccia pulita da stucchevole stereotipo del sogno americano, celava un’anima nera che sarebbe stata l’invidia delle più efferate Bestie di Satana.
  Non senza impegnarsi nell’arte del melodramma, Tony acconsentì ad arrendersi di fronte all’ineluttabile Fato.
  Ineluttabile e bastardo.
 
  Poco dopo, Steve e Thor – cui era stato impedito di arrivare in volo all’Hotel, onde evitare di rendere palese la dimenticanza di Stark – si avviarono nello sterminato garage sotterraneo che ospitava la collezione di auto di Stark.
  “La cavalcatura rombante di Jane è decisamente più grande di queste.” Commentò il Dio del Tuono, con aria di sufficienza.
  Stark, ora collegato a Steve con l’auricolare, lo sentì comunque, e non gradì l’osservazione di quel profano, ma si astenne dal ribattere.
  “Certo che ne hai, di auto. Tra l’altro alcune sono di marche assolutamente sconosciute.”
  “Non si chiamano ‘marche’, il termine tecnico è ‘scuderie’, e sono tutte conosciutissime!” ribatté piccato Tony, mentre alcuni degli invitati della serata cominciavano a guardarlo con espressione lievemente inquietata.
  “Sarà… però questa qui, con il gattino, mi piace.”
  “Il giorno in cui ci saranno gattini nel mio garage, Rogers, sarà il giorno della mia disfatta. Dove vedi dei gattini?”
  “Su questa macchina. La targa è IRULE53X.”
  Tony espresse il proprio disappunto sviluppando una trentina di tic nervosi contemporaneamente.
  “Una Jaguar. Un giaguaro. E tu l’hai preso per un gattino? C’è un limite, all’essere dei vecchi rincoglioniti, Rogers, perché continui a superarlo?”
  “Il tuo utilizzo del turpiloquio per portare avanti le conversazioni è avvilente – replicò Steve, con tono paterno – E che mi dici di questa qui, col toro? E non venirmi a dire che non è un toro…”
  “È una Lamborghiniiiii!” nitrì Stark, ma Cap era già passato oltre.
  “Ah, questa la conosco anch’io. Penso che prenderò questa. Rossa e oro, eh? Devi ricordare a tutti costantemente di essere Iron Man, vero?”
  Rossa e oro. Aveva una sola macchina rossa e oro. L’ultima arrivata, unica nel mondo, fatta pressoché ‘su misura’. No. Non poteva essere. Non doveva essere. Non lei. Rogers stava rivisitando l’ultima delle piaghe d’Egitto, decidendo di privare Lui, il Sommo Faraone, della sua ultimogenita.
  “NO! La mia Ferrari NO!”
  “Signor Stark, si sente bene?” si azzardò a chiedergli il sindaco Bloomberg in persona, preoccupato che il personaggio di maggior spicco della serata potesse avere un esaurimento nervoso da un momento all’altro.
  “Lei si sentirebbe bene, se l’avvisassero dell’incombenza di una tragedia?” drammatizzò Stark, al che il sindaco iniziò a immaginare quale potesse essere la disgrazia in questione. Un crollo finanziario? Una minaccia aliena?
  Oh, no, non un’altra! Non così vicino alle elezioni!
  Fortunatamente intervenne Pepper. “Non si preoccupi, il signor Stark è un fanatico del melodramma.” disse, e con naturalezza sfilò il cellulare dalle mani di Tony, irrigidite in un’imitazione grottescamente convincente del rigor mortis.
  “Steve? Sono Pepper. Sì, lo so. È un ingrato, che ci vuoi fare. Oh, ma certo, prendi pure quella che preferisci. E grazie ancora per aver accettato di farci questo favore.”
  “Dovrei anche ringraziarlo, quell’aguzzino?” rantolò Stark, sotto lo sguardo sempre più inquietato di Bloomberg.
  Pepper assicurò che si trattava di un caso di stress dovuto al troppo lavoro, e che gli sarebbe passato di lì a poco, per cui non avrebbe in alcun modo influenzato l’andamento della serata, e a Bloomberg, che era una persona ben disposta a dispensare la propria fiducia, questo bastò.
 
  Nel frattempo, totalmente incuranti dello stato pietoso in cui versava Stark, Steve e Thor se ne stavano comodamente seduti in una macchina del valore di una ricca manciata di milioni di dollari.
  “Ma tu guarda come si è evoluta la tecnologia. Fortuna che alcune cose sono rimaste invariate.” osservò in tono vagamente nostalgico Steve.
  In collegamento via-auricolare, Tony lo rintronava di raccomandazioni.
  “Sai cos’è una leva del cambio? Conosci i nomi di tutti e tre i pedali? Sai quale sia il limite di velocità?”
  “Certamente. Non preoccuparti, non sono mai stato un tipo che ‘corre’”.
  Stark era indeciso se sentirsi sollevato o meno. Se Rogers guidava alla velocità della maggior parte dei suoi coetanei, certo non avrebbe corso il rischio di danneggiargli l’auto. Ma questo voleva dire anche che non sarebbe mai arrivato in tempo per l’ora X.
  “Guida con prudenza!” s’intromise Pepper in tono amabile, al che Tony accartocciò i propri lineamenti nell’espressione più disgustata che fosse in grado di produrre. A quel punto, si aspettava di sentire il rombo del motore della sua bimba.
  “Jarvis, metti il vivavoce”. Lo zelante maggiordomo elettronico eseguì prontamente l’ordine, e Tony riprese a parlare. “Thor. Mi rivolgo a te. Perché quel rimbambito non sta partendo?”
  “L’uomo patriottico è impegnato a sistemare il suo scranno imbottito, e sta modificando l’assetto degli specchi.”
  “Ma spicciati, Rogers! Non gigioneggiare coi pulsantini, ché tanto non ci capisci niente!”
  “La più basilare norma per la sicurezza in macchina è una corretta regolazione degli specchietti prima della partenza. – chiosò Steve, sbattendo un ginocchio contro qualche comando e azionando i tergicristalli – Non c’è molto spazio, in questo trabiccolo”.
  Stark ondeggiò per un attimo nell’indecisione se sentirsi maggiormente offeso per l’affronto subito dalla sua splendida auto, definita ‘trabiccolo’, oppure per la non troppo velata allusione alla cospicua differenza d’altezza che intercorreva tra lui e Steve.
  Finalmente, il motore cominciò a girare. Tony lo conosceva come un padre affettuoso sa riconoscere la camminata della sua prole.
  Mille giri.
  Millecinquecento.
  Duemila.
  “Maledizione, Rogers, CAMBIA MARCIA!”
  “I tuoi barriti nelle orecchie non mi mettono certo a mio agio.” ribatté Steve, in un tono rilassato che contrastava con le sue parole.
  Nel frattempo, Thor si stava ingegnando per trovare un passatempo costruttivo. Premendo bottoni a caso, aprì vari scomparti dell’auto, scoprendo una decina di occhiali da sole. Li indossò tutti, commentando che l’uomo di metallo aveva proprio la testa piccola, e alla fine decise che quelli che gli piacevano maggiormente erano i più orrendi e pacchiani che occhialaio avesse mai osato creare.
  Poco dopo il Dio del Tuono scoprì il pulsante per l’apertura dei finestrini, e si dilettò per qualche minuto ad aprire tutto l’apribile. Soddisfatto del risultato, espose la testa alla brezza, con la fluente chioma bionda che svolazzava con leggiadria. Se Tony fosse stato presente fisicamente, certo non avrebbe mancato di paragonarlo a un cane.
  Ma Tony era impegnato con tematiche più pressanti della somiglianza tra Thor e un labrador ritardato mentale.
  “Gli aggiornamenti satellitari dicono che sull’Ottava c’è stato un incidente, i soccorsi sono ancora attesi e il traffico è fermo. Gira a sinistra tra trecento metri, Cap”.
  Steve azionò il segnalatore.
  “Rogers, dimmi che quel suono intermittente non è la freccia.”
  “Certamente.”
  “Ti ho detto che devi girare tra trecento metri, perché metti la freccia ora?”
  “Devo segnalare la mia volontà di girare a destra, gli autisti dietro di me devono saperlo per tempo”.
  C’erano altre quattro svolte possibili, sulla destra, prima di quella, e le macchine dietro non apprezzarono la lungimiranza che Steve aveva dimostrato nel mettere la freccia.
  Stark sentì il suono di molti clacson, e combatté contro il desiderio di mangiarsi le mani, pensando che quella era la sua macchina, con la sua targa personalizzata. Ci mancava soltanto che la gente pensasse che era lui a guidare.
  “Rogers, tu sei vecchio dentro”. L’ennesima provocazione cadde nel vuoto, perché Thor aveva scoperto con sommo gaudio un nuovo, gustoso pulsante, e aveva abbassato la capote, inondando la macchina di vento, cosicché l’impeccabile Capitan America si ritrovò improvvisamente con un’acconciatura punk. Non che avesse idea di che cosa fossero i punk.
  Commentò l’evento con la solita pacatezza. “Per l’amor del cielo, Thor!”
  “Voi midgardiani siete pieni di risorse. Ora metto tutto a posto”. Detto ciò, si alzò in piedi, allungandosi indietro per prendere la capote e rimetterla a posto manualmente.
  Steve lo notò a malapena, poiché naturalmente la sua attenzione era tutta per la strada, ma un ululato di dolore riempì l’abitacolo dell’auto nel momento stesso in cui si sentì lo strappo della capote che si lacerava.
  Thor commentò l’evento con un laconico ma sentito ‘Ops’, ma Stark non lo sentì, troppo impegnato a imprecare pesantemente contro una nutrita quantità della popolazione di qualunque mondo che pareva essere in possesso del pollice opponibile solo per un qualche broglio genetico.
  Il Dio del Tuono non parve cogliere il collegamento tra se stesso e i rozzi biondoni neanderthaliani di cui andava smaniando Tony; inoltre, era troppo preso dalla sua ultima scoperta.
  “Ammira e stupisciti, compagno. Premendo qui si può usufruire del talento di alcuni musici”.
  Capitan America, lieto di poter offrire una spiegazione all’unico membro dei Vendicatori che fosse meno tecnologicamente avanzato di lui, gli disse che si trattava di un apparecchio radio, e che era possibile scegliere tra più opzioni musicali.
  “Anzi, ti pregherei proprio di girare quella manopola e trovare un’altra stazione, perché questi rumori misti a grida lancinanti mi infastidiscono, oltre a lasciarmi sinceramente perplesso.”
  “Mi auguro solo che questi cantori non siano intrappolati nella scatola da un maleficio.” annunciò Thor, animato da sincera preoccupazione.
  Dall’altro capo del telefono, Stark stava sbattendo la testa contro il bancone del bar, sotto lo sguardo inquieto del barman e di Pepper.
  Thor cambiò stazione radio, e nell’aria si diffuse il persistente ritmo di musica dubstep.
  “Parrebbe un frullatore in agonia.” annunciò Steve, proprio mentre Thor commentava che gli pareva strano che su Midgard qualcuno si prendesse la briga di riprodurre il richiamo d’accoppiamento dei Pentapalmi.
  La stazione successiva diede un risultato migliore: la musica trasmessa era Lili Marleen, celeberrima canzone dichiaratamente anti-bellica, che ironicamente si era diffusa durante la seconda guerra mondiale, accomunando alleati e avversari.
  Intuendo il peggio, l’istinto di conservazione di Stark lo spinse a cessare momentaneamente la propria metodica autodistruzione a suon di testate, e si appellò a Thor.
  “Cambia! Cambia subito stazione, per carità!”
  Il suo appello, per quanto accorato, non fu sufficientemente rapido – né Thor era rinomato per avere riflessi pronti – Steve si era già messo a intonare fieramente le strofe della commovente ed evocativa canzone. Aveva anche una bella voce, ma non era quello, il punto.
  “Figurarsi se non beccava la canzone strappalacrime del duecento avanti Cristo. Che stazione è? Radio Tristezza a Palate? Radio Depressione Cosmica? – poi Tony si rivolse al barman – Versami uno scotch. Doppio. In un secchio. Liscio. Liscio lo scotch, non il secchio.”
  “Come vuole lei, signor Stark.” rispose diplomaticamente il barista.
  E mentre Stark metteva a dura prova la resistenza – peraltro considerevole – del proprio fegato, la mania di Thor di familiarizzare con la tecnologia midgardiana iniziava a irritare perfino l’imperturbabile e posato Steve. Così, mentre Thor dava il meglio di sé in una fenomenale esibizione del numero di abilità che consisteva nell’alzare e abbassare tutti e quattro i finestrini, Steve, con l’accortezza di un agente della C.I.A., bloccò il comando.
  “Il finestrino va su… il finestrino va giù… il finestrino va su… il finestrino va… oh. Poffare. Questo congegno pare essersi guastato”. Difatti, il finestrino non andava più giù, e il vetro era abbassato di appena un paio di centimetri. Dapprima Thor assunse un’espressione stupita e quasi offesa – come si permetteva un oggetto inanimato di farsi beffe del potente Dio del Tuono? – ma poi sistemò la questione con un approccio fisico. Chiunque abbia avuto a che fare con un televisore riottoso, o magari un computer lento, prima o poi si è ritrovato a prendere la situazione di petto, per una questione di orgoglio e amor proprio; il rifiuto di farsi sottomettere dalla tecnologia trionfa, ed ecco che quella persona ha finito per assestare all’oggetto in questione una sonora manata, illudendosi di poter aggiustare tutto, oppure finendo per imprecare sonoramente qualora la situazione non sia migliorata. Ma quando si è un colosso che porta tranquillamente appeso alla cinta un martello forgiato dal cuore di una stella morente e si dominano tuoni e tempeste con la naturalezza con cui chiunque altro risponde a una telefonata, un ‘approccio fisico’ di quel tipo può risultare dannoso.
  Ed ecco che Thor puntò una mano sul finestrino, spingendolo imperiosamente verso il basso e sorridendo soddisfatto nel vederlo andare placidamente giù. Stark e il povero finestrino vilipeso emisero pressappoco lo stesso stridio di raccapriccio, paragonabile più o meno all’ultimo grido di un cormorano in agonia. Quando Tony si fu parzialmente ripreso dallo schock, iniziò a snocciolare un immaginario rosario di imprecazioni e insulti diretti a quei mostruosi individui che gli infestavano l’auto.
  “Anthony! Modera il linguaggio!” lo ripresero in stereo Pepper e Steve.
  L’unica consolazione del ‘povero’ miliardario era che ben presto sarebbe tornato in possesso della propria splendida armatura… e chissà, magari avrebbe intrattenuto gli ospiti della soirée con lo spettacolo di Iron Man incazzato che disintegra non uno, ma ben due degli Avengers. Tony si era sempre sentito un ‘cattivo mancato’. Magari era giunta l’ora di passare al Lato Oscuro.
  La mia povera Ferrari. Ti vendicherò, piccolina.
  Per dar maggior valenza ai propri pensieri – ma anche per non sentire più quali drammi sarebbero inevitabilmente andati in atto – Stark si strappò l’auricolare, dicendosi che era meglio non sapere.
 
  I due a-tecnologici eroi si stavano – finalmente – avvicinando al Dream, ma le loro avventure non erano ancora giunte al termine; in placida attesa della luce verde che avrebbe dato loro il via libera, la Ferrari rosso-oro venne affiancata da un enorme SUV nero, con fiammeggianti decorazioni sulle portiere e pneumatici verde fluo. La macchina rispecchiava perfettamente i cinque individui che erano al suo interno, creature composte al dieci percento da gel e al trenta percento da catene in simil-oro. Il restante sessanta percento faceva pensare a un retaggio vagamente antropoide.
  Mentre il loro stereo eruttava musica del tipo che Steve aveva paragonato a un frullatore moribondo, uno dei teppisti si sporse dal finestrino, facendo un cenno ai suoi degni compari e apostrofando subito dopo Steve e Thor.
  “Bella macchina, troiette. State andando in luna di miele?”. I compagni accolsero l’affermazione come una battuta dall’altissimo potenziale comico, e cominciarono a emettere vari versi indirizzati ai Vendicatori lì accanto.
  Steve, temprato da anni di bullismo fisico e psicologico, non ultimo quello a ‘getto continuo’ che ancora gli toccava subire da Stark, non fece troppa fatica a ignorare le provocazioni, ma Thor non era abituato a sentirsi insultare senza reagire. Non aveva idea di che cosa intendessero quegli strani midgardiani con termini oscuri come ‘checche’ o ‘frocetti’, né aveva elaborato alcuna teoria per spiegarsi perché, secondo loro, lui e l’uomo patriottico avrebbero dovuto cantare qualcosa chiamato ‘Y.M.C.A.’, ma il tono con cui questi avevano parlato era inequivocabilmente di scherno. E a lui non piaceva per niente essere oggetto di scherno.
  “Steve, richiedo un favore. Necessito che tu ti accosti al sedile, poiché debbo sporgermi per conferire con i gaglioffi lì presenti”.
  Sentendo parlare in tono sì cortese, per quanto pomposo che fosse, Steve immaginò una conversazione civile, malgrado Thor avesse definito i bizzarri individui ‘gaglioffi’, pertanto si tirò indietro, lasciando libera la visuale all’asgardiano. Un istante dopo, Mjolnir attraversò in volo l’abitacolo, transitando a un centimetro dal naso di Cap e riducendo SUV e passeggeri a un simpatico e innocuo gomitolo di lamiera, gel e airbag.
  Il semaforo divenne verde nell’istante in cui Mjolnir tornò tra le mani del suo possessore.
  Steve aveva gli occhi del diametro di due vassoi da portata e un numero di battiti cardiaci decisamente pericoloso, per un uomo della sua età anagrafica, ciononostante fece partire la macchina senza fiatare.        
  “Stark, siamo in vista dell’obiettivo”. Ma nessuna risposta pervenne, perché il signor Stark, oltre ad aver gettato via con stizza l’auricolare, era ora messo alle strette dal sindaco e da svariati tecnici, che si volevano sincerare che fosse tutto pronto per l’entrata in scena di Iron Man.
  “Io non sarò un esperto di supereroi, ma ho visto la scaletta della serata, e lei ora dovrebbe avere indosso la sua bella uniforme da paladino della giustizia ed essere sulla cima di quel palazzo, in attesa di atterrare sul palco. E invece – fatto assai curioso e insolito – la ritrovo al bar”.
  Malgrado la situazione drammatica che stava vivendo, Stark conservò il sangue freddo e la faccia di bronzo che lo contraddistinguevano. “Questione di attimi. Sto configurando l’interfaccia operativa. Desidera che la presentazione sia impeccabile, oppure che presenti difetti di sistema che sarebbero stati facilmente evitabili?”. Il volto improvvisamente pallido del sindaco fu una risposta più che sufficiente, e Stark si beò del tempo guadagnato, augurandosi che Rogers si desse una mossa.
  Giusto. Forse sarebbe il caso di ripristinare un collegamento telefonico.
  “Capitano, siete in dirittura d’arrivo?” Però, anziché Rogers, fu Thor a rispondergli.
  “Uomo di metallo! – esclamò, col suo consueto tono imperioso e spaccatimpani – Un ostacolo si è profilato con grande chiarezza sul nostro cammino. Nel compiere le manovre di assestamento del veicolo rombante, Rogers si è macchiato di un crimine che pare averlo segnato non poco”.
  Oddio. Rogers era in grado di compiere un crimine? Allora forse avrebbe dovuto rivalutarlo. Ma con la sua macchina? In tal caso, la responsabilità del misfatto compiuto dal cretino a stelle e strisce sarebbe ricaduta su di lui! Non sia mai!
  Con un simile dubbio che gli rodeva l’animo, Stark si precipitò fuori dal Dream, prendendo un’uscita secondaria e augurandosi di avvistare i compagni. Per prima cosa, corse incontro alla propria macchina, sincerandosi che i danni riportati non fossero irreparabili – si trattava infatti solo di un guasto al comando d’apertura dei finestrini e alla lacerazione della stoffa della capote, tutti contrattempi scoccianti ma ben lontani dalla tragedia che la guida di Rogers e la compagnia di Thor avrebbero fatto ipotizzare – dopodiché si appropriò della propria armatura, indossandola immantinente. Solo dopo quest’operazione fece caso al relitto umano che un tempo era stato Capitan America, al momento prostrato a terra con un’espressione di incommensurabile dolore.
  “Ohilà, Rogers, che accade? Se c’è uno che avrebbe ragione d’essere disperato, quello sarei io.”
  “Sono un assassino!” proferì Steve, con voce spezzata.
  “Prego? Andiamo, ero il primo a essere preoccupato per l’auto, ma non è andata tanto male, dopotutto…” disse Stark, in un raro attacco d’umanità.
  Steve lo guardò con occhi enormi e lucidi, e Tony si ritrasse istintivamente.
  “Stavo parcheggiando… non l’ho proprio visto! È stato orribile!”
  “Ma di cosa stai parlando? Non avrai mica…?” chiese Tony, temendo a quel punto che Rogers avesse sterminato un’intera scolaresca di bambini, una comitiva proveniente dall’ospizio e magari i partecipanti di una gita parrocchiale.
  “Un colombo – gli venne in aiuto Thor – Apparentemente non si alzò in volo in tempo per evitare l’impatto con la vettura rombante. Il guerriero veterano non l’ha presa bene.”
  “Tutto questo dramma per un piccione? Ti prego, Rogers, dimmi che stai scherzando. Se fai tutte queste storie per uno schifo di pennuto portatore di malattie, mi viene da chiedermi come combattessi durante la Seconda Guerra Mondiale. Cos’è, andavi incontro ai nazisti armato di fiori e buone intenzioni?”
  Senz’ombra di dubbio, Stark sarebbe stato lieto di infierire ulteriormente, ma sfortunatamente per lui un segnale acustico preimpostato lo avvisò che era giunta per lui l’ora di palesarsi sul palco e di dare ufficialmente inizio alla serata.
 
  Com’era prevedibile, la serata fu un successo soprattutto per via del non indifferente apporto dato dalla sfavillante partecipazione di Iron Man, e i taciti e mai confessati timori di Tony riguardo l’eventualità di essere anche solo parzialmente oscurato dalla presenza di altri due supereroi non avrebbero potuto essere più lontani dall’avverarsi.
  Intorno alle due di notte, con Pepper che lottava stoicamente per frapporre un intervallo superiore ai cinque secondi tra uno sbadiglio e l’altro, venne presa la decisione di far ritorno alla Stark Tower.
  Un problema già evidente sorse però in tutta la sua magnificenza: tanto per dare una sferzata di originalità alla situazione, Tony era ubriaco fradicio, e malgrado sostenesse di poter guidare senza problemi fino a casa, nessuno era realmente certo di voler salire in macchina con una distilleria umana al volante.
  Per la limousine con cui lui e Pepper erano arrivati chiaramente il problema non si poneva, essendoci il buon vecchio Happy alla guida, ma la Ferrari rischiava di restare priva di pilota a causa delle vibranti e veementi rimostranze di Tony, che, alla proposta di Steve di mettersi di nuovo alla guida, aveva annunciato che in tal caso l’avrebbe ucciso senz’esitazione alcuna, riuscendo dove Red Skull aveva fallito.
  Quando Thor tentò di far valere la propria roboante opinione in merito fu zittito da Tony in un modo che il figlio di Odino non gradì affatto, e l’atmosfera rischiò seriamente di arroventarsi.
  Ancora una volta intervenne Pepper, che si mosse per dar fondo alle proprie scorte di diplomazia e impedire a Thor di accartocciarle il datore di lavoro – nonché fidanzato – come l’origami di una pallina di Natale. Così facendo, però, lasciò gli altri due liberi di becchettarsi.
  “Tony, non puoi essere realmente convinto di metterti alla guida in simili condizioni: saresti un pericolo per te e per gli altri.”
  “Sempre meglio di te, bellimbusto. Non ho mai sofferto tanto come durante la nostra telefonata. È stato come dover assistere in prima fila alla tortura della propria figlioletta.”
  “Tu dai troppa importanza ai beni materiali.”
  “E tu troppo poca.”
  “Ci stiamo allontanando dall’argomento principale.”
  “Ma perché non ti allontani tu, grand’uomo? Parti per una grande avventura in un luogo qualsiasi, a patto che sia lontano da me” ed enfatizzò la frase tirandogli l’elastico delle bretelle che spuntavano da sotto la giacca. A differenza di Steve, che irrigidì la mascella ed emise un brontolio, Tony parve apprezzare la musicalità del suo motteggio, e dopo un paio di accordi si sentì abbastanza sicuro da intonare “Oh my darling Clementine” con gli accessori vintage che tenevano su i pantaloni di Steve*.
  “Signor Stark!” tuonò il Capitano, quando ne ebbe avuto abbastanza – cioè quasi subito.
  “Credevo fossi un’anima sensibile. È una canzone tragica, e tra l’altro sarà vecchia più o meno quanto te, non ti commuove?”
  “No.”
  “Ah. Vabbe’. – Lo liquidò Tony, riprendendo la cover della vecchia canzone dei cercatori d’oro - Drove she ducklings to the water every morning just at nine…
  Steve non aspettò di sentire della prematura dipartita di Clementine, e si riappropriò bruscamente delle proprie bretelle, facendone schioccare dolorosamente gli elastici, anche se, per amor di dignità, si rifiutò di emettere anche un solo gemito.
  “Questo tremendo spettacolo è la riprova che sei troppo ubriaco per guidare.” disse il Capitano, in tono vagamente petulante.
  “E tu sei troppo vecchio.” rimbeccò Tony con aria soddisfatta, mentre il suono di un ‘pappappero’ non detto ma comunque intensamente pensato saturava l’aria.
  “Pensala come vuoi, ma qualcuno dovrà guidare l’auto, e quel che è certo è che non sarai tu a farlo.”
  “A quanto pare no, ma neanche tu. Non sarei un genio acclamato dal mondo, se non avessi una soluzione a ogni problema.” disse, fissando poi il proprio sguardo su Pepper, ancora impegnata a evitare una dichiarazione di guerra di Thor a Tony.
  “…E assolutamente non voleva offenderti, né insinuare che la tua opinione possa essere meno che graditissima in qualunque occasione, è solo che, vista la situazione, l’ipotesi che tu manovrassi un mezzo sulla cui guida non hai alcuna esperienza sarebbe stata da scartare, non credi anche tu?” concluse, parlando a velocità doppia e sudando freddo.
  “Uhm. Ritengo che non fosse consigliabile, così come non lo è l’idea che sia l’Uomo di metallo a farlo. Ti chiedo scusa, Lady Pepper. Alle volte mi capita di essere più impulsivo di quanto vorrei.”
  “Ma no, figuriamoci – mentì spudoratamente lei – è stata una giornata lunga per tutti.”
  “Ma si concluderà presto. – interloquì Tony – Ci riporterai tu a casa, Pepper. Contenta?”
  “Cosa? No, per niente! Tony, non ho mai guidato un mostro del genere…”
  “Modera il linguaggio, quando parli della mia piccina. E trattala bene, per oggi ha già sofferto abbastanza. – disse, premurandosi di lanciare a Steve un’occhiata bieca – Nel pacchetto sono compresi un Principe Asgardiano e un patriota ultra-ottuagenario”. Detto ciò, le lanciò le chiavi della Ferrari, che lei, colta alla sprovvista, fece cadere in una pozzanghera.
  Decisamente non il migliore degli auspici.
  La povera Pepper impiegò parecchio tempo per prendere confidenza con l’auto, ed esigette che Steve le facesse da navigatore, relegando così il gigantesco Dio del Tuono ai sedili posteriori. Lui fece più volte notare che lo spazio, là dietro, poteva forse essere sufficiente a contenere quella specie di folletto che era Tony Stark, ma certo non bastava a lui. Dopo poco, però, risolse da solo il problema, ergendosi in tutta la sua maestosità e finendo di sfracellare la capote dell’auto. Steve, in un raro accenno di umorismo, considerò che, vista da fuori, con le spalle e la testa di Thor che svettavano, la Ferrari pareva piuttosto la classica auto dei pagliacci del circo.
 
  La prudentissima Pepper, malgrado il sonno, non osò sfruttare le potenzialità dell’auto, per cui i tre fecero ritorno alla Stark Tower dopo quasi un’ora e mezzo di viaggio.
  Dal tono isterico di Stark, più che un algido e imperturbabile uomo d’affari, lo si sarebbe potuto immaginare più facilmente nelle vesti di una casalinga nervosa che, in vestaglia, maschera ai cetrioli, bigodini e mattarello attendeva il ritorno del marito fedifrago.
  Purtroppo, però, l’analogia si fermava al mero tono di voce irritato e isterico.
  “Ma quanto ci avete messo? Oh, la mia povera capote… esci di lì, razza di giraffa anabolizzata! Pepper, mi raccomando la concentrazione più assoluta, durante il parcheggio… lascia perdere, ti guido io. Indietro…. Gira il volante a destra. Non completamente! Ancora trentacinque gradi circa, sì… Così è troppo! Adesso vieni avanti… a sinistra, sì… ancora indietro. Ancora… ancora un po’, vai tranquilla… No-hoo!”
  Il paraurti aveva impercettibilmente cozzato contro il muro, cagionando una microscopica scalfittura, ragion per cui Tony affrontò la cosa con la maturità e il controllo che una situazione del genere richiedevano, gettandosi cioè in ginocchio, gridando e interpellando il Cielo sul perché una simile sciagura avesse scelto di abbattersi proprio sulla sua splendida persona.
  Fu precisamente in quel momento che Pepper decise di averne avuto abbastanza: aprì la portiera, scese dalla macchina, si ritrovò di nuovo seduta, quindi si ricordò di sganciare la cintura, al che se ne andò di sopra, facendo sbattere i tacchi sul pavimento con la stessa veemenza che Van Helsing avrebbe messo nell’impalare dei vampiri.
  Mentre lei spariva, borbottando non troppo sommessamente che un certo supereroe miliardario quella notte avrebbe certamente dormito su un divano – o alternativamente su un giaciglio di spine e ortiche – Steve e Thor fingevano indifferenza, l’uno verificando che gli stivali fossero sufficientemente lucidi, l’altro cincischiando il chilometrico orlo del mantello.
  Dopo aver versato la cosa più simile alle lacrime che fosse in grado di produrre – probabilmente una qualche secrezione chimica altamente corrosiva – per la triste sorte subita dalla macchina, Tony riprese il pieno controllo di sé, e, senza una parola, dribblò Thor e Cap, dirigendosi con passo rapido e sicuro verso gli antipodi dello sterminato garage in cui tutti loro si trovavano.
  “Stark, dove vai?” lo interpellò Steve.
  “A ricostruire daccapo – migliorandolo – il macinino da caffè millenario** che tu chiami moto. Non guiderai mai più una delle mie auto. Capito, vecchietto?”
 
 
*Originariamente scritto al singolare, ‘accessorio vintage’, l’ho cambiato perché mi sono venuti in mente ottomilasettecentodue doppisensi. Meh.         
**Millenario il macinino, non il caffè.
 
 
 Incursione di Charme:
   Bene. Oneshot di seimila e più parole, il componimento che preferisco. Teoricamente dovrebbe far ridere, praticamente non so. Io rido, ma non credo di far testo.
  Qualche piccolo chiarimento: il nome utilizzato per il sindaco di New York è quello dell’effettivo sindaco in carica al momento, spero di non offenderlo in alcun modo. È un figo. L’hotel che ho utilizzato come luogo destinato a ospitare la serata di beneficienza è effettivamente esistente, ed è sufficientemente lontano dal luogo in cui si suppone dovrebbe trovarsi la Stark Tower perché lo si possa raggiungere in circa trenta/quaranta minuti in auto, traffico permettendo.
  Spero vivamente di essere riuscita a centrare l’IC dei vari personaggi. Certo, in alcuni – MOLTI – casi i loro tratti distintivi sono stati alquanto esasperati e portati quasi al parossismo per, diciamo, esigenze comiche, ma mi auguro comunque di averli resi sufficientemente credibili.
  Le scuderie della Jaguar e della Lamborghini hanno prodotto i primi mezzi rispettivamente nel 1968 e nel 1948 (perlomeno secondo quanto ho trovato), pertanto quando Cap era già in crio. Ho immaginato che potesse essere buffo che non conoscesse queste grandi marche :D
  Non esistono Ferrari color rosso-oro con la capote, ne sono piuttosto sicura. Il tutto è stato da me bellamente inventato. D’altro canto, suppongo che se sei Tony Stark puoi pure infischiartene di tutto e tutti. Tra parentesi, la targa dell’auto che cito, IRULE53X è un demenzialissimo giochetto. Il cinque e il tre starebbero a simboleggiare una ‘S’ e una ‘E’, per cui verrebbe una cosa tipo ‘Io regno SESSO’, da interpretarsi liberamente XD
  Palesemente nessuno dei personaggi citati mi appartiene, bensì fanno tuuuutti parte dello splendido universo Marvel.
 
  Come per tutti, una recensione sarebbe ben gradita e accolta ancor meglio :)
 
 
 
 
 
 

 

  
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