Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |       
Autore: _LilianRiddle_    17/09/2012    2 recensioni
" Non ricordo quando m’innamorai per la prima volta di lei. E ha sentito bene. Per la prima volta. Perché con lei, ogni giorno, era diverso. Ogni santissimo giorno m’innamoravo nuovamente di lei. E non chiedetemi come sia possibile una cosa del genere. So solo che riusciva sempre a stupirmi. Sempre. "
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ricordare.
 
 

- Non ricordo quando m’innamorai per la prima volta di lei. E ha sentito bene. Per la prima volta. Perché con lei, ogni giorno, era diverso. Ogni santissimo giorno m’innamoravo nuovamente di lei. E non chiedetemi come sia possibile una cosa del genere. So solo che riusciva sempre a stupirmi. Sempre.
Ma andiamo con ordine. Mi chiamo Phoebe Percival, i miei genitori sono canadesi, ma hanno origini italiane. Per questo c’eravamo trasferiti li, quando io compii cinque anni. Non so se questo fu un bene o un male. Sicuramente fu una svolta. E una svolta può essere positiva o negativa, no? Avevo solo cinque anni, ma m’innamorai subito dell’Italia. Era così diversa dal Canada, così ordinata e industrializzata. L’unica cosa che mi mancava era la natura. Prima, a casa mia, c’erano boschi e radure ogni due metri. Lì, invece, il massimo è trovare alcuni alberelli rinsecchiti ai margini della strada. E sei già fortunato se ce li hai. Ci sono i parchi, è vero. E Milano è una città molto verde, ma, ecco, tutto ha un ordine. Non è naturale la natura di Milano, non so se mi spiego. Lo so, non mi guardi così. Mi rendo conto che sto divagando. Ma le devo parlare di dove vivo per descriverle Lei. E poi, non è ancora il suo momento. Quindi, stavo dicendo che l’Italia era bellissima, ma che purtroppo, a Milano, c’era poco verde. Per i miei standard, naturalmente. Per il resto delle città del nord, invece, per essere una delle città più industrializzate, era molto verde. L’unica cosa che non ho mai capito, è se è o no la capitale dell’Italia. No, perché se tu chiedi lì, a nord, ti dicono che la capitale è Milano. Se vai oltre il Po, sostengono che la capitale sia Roma. Io credo, invece, che per ognuno la capitale del proprio paese cambi. Se chiedi a un bambino qual è la capitale dell’Italia, ti risponde che sicuramente è Roma, ma che per lui è, che so, Treviso, Aosta, dipende da dove vivono. Capite? C’è una capitale diversa nel cuore di ogni persona. In generale, comunque, l’Italia ha due capitali: la capitale della Moda, Milano, e la capitale della Chiesa, Roma. Già, perché a Roma c’è la sede del Papa. L’omino bianco che ha la papamobile. Ho sempre adorato questa parola: pa-pa-mo-bi-le. Suona bene, è simpatica.
I miei genitori sono ricchi sfondati. E sfondati è dire poco. Davvero. Sono due rispettabilissimi avvocati, rigidi e pieni di schemi, regole e cazzate varie. Io sono cresciuta all’ombra di quattro fratelli. Il primo, William, ha ventiquattro anni e quest’anno si laureerà in medicina. Grazie ad un caro amico di papà, ha già un posto assicurato alla Multimedica di Milano. Poi c’è Matteo, che ha vent’anni. Lui è all’università, sta studiando per diventare avvocato, proprio come i miei genitori. Il terzo genito è Blaise, di diciotto anni. È appena diventato maggiorenne e i miei gli hanno regalato patente e Ferrari per il compleanno. Non si è capito bene cosa voglia fare una volta finiti gli studi. Dice di voler studiare legge e diventare giudice, e i miei sono molto orgogliosi di questa scelta. E poi, ci sono io. Sono arrivata inaspettatamente, senza preavviso e, soprattutto, senza essere cercata. I miei non volevano più avere figli, dopo Blaise, ma poi sono arrivata io, in una gelida notte di gennaio. Nonostante il loro iniziale stupore, dovuto al fatto che qualcosa non era andata secondo i loro piani, mi accettarono, perché in fondo avevano sempre voluto una femmina. Si pentirono di questa scelta appena iniziai a parlare. Non ero come i miei fratelli, ligi al dovere e rispettosi. Io non mancavo mai di contestare, rifiutare, urlare e pretendere. Delle regole non me ne importava niente e il dovere non sapevo neanche cosa fosse. Odiavo i miei genitori e li odio tuttora. Loro mi hanno tolto l’infanzia e niente me la riporterà indietro. Con l’adolescenza le cose peggiorarono drasticamente. E quando arrivò Lei fu ancora peggio. Le medie passarono in un lampo, davvero. Non mi accorsi neanche del tempo che passava. Ma furono dure. Troppo. In seconda media morì mio zio. Il che potreste pensare che non sia una grave perdita. Per me, invece, fu la fine. Mio zio era l’unico in famiglia che mi amava e che mi trattava come una persona e non come una cosa indesiderata. Nessuno mi considerava un essere umano tranne lui. E lui se né andato. Per sempre. Non tornerà mai più da me e questo mi ha segnata. Iniziai a fumare che avevo solo tredici anni, si rende conto? Non è normale. Soprattutto se il tutto è accompagnato dal fatto che io vivevo in un altro mondo. Mi ero creata la storia che mio zio fosse solamente partito per un lungo viaggio e che sarebbe tornato presto. Ma i mesi passavano e lui non tornava mai. Alla fine, ammisi che lui era morto. Ma non lo accettai. E, ad essere sinceri, non lo accetto neanche adesso. -
- Ma Lei che cosa c’entra in tutto questo? - chiesi alla ragazza. Era strana. Non stava tranquillamente sdraiata sul divano come tutti i miei clienti, ma andava avanti e indietro per la stanza. Prima guardava me, poi la finestra, si sedeva, parlava per cinque minuti, e ritornava a vagare per la stanza. Quella ragazza era dinamite pura. E le si leggeva tutto negl’occhi, tutto. Ma a volte, quando pronunciava quel “Lei” si adombravano e diventavano troppo profondi, troppo per essere gli occhi di una ragazza di soli diciotto anni.
- Gliel’ho detto! Per raccontarle di Lei, che poi è il motivo per cui sono qui, devo prima raccontarle che cosa mi ha portato a Lei. Non può conoscere solo metà della storia, dottoressa, se no non capisce. – esclamò.
- Ok, Phoebe. Allora vai avanti con la tua storia. – risposi.
- Bene. Quindi, dov’ero rimasta? Ah, sì, mio zio. Come le ho già detto, dopo la sua morte ebbi un crollo psicologico. Fu in quel periodo che imparai a mentire. A tutti, anche a me stessa. Fu in quel periodo che scoprii per la prima il significato della parola “dolore”. Lei lo sa che cosa vuol dire “dolore”? – mi chiese.
- Certo, il dolore è una sofferenza fisica o spirituale. – risposi convinta.
Si girò di scatto, con un ghigno che le deformava il bel volto.
- Non è così semplice, dottoressa. Lei ha mai provato dolore, dolore vero? Ha mai perso qualcuno? – chiese. Di solito non raccontavo a nessuno dei miei clienti la mia vita privata. Anzi, togliamo anche il “di solito”. Io non avevo mai raccontato la mia vita privata ad uno dei miei clienti. Mai. E mai lo avrei fatto. Ma quella ragazza era diversa. Non avevo idea di come avesse fatto, ma nel giro di pochi minuti mi era entrata dentro. Forse perché era uno dei casi più disperati che avessi mai visto. Così, decisi di fidarmi.
- Persi mia madre che avevo solo dieci anni. Fu un trauma per me, ma ne uscii. C’erano sempre mio padre e mia sorella. – risposi.
- Quindi lei sa cosa vuol dire perdere qualcuno. È così difficile che a volte, ancora adesso, mi manca il respiro. Anche se sono passati più di sei anni. –
- Non è un male essere tristi, a volte. – dissi.
Lei si sedette sul divano e mi guardò dritta negli occhi. Non so con che forza riuscii a non abbassare lo sguardo, ma resistetti stoicamente.
- Io non posso essere triste. –
- Perché? –
- Perché se no poi gli altri se ne approfittano. Iniziano facendoti innocenti domande. Come stai, cos’è successo, raccontata tutto che di me ti puoi fidare. Ma non ti puoi mai fidare. Mai. Non fai in tempo a finire di parlare che i cazzi tuoi li sa tutta la scuola. E ti additano, mormorano, giudicano. E fa male, per quanto non me ne freghi niente del parere degli altri. Fa male sapere che nessuno capisce. Ma con Lei era diverso. Lei capiva, capiva eccome. Capiva anche fin troppo. E io la amavo anche per questo, soprattutto per questo. E la amo tutt’ora per tante di quelle cose che alcune le ho anche dimenticate. La amo perché è Lei. Perché è così dannatamente bella, anche quando crede di non esserlo. Amo il modo in cui sembra così forte ed esibizionista solo per nascondere la sua incredibile fragilità. Amo il modo in cui parla, quasi urlando. Amo il modo in cui cammina, in cui urla. Amo alla follia il suo modo di leggere così, a bassa voce, con quel tono che ti entra dentro, nell'anima. Amo il modo in cui si perde nel suo mondo con la musica nelle orecchie e la palla da basket in mano. Amo il suo modo di sorridere. E amo i suoi abbracci più di me stessa. Quando mi abbraccia io mi perdo e allo stesso tempo mi ritrovo. Affondo in lei quando l'abbraccio. Ecco perché la amo. Perché è Lei, semplicemente. E i miei genitori erano convinti che se mi avessero allontanata abbastanza da lei, se mi avessero riportata qui, in Canada, con addirittura un oceano a dividerci, beh, erano convinti che l’avrei dimenticata. Ma una persona del genere non si dimentica. Neanche se ti impegni con tutta te stessa. Una persona del genere la puoi soltanto amare, sempre e comunque, anche quando la vita te lo impedisce perché questo tipo di amore è più forte anche della vita. –
- E come si chiama? – chiedo.
- È per questo che sono qui, dottoressa. Io non me lo ricordo. Io non me la ricordo. Non ricordo il suo viso, i suoi occhi, i suoi capelli. Non me la ricordo. E lei deve aiutarmi a ricordare, perché io so che lei è da qualche parte dentro di me. Lo so. In fondo, io e lei non ci siamo mai lasciate. Forse, ci siamo soltanto perse. – 
 
 
 

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: _LilianRiddle_