Nota
di doverosa premessa:
non credevo che
avrei mai ripreso in mano questa mini-fanfiction, considerata la
disastrosa mancanza
di tempo che ormai mi sta facendo abbandonare praticamente tutto il
mondo della
scrittura. Poi quest’estate ho rivisto la vecchia trilogia,
quasi per gioco
e... mi sono di nuovo innamorata di questa coppia. Non
c’è niente da fare,
hanno radici troppo profonde nel mio debole cuore. Avevo già
deciso anni fa che
avrei scritto di questo momento, perciò non ho fatto altro
che completare una
vecchia idea. Come per gli altri capitoli, non si tratta di niente di
più che
di una storia d’amore; ma ho ricevuto delle recensioni
talmente belle che, per
quanto il tema sia banale, ho avuto modo di scoprire che
c’è chi ama questi due
personaggi tanto quanto me.
Se
qualcuno
decidesse quindi di avventurarsi nella lettura di questo stralcio
arrugginito,
ha già i miei ringraziamenti.
S.
3. “Comunque
presto ce ne andremo.” “E anche tu
te ne andrai...”
Don't make me sad, don't make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets
tough
I don't know why
Keep making me laugh,
Let's go get high
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime
(Lana Del Rey, “Born
To Die”)
Erano
ormai
trascorsi quasi un paio di giorni dal fattaccio, ma io ancora
perseveravo nel
sentirmi l’uomo più fortunato di tutti gli
universi conosciuti.
Ci
ripensavo in ogni momento, tutte le volte che per sbaglio posavo gli
occhi su
di lei – davanti a Chewie e agli altri cercavo di darmi un
certo contegno, ma
Sua Altezza sembrava comparirmi davanti ovunque, quasi lo facesse
apposta – e
perfino quando le ero lontano, nonostante le molte cose di cui avrei
dovuto
occuparmi in quegli attimi così densi di preoccupazioni.
Ripensarci mi faceva
sentire incredibilmente ottimista, quasi invincibile; fu un sollievo
scacciare
il pensiero fisso della taglia che pendeva sulla mia testa per
sostituirlo con
il ricordo della morbida sensazione che avevo provato
nell’incontrare le sue
labbra per la prima – e probabilmente unica – volta.
Avevo
volontariamente rimosso la reminescenza della successiva fuga
imbarazzata di
lei, perché semplicemente non volevo guastarmi la vittoria.
D’altronde,
quell’idiota spaziale di un droide ci aveva interrotti in
maniera molto poco
delicata, perciò il fatto che lei avesse scelto di tagliare
la corda era
comprensibile. Era compito mio infliggergli un’adeguata
punizione assegnandogli
il triplo del lavoro da fare, essendo stato io ad aver avuto la
malaugurata
idea di assegnargli un compito di qualche genere anziché
spegnerlo del tutto
come in seguito aveva fatto lei.
Non
era
esagerato definirla una vittoria, pensai mentre mi liberavo con
impazienza dei
vestiti che avevo indosso, una volta chiusa alle mie spalle la porta
del mio
temporaneo alloggio su Bespin. Mi ci era voluto un anno per arrivarci,
dodici
mesi di frustrazioni, sconfitte, sarcasmo, derisioni, frasi taglienti,
occhiate
gelide, sguardi rabbiosi, negazioni e rifiuti. A onor del vero, nei
minuti che
avevano preceduto il suggellarsi del mio trionfo un qualche segnale di
inversione di rotta mi era stato inviato: quando era caracollata fra le
mie
braccia in seguito a quello scossone, era evidentemente turbata. Rossa
in viso,
furente, sguardo altezzoso e camminata rigida, ma non era riuscita a
mentire
efficacemente come le altre volte. Inconsciamente dovevo essermene reso
conto,
considerando cosa mi ero spinto a fare dopo: qualcosa per cui, in un
anno
intero, mai avevo raccolto l’audacia necessaria.
Non
si
era trattato di un bacio svogliato o forzato, di questo ne ero certo;
avevo
fatto attenzione ad essere molto delicato, di modo che lei non potesse
respingermi per via della mia irruenza, come accadeva di solito nei
nostri
scontri verbali. Con un inevitabile ghigno mi domandai se quel bacio
fosse
stato sufficiente a farla eccitare, dopodiché mi infilai
dentro la vasca di
acqua calda riempita in fretta per darmi una ripulita prima di andare a
dormire.
Ero
terribilmente stanco, ma finii per rimanere a mollo lì
dentro per almeno
un’ora. Con tutto quello che era successo dopo, non avevo
ancora avuto il tempo
necessario per metabolizzare completamente l’accaduto.
Tuttavia, il rapporto
con lei mi aveva talmente consumato i visceri da necessitare di una
simile
pausa di riflessione.
Avrei
dovuto farlo molto tempo prima, questa fu la conclusione a cui giunsi.
Tuttavia, a dispetto di ogni apparenza, ero sempre stato certo che mi
avrebbe
respinto. Per via di Luke, ma anche perché non ero il suo
tipo. Soprattutto per
questo, forse. All’inizio era solo un dubbio, poi era
diventata una solida
convinzione che aveva ridotto al minimo ogni gesto carino nei suoi
confronti e
accentuato a dismisura le risposte sarcastiche con cui mi divertivo a
prenderla
in giro. Non puntavo più a piacerle, semplicemente a
schermarmi contro il suo
disprezzo e a salvare la mia dignità; se qualcuno si fosse
accorto di quello
che in realtà provavo per lei – qualcuno in grado
di comunicare con altre
persone, quindi Chewie non contava – sarebbe stata la mia
fine. Altro che
leggendario contrabbandiere e formidabile pilota; tutti avrebbero
iniziato a
vedermi come un banale rammollito. E alle donne non piacciono i
rammolliti. Per
questo Jabba doveva incatenare le sue schiave per tenersele vicine
– ma questo
era un altro discorso.
Se
non
ci fossero stati tutti quei sistemi di emissione di vapore bollente,
l’acqua
sarebbe stata completamente fredda nel momento in cui mi decisi
finalmente ad
uscirne. Passai immediatamente attraverso i pannelli di asciugatura
istantanea,
altrimenti avrei corso il rischio di rimanere lì per
un’altra ora, fradicio e
tremante. Non riuscivo più a concentrarmi sulla
realtà, cosa che mi rendeva
estremamente patetico ai miei stessi occhi, ma da cui non sapevo come
riprendermi.
Mi
infilai gli abiti da camera, una semplice camicia pulita e un paio di
calzoni
neri, rivolgendo un pensiero di gratitudine a quella vecchia faina di
Lando
Calrissian per quell’ospitalità così
inaspettatamente calorosa. Dopo giorni e
giorni in fuga dalle navi imperiali a bordo del Falcon, un
po’ di comodità non
poteva che essere estremamente gradita – perfino a quello
stupido droide,
probabilmente. Quantomeno, avrebbe smesso per un po’ di
lamentarsi dei sistemi
operativi della mia nave.
Quando
bussarono alla porta, portai istintivamente una mano alla fondina.
L’attimo
dopo scossi la testa e andai ad aprire con calma; gli alloggi avevano
serrature
di sicurezza e microcamere rivolte all’esterno, segno che
Lando non era
esattamente uno sprovveduto.
Tuttavia,
pensavo fosse lui a trovarsi al di là della soglia, o
tutt’al più Chewie; non
ero preparato a ricevere una visita regale, e invece mi
toccò constatare che proprio
di quello si trattava.
Non
potevo mostrarmi insicuro, perciò le aprii immediatamente,
sfoggiando un
sorriso accogliente e cordiale.
“Ehi,
tutto bene?”
“A
dire
il vero non saprei...” – voleva un bacio di
buonanotte? – “...non ho visto
rientrare 3BO.”
Certo,
era ovvio che non potevo aspettarmi niente di meglio. Che stupido
povero
illuso.
“Neanche
io l’ho visto,” risposi. “Ma non ti
preoccupare, starà sicuramente ammorbando
qualche suo simile con le sue chiacchiere in sei milioni di lingue qua
intorno.
Se proprio si è perso, domani mattina andremo a cercarlo.
Non abbiamo fatto
molta strada per arrivare fin qui, la città è
piccola. Ma non farlo notare a
Lando, potrebbe offendersi.”
Cercai
di farla ridere, ma non ottenni granché. Ripensai ai
salamelecchi di Lando e mi
domandai con astio se Leia preferisse la sua compagnia, ma scacciai
quel
pensiero subito dopo; non era il momento adatto per simili riflessioni.
“Spero
solo stia bene. Domattina andrò a chiedere in
giro.”
Annuii
in segno di approvazione.
“Stai
tranquilla, non potrebbero mai prenderlo come ostaggio. È
talmente noioso e
fastidioso che lo lascerebbero subito libero.”
Questa
volta ottenni un sorriso un po’ più convincente.
Non potei fare a meno di
gongolare interiormente.
“La
tua... stanza è ok?”
“Sì,
ha
l’aria molto comoda.”
“Degna
di una principessa?”
“Han,
io non sono più la principessa di un bel niente. Il mio
pianeta è stato
distrutto, pertanto non vivo più in palazzi lussuosi e non
indosso più abiti
regali da un bel po’ di tempo, ormai.”
“Io
ti
preferisco così.”
Lanciai
quel complimento con una sorta di noncuranza sfacciata, appoggiandomi
blandamente allo stipite della porta. Mi sembrò vederla
arrossire lievemente,
ma avevo la testa talmente annebbiata da non poterne essere sicuro.
Decisi
tuttavia di fidarmi del mio istinto e di piantarla con le paranoie.
“Beh,
se vuoi entrare possiamo discutere dei nostri prossimi spostamenti, non
appena
gli uomini di Lando avranno riparato il Falcon saremo liberi di
andarcene... meglio
parlarne al riparo da orecchie indiscrete, però.”
Lei
si
gettò qualche furtiva occhiata intorno, poi
sembrò decidere che come scusa le
andava bene.
Entrò
in fretta, senza mostrare indecisione o tradire emozioni troppo forti,
evitando
semplicemente di guardarmi negli occhi per quegli attimi che le ci
vollero a
varcare la soglia. Improvvisamente, sentii defluire tutta la stanchezza
che mi
aveva assalito fino a un attimo prima: di colpo ero sveglio, i muscoli
in
tensione, il cervello in pieno funzionamento. Dovevo assolutamente
stare
attento a ciò che dicevo, non volevo più farla
irritare; il mio obiettivo ora
era colpire definitivamente nel segno, farle capire che ero davvero io
l’uomo
giusto.
In
fondo, se lei non ci avesse creduto almeno un po’, al posto
di un bacio mi
sarebbe arrivato un sonoro ceffone. Di sicuro, per quanto
all’apparenza Leia
fosse minuta, ne era perfettamente capace.
E
invece almeno in qualcosa l’avevo colpita, anche se non ero
un cavaliere Jedi
con la spada e l’armatura ma semplicemente un essere umano
qualsiasi che
cercava di non farsi portare via la testa dai cacciatori di taglie.
“Il
rendez-vous ormai è saltato da un pezzo. Dato che non
eravamo presenti, non
siamo stati messi al corrente di dove i nostri si siano attualmente
spostati.
Pensi di poterti mettere in contatto con qualcuno degli ammiragli della
flotta?
Se non sono tanto lontani, forse faremmo prima ad unirci a
loro...”
Mi
resi
conto che Leia non mi stava ascoltando. Si era seduta sul letto, china
su se
stessa, lo sguardo perso in qualcuna delle sue riflessioni. Avevo
lasciato
acceso il minimo indispensabile dell’illuminazione presente
nella camera,
eppure anche così riuscivo a vederla con estrema chiarezza:
era bellissima, e
io non potevo fare niente per non pensarlo. Probabilmente se
l’era già sentito
dire un milione di volte, quindi io sarei stato solo
l’ennesimo cretino a cui
non dare credito; ma chissà quanti l’avevano vista
così, con una semplice veste
di seta color corallo e una cappa leggera, quasi impalpabile, posata
sulle
spalle. Chissà quanti l’avevano ammirata con le
lunghe trecce semidisfatte, il
volto stanco dopo giorni di inseguimenti e di fughe, senza mai un
attimo di
pace.
Finalmente,
dopo qualche secondo, mi parlò.
“Perché ti dai tanto da fare per me? Potrei
chiedere una nave al tuo amico
Lando e trovare da sola la flotta, se davvero ti fidi di lui. E tu
potresti
fare ciò che dovevi fare prima di perdere tempo ancora...
per colpa mia.”
Ma
che
razza di domanda era? Fui quasi tentato di spazientirmi, ma poi riuscii
a
controllare quell’impeto e le risposi con calma e un sorriso
ben piazzato.
“Tesoro,
se io me ne fossi andato quando dovevo farlo tu ora saresti sepolta
sotto le
rovine della base di Hoth o peggio, prigioniera di Vader. Il mio aiuto
ti è
servito e, per quanto ti piaccia non dipendere da nessuno, accettalo
ancora per
qualche giorno. Ti scorterò fino al contingente ribelle
più vicino, poi
sbrigherò le mie faccende. Ho aspettato fino ad ora, ormai
non cambia poi
molto.”
Già,
pensai dentro di me, ormai sei un uomo morto, Han Solo. Jabba ci si
pulirà i
denti con il denaro che gli porterai.
“Solo
perché sono una donna non significa che non possa cavarmela
da sola...”
“Non
voglio che ti accada nulla di male. Non voglio più
discuterne, e se davvero non
ti senti più una principessa non puoi darmi ordini,
Altezza.”
Lei
si
rabbuiò.
“Ti
ho
detto di non chiamarmi così.”
“Ti
accontenterò se accetti le mie condizioni. Altrimenti, a che
sarebbe servito
tutto quel mirabolante salvataggio sulla Morte Nera di un anno
fa?”
Sembrava
passato un secolo, da allora. Ricordai improvvisamente che avevo detto
a Luke
“non so se ucciderla o innamorarmi di lei”, senza
sapere che avevo già optato
per la seconda scelta. Fin da allora ce l’avevo avuta in
testa; non mi sembrava
vero di aver trovato una donna così bella e di carattere,
così irritante e
seducente allo stesso tempo.
Lei
mi
fissò a lungo, con una strana espressione, che non le avevo
mai visto rivolgere
a me. Sembrava... angosciata.
“Non
devi andare. Se resti con i Ribelli, i cacciatori di taglie non
potranno
avvicinarsi. Glielo impediremo noi.”
“Purtroppo
sono più furbi di quanto credi. Non avrò
certezze, fino a che non avrò pagato i
miei debiti.”
In
realtà, sapevo che stavo andando a morire. Ma non potevo
dirglielo, e neppure
volevo. Finalmente, a poco a poco, stavo riuscendo a farle ammettere il
vero
motivo per cui non voleva lasciarmi andare.
“Non
riesco ad essere così ottimista come lo sei tu,
Han,” mi disse, scuotendo la
testa.
Probabilmente
quelle erano le ultime ore che mi restavano da passare con lei. Dovevo
cercare
di rendermene conto, altrimenti sarei rimasto lì e non avrei
fatto niente, come
avevo fatto per un anno intero prima di trovare il coraggio necessario
per
avvicinarmi oltre i trenta centimetri di distanza di sicurezza.
Mi
sedetti accanto a lei e le posai una mano sulla spalla, cercando di
essere
amichevole.
“Non
ti
preoccupare, andrà tutto magnificamente.”
Sapevo
mentire benissimo all’occorrenza, ero sempre stato bravo; ma
aver dovuto
imparare a celare i sentimenti che provavo per lei non era servito ad
altro che
migliorarmi.
“Sono
tanto
stanca,” mormorò Leia, appoggiando la testa al mio
braccio. Le accarezzai
goffamente i capelli, cercando di scacciare tutti i pensieri che mi
affollavano
la mente. Quella frase poteva voler dire tutto e niente: che era stanca
di
lottare, di vivere, di essere in conflitto con me, di sopportarmi, di
detestarmi.
Ma
ormai
avevo preso confidenza, perciò mi lanciai.
Prima
le
sfiorai la testa con le labbra, poi le sollevai il viso con decisione e
non mi
feci molti scrupoli nel baciarla con più ardore di quanto
avessi osato la prima
volta. Tanto ormai mi ero scoperto, era inutile giocare ancora a far
finta che
lei mi fosse indifferente. Sapeva benissimo che non era successo tutto
quanto perché
l’ennesimo scossone dell’asteroide ci aveva fatti
scontrare casualmente proprio
in quella posizione. Potevo accusarla di tutto, ma non
d’ingenuità.
Non
mi
arrivò nessuno spintone, perciò lo interpretai
come un segnale favorevole. All’inizio
era incerta e potevo quasi giurare che avesse smesso di respirare, ma
poi,
lentamente, iniziò a sciogliersi.
Sapevo
come
riuscirci, del resto.
Per
tutto
il tempo trascorso dalla prima volta che ci eravamo incontrati, avevo
fatto di
tutto per non darle l’idea di essere un tipo romantico.
Sguardi sfacciati,
parole impudenti e gesti rudi erano sempre stati all’ordine
del giorno. Ma ora
intendevo stupirla in ogni senso: iniziai a carezzarle lievemente la
testa, poi
scesi lungo la schiena, infine decisi di azzardare e le passai
l’altra mano su
un fianco.
Lei
si
staccò, ma continuò a rimanere a pochissimi
centimetri di distanza. Ci avevo
visto giusto, non stava respirando. Ora riprendeva fiato, tremando
leggermente.
Mi
scostai
per non opprimerla, ma anche per guardarla meglio. Sembrava che
l’avessi
sorpresa davvero. Mi scrutava ad occhi spalancati, turbati.
“Ti
sei
sempre comportato come se non te ne importasse niente...”
sussurrò, confusa. Sulle
prime rimasi perplesso. Come diamine aveva potuto non cogliere tutti i
segnali
che mi ero inevitabilmente e stupidamente lasciato scappare, pur
maledicendomi
ogni volta, nel corso di tutti quei mesi trascorsi a contatto con lei?
Poi
le
sorrisi sfacciatamente.
“Allora
significa che so fingere bene”, replicai.
Mi
aspettavo,
a quel punto, che mi domandasse perché l’avevo
fatto. Sarebbe stato tutto molto
più semplice se mi fossi dichiarato fin
dall’inizio. Non ero esattamente sicuro
su quale fosse stato il motivo principale: il mio orgoglio, la
convinzione che
le piacesse Luke, il pensiero che teoricamente non avrei dovuto
fermarmi a
lungo con i Ribelli e che prima o poi avrei levato le tende, o forse il
fatto
che lei era una Principessa Senatrice della Repubblica che non aveva
nessuna
ragione al mondo per trovare interesse in un contrabbandiere dei
bassifondi.
Le
mie
congetture, però, si rivelarono errate. Dopo un attimo di
pausa, stavolta,
incredibilmente, fu Leia a baciarmi.
Mentre
mi
adagiavo delicatamente sul letto insieme a lei, scacciando finalmente
ogni
pensiero sul futuro angosciante che mi attendeva, mi ritrovai a
considerare che
quella di fermarsi a Bespin era stata davvero una grande idea.