Disclaimer: i personaggi sono
di Fujimaki Tadatoshi.
Note: perdere una serata a cercare
una citazione che si adatti, aprire word e scrivere una roba che con la
citazione non c’entra nulla; ergo, toglierla. Si può anche questo, sì
*facepalm*
Nessun punto particolare del manga come riferimento – sicuramente dopo la Winter Cup, comunque.
Dedica: a Muro-chin,
perché non potrebbe essere altrimenti (L)
Non importa quanto a lungo ci pensi:
è abbastanza sicuro che non capirà mai
come si sia fatto convincere; e sì che non gli sono stati promessi dolci in
cambio – sebbene la cioccolata calda del bar vicino all’impianto in cui si
trovano sia effettivamente tentatrice.
In quel posto non c’è nulla che gli piaccia, fatta eccezione per la remota
possibilità di una merenda quando Himuro deciderà che
ha sofferto abbastanza; innanzitutto sono all’aperto, tardo pomeriggio ed è
Gennaio, e questo dovrebbe dirla molto lunga sul freddo che fa in quel momento,
e lui odia il freddo. Ha scoperto
alla tenera età di otto anni che non importa quanti cappotti si mette o con
quante sciarpe rischia di strangolarsi, fa freddo e così sempre sarà, e lui
pare che per quanti dolci mangi non riesca a fare come le foche, che con il
grasso si proteggono dal gelo.
Secondo punto, sono su del ghiaccio, perché a quanto pareva faceva molto America andare a pattinare con il gelo e
la neve – che almeno per adesso li sta graziando e non sta cadendo – e Muro-chin sembra non capire che lui è un qualcosa di più di
due metri che deve cercare di starci in equilibrio, sul pezzo di ghiaccio in
questione; e, possibilmente, non investire un qualsiasi essere umano più basso
di lui.
Muro-chin non capisce che lui
fa basket perché gli riesce, e perché riuscire – magari senza impegno o con il
minimo sforzo – gli piace, tanto, e quindi non è che muoversi come un manzo
impedito sia proprio la sua aspirazione. Vorrebbe che Muro-chin
capisse che non è affatto tenero
vederlo muoversi in maniera tanto goffa mentre i bambini gli sfrecciano attorno
come se pattinare fosse più facile che respirare.
Ma Muro-chin sembra invece non trovare Atsushi così goffo come si sente lui, né così impedito;
sembra che si diverta, tutto sommato, sia ad osservarlo quando ad un certo
punto – di nuovo – finisce sedere sul
ghiaccio e guarda imbronciato i bambini che gli scivolano accanto, sia ad
averlo addosso quando una volta rimesso in piedi, Atsushi
sembra non avere la minima intenzione di restare senza un appiglio.
«Atsushi…»
lo chiama senza bisogno di proseguire, lasciando intendere che anche se cadesse
di nuovo non è che si farà male, specie da fermo.
Ma l’altro gli si appiccica addosso, un abbraccio che è più una trappola forse,
e che è proprio da lui – infantilmente possessivo, goffo, caldo – il mento
posato sulla sua spalla: «Muro-chin, ho freddo.»
borbotta scocciato.
A Tatsuya ci vogliono una manciata di secondi per
capire che non può davvero chiedergli più di un’ora di pazienza sul ghiaccio,
pochi istanti per sorridergli e decidere di viziarlo per l’ennesima volta, un
solo momento per cogliere le labbra dell’altro che si posano sulla sua guancia
prima che si affossi fino al naso nella sciarpa; infine, un tempo infinitamente
breve per prendergli la mano – guanto su guanto, ma il calore si sente lo
stesso – e avviarsi fino al bar dove gli offrirà una cioccolata calda come
premio.
Un istante infinitamente lungo, come più o meno tutti quelli che passa con lui.