Videogiochi > Silent Hill
Segui la storia  |       
Autore: Leo    20/09/2012    4 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PageBreeze

“Cosa vi porto?”

I due rimasero leggermente colpiti. D’altronde non udivano una voce umana dire una cosa così comune da…quanto ormai?! Gesù, erano passate meno di ventiquattro ore.

“Per me un caffè, e per lei…”

“…una cioccolata calda”. La ragazza terminò la frase per lui. Dopodiché porse il menu all’uomo che li guardò con un sopracciglio alzato, tenendo la sigaretta fra le labbra. Poi si voltò scuotendo la testa e avviandosi verso il bancone. E chi poteva biasimarlo in fondo…vedere un uomo trasandato con i capelli brizzolati e la barba incolta in compagnia di una ragazzina bionda con lo sguardo spento e stanco alle due di notte in un autogrill frequentato perlopiù da camionisti, sulla superstrada che passa per Silent Hill, la cittadina abbandonata, non doveva essere proprio qualcosa di ordinario.

Fortuna che lei aveva lasciato il giubbetto sporco di sangue e la pistola nella macchina...

Non parlavano da un po’…nessuno dei due. C’era poco da dire, e anche se lei gli aveva chiesto di chiamarla con il suo nome vero, le occasioni per chiamarla per nome scarseggiavano.

L’uomo accese con calma una sigaretta. Ne gustò il sapore, godendo appieno della sensazione di rilassatezza che ne traeva. Cacciò una nuvola di fumo grigiastra in parte dal naso, in parte dalla bocca. Poi si leccò le labbra e ne prese un altro tiro.

La ragazza invece restava ferma, fissa a guardare il tavolo lucido di metallo. Lo sguardo era spento, e aveva delle occhiaie scure, violacee, e gli occhi arrossati dalla stanchezza e dal pianto.

Arrivarono le ordinazioni. Il caffè nel bicchiere in cartone chiuso, e la cioccolata in una tazza chiara, che fumava vistosamente, confondendosi con il fumo della sigaretta. Non una parola uscì dall’uomo che aveva un aspetto burbero e dei modi bruschi, sviluppati probabilmente con lo svolgimento di quel mestiere da chissà quanto tempo. Lei ringraziò comunque, con un cenno della testa, poi prese a guardare sconsolata il fumo che usciva dalla tazza. Sorrise, di un sorriso amaro.

“Immagino che non potremo raccontarlo in giro”

Douglas voltò lo sguardo nella sua direzione. Teneva il caffè in una mano, e la sigaretta ancora tra le labbra. La allontanò con due dita. “…già…e poi difficilmente crederebbero a una storia del genere”

Anche lui fece una smorfia simile al sorriso della ragazza. Poi sorseggiò il caffè. Era pessimo. Proprio come se lo ricordava…

 

Quando l’incubo terminò sembrò che tutto scomparve nel nulla. Anche nella memoria dell’uomo i ricordi si fecero sfocati, lasciando posto a forti emicranie che si aggiungevano al dolore della gamba ferita. Heather lo trovò confuso, mentre guardava in tutte le direzioni. Le grate e il sangue erano spariti, e rimanevano l’asfalto e le giostre, e tutto aveva un aspetto più normale. Non ricordava le creature che abitavano quel luogo inquietante, ma ricordava bene Claudia e le sue assurdità sul paradiso eterno. Si era dimenticato dei grumi di sangue raccapriccianti con cui aveva convissuto per parecchie ore. Ricordava solo ciò che di umano possedeva quel mondo. Ricordava per sommi capi ciò che era successo, ricordava Vincent, quell’uomo strano che compariva dal nulla e nel nulla spariva subito dopo. Ma anche se dalla sua memoria il mondo di Alessa, gli incubi di quella bambina erano stati cancellati, forte rimaneva la convinzione che tutto ciò che non ricordava era orribile e raccapricciante.

Lei però ricordava tutto. Ricordava ormai anche più di quanto avesse vissuto in quelle ore infernali. Ricordava anche ciò che era successo 17 anni prima, e ricordava di aver perso una persona che fu amica e nemica allo stesso tempo. E ricordava soprattutto di aver perso qualcosa di troppo importante. E un pensiero fisso la tormentava…

 

“…papà…”

Douglas sentì a mala pena il mormorio mentre spegneva ciò che rimaneva della sigaretta in un posacenere. Guardò la ragazza di sottecchi.

Nessuno sa mai cosa dire in situazioni simili…le parole sembrano così futili, e le persone che soffrono sembrano irraggiungibili, troppo distanti, quasi in un altro mondo, inaccessibile, lontano, disperso. Nessuno sa mai cosa dire…

Bevve un altro sorso di caffè. “So che non sono parole confortevoli, e non aiuteranno di certo…” cominciò insicuro. “…ma farò in modo che la polizia non ti dia nessun fastidio. Prenderò il caso e impedirò a chiunque di fare domande”

Che assurdità. Appena pronunciate le ultime parole il primo pensiero fu quello; che assurdità! Sarebbe stato meglio tacere.

Heather sorrise di nuovo. “Grazie”. Poi prese a bere la cioccolata che nel frattempo si era leggermente raffreddata, e la temperatura non era più in grado di bruciarle le labbra.

Nell’aria si diffondeva una musica calma, rilassante, tipica di un autogrill, anche se il suono era roco a causa della probabile età avanzata del jukebox. Infatti andava ancora con i dischi in vinile. Ma forse era meglio così, la musica che ne usciva sembrava più “vera”, meno perfetta.

L’uomo strinse una mano. Si stava incolpando di ciò che era successo. In fondo era stato lui a trovarla, a permettere che gli eventi volgessero in quel modo. In fondo era stato lui a portarglielo via…

“…mi dispiace Heather…”

La ragazza lo guardò. Alzò solo gli occhi, rimanendo con le labbra attaccate alla tazza. Bevve un altro sorso, poi abbassò tazza e viso. Scosse la testa lentamente. “Ti ho già detto che ora non c’è più bisogno di chiamarmi così!”

L’uomo rialzò la testa come se si fosse appena svegliato da un sogno. Incrociò il sorriso e gli occhi timidi e allo stesso tempo sfrontati della ragazza, con quel suo sguardo impacciato e triste. “Adesso voglio che tu mi chiami Cheryl! Non devo più nascondermi da niente!”

L’uomo rimase qualche istante a guardarla come si potrebbe guardare una matta. Poi sorrise a sua volta, un sorriso che non nascondeva l’amarezza, e con la sua voce roca e trascinata le disse: “Hai ragione, ma sarà difficile abituarmi…”

Il cartone del caffè era ormai vuoto, mentre Cheryl, passandosi la lingua sulle labbra, assaporava le ultime gocce della sua cioccolata. Si rialzarono, non senza qualche difficoltà; la gamba dell’investigatore lo sorreggeva a malapena, anche se era stata ben fasciata e il sangue aveva ormai smesso di uscire.

“Sei sicuro che vuoi guidare tu? Guarda che se vuoi ti do il cambio”

Douglas sorrise, appoggiandosi al tavolo per non sforzare la gamba, e cercando con l’altra mano il portafogli.

“Ha il cambio automatico, questa gamba non serve a niente. E poi mi sembri molto stanca, credo sia meglio che tu dorma un po’!”

La biondina sorrise, e si infilò sotto al suo braccio, sorreggendolo non senza fatica.

“Ti ringrazio…”

 

La macchina ripartì dirigendosi nella notte verso gli appartamenti Villa Daisy

 

In quella casa non era cambiato nulla. In fondo, nessuno avrebbe potuto immaginare cosa nascondesse al suo interno. Il sangue sul lenzuolo si era seccato, e la macchia rossa era diventata più scura rispetto a quando erano partiti. Uno dei fiori bianchi era scivolato, ed era finito a terra. Cheryl si chinò a raccoglierlo, e lo avvicinò al suo petto. Poi prese a guardare il letto.

Il corpo era ben visibile sotto le lenzuola, con le braccia giunte sul petto. La ragazza esitava. Sotto il lenzuolo lo attendeva il corpo smostrato e senza vita di suo padre, il suo unico affetto, la sua unica famiglia.

“…se non sei riuscita a dormire in macchina, non credo proprio che ci riuscirai in questa casa…”

Douglas guardava la scena dalla porta aperta, appoggiato con una mano allo stipite. Lei non si voltò neppure a guardarlo. Strinse più forte il fiore al petto, e perse una lacrima. Ma si sforzò di increspare l’angolo della sua bocca in un sorriso incerto. “Il problema è che non ho nessun altro posto dove andare…”

L’uomo rimase indeciso sul da farsi. Poi, con un paio di passi si avvicinò alla ragazza, e le poggiò una mano su una spalla.

“Vai nella tua camera Heather. Cerca di riposare al meglio. Io rimarrò qui, se ne avrai bisogno ti basterà chiamarmi”

La ragazza continuò a guardare il letto. Non si muoveva. Non parlava.

“…hai bisogno di riposare!”

Douglas strinse la spalla e con un gesto deciso la costrinse a voltarsi, e a guardarlo negli occhi.

Quello sguardo…quello sguardo era distruttivo! L’investigatore si accorse che era difficile sostenerlo, e che se ci riusciva era solo perché era anch’egli testimone di ciò che quegli occhi avevano visto e sopportato. Se ci riusciva era solo perché anch’egli aveva vissuto l’incubo terribile fatto di grate e sangue, rancore e speranza.

Cheryl abbassò la testa, sorridendo. “Forse hai ragione…”

Scostò la mano dell’uomo e si avviò verso la porta della stanza. Si fermò sulla soglia e voltò appena la testa.

“Mi hai di nuovo chiamato Heather”

 

…si era distesa senza neanche spogliarsi. Aveva chiuso la porta, forse per istinto, forse per abitudine, forse per paura. La poltrona insanguinata dove aveva trovato il padre era a due passi da quella porta, e l’odore del sangue gli ricordava il mondo marcio che aveva affrontato troppo poco tempo fa. Ci era passata davanti per arrivare nella sua stanza, e si era fermata un istante a guardarla. Poi aveva accelerato il passo e, chiusa la porta alle sue spalle, si era gettata sul letto.

I suoi occhi erano pieni di lacrime.

Perché?! Perché sei morto?! Perché non sto sognando? Alzati da quel letto, e vieni qui, vieni ad abbracciarmi, e a dirmi ancora quanto secondo te sto crescendo bene, e a rimproverarmi per il mio modo di parlare. Vieni a leggermi un'altra poesia che secondo te è affascinante, vieni a insegnarmi ancora come scoprire subito il colpevole in uno di quei brutti romanzi polizieschi. Vieni a dirmi ancora che non devo avere paura del buio, che non devo avere paura degli specchi, che non devo avere paura del fuoco. A dirmi che non permetterai a niente e a nessuno di farmi male, a dirmi che starai sempre vicino a me, che mi proteggerai. Vieni a dirmi che sei l’uomo più forte del mondo…

La ragazza socchiuse gli occhi, e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo le guance, bagnando il cuscino che stringeva sempre più forte. Si rannicchiò su se stessa.

Vieni da me, papà!

 

La parte più difficile sarebbe stata inventare una storia plausibile per tentare di mantenere a distanza la polizia e tutti i giornalisti impiccioni che avrebbero affollato la casa per cercare di ottenere un primo piano delle lacrime di Cheryl. Era sicuramente compito suo, doveva proteggerla!

Questi erano i pensieri di Douglas che si era seduto al tavolo, vicino al balcone, e cercava di trovare una storia convincente da raccontare alla polizia. Raccontare tutta la verità sarebbe stato inutile, e i due correvano il rischio di essere anche considerati pazzi.

Lo sguardo cadde sulle macchie di sangue che portavano dalla poltrona al tetto, dove quel mostro si era rifugiato. Aveva controllato più volte da quando Heather si era chiusa nella sua camera, ma del cadavere non v’era traccia. Meglio così…

“Accidenti…” la voce era un sussurro, e l’uomo sorrise leggermente, abbassando la testa. “Anche quando ci penso non riesco a chiamarla Cheryl…”

Potrebbe arrabbiarsi a lungo andare. È questo ciò che sta pensando. Voltò lo sguardo verso l’esterno, verso il buio della notte. Perché preoccuparsi di farla arrabbiare. Probabilmente fra non molto farà in modo di non vederlo più, e allora non dovrà più chiamarla. Quando si scoprì a pensare tali stupidaggini si colpì leggermente con un pugno la testa, dandosi dello stupido e del codardo.

La porta si aprì lentamente, e il cigolio si diffuse nel silenzio della casa. Quando fu completamente aperta Douglas poté vedere la sagoma di Cheryl. Sembrava si mantenesse a stento in piedi, la testa era bassa, e i capelli le coprivano gli occhi, ma le lacrime che cadevano erano ben visibili. Douglas cercò di alzarsi il più velocemente possibile, ma lei lo anticipò, avvicinandosi con passo svelto al tavolo, evitando accuratamente di posare lo sguardo sulla poltrona. Si appoggiò con le mani, e senza dire nulla si abbandonò su una sedia, di fronte all’uomo. Poi appoggiò la testa sulle braccia incrociate, e per qualche istante calò il silenzio. Douglas tornò a sedere. Non sapeva assolutamente che dire, e forse sarebbe stato meglio fare silenzio. Sentì dei singhiozzi sommessi, leggeri, appena percettibili. Doveva aver pianto a lungo…

Che stupido! Non avrebbe certo potuto riposare in quella casa. Ma cos’altro avrebbe potuto fare?

Il silenzio fu rotto dalla voce femminile, soffocata dalla pressione del viso sulle braccia. “Non riesco a stare da sola”. Douglas chiuse gli occhi e chinò leggermente il capo. Anche lui era stanco, si vedeva. Ma non poteva abbandonarla, non dopo quello che aveva passato. “Si, capisco”. Si passò una mano sul viso. “…allora stai qua. Ti farò una camomilla.”

“Non farti strane idee” disse la ragazza senza muoversi. “…è che in camera mia c’è quel maledetto specchio”

L’affermazione fece bloccare di colpo l’uomo che si stava alzando a fatica per raggiungere la cucina. Ma fu solo un istante di esitazione, non c’era nulla da capire si disse. Decise quindi di non fare domande, e si avviò zoppicando. Cercò la camomilla e qualcosa per scaldare l’acqua, affacciandosi di tanto in tanto per controllare Cheryl. La ragazza però non si spostava di un millimetro.

L’acqua cominciava a bollire. Fu mentre immergeva la bustina nella tazza fumante che sentì farfugliare qualcosa.

 

“Non importa nulla a quella stupida…fa piangere solo me…solo me…”

 

“Hai detto qualcosa?”

Douglas era di ritorno, teneva con due mani la tazza per evitare che la sua andatura incerta ne facesse versare il contenuto. Quando giunse al tavolo sentì che il respiro della ragazza era diventato più pesante e regolare. Sospirò, e appoggiata la tazza sul tavolo cercò una coperta da metterle sulle spalle. Poi si sedette nuovamente; guardò la camomilla fumante. La bevve velocemente, riappoggiando la tazza sul tavolo. Fissava i capelli della ragazza, e il movimento regolare del suo corpo, che si gonfiava leggermente quando inspirava aria e tornava giù nel cacciarla. Sembrava fosse svenuta…finalmente! Un altro po’ e le occhiaie avrebbero cominciato a scavarle gli occhi.

Il suo sonno era profondo, le porte tutte chiuse, e Douglas era molto stanco a sua volta. Guardò nuovamente la ragazzina, che ora sembrava inerme e impotente. E pensare che portava in grembo un dio. Scosse la testa, e tra questi pensieri si concesse a sua volta qualche ora di riposo.

 

 

 

Era estate, quindi non sembrava affatto una giornata triste. I vestiti neri dovevano essere uno strazio per tutti.

Come avranno fatto poi a sapere già tutto?

Il vento soffiava ogni tanto, regalando qualche momento di sollievo dal caldo incessante.

Vedo i volti di persone completamente sconosciute passarmi davanti, ai lati…tutti a dire “mi dispiace”, tutti a stringermi la mano, qualcuno azzarda anche un abbraccio. Vedo anche le persone conosciute, e quelli che definisco amici. Anche loro usano la stessa attenzione. Ma quando li guardo negli occhi, tutti, nessuno escluso, abbassano lo sguardo, quasi impauriti.

Vedo le persone susseguirsi, sento le loro voci e i loro profumi mescolarsi, le differenti temperature dei loro corpi quando mi toccano, e comincio a essere stanca di tutto ciò. Qualcuno se ne accorge, qualcun altro non si accorge nemmeno di essere solo una seccatura.

Sento qualche parola, detta sotto voce per ‘educazione’, non capisco cosa dicono, non mi interessa…

Vedo il legno laccato calare nella terra bagnata, nella fossa scavata nella notte. Chissà chi l’ha scavata. Non dovrebbe essere difficile riconoscerlo: avrà le mani piene di piaghe. Anzi, no…forse c’è abituato, e allora saranno talmente dure da non spaccarsi più.

È incredibile quanto possa vagare la mente di una persona che sta soffrendo. Sarà un meccanismo di difesa. Ma non cambia la situazione…quello nella bara è comunque mio padre…

 

Douglas mi è rimasto vicino per tutto il tempo. Gli altri poliziotti invece sono lontani; sono due e parlano tranquillamente fra di loro. Se solo me ne fregasse qualcosa riuscirei perfino a capire cosa stanno dicendo.

Ho portato questo fiore con me. Non l’ho lasciato da ieri notte, quando l’ho trovato a terra nella stanza dove giaceva. A papà piacevano i fiori, penso fosse uno dei pochi uomini che non si vergognava a dirlo. Così lo lascerò a te, e chissà che non ne spuntino di nuovi dalla terra dove riposerai per sempre papà…

Cheryl si incamminò verso la fossa aperta attirando gli sguardi delle persone su di sé. Ma questo sembrava non turbarla minimamente. I suoi occhi erano impenetrabili, e tutti, tutti i presenti non riuscivano a guardarli per più di una manciata di secondi. Così anche in quella occasione, gli sguardi si spostarono presto verso la terra o il cielo, e comunque lontano da lei. Giunta al ciglio, guardò la bara serrando gli occhi. Per un istante non mosse un muscolo. Poi lasciò cadere il fiore bianco che teneva stretto al petto. Solo a quel punto permise a una lacrima di solcare il suo viso. Una sola minuscola lacrima che percorse la guancia sinistra fino a raggiungere il mento, e, dopo una piccola esitazione, si staccò definitivamente per raggiungere il fiore appena lasciato.

Poi la terra cominciò a calare.

 

Douglas aveva assistito alla scena. Non si era mosso, non lo aveva fatto neanche per suo figlio, e non disse nulla nemmeno ai due poliziotti che adesso cercavano di trattenere un risolino, non essendosi accorti di nulla.

Poi sentì una presenza al suo fianco. Voltò lo sguardo e trovò una donna bionda con i capelli corti vestita in giacca e pantaloni, e con degli occhiali da sole che ne nascondevano gli occhi. Tornò a guardare in direzione della fossa. Ma la donna cercava proprio lui.

“Com’è successo?”. La sua voce era sottile, e tuttavia trasmetteva sicurezza e forza. Scandiva bene le parole, e c’era qualcosa nel tono. Qualcosa che Duoglas riconosceva.

L’uomo voltò la testa verso quella persona, guardandola meglio. Non la riconosceva. No, non la conosceva affatto. Era sicuro di non averla mai vista prima. Così si girò di nuovo.

“Una rapina finita male…” D’altronde era di sicuro la storia più plausibile.

La donna non si scompose.

“Non la storia per i giornali…voglio la verità!”

Douglas si voltò di scatto. La vide togliersi gli occhiali con le mani coperte da guanti in pelle nera, e mostrare i suoi occhi blu, imperlati di lacrime, che iniziarono a puntare insistentemente verso di lui…

 

Cheryl si voltò, decisa a tornare a casa. Ormai non c’era più nulla da fare li. Mentre tornava indietro si accorse che Douglas era sparito. Inarcò le sopracciglia e voltò la testa in tutte le direzioni per poterlo ritrovare. Lo vide lontano, di spalle sotto un albero, e c’era qualcuno con lui. Si avvicinò lentamente, con lo sguardo basso. Non le interessava chi fosse la persona che stava parlando con lui, voleva solo tornare a casa.

“Douglas, voglio andare via…”

Si ritrovò a pensare che poteva sembrare quasi un capriccio, e che forse avrebbe dovuto formulare la richiesta in modo diverso, ma questi pensieri svanirono nel momento stesso in cui Douglas le rivolse la parola.

“Cheryl, c’è qualcuno che dice di conoscere te e tuo padre molto bene”

L’uomo si spostò, permettendo così a Cheryl di incrociare gli occhi con quelli blu della donna che la fissavano insistentemente. E subito poté notare una cosa: quella donna non abbassava lo sguardo. La guardava con uno sguardo triste ma deciso, e sembrava volesse penetrare a fondo nei suoi occhi. La ragazza inarcò un sopracciglio, squadrando la figura della donna per cercare di riconoscerla. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva ad associare un nome al volto delicato e attraente che le si parava dinanzi. Eppure aveva un che di familiare…

“Ma tu chi sei?”

Douglas fu quasi sorpreso da quella domanda, e si voltò di scatto verso la donna. Sembrava deluso. Ma la donna non si scompose. Sorrise con naturalezza. In fondo se lo aspettava.

“Sono Cybil…Cybil Bennett!”

 

…il cuore di Cheryl perse un battito…

 

Non sono sicuro se e come continuare. Mi sono sempre chiesto come deve essere per gli eroi di questo macabro viaggio tornare a una vita "normale", o a quello che rimane di una vita normale. Però mi sono accorto che in fondo in quasi tutti i silent hill c'è un effettivo "finale", mentre per Heather questo si ferma apparentemente alla fine del gioco, lasciando ombre micidiali sul come tornerà a casa, e cosa farà dopo. Harry, James, Henry e Travis non sembrano subire questo problema. Per di più a rendere ancor più unica la situazione di Heather è il fatto che è l'unica donna, e l'unica (rimasta in vita) a non avere più nessuno. Così mi sembrava doveroso addolcirle un po' la vita e regalarle un barlume di speranza. Insomma mi sono affezionato a lei!

Fatemi sapere cosa ne pensate, consigli e critiche bene accette.

Leo

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Silent Hill / Vai alla pagina dell'autore: Leo