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Autore: phantomwise    22/09/2012    1 recensioni
Si dice che non ci si rende conto dell’importanza di una persona finché non la si perde.
Io ero perfettamente consapevole che Mike era la cosa migliore che la vita mi avesse donato.
Poi, improvvisamente, l’ho perso.
Quel giorno mi ha salvato.
Dovrei esserci io sotto due metri di terra.
Non lui.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I never got away


-No! Basta! Vai via! Tu non sei reale!-
Ero inginocchiata per terra, la testa fra le mani.
Lui mi guardava, muto, come sempre.
Mi guardava come se fossi pazza.
Bah, probabilmente lo ero.
Mi voltai, non c’era più nessuno.
Mi rialzai, cercando di ricompormi.
“Devo stare calma. La signorina Mary ha detto che è normale.”
Mary Anne Barks, la mia psichiatra.
No, infondo lo sapevo di non essere pazza.
Erano gli altri che lo pensavano.
“Com’è che si dice? Il vero pazzo non si chiede mai se sta impazzendo davvero.”
Io me lo chiedevo in continuazione, quindi non ero pazza.
C’era solo un piccolissimo problema.
Sapete cosa sono le allucinazioni?
Ecco: io le avevo.
Vedevo i fantasmi.
Cioè, non proprio i fantasmi, ma un fantasma sì.
Il suo fantasma.

Due ragazzi intorno ai vent’anni stavano passeggiando tenendosi per mano. 
Lui, alto, biondo, con occhi color cioccolato. 
Lei, più bassa, mora, con gli occhi grigi.
Erano il ritratto perfetto della felicità: si amavano, erano felici, presto si sarebbero sposati.
Lui le aveva fatto la proposta un mese prima.
Lei non si era più tolta l’anello.
Vivevano di sogni per il futuro, sapevano di non aver bisogno di desiderare altro.
Ma, si sa, la felicità non è cosa per uomini.
È qualcosa di sfuggente, che appena riesci a sfiorare, ti scivola via dalle mani.
Diciamo che… lei ,quel giorno, aveva un po’ la testa fra le nuvole.
Lui si era fermato per leggere un annuncio.
Lei, distratta, stava attraversando la strada.
Aveva piovuto da poco, l’asfalto era scivoloso.
In quel momento stava arrivando una macchina a grande velocità.
Chi era alla guida aveva provato a frenare, ma l’auto continuava a slittare sull’acqua.
La giovane si vide abbagliata da un luce bianca, poi si sentì spingere.
Sentì un tonfo mentre cadeva terra.
Rumore di una frenata brusca.
Tanti passi verso un unico punto.
Lei si alzò, si volto ed osservò la scena.
Una piccola folla aveva formato un cerchio.
C’era chi urlava di chiamare un’ambulanza, chi invece taceva e stava a guardare.
Lei, Madeleine Greek, osservava la scena spiazzata.
Il suo cuore sembrava essersi fermato.
Lì, a terra, giaceva Michael Evergreen.
Il suo Mike.


Bah, più che un fantasma, era proprio lui che veniva a farmi visita.
Che pensiero dolce, no?
Già, peccato che è un miracolo che non mi abbiano già messo la camicia di forza.
Anzi, se vi dicessi che non solo era lui, ma che era un angelo, mi credereste?
Appunto.
Non mi crederei neanche io.
Eppure non sono mai stata né troppo religiosa, né una fan sfegatata di fenomeni paranormali.
Sono sempre stata una ragazza tranquilla, io.
Dunque, ritorniamo a noi.
Ero rimasta pietrificata la prima volta che l’avevo rivisto, una settimana dopo il suo funerale.
Avevo provato a chiamarlo, a dire il suo nome, ma era uscito solo un gemito soffocato.
Lui mi aveva guardato, aveva sorriso come solo lui sapeva fare, poi se n’era andato.
Non avevo dato molto peso alle ali che spuntavano dalla sua schiena.
Almeno fino a che non mi sono ripresa dallo shock.
Ne ho parlato tante volte con mia madre: inizialmente pensava fossero illusioni causate dal dolore.
Dopo un po’ ha iniziato a preoccuparsi e a pensare che fossi pazza.
Ormai sono passati tre mesi dall’incidente.
Io non ho mai tolto l’anello che mi ha regalato quando mi ha chiesto di sposarlo.
E Mike è venuto a farmi visita almeno una volta a settimana.
Senza mai dire una parola.

-Ehi, Mad!-
Un giovane dai capelli biondi stava correndo incontro ad una ragazza mora
-Senti, Mike, io ti amo e ti amerò sempre, ma devi smettere di chiamarmi Mad. Non sono pazza, per ora.-
-Non sei pazza di me?-
Lui la fissava con fare scherzoso, lei mormorò qualcosa tipo “Sei uno stupido” e si avvicinò a lui, baciandolo dolcemente.
-Vieni, devo farti vedere una cosa.-
Quel giorno di fine agosto si preannunciava come uno dei più caldi dell’anno.
I due ragazzi avevano pianificato di andare insieme ad un parco acquatico lì vicino.
Stavano insieme da più di un anno, ormai. Ed erano felici come il primo giorno.
Lui la stava trascinando verso una grande piazza con la fontana.
-Cosa…?- 
Le parole della ragazza vennero interrotte da lui, che le aveva premuto un dito sulle labbra.
-Donna di poca fede… Abbi pazienza. Ho una sorpresa per te, chiudi gli occhi.-
Lei obbedì, confusa.
Lui prese la mano sinistra della ragazza e infilò un anello all’anulare.
-Ma che…-
Lei aprì gli occhi, trovando il ragazzo piegato su un ginocchio davanti a lei e un anello d’oro bianco con brillante al proprio dito.
-…M-Mike…?-
Lui la osservò seriamente, prese la mano sinistra della giovane e sorrise.
-Mi vuoi sposare, Madeleine Greek? Mi farai l’onore di diventare Madeleine Evergreen?-
La ragazza sorrise, felice, e gettò le braccia al collo del fidanzato, ritrovandosi stesa sopra di lui.
-Dovrei prenderlo per un sì?-
-Secondo te?-
Entrambi sorrisero e si scambiarono un bacio appassionato, ignorando la folla che si era radunata e che applaudiva.
-Ti amo, Mike.-
-Ti amo, Mad.-


Oggi è il giorno di Natale. 
Se vivessi in un mondo perfetto, adesso sarei fuori a passeggiare con Mike per scegliere i regali.
Ma, ovvio, il mondo non è perfetto.
Infatti sono seduta sulla poltrona rossa in salotto, avvolta dalla sua coperta preferita.
Posso ancora sentire il suo profumo.
“Mi manchi, Mike. Tantissimo.”
Si dice che non ci si rende conto dell’importanza di una persona finché non la si perde.
Io ero perfettamente consapevole che Mike era la cosa migliore che la vita mi avesse donato.
Poi, improvvisamente, l’ho perso.
Quel giorno mi ha salvato.
Dovrei esserci io sotto due metri di terra.
Non lui.
Quante volte ho desiderato che lui non mi avesse spinta?
Quante volte ho pensato di togliermi la vita?
Poi, però, il suo sacrificio sarebbe stato vano.
Per questo motivo sono ancora qui.
Continuo a vivere in questo inferno.
All’improvviso sento diffondersi nella stanza l’inconfondibile profumo di Mike.
La coperta? No.
Lui è qui.
-Cosa c’è, Mike? Non ti sembra che io stia soffrendo abbastanza?-
Mi alzo, mi volto, lo vedo, ma non mi fermo.
Continuo a camminare verso la cucina, superandolo.
Arrivo in cucina, davanti al lavandino e piango.
Ma non il pianto disperato che ci si aspetterebbe, no.
Qualche lacrima discreta, non voglio che mi senta.
Mi volto di nuovo, lui è ancora qui.
Mi guarda dolcemente, come per chiedermi scusa.
Indossa gli stessi vestiti che aveva quel giorno.
Il suo jeans preferito e la camicia che gli avevo regalato.
Sembra brillare.
Ha le ali chiuse, evidentemente vuole restare un po’ più del solito.
Mi avvicino, lo fisso negli occhi.
I miei, grigi e glaciali, nei suoi, marroni e dolci.
Non oso toccarlo: non voglio che sparisca.
-Perché te ne sei andato?-
È appena un sussurro, pronunciato con la voce rotta dal pianto, non sono riuscita a trattenermi.
Lui si china, fino a ritrovarsi alla mia stessa altezza.
Mi accarezza dolcemente la guancia.
Il suo tocco è concreto, ma al contempo etereo.
È caldo ed emana tranquillità.
Mentre toglie dal mio viso la sua mano, io la sfioro.
Premo il mio palmo aperto contro il suo.
Sento di nuovo il suo tocco caldo. 
Lui mi stringe la mano, la sento formicolare.
Si avvicina al mio viso e mi scosta la frangia castana dalla fronte con la mano libera.
Chiude gli occhi, mentre si sporge ancora più avanti.
E mi regala un dolce bacio sulla fronte.
Io continuo a piangere, mi alzo sulle punte e lo bacio sulle labbra.
Lui spalanca leggermente gli occhi, che poi si addolciscono nuovamente.
Mi riempio del suo profumo, non lo voglio mai dimenticare.
Lui si allontana, mi sorride.
Io ricambio il sorriso.
Lui mi pizzica scherzosamente il naso come aveva sempre fatto.
Io mi lascio scappare una risatina.
Lui indietreggia e mi manda un bacio volante.
Mi salutava sempre così.
Non era un “addio”, era un “a presto”.
Inizia a sparire, diventando trasparente e luminoso.
Non sono pazza, era proprio lui.
Mi ritrovo nuovamente sola in quella casa ormai troppo grande.
Anzi, no, non sola.
Esco fuori, mi affaccio dal balcone.
Nevica.
Osservo il cielo, colmo di nuvole bianche. 
Arriva un leggera folata di vento tiepido.
Un po’ strano il vento tiepido a Natale, no?
Per voi, magari, non per me.
Non ho appena visto un angelo?
Mentre mi lascio riscaldare da quel vento leggero, sento di nuovo il suo profumo.
E sento la sua voce.
La sua voce dolce e rassicurante.
E sorrido, come non facevo da tempo.

-Non me ne sono mai andato.-
  
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