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Autore: Yellow Daffodil    24/09/2012    1 recensioni
Seconda classificata al contest "Un giorno lo incontrerai"
Hotel Ritz, Los Angeles
Una cameriera che vuole fare la scrittrice, tempo per realizzare il suo sogno: ventiquattr'ore.
Un cantante che vuole smettere di dover fingere, tempo per cambiare il suo futuro: ventiquattr'ore.
-Tu! Io…noi…cosa ci facciamo qua?-
-Siamo legati come salami, in una specie di garage nel bel mezzo del nulla e con un vuoto di memoria di non so quante ore…vedi tu.-

Un incontro che non è dei migliori, due vite che si incrociano proprio nel punto più critico della loro esistenza, poche ore di tempo per mettere da parte l'ostilità e uscire dai guai.
Ma rusciranno a vincere l'orgoglio? A superare i loro pregiudizi?
E cosa ne sarà dei loro sogni?
Genere: Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Un giorno lo incontrerai 2
I sogni sono per gli egoisti
-Capitolo 2-


-Puoi smettere di piangere?-
La domanda di Tatcher giunse attutita al mio orecchio, così decisi di ignorarlo bellamente e continuare la mia esondazione. Il problema era che ero nel pieno della crisi, quindi non sarei mai riuscita a smettere di punto in bianco e allo stesso tempo odiavo che lui mi vedesse in questo stato.
-Morirai di disidratazione.-
Sì, sarei morta di disidratazione...e allora? Tanto che avevo ormai da perdere? Era andato tutto a farsi fottere grazie a quella sottospecie di individuo; avrei anche dovuto assecondare la sua volontà?
-Per favore, Rebecca, te lo chiedo per favore.-
Alzai leggermente lo sguardo per incrociare gli occhioni chiari che mi fissavano dall'altra parte della stanza, ma non riuscii a sostenerli, così intensificai i singhiozzi e mi rintanai ancora più a fondo tra le mie ginocchia.
Per favore. Utilizzo sporadico dell'educazione a scopi personali.
Il ragazzo sbuffò sonoramente e lo sentii camminare per la stanza.
Personalmente avevo sempre odiato mostrarmi debole, piangere non era mai stata la mia soluzione ai problemi, ma quello appariva così insolubile che mi era toccato ricorrere al vittimismo. Se ne avessi avuto la forza, avrei prima ucciso Tatcher e poi mi sarei data una sberla per svegliarmi fuori e reagire. Purtroppo ero troppo depressa e prossima al ciclo per passare in modalità "invincibile amazzone guerriera che non si fa intimorire da nulla".
Presi un leggero spavento quando sentii il corpo di Tatcher sedersi giusto accanto al mio, la schiena appoggiata al muro.
Lo guardai cercando di capire che intenzioni avesse, ma lui teneva gli occhi distanti dai miei e non dava particolari segni di intelligenza. Non che ne avesse ancora dati.
-Che devo fare per farti smettere?- sospirò dopo un po'.
-Impiccati.-
-Qualcosa di meno estremo?-
-Fatti impiccare da me.-
Sorrise:-Se è l'unica cosa che ti farebbe stare meglio, non credo che riuscirò a consolarti.-
-Ma che peccato...- dissi strofinandomi gli occhi arrossati contro i polsi:-Sarebbe stato divertente.-
-Che macabra idea di divertimento.-
-Mi piace anche l'alternativa della tortura, ma per tua fortuna non possiedo gli strumenti.-
Lo vidi farsi serio e girarsi di colpo verso di me:-Sei davvero così arrabbiata?-
Annuii senza smettere di frignare. Ormai avevo due rigoni neri sulle guance e il mio chignon era diventato un gomitolo di lana dopo che i gatti ci avevano giocato. L'immagine dell'autocontrollo.
Forse fu solo un'impressione, ma mi parve di scorgere un sorriso sul volto di Tatcher, mentre, la guancia appoggiata al gomito, mi scrutava da quella ridotta distanza:-Sembri una bambina.-
Per tutta risposta alzai le spalle, consapevole di confermare la sua sfrenata immaginazione:-E allora?-
-Pensavo fossi più forte di così.-
Cosa??
-Io sono forte!- se non fossi stata forte, a quest'ora avrei avuto tra le mani un contratto a scadenza indefinita come cameriera al Ritz.
-Ma non quanto lo dimostri.-
-Stai dicendo che tu invece saresti molto più forte di me, visto che non hai ancora dato segni di cedimento?-
Annuì:-Esattamente.-
Piccolo omuncolo vanitoso.
Scossi la testa:-E' solo perché tu non hai niente da perdere, Tatcher.-
Al solo pensiero del tempo che scorreva, mi risalirono le lacrime agli occhi e fu veramente difficile trattenerle, tanto che dovetti voltarmi dall'altra parte e farne scendere il più possibile senza farmi vedere. L'avvicinamento dell'esame era direttamente proporzionale all'allontanamento della mia laurea. Sudata e agognata, sperata e sognata da ben ventitré anni. Ventitré anni vanificati in meno di dodici ore.
-D'accordo, adesso basta.- la mano di Tatcher scivolò repentinamente per afferrare il mio polso e lo strattonò con forza. Non riuscii a opporre resistenza e mi trovai faccia a faccia con lui, i nasi che quasi si toccavano. Stavo facendo naso-naso con un cantante famoso e non mi sentivo affatto contenta. Perché mi sembrava che i suoi occhi mi volessero completamente risucchiare come fossero un mare caraibico? Perché le sue iridi riflettevano una me senza un minimo di autocontrollo? Perché il cuore aveva iniziato a galoppare dentro al mio petto? Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e distaccai gli occhi trattenendo un nuovo singhiozzo.
-Mi stai facendo sentire in colpa.- ammise, il tono meno melodico del solito:-E' questo che vuoi?-
Volevo rispondergli di sì, ma come potevo? All'inizio era quello l'intento, ma poi...non ne ero sufficientemente sicura.
-Penso di aver capito.- continuò:-Sei stata abbastanza chiara sul fatto che mi odi, però adesso ti prego di smetterla di piangere. Non voglio sentirmi la causa delle tue lacrime, so già che lo sono e me lo stai facendo pesare.-
Da come lo disse, era chiaro che gli costava una fatica immensa ammetterlo.
Tentai di reprimere il pianto e ci riuscii solo dopo cinque minuti buoni. E' questo che succede quando ingoi sempre il rospo; prima o poi salta fuori con tutta la sua irruenza ed è pressocché innarestabile.
Tatcher guardava avanti, ma non si spostava e io, inaspettatamente, sentivo la necessità di raccontargli il motivo di tutta quella scenata. Non volevo farlo perché si sentisse in colpa, ma perché percepivo il suo dispiacere e mi sembrava quasi autentico. E poi non ritenevo ingiusto piangergli nell'orecchio senza che ne sapesse il motivo.
Così presi un profondo respiro e iniziai a parlargli di me. Varie volte, durante il racconto, mi chiesi perché lo stessi facendo. Non era lui quel superbo spocchioso cantante che pensava di avere la verità in tasca? Non ero io quella che non lo considerava né umano né onesto? Non era lui quell'insopportabile persona mascherata che si atteggiava a suo piacimento secondo chi aveva davanti? Forse non stava facendo altro che recitare un'ennesima parte, per farmi stare zitta. E io ci stavo cadendo con entrambe le scarpe, eppure, nei suoi occhi che mi scrutavano silenziosi c'era un qualcosa che mi faceva vacillare. Probabilmente stavo sviluppando una specie di sindrome di Stoccolma, era l'unica soluzione.
Finii il racconto con un sonoro sospiro e realizzai di sentirmi meglio. Perché non l'avevo mai fatto? Perché non mi ero mai sfogata così a cuore aperto?
-Mi dispiace.- sussurò lui, dopo un po':-Non volevo rovinarti il futuro.-
-Ah, lascia stare...so che è una frase di circostanza. Anzi, probabilmente non te ne importerà nulla della vita di una cameriera di Los Angeles.-
-In effetti pensavo che non mi importasse.- disse, piano:-Ma stai piangendo e...non so, forse sto sentendo di aver in qualche modo sbagliato. Mannaggia.-
-Oppure sono così irritante che stai fingendo di provare compassione per me pur di farmi tacere. Mannaggia.-
Il sorriso di Tatcher era così amaro che mi sorpresi alzando le sopracciglia.
-Sono davvero pessimo.- disse scuotendo la testa.
-Un pessimo attore?- chiesi, cercando di capire qualcosa dalla sua espressione.
-No, una pessima persona.-
Ok, in quel momento ero decisamente confusa.
-Davvero? Cioè...sì, che lo sei.- beh, ero ancora arrabbiata con lui:-Però...perché te lo dici da solo?-
-Non me lo dico da solo, Carlton.- rispose, sbuffando:-Me l'hai fatto capire tu.-
-Ci hai messo tanto, eh!- scherzai dandogli una leggera spallata, ma la sua espressione non cambiò minimamente.
-Davvero esilarante.- mi prese in giro:-Hai un tatto eccezionale, il classico elefante dentro una cristalleria.-
-Eddai, scherzavo!- mi trovai a contraddire la mia tesi. Io ero pessima.
-Dimmi la verità.- ribatté determinato ad arrivare fino in fondo alla questione:-Ti sembro uno che fingerebbe per ottenere qualcosa?-
-Sì. No. Un po'...assolutamente sì.- decisi finalmente.
-Così tanto? Anche...per esempio...ora?-
Annuii basandomi sulla mia teoria del farmi tacere. Lo so, non avevo il minimo tatto, ma in fondo...lui ne aveva?
Ora era lui a non parlare, perso in chissà quale elucubrazione. Insomma, era davvero un tipo lunatico e io non potevo fare altro che adattarmi a tutte quelle variazioni improvvise del suo stato d'animo. Sembrava la prima volta che intratteneva una conversazione pseudo-civile con un'altra persona.
Beh, ok, forse era anche la mia prima volta, dato che mi stavo lasciando aprire e sfogliare come un libro di favole. Accidenti alla crisi premestuale in concomitanza con i rapimenti!
Non ricevendo segni d'intelligenza da parte dell'individuo al mio fianco, decisi di essere io a riprendere il filo del discorso e sostenere la mia tesi con un paio di motivazioni:-Ti ho sentito mentre parlavi al telefono questa mattina. Ecco, il fatto è che mi sembrava ci fossero tre diversi Logan Tatcher in quel momento nella stanza. Ti rivolgevi alla tua ragazza con tono insopportabilmente smielato, a quel deficiente del tuo collega con tanta rabbia quanto quella di un supersayian con le emorroidi e al tizio della Sony con un'opera colossale di lecchinaggio. Poi il fatto della cameriera serva della gleba, che, tra parentesi, mi legherò al dito per l'eternità, e poi, esattamente come i bambini di cinque anni, le lamentele a mio padre stile "lo dico alla maestra". Quindi sdolcinato, incazzato, leccapiedi, stronzo e stronzo. Con una buona base di bastardaggine riesci a cambiare camaleonticamente te stesso in funzione di ciò che ti serve, quindi sì, ti ritengo capace di fingere per ottenere qualcosa. Anche, per esempio, ora.-
Tatcher gonfiò le guance per poi buttare fuori l'aria lentamente, come se stesse fumando. Sembrava imbarazzato o forse sorpreso. Oppure confuso. Si passò una mano tra i capelli scuri e se la lasciò cadere in grembo, svogliato.
-Io...- iniziò, scrutando il vuoto:-Credo di non rendermene conto. Voglio dire, credo di aver sviluppato così tanti atteggiamenti che adattarli a situazioni diverse mi viene naturale. E' una pratica che diventa necessaria quando tutte le tv nazionali trasmettono l'immagine della tua faccia assieme ai più insensati o crudeli commenti. E' quello che la gente si aspetta da te che devi dare. Se vogliono che tu sia stronzo, devi recitare la parte dello stronzo. Non hai molta scelta, credimi, e poi finisce che ti abitui a non essere più te stesso.-
-Che cosa orribile.-
-Sì, fa davvero schifo.-
-Eppure non sembra guardandoti. Insomma, sembri sempre a tuo agio.-
-Questo è perché sono allenato.- spiegò:- Ho cominciato con la faccenda dell'aggraziarsi i produttori sembrando chissà quale figo che ha un bagaglio infinito di esperienza musicale.- sorrise pensando a qualche ricordo:-Poi sono arrivati i giudici e i critici, poi la stampa e le interviste, poi le case discografiche e i fan, poi gli haters e i nemici e via via peggiorando con gente che ostacola il tuo lavoro, che ti ruba diritti d'autore, che ti pugnala alle spalle e che ti rapisce.- forse era solo un'impressione, ma la sua voce si era incrinata leggermante:-Se non impari a fare il camaleonte, come dici tu, ti può capitare questo e anche di peggio. Una volta hanno cercato di avvelenare il mio panino da McDonald's.-
Alzai le sopracciglia, incredula. Va bene che era l'antipatia fatta persona, ma tentare di ammazzarlo mentre pranzava tranquillamente da McDonald's mi sembrava davvero esagerato. E finemente bastardo.
-Un'altra, invece, un hater mi ha rotto il naso con un pugno appena dopo un concerto.-
-Rotto?-
Annuì passandoci un dito sopra:-Hanno dovuto operarmi.-
-Eppure sembra così perfetto.-
Ops. Commento fuori luogo. Arrossii, cercando di ristabilire la connessione tra lingua e cervello. Cretina come sempre.
Tatcher sorrise:-E' merito dei chirurghi. E in ogni caso era perfetto anche prima, perché sono bellissimo.-
Anch'io risi per il modo in cui lo disse. Piccolo Re Modestia cresce.
Poi però ritornammo seri e Tatcher proseguì:-Ora ci rido su, ma non mi passerà mai la paura. Non temo per me, ma per la mia famiglia. La gente è instabile e pazza, non si sa mai cosa sia capace di fare quando sei famoso. Ti invidiano, sono gelosi, ti odiano e sanno tutto di te. E' già capitato che mandassero delle lettere alla mia famiglia, minacciandola. E' vero, sono protetti, ma ho il terrore che capiti di nuovo. Ho il terrore che qualche demente mantenga le minacce, che faccia loro del male, che...- si fermò un attimo, realmente preso dal panico:-Che compia gesti estremi.-
-Non succederà.- non volevo credere che ci fossero persone capaci di ciò, anche se era inevitabile pensarci.
-Lo dicevo anch'io quando successe per la prima volta.- ammise:-Ma quando lessi quella lettera, io...- si mise di nuovo una mano tra i capelli, respirando a fondo:-Mia sorella aspettava un bambino e l'avevano minacciata di ucciderlo, non appena l'avesse dato alla luce. Passai mesi interi a cercare il pazzo mittente della lettera, passai dei giorni in ospedale accanto a mio nipote, nell'angosciante attesa che si facesse vivo, ma niente. Ancora oggi non so chi sia e ancora oggi mi odio per aver rovinato la gravidanza di mia sorella.-
-Ma non è stata colpa tua!-
-E invece sì!- ribatté:-Ed è successo di nuovo; a mia madre, a mio padre,...tutto perché volevo inseguire un sogno. Visto? I sogni sono per gli egoisti.-
-Non è vero...- ribattei poco convinta.
-Oh sì, Carlton. Io amo cantare, ma per farlo devo rischiare.-
-Chi vive senza rischiare rischia di non vivere.-
-Rischieresti di perdere chi ami? Devi volerlo davvero tanto.-
Mi sembrava di avere davanti mio padre. Il senso di colpa che non si era mai fatto sentire stava comparendo adesso, prepotente di fronte a due magnetici occhi azzurri.
Non sapevo cosa ribattere, perché in fondo aveva ragione.
Improvvisamente, però, fu lui a dire qualcosa:-Scusa.-
-Scusa?-
-Sì, io...sto parlando di me.- spiegò:-Questa è la mia storia, non la tua. Sono io quello egoista, tu vuoi solo che il tuo sogno si avveri, io volevo anche la fama. E' questa la differenza tra me e te. Tu non sei così egoista.-
-Perché desideravi la fama, allora?-
-Perché sono una pessima persona, Carlton, te l'ho detto. All'inizio mi bastava avere un microfono davanti, cantare e dire quello che volevo dire al mondo, ma poi la prospettiva di diventare qualcuno di veramente importante mi ha fatto perdere la testa. Ho fatto tante cazzate fino a oggi e ancora continuo a farle. Vedi cameriera serva della gleba.- specificò guardandomi in segno di scusa:-E ogni giorno ne pago le conseguenze. Anche essere qui con te è una sofferenza perché mi sto sentendo maledettamente in colpa. Tu mi ricordi mia sorella, mi ricordi l'ennesima persona che finisce nella merda a causa mia, mi ricordi che non sono quello che ho sempre sognato di essere, ma un bastardo con discrete doti recitative. E non posso fare altro che essere bravo, ricordarmi sempre chi ho davanti, perché altrimenti sono ancora di più nei guai. E' una cosa orribile, è una cosa che ti cambia, che ti trasforma in quello che non sei e fa sì che gli altri ti giudichino...io...- ancora una volta la sua voce si spezzò e rimasi incantata a guardare il suo viso per la prima volta sincero, gli occhi umidi che lottavano contro le lacrime. Avrei voluto abbracciarlo, ma ero troppo imbecille per farlo, così lasciai che continuasse, senza muovere nemmeno un muscolo.
-Odio essere me stesso. Non l'ho mai detto, perché sono troppo orgoglioso e perché devo mantenere una certa immagine standard, ma in questo momento ti invidio. Vorrei essere te, vorrei essere normale...vorrei...che la mia faccia non comparisse ovunque nei cartelloni pubblicitari e vorrei che i mei dischi fossero comprati perché la gente ama la mia musica e non i miei addominali. D'altronde è colpa mia...sono io che ho creato tutto questo...sono io che mi sono intrappolato con le mie stesse mani...-incapace di continuare per l'emozione, si coprì il volto con le mani e rimase in silenzio.
Assurdo come desiderassi sentire la sua voce di nuovo, come se il fatto che avesse smesso di parlare mi avesse creato un senso di smarrimento.
-Mi dispiace.- commentai. Riuscii a dire quelle due misere paroline soltanto, perché non mi veniva nulla. Ero rimasta senza parole...non mi sarei mai aspettata che uno come Tatcher potesse soffrire così tanto. Ero stata così superficiale? Perché stavo diventando io quella insensibile?
Lui non rispose. Tentai di ascoltare, non c'era altro rumore oltre a quello del suo respiro leggero, ma ero certa che stesse piangendo, perché una goccia scivolò dal suo mento e gli bagnò la maglietta. Mi sentivo così stupida...
L'avevo pregiudicato. Non potevo saperlo, è vero, ma ora che conoscevo la verità, tutto cambiava.
-Tatcher...- provai a chiamarlo inutilmente.
-Tatcher.- ma non mi rispondeva, era immobile in una posizione che lo faceva apparire così vulnerabile da non ricordare affatto quel cantante esuberante e vanesio che incitava la folla da sopra il palco.
Presi un profondo respiro e poggiai una mano sopra la sua spalla:-Senti, hai ragione, mi sono sbagliata quando ho detto che non avevi niente da perdere. Forse...forse tu hai molte più cose da perdere rispetto a me.-
Vidi la sua schiena sussultare per un singhiozzo e la sua testa scuotersi. Non era d'accordo su quello che stavo dicendo.
-Hai fatto degli errori, ma tutti sbagliano. Anch'io ho sbagliato e sai perché?-
Ma continuava a ignorarmi e si asciugava le guance per non far vedere che stava piangendo. Non era altro che un bambino cresciuto troppo in fretta, ecco cos'era.
-Puoi smettere di piangere?- domandai allora.
Non ottenendo risposta, sospirai e continuai:-Ho sbagliato perché pensavo che non avessi un cuore, perché non sono andata oltre i pregiudizi, perché non mi sono resa conto che in realtà sei...sei...- ora aveva smesso di piangere, ma non si era ancora mosso:-Ah, per favore, Logan, te lo chiedo per favore.-
Finalmente alzò gli occhi su di me e di nuovo mi ritrovai a trattenere il fiato per quanto fossero belli.
-Sono?- chise debolmente.
-Sei...- non ce la feci e terminai con il mio solito scadente sarcasmo:-...una femminuccia. I maschi non possono piangere.-
Inaspettatamente scoppiò a ridere, un'incantevole fragorosa risata si liberò dal suo petto e produsse un suono ipnotizzante. Ok, avete capito che la sua voce mi faceva un certo effetto, ma rimaneva comunque una persona instabile.
-Ora ti metti a ridere? Sicuro di stare bene? Intendo a livello cerebrale, conosco un ottimo psicologo che potrebbe darti una mano.-
-Ci andiamo insieme, così magari riesce a tapparti un po' la bocca e regalare un magnifico periodo di pace al mondo intero.-
Sospirai di sollievo:-Ti è passata...-
-Già.- confermò tirando su con il naso e prendendo un profondo respiro:-In ogni caso mi dispiace davvero per il trattamento di stamattina. Avevo così tante cose per la testa...non è stato bello che ascoltassi quella telefonata a personalità multiple...almeno sono un tipo misterioso, probabilmente non conoscerai mai il vero me.- fece l'occhiolino, ironico.
Piegai la testa di lato lasciando che un sorriso si allargasse sulle mie labbra:-Probabilmente, invece, sto iniziando a conoscerlo.-
Cos'era questa cosa??
Oddio. Che frase sentimentale.
Tatcher alzò le sopracciglia, sorpreso, guardandomi negli occhi:-Il vero me sarebbe un frignone?-
Gli diedi una leggera spinta con la spalla:-Il vero te non sarebbe male.-
-Lo dici perché speri che finito tutto ciò ti regali biglietti per il backstage del mio prossimo concerto, dillo.-
-Ti sembro una che fingerebbe per ottenere qualcosa?-
Anche lui sorrise, ma poi ritornò di colpo serio, come se un triste pensiero gli avesse attraversato la mente:-Senti, Carlton...non...non ci provare con me. Non ne vale la pena.-
-Cosa vuoi dire?- domandai, confusa.
Lui abbassò lo sguardo:-Che...io sono il tipo di ragazzo adatto ai tipi di ragazze come Regina. Non sprecare il tuo tempo con me.-
Per un momento il silenzio regnò sovrano. Era come se avessi ricevuto una stoccata ancora prima di aver cominciato il duello. Logan mi aveva bloccata sul nascere, come una fiammella che potrebbe scatenare un catastrofico incendio. Mi stava dicendo di non fare la tenera, in poche parole. Stava vanificando tutti i passi avanti fatti finora. Mi stava avvertendo che avevo esagerato, che avevo intrepretato male il suo sfogo. Forse semplicemente non voleva che venissero coinvolti i sentimenti. Forse nemmeno voleva sfogarsi con me...
Forse anche lui sapeva della sindrome di Stoccolma e voleva evitare di essere contagiato.
Mi misi ad ascoltare i rumori della notte di Los Angeles, confusa, felice, triste, spaventata...non sapevo nemmeno più cosa provare. Qualcuno più in alto di me aveva fatto in modo che ciò accadesse per mandarmi un segnale, per avvertirmi che forse quella laurea non era il mio destino. E che nemmeno trovare la persona giusta era il mio destino, dopotutto. Sospirai tristemente cercando di diradare la nube di pensieri che affollava la mia mente. A che serviva ormai rimuginare? Evidentemente era ora che mi arrendessi.
-Hai freddo?- chiese Tatcher, vedendomi rabbrividire.
Scossi la testa anche se in realtà non stavo poi così al calduccio.
-Io sì, invece.- commentò tirando su con il naso. Probabilmente si sarebbe ammalato:-Come va la mano?-
-Brucia un po'.- risposi dando un'occhiata al danno, che per ora non sembrava poi così grave:-Il braccio?-
-Brucia un po'.- ripeté, sistemandosi meglio contro la parete.
-Hai sonno?- chiese dopo qualche minuto di silenzio.
Questa volta annuii e chiusi gli occhi appoggiando la testa al muro dietro di me.
Non li riaprii quando la voce melodiosa di Logan si fece strada, lieve, fino alle mie orecchie, ma ascoltai completamente ipnotizzata. Le note, le parole, la dolcezza che riecheggiava per la stanza...era una ninna nanna, perfettamente intonata, quasi sussurrata. Non l'avevo mai sentita prima, non era mai comparsa in uno dei suoi album, quindi doveva essere sua. Sua, scritta di suo pugno e da nessun'altro. Ed era bellissima, così tanto che la mia mente si diradò completamente per bearsene. Ringraziai silenziosamente quel ragazzo e mi scusai per essermi completamente sbagliata sul suo conto, poi, poco a poco, lasciai che la mia testa si appoggiasse sulla sua spalla, calda, accogliente. Così il mio orecchio poteva stare più vicino alla sua bocca e venire completamente sommerso dalla sua voce, di cui...sì, mi ero innamorata. Lo so che stavo sbagliando.
Non smise di cantare, anche se ormai ero rannicchiata su di lui, e io mi sentivo sempre di più trascinare da quelle note. Sentivo il suo corpo che vibrava al vibrare delle corde vocali e il suo cuore che batteva come se dovesse tenere il tempo.
Per un momento pensai di aver veramente incontrato una persona speciale, poi mi addormentai.

-Rebecca? Rebecca?- qualcuno mi scuoteva dolcemente, ma io non volevo aprire gli occhi, volevo rimanere a godermi quel sogno in cui una melodia mi faceva dimenticare i problemi. In cui di problemi non ne avevo.
-Carlton, svegliati!-
Il tono poco ortodosso, decisamente diverso dal primo, ruppe quello schermo magico nella mia testa e fui costretta a eseguire l'ordine:-Che c'è?- biascicai mettendo a fuoco un Logan Tatcher in piedi di fronte a me, che invece ero adagiata sul pavimento sopra a una felpa arrotolata che mi faceva da cuscino.
-Alzati e ridammi la felpa.-
-Cosa?- mi guardai intorno per realizzare che eravamo ancora in quel garage polveroso, lievemente illuminato. Non doveva essere passato molto, visto che la luce che filtrava era fioca, più debole di quella che accompagna l'alba:-Perché?-
-Ce ne andiamo.-
-Dove?-
-A mangiarci una pizza.- mi prese in giro usando il solito tono sarcastico, poi mi porse una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi:-Scappiamo.-
Lo guardai alzando un sopracciglio:-Ti è preso uno sprizzo di invincibilità?-
Roteò gli occhi indicandomi la specchiera posta al centro della stanza.
-Logan, guarda che non si passa attraverso gli specchi.-
-Lo sai che sei così saccente che ti preferivo mentre dormivi?- ribatté, seccato, poi montò sul mobile con un balzo e mi tese la mano:-Sali.-
-Tu sei fuori.-
-Sì, tra poco.-
-Devi essere pazzo, Tatcher. Soffri di claustrofobia?-
-Carlton, fidati di me. E chiudi quella cazzo di bocca, per Dio!-
Offesa, allontanai la sua mano tesa con una sberletta e salii da sola, rischiando di uccidermi. Ero troppo orgogliosa per accettare il suo aiuto.
Una volta sulla superficie di legno guardai Logan con la stessa fiducia di un carceriere che accompagna un detenuto a fare un giro in città. Sì, ero decisamente demotivata.
Lui, senza badare troppo al mio viso, si affrettò ad allacciarmi la sua felpa in vita e coprirmi la testa con il suo cappuccio. Mentre lo guardavo attonita, mi passò un arnese che doveva aver staccato dalla parete. Sembrava un vecchio portalampade di metallo pesante.
Per completare il tutto, si abbassò e si indicò le spalle:-Sali.-
-Cosa?-
-Ho detto sali.-
-Sulle tue spalle?-
-Non oso pensare cos'avresti combinato giocando a Lara Croft.- commentò scuotendo la testa:-Vedi altri luoghi su cui salire, qui? Andiamo, ti serve una carta bollata o ti dai una mossa?-
Smarrita, eseguii gli ordini e, esattamente come avrebbe fatto Ollio su uno scarno alberello, montai sulle spalle di Logan, le mie gambe strette dalle sue mani all'altezza del ginocchio e penzoloni sul suo petto. L'immagine dell'atleticità.
-Adesso prendi il portalampade...- mi ordinò, il fiato corto:-E sbattilo contro il lucernario. Forte.-
Alzai la testa e finalmente capii. Logan voleva che passassimo attraverso il lucernario! Era un genio!
Peccato che il lucernario fosse largo come il tubicolo di una cannuccia.
-Non ce la faremo mai.- dovevo fare la gufata, ero di umore troppo nero.
-Ricordami che se mai usciremo da qui, ti massacrerò di insulti.- ringhiò dandomi un pizzicotto sul polpaccio.
-Ahi! E questo cos'era?-
-Un assaggio di quello che succede, se non rompi quel maledetto vetro!-
Sibilando improperi, mi prestai a eseguire di nuovo, usando la sola ed esigua forza delle mie braccia mollacciose per infrangere il lucernario. Ci vollero ben sei tentativi, ma alla fine, con un inquietante e sinistro scricchiolio, il vetro cedette e bastò un piccolo colpetto per far cadere a terra mille cristalli, come una cascata tagliente e scintillante. Mi coprii con la felpa di Logan e ancora dovetti ammettere a me stessa che era stato davvero scaltro...e premuroso. Aveva anche steso un polveroso telo sotto di noi, di modo che il rumore dei frammenti a terra risultasse molto più attutito.
Con una mano mi diede un buffetto dove prima c'era il pizzicotto:-Vedi che bastava uno stimolo fisico?-
-Fottiti.-
-Adesso issati con le braccia finché non sarai fuori, io ti spingerò da sotto.-
-Tatcher io non credo che...-
-Rebecca.- il mio nome risultò deciso e altisonante in quell'ampia stanza:-Arriveranno a momenti, dato il chiasso che stiamo facendo. Preferisci farti trapassare da un proiettile o passare da un lucernario?-
Senza pensarci due volte, raccolsi tutta la forza che avevo e mi spinsi fuori dall'edificio, sul tetto appiattito e circondato da alberi. Non senza rischiare la morte un paio di volte, naturalmente. Mi riproposi di mettermi seriamente a dieta, se fossi riuscita a tornare a casa.
-Aiutami!-
Afferrai la mano di Logan e la tirai per quanto la mia forza potesse essere utile. Lui riuscì ad arpionarsi al tetto e in quattro e quattr'otto fu in piedi, accanto a me. Molto vicino a me.
-Grazie.- disse, e con quell'impercettibile luce mi sembrò che i suoi occhi fossero due pozze scure, misteriose. Cose da psicopatica che si fa i romanzi in testa, insomma, ma ormai avrete capito che tipo ero.
-Prego.- dissi, scrollando le spalle e i pensieri.
Scendemmo dal tetto utilizzando la provvidenziale scala a pioli che era appoggiata alla parete e una volta con i piedi a terra, il nostro sguardo saettò sulla decapottabile grigia che stava parcheggiata poco distante da noi.
Sembrava come se d'un tratto fossimo entrati in un film d'azione. Persino l'aria era intrisa di suspance.
Ma chi me lo faceva fare?
-La mia macchina...- biascicò Logan, confuso.
-Sinceramente, quel colore è triste. Nera sarebbe stata molto più...-
-Carlton.- mi zittì, scocciato:-Se lì c'è la mia macchina, da qualche parte devono esserci anche le mie chiavi.-
-Perché non provi a frugare in tasca? Dopo che ci hanno tolto i telefoni e qualsiasi altro oggetto, ci avranno sicuramente lasciato quelle.-
Mi guardò in cagnesco e si diresse verso l'auto. Io lo seguii, per inorridirmi allo scoprire che, sdraiati sui sedili, dormivano Thomas e il suo amico. Non avevano sentito nulla, fortunatamente, ma le mie gambe tremavano comunque. Se avessero solo per sbaglio aperto un occhio, ci avrebbero visti. Presa da un moto di panico, mi aggrappai a Logan.
-Camminiamo.- sussurrò guardando la strada semibuia e deserta di fronte a noi.
Cercai di seguire la direzione. In lontananza si vedevano i palazzi e i grattacieli di Los Angeles che lentamente venivano illuminati su una sola facciata, ma la strada era tutta sconnessa, non sapevo calcolare quanta distanza c'era dalla città, né tantomeno se portasse alla città.
-E' assurdo...non sappiamo dove andare.-
-Idee migliori?-
Scossi lentamente la testa.
-Senti, fidati di me, ok?- mi prese la mano in una stretta salda e mi trascinò dietro di lui.
Avevo paura, tanta.

Dopo quelli che mi parvero anni, la luce era molto più vivace, il sole visibile in cielo e i miei piedi imploravano di fermarsi.
-Sai dove stai andando?- chiesi a Logan.
Lui si voltò indietro -lo faceva ogni dieci secondi- per controllare che nessuno ci seguisse e continuò a camminare lungo il boschetto che costeggiava la strada.
-Secondo te frequento boschetti smarriti?- incalzò, come per darmi dell'idiota.
Il mio sguardo parlò per me.
-Prima o poi ci saranno indicazioni, vedrai.- affermò, spigliato e proseguì senza aggiungere altro. All'avventura!
Volevo la mia casetta...il mio hotel a cinque stelle...il mio papà retrogrado...
La mia laurea.
E avevo paura di aver tirato troppo la corda con quei due pazzoidi.
-Quanto pensi che ci vorrà prima che si accorgano che siamo scappati?- diedi voce ai miei pensieri, colta da una nuova ondata di panico.
-Quanto pensi che ci vorrà prima che la pianti di mettermi pressione?-
-Oh, giusto, Tatcher, tu stai scappando a due rapitori, me ne ero dimenticata.- ribattei sarcasticamente, tenendogli dietro a fatica.
Era come se tutto quello che era successo prima fra di noi si fosse annullato. Non che avesse avuto motivo di sopravvivere, dopo la mazzata del qui presente individuo, eppure ogni volta che il ricordo riaffiorava, mi rendevo conto che avrei voluto che succedesse di nuovo. Insomma, per un momento, nonostante il contesto, mi ero sentita felice. Senza la mia laurea o la certezza che il mio sogno si sarebbe avverato. Felice e basta, con una canzone e un paio di occhi azzurri.
Basta, ero completamente andata. Io detestavo Tatcher, per la miseria!
-Oh no, una macchina...- sfiatò Logan, tirandomi la maglia affinché mi abbassassi tra gli arbusti.
-Oddio, sono loro!- mi feci prendere dal panico.
-Vedi? Non hai fatto altro che portare sfiga!-
-Lo sapevo, ci ucciderano.-
-Ma parla per te!-
-Beh, teoricamente tu saresti il primo a essere ammazzato, in ordine di priorità...-
-Non lo so, potresti dare il via alle danze tu, adesso. Nei miei sogni perversi ho sempre ucciso ragazze in un bosco.-
-Mi fai impressione.-
-Taci!-
-No, aspetta...- aguzzai lo sguardo per mettere meglio a fuoco il veicolo, che scoprii essere un furgoncino rosso, abbastanza scassato. Un furgoncino rosso?
Con uno scatto felino, raggiunsi la strada e mi ci piantai in mezzo, sprezzante del pericolo.
-Che diavolo fai?- sentii gridare Logan, ma non gli diedi retta. Appena questo frenò bruscamente, mi avvicinai al furgoncino che si era fermato poco più avanti di noi e, con il cuore in gola, bussai al finestrino del conducente.
Questi, un signore sulla settantina, mi guardò stranito, per poi aprire la portiera:-Prego?-
-Ci serve...un passaggio.-
Lui si guardò intorno, gli occhi grigi che scrutavano dubbiosi la strada deserta. Probabilmente si chiedeva da dove fossimo sbucati e, soprattutto, perché eravamo lì.
-Per dove?- domandò un po' guardingo.
Mi voltai verso Logan, che camminava nella nostra direzione, lentamente.
-Downtown, tra lo studio della Majestic e l'università.- disse al signore, suonando educato, ma determinato a ottenere quel passaggio. Poi mi rimproverò con lo sguardo. Ok, avrebbe potuto essere uno dei cattivi della situazione ed ero stata poco prudente, ma che potevo farci se per una volta il mio istinto di sopravvivenza mi aveva preso d'assalto?
Il tizio lo squadrò da capo a piedi:-Mia nipote ha comprato un copriwater con una tua foto, è possibile?-
Tatcher fece l'occhiolino:-Logan Tatcher.-
Il vecchio continuò a fissarlo.
-Il cantante.- precisò allora.
-Liscio?-
-Ehm...veramente, pop.-
-Allora non ti conosco. Però ti vedo ogni volta che devo andare a pisciare.-
Logan sbiancò, accompagnato da una smorfia esilarante. Adoravo quell'uomo, avrei dovuto farmi lasciare l'autografo. E parlo del vecchio.
-Beh,- sorrise, prestandomi finalmente attenzione, tutto pimpante:-Solo perché una volta anch'io ero un giovane in cerca di fortuna, si parte!- sorrise, invitandoci a salire accanto a lui nel furgoncino:-Sapete che anch'io cantavo alla fiera di paese? C'era quella canzone...-
Guardai Logan, di nuovo, raggiante.
Lui mi sorrise di rimando.
Aveva un bel sorriso, Logan.

-Ed eccoci arrivati!- annuciò Brian il conducente parcheggiando il furgoncino alla bell'e meglio, davanti allo Starbucks affollato di Downtown.
Ero quasi commossa di rivedere quella caotica città. Meno di sentire la puzza dello smog.
-Grazie, ci è stato infinitamente d'aiuto.- dissi, scendendo e stringendo la mano al nostro salvatore.
-Davvero.- mi fece eco Logan, smontando a sua volta.
Lui si portò una mano alla fronte a mo' di saluto militare e se ne andò alzando lo stereo su una compilation di liscio.
-Bene.- sospirò Logan guardando il veicolo allontanarsi.
-Bene.-
Era finita, non potevo crederci.
-Ce l'abbiamo fatta.- disse lui, quasi imbambolato.
-Già.-
-Senti, io...avrei un contratto da firmare ed è ora o mai più, perciò...-
-Sì, certo, giusto. Anch'io dovrei darmi una mossa.-
-Buona fortuna con la laurea.-
Guardai l'orologio fuori dalla caffeteria. Erano le 9.52.
-Grazie. Buona fortuna con il contratto.-
-Grazie...ciao.-
Nessuno dei due però si mosse definitivamente.
Non ce la facevo ad accettare che fosse finita lì, era un'idea che mi creava un senso di vuoto. Di qualcosa di lasciato in sospeso e io odiavo rimanere così, immersa in mille domande per ipotizzare "cosa sarebbe succeso se...".
-Logan?- lo chiamai.
-Sì?-
Non lo sapevo cosa dire, non sapevo nemmeno perché invece di stare qui a fissarlo negli occhi come un'allocca non mi davo una mossa per raggiungere l'università, dato che ero già in un potenziale ritardo di dieci minuti. Speravo almeno non ci fosse traffico.
-Niente...in bocca al lupo.- fu tutto quello che riuscii a condesare dei miei pensieri.
-Certo. Crepi.-

-Come non è possibile?-
-Lo sa, Carlton, il ritardo è tollerato finché si tratta di un paio di minuti, ma ne sono passati venti dall'orario d'inizio della sua discussione di tesi.-
-Lo so, lo so...è che...- avrei dovuto raccontargli che ero stata rapita assieme a un cantante famoso? No, decisamente no.
-La prego, professor Durray, questa laurea è tutto per me.- mi buttai sul lato sentimentale, ma quell'uomo sembrava avere le stesse emozioni di un Polaretto.
-Ne dubito.- appunto.
Fece per entrare nell'aula in cui una laureanda piuttosto nervosa lo stava aspettando, ma lo bloccai piantandomi davanti a lui. Mi stavo rovinando cinque anni di reputazione da brava ragazza.
Mi guardò così male che per poco non temetti che stesse per fare un colpo. Probabilmente non aveva mai ricevuto un affronto simile.
-Senta, professor Durray, ho bisogno di quella laurea. La prego, chiuda un occhio.-
Lui alzò il sopracciglio:-Lei è molto insistente e impertinente.-
-Ne sono consapevole.- dissi, frettolosa, cercando di ponderare al meglio le parole:-Ma...è solo perché laurearmi è il mio sogno più grande!-
-Avrebbe dovuto realizzarlo prima di ritardare alla sua laurea.- rispose, tipicamente strafottente.
Perché lui doveva fare il professorone e romperti le palle come da copione.
-Prof!- lo fermai di nuovo.
Prof? Ero fottuta.
-Mi ascolti, la prego: io...so che può sembrare assurdo, ma ha presente Logan Tatcher? Il cantante pop? Ecco, lui è stato rapito ieri sera e io...beh, a dire il vero, anch'io sono stata rapita ed ero insieme a lui, così siamo scappati e...-
Alzò una mano davanti al mio viso:-Basta così, Carlton.-
Mi zittii guardandolo e sentendo che le guance si infiammavano.
-Lei è evidentemente inadeguata per sostenere un esame di laurea. Ci vedremo l'anno prossimo, con l'augurio che nel frattempo sia maturata.-
-Ma...ma...- avevo gli occhi che pizzicavano e dovevo sembrare proprio alla deriva:-Le sto chiedendo un'oppoortunità...ho studiato tantissimo...io...-
Il professor Durray mi zittì nuovamente:-Arrivederci, Carlton.- poi si avvicinò a una studentessa che aveva assistito alla scena e le chiese di accompagnarmi gentilmente fuori.
Lo guardai entrare e comiciare a discutere con la laureanda e il resto della commissione riguardo alla tesi che quest'ultima era intenta a spiegare. Io dovevo essere lei. Io dovevo stare in quell'aula, con quella dannatissima commissione a parlare per mezz'ora sugli argomenti che mi avevano affascinato, che avevo preparato con cura.
Percepii una lacrima scendere e bagnare la guancia già solcata durante la notte. Non era giusto.
-Ehi, tutto bene? Ti faccio portare un bicchiere d'acqua?- mi chiese la ragazza bionda che Durray aveva incaricato.
Le rivolsi uno sguardo smarrito e scossi la testa, abbandonandomi su un pouf rosso vicino alla bacheca degli annunci.
-Ti..ehm...accompagno fuori?- domandò di nuovo, premurosa, poggiandomi una mano sul braccio.
Scossi ancora la testa, chiudendo gli occhi e stringendo forte le palpebre, per non piangere di nuovo. Non sapevo da dove il mio corpo traesse tutta quell'acqua.
-Tieni.- mi porse un fazzolettino di carta e io lo usai ringraziandola.
-Credo che prima fosse venuto tuo padre.- mi disse.
-Oh, fantastico.- commentai, pensando alla sua gioia nel non vedermi. Per lui significava che sarei rimasta a lavorare per il suo hotel e avrei portato avanti il nome della sua famiglia, assicurandogli sempre la fama. Meglio di così non poteva andare, no?
-Ha provato a chiamarti e assicurare a Durray che saresti arrivata a breve, ma poi se n'è andato per cercarti e tu sei arrivata poco dopo.-
La fissai, sorpresa, la vista offuscata dalle lacrime:-Davvero?-
Lei annuì:-Sì, certo. Ma, scusa, allora è vera la storia di...?- ma si bloccò, guardando oltre la mia spalla, la bocca leggermente spalancata.
-Che c'è?- mi voltai per seguire il suo sguardo e ne incrociai un altro.
Azzurro.
-Tatcher!- esclamai, più confusa che sorpresa.
Sia Durray che la laureanda, si bloccarono per sporgersi a guardare. Lui con cipiglio altamente seccato e nervoso, lei visibilemnte esasperata, ma curiosa.
Logan mi corse incontro, un'espressione indecifrabile, ma, con mio crescente stupore, una volta raggiuntami si rivolse al professor Durray:-La pego, signore, lei deve accettare questa ragazza.-
Lui alzò così tanto le sopracciglia che parvero scomparire trai capelli:-Come, prego?-
-Lei...qualsiasi cosa lei possa pensare, è vero e io lo posso confermare. Rebecca è stata rapita insieme a me, questa notte, da un paio di manager della Sony. E potrà anche sembrarle ridicolo, ma siamo scappati con le nostre forze da un vecchio garage, rischiando di essere uccisi, facendoci dare un passaggio fino a Downtown pur di arrivare in tempo per questa laurea! Perciò adesso le chiedo solo di essere umano e di...darle una chance.- esclamò tutto d'un fiato, il respiro affannato come se avesse corso.
Ero sconvolta.
Il professore pareva sconvolto:-Questo è troppo.-
Ma il resto della commissione, sconvolta, si avvicinò e una professoressa intervenne:-Lei è Logan Tatcher? Curioso che sia qui.-
-E' perché so quanto Rebecca ci tenga.- mi guardò per un momento e io gli sorrisi.
I professori si scambiarono occhiate ponderanti, indecise, ma Logan diede loro l'ultima spinta:-Domani sarà tutto sul Times. Perché dovrei arrivare fin qui e dirvi una bugia per una laurea? Quello che è successo è vero, ma non può compromettere il futuro di questa ragazza. Vi prego di aiutarla...sono sicuro che ne vale la pena.-
Ci furono trenta secondi di intenso, inquietante silenzio da cardiopalma.
Poi la professoressa parlò:-Credo che siamo tutti d'accordo che si possa fare, per questa volta.-
La laureanda e la studentessa del fazzoletto annuirono e allo stesso modo, poco dopo, fece anche la commissione.
-Anche il professor Durray...- lo incitò la donna.
Questi mi rivolse un'occhiata intimidatoria:-Non è mia consuetudine accettare questo tipo di sceneggiate.-
-Grazie, signor Durray.- ribatté Logan, il respiro affannato che gradualmente si calmava.
Signor Durray.
-Temo di dover andarmene ora, signor Tatcher.-
-Signor Tatcher.-
-Grazie.- ripetei guardando prima l'uomo, poi Logan.
-Adesso entri e chiudiamo questa porta finché non avrete finito! Fuori chiunque non sia parente delle laureande.- tuonò rientrando.
Prima di seguire i professori verso l'aula dove si sarebbe finalmente tenuta la mia discussione, rivolsi un sorriso a Logan. Un sorriso raggiante, radioso, felice. Un sorriso che diceva molto più di un semplice "grazie".
La laureanda sospirò affranta, chiudendosi la porta dietro di me.

-Dai, abbraciami.-
-Oooh.-
Riposi la camicia piegata sul letto e corsi ad abbracciare mio padre, tutta euforica. Forse il fatto che, nonostante tutto, lui fosse contento di me mi dava più soddisfazione. Insomma, ok, avevo una laurea, che era praticamente tutto quello che volevo fin dall'inizio, però in fin dai conti non sarebbe stato lo stesso, se mio padre avesse fatto il musone. E invece eccolo qua, alla porta della mia ormai ex-stanza nella quale stavo facendo piazza pulita per ficcare tutto in una valigia che mi sarei portata in viaggio. Orgoglio paterno e, escludendo una piccola vena di risentimento, molti complimenti per l'eccellenza ottenuta con la discussione di tesi. Ero davvero felice.
-Grazie, padre.- dissi, dandogli affettuose pacche sulla schiena.
-Sai, quando mi hai raccontato del rapimento, mi sono sentito un pessimo uomo.-
-Papino! Non è vero!- smentii, staccandomi sufficientemente per guardarlo negli occhi:-Vecchio stile, ma non così pessimo.-
Mi sorrise spettinandomi i capelli in un ritorno al passato e io gli diedi un bacio sulla guancia:-Tornerò spesso al Ritz.-
-Se non lo farai, sarò io a venirti a prendere.-
-Ricevuto.-
-E comportati bene, per carità...se combini gli stessi guai che combini qui, la fine del mondo sarà di sicuro anticipata.-
Ma che burlone!
Lo salutai finendo di impacchettare tutte le mie cianfrusaglie, poi, una volta pronta per partire, dissi addio alla nuova cameriera del piano, lasciandole qualche perla acquisita negli anni e scrissi una lettera per i membri dello staff che da sempre non sopportavo augurando loro un "buon proseguimento".
Ero soddisfatta, sì. Soddisfatta di me, della vita, della porta che si stava aprendo davanti ai miei occhi.
Mi sentivo come la Gabbianella, che per un sacco di tempo aveva vissuto una vita da gatto e che ora aveva la sua occasione per volare via, libera. Prima di uscire definitivamente dal Ritz, però, salii fino al settimo piano e mi avvicinai lentamente alla stanza 729. Era strano farlo senza divisa.
-Ehi.- dissi, il tono basso.
Il ragazzo all'interno, anche lui intento a chiudere la sua valigia, si voltò nella mia direzione e mi sorrise:-Ehi.-
-Servizio in camera.- scherzai entrando e avvicinandomi, il cuore a mille solo per il fatto di essere in sua presenza. Com'erano cambiate le cose da un giorno all'altro.
Ora Thomas Bendson e il suo stupido scagnozzo erano stati fermati e condotti agli arresti con millemila accuse, dopo che un tale Brian Dodgeley aveva testimoniato a favore di due ragazzi rapiti. Il sogno di Bendson, aimè, non si sarebbe mai avverato.
-Non credo proprio.- ribatté come previsto, usando il suo tono stronzo. Solo...molto meno stronzo del giorno prima.
-Finito il soggiorno, eh?- gli chiesi dando un buffetto alla valigia semichiusa e notando che si era fatto bendare l'avambraccio.
-Già.- disse ripulendosi le mani e guardandomi nella mia completa interezza:-Vedo che anche tu sei in vena di partenze.-
Alzai le spalle con fare misterioso:-Può essere.-
Nel momento di silenzio che seguì, osservai i suoi occhi colpiti dalla luce del tramonto su Venice Beach che filtrava dalle tende bianche. Dovevo dirgli che adoravo i suoi occhi. E la sua voce. E il suo sorriso.
Ma più di tutti adoravo quello che aveva fatto per me.
-Logan, io...non ti ringrazierò mai abbastanza per ciò che hai fatto stamattina.-
-Non devi ringraziarmi...l'ho fatto perché era la cosa più giusta. Perché...mi sentivo in debito con te.-
Lo guardai inclinando la testa di lato:-Ah sì?-
Annuì, prendendo in mano la valigia:-Mi hai permesso di mettere in discussione quello che sono. Mi hai fatto riscoprire il vero Logan Tatcher.-
In genere a queste frasi non dovrebbe seguire un bacio?
-Già.- sorrisi:-E' stato, per quanto sgradevole come contesto, molto bello, Tatcher. Beh, voglio dire, ha fatto piacere anche a me scoprire chi sei veramente. Strano, ma piacevole.-
-E' stato strano, è vero.- confermò prendendo la sua valigia e appoggiandola a terra:-Ma ora è giusto che...beh, che ci salutiamo.-
E ora arrivava il momento in cui mi avrebbe bacia...
Cosa?
-Che ci salutiamo?- chiesi, confusa.
-Certo, insomma...che ritorniamo alle nostre vite.- spiegò:-Tu sulla cresta dell'onda per vivere il tuo sogno e io...beh, devo concentrarmi sul nuovo album, ritentare con la Majestic e tornare da Regina.-
No, no, no...momento, perché tutto stava andando al contrario di come mi ero immaginata?
-Ma tu...tu hai rinunciato al tuo contratto con Sean Smith per venire a salvarmi! Hai rinunciato a qualcosa di tuo per me!-
-Te l'ho detto, Carlton: mi sentivo in debito con te.-
-Sì, ma...-
-E' meglio così.- mi disse, facendomi rimanere muta e immobile e fissarlo.
Mi sorrise e si chinò per lasciarmi un bacio a stampo sulle labbra:-Io sono il tipo per quelle come Regina, anche se forse quello è solo uno dei vari Logan Tatcher e quello vero, beh...forse quello vero sarebbe il tuo tipo.-
Si allontanò verso l'uscita della stanza, ma prima di andarsene si voltò a guardarmi:-Diventa scrittrice, Carlton, me lo devi. E forse chissà...un giorno rapiranno te e io sarò lì per caso.-
E detto questo se ne andò.

Già, un finale triste, classica esclamazione "eh no, ma dai!" da film scadente per cinema locali, ma purtroppo così finì quell'avventura e non sarei onesta se non vi dicessi che passai l'inizio della mia "nouva eccitante vita" a chiedermi se non sarebbe stato meglio non aver mai incontrato Tatcher.
Perché alla fin fine quel ragazzo mi ha lasciato un segno, un segno profondo. Mi ha fatto riflettere sull'importanza di un sogno, su cosa voglia dire "rinunciare a qualcosa" per inseguirlo. E fondamentalmente era quello che aveva fatto lui. Lui voleva essere un cantante ed era determinato a portare avanti il suo progetto, anche a costo di lasciarsi alle spalle occasioni, legami,...persone.
Se mi sento lasciata alle spalle? Sinceramente no, perché lui ha detto che ero quella giusta per il vero Logan Tatcher, ma non posso negare di averci sofferto tanto, di soffrirci ogni volta che quella ninna nanna, ora successo nazionale, viene trasmessa alla radio, ogni volta che lo vedo suonare la chitarra e noto la cicatrice sull'avambraccio, quella che gli ho fatto io.
Doveva andare così, si vede. Doveva andare così, per me, quando la gente mi diceva "Un giorno lo incontrerai!" e io non sapevo che sarebbe durato una notte. Non una notte di passione, ma una notte rinchiusa tra quattro mura, costretti a stare insieme. Quando la gente mi dice "Un giorno lo incontrerai!" e io già l'ho incontrato e posso affermare di poterlo vedere ogni qualvolta desideri, di ascoltare la sua voce sempre.
Sembra triste, ma se ci ragionate non lo è.
Io ora sono una scrittrice conosciuta e seguita, viaggio e incontro sempre un sacco di persone interessanti e ho scritto un libro intitolato "Trapped".
Logan è un cantante strepitoso, lavora per la Majestic e ha scritto una canzone intitolata "Trapped", che parla di due ragazzi, liberi solo quando sono intrappolati, in catene nella loro quotidianità.
Un po' come il mio libro, insomma.
Se ci pensate, basterebbe solo che mi rapissero e lui fosse lì per caso.
E poi non mi posso lamentare...io ora ho il suo copriwater.




Eeeeeeh, una consolazione importante, eh XD
Com'è andata, allora? Piaciuta? Potete mentire per farmi contenta.
Questa storia, lo voglio ribadire, è stata scritta per il contest
"Un giorno lo incontrerai" di MedusaNoir sul Forum di EFP. L'obiettivo era quello far incontrare una ragazza con un ragazzo dagli occhi azzurri, cantante, bastardo e che cambia carattere a seconda di chi ha davanti. In più mi si chiedeva di far passare ai due una notte insieme per un motivo inaspettato.
E' finita qui (scudo antisassate) e...beh, io sono quella dei finali di merda, non posso farci niente, è più forte di me U.U
Volevo precisare un paio di cose, ovvero che Logan Tatcher è un personaggio completamente inventato e frutto della mia fantasia, ossia nessun Logan Tatcher ha mai vinto X Factor Usa, nel caso ve lo steste chiedendo XD
Ho pubblicato la storia lasciando tutti gli errori che mi sono stati segnalati e non perché me ne frego o sono la classica mosca che sbatte contro il vetro, ma proprio perché vi voglio lasciare la storia genuina, così com'è, così come l'ho scritta :) (ok, non avevo voglia di correggere, ma sono dettagli).
Io sono Yellow Daffodil (ma no?) e se vi piace lo stile, se volete catapultarvi in Italia, precisamente a Venezia e avete una passione per la vita tra i banchi di scuola, allora vi raccomando di dare una sbirciatina a 
Io e te è grammaticalmente scorretto
, che è la long che in 20 (programmati 23-24) capitoli è riuscita a condensare tanti avvenimenti, coppie, figuracce e quant'altro quanti quelli di Beautiful!
Lui, lei, loro.
Pronomi personali.
Lui: terza persona singolare, idiota al cento per cento, voglia di studiare zero e un disperato bisogno d'aiuto.
Lei: per meglio dire "io", prima persona singolare, perfezionista, incapace di dire no e innamorata dell'idiota sopracitato.
Loro: terza persona plurale, i restanti diciassette detenuti in una classe che fa piangere generazioni di professori.
 
Come ve la cavate in grammatica? E in matematica? Inglese? Storia?
E' difficile salvare la media di otto materie in due mesi di tempo, ma forse se si lavora insieme, come dice il proverbio, nulla è impossibile.
C'è solo una materia che non vi saprò spiegare, si chiama Amore e credo che quest'anno verrò rimandata.



Grazie per essere arrivati fino alla fine, spero di avervi entusiasmati e invogliati a comprarvi un copriwater XD


Alla prossima,
Yellow Daffodil










   
 
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