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Autore: Ale_kiss_    25/09/2012    2 recensioni
Ogni giorno tutto è uguale: casa, scuola, amici, famiglia. Arriva però un giorno della tua vita nel quale cambia tutto. È quello il giorno che tu aspetti da tutta la vita. Ma solo quando ti rendi conto
che non è finzione, che potrebbe durare per sempre, che quella situazione non è momentanea, che quel giorno non è solo un giorno, che tu vorresti solo tornare alla tua normale e banale vita di sempre.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dorian Gray, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un caldissimo pomeriggio di luglio, uno dei più caldi da quando vivevo a New York. Leggevo distrattamente sdraiata a letto con il ventilatore puntato addosso. Odiavo New York, odiavo quella casa e odiavo la mia vita. Nulla poteva andare peggio! Ero stata adottata da sette anni ma forse, avrei preferito rimanere nell’orfanotrofio per sempre. La mia nuova madre era morta due anni dopo il mio arrivo, ed ero rimasta con un fratellastro sedicenne incapace e una sorellastra di quattordici con la quale non c’era giorno nel quale non litigavamo. La casa era piccola, e inospitale: i vetri erano sempre sporchi, i muri verde acqua da pitturare, il forno che non funzionava, i letti cigolanti e divani vecchi. Forse l’unico pregio era che avevamo una tv a 42 pollici che non so che soldi avessero trovato per procurarsela. Guardai fuori dalla finestra. Pioveva, il che portava ancora più caldo. Il cielo era grigio e cupo. Magnifica giornata per uscire, infatti Logan era fuori da ormai due ore.  Chiusi il libro e lo buttai di malavoglia sul comodino. Accidentalmente ne urtò un atro che cadde. Lanciai un’imprecazione e lo raccolsi assicurandomi che non si fosse fatto nulla. Guardai un’ultima volta la copertina e tracciai con il dito il contorno del titolo. Lo aprii ed iniziai a sfogliarlo perdendomi tra le righe che conoscevo a memoria. Era il mio preferito e l’avevo letto più e più volte. Ne amavo ogni singola parola, ogni singola pagina e ogni singolo capitolo ma soprattutto amavo lui, il protagonista. Per quanto perfido ed egocentrico fosse (e questi non sono solo i termini da affibbiargli), lui mi aveva rubato il cuore e forse, proprio queste sue caratteristiche mi avevano fatta cadere in lui. Chiusi violentemente il libro ad occhi stretti, trattenendo tutte le mie emozioni in quelle pagine, sapendo che quelle erano pure fantasie, fantasie che non si sarebbero mai potute avverare. Quella era la mia vita ed io con quel mondo descritto dalle parole uscite dalla penna di un uomo inconsapevole di cosa sarebbe diventato il suo libro nel tempo … non facevo parte. Lo misi sotto il cuscino ed uscii dalla camera lasciando il ventilatore acceso.                                                                                              
Alison faceva zapping tra i canali, molto disinteressata mentre beveva una coca-cola. Scossi la testa stanca di quella routine quotidiana e mi diressi in cucina. Aprii il frigo: vuoto, come al solito. Lo chiusi sbattendolo ed udii Alison spegnere il televisore. Quando lo faceva voleva dire o che era irritata da qualcosa o che non facevano nulla. Sapevo che era la prima.
- Sai bene che Logan non vuole che sbatti il frigo- mi disse appoggiandosi con un braccio allo stipite della porta. La guardai scocciata alzando le sopracciglia.
- E non so se tu ti sia resa conto che Logan in questo momento è fuori casa- le risposi sgarbatamente prendendo una mela e rigirandomela tra le mani. Odiavo quando prendeva le parti di suo fratello, si somigliavano troppo. Mi sedetti sul tavolo ed iniziai a sgranocchiare quel frutto rosso.  Alison mi guardava come se potesse vedere attraverso il mio corpo. Poi tornò in salotto. Finita la mela andai in camera e presi il mio libro dal comodino. Lo strinsi al cuore e mi diressi verso la cantina. Era forse l’unico posto dove mi sentivo in pace e dove nessuno sarebbe venuto a disturbarmi, ed era l’unico posto dove riuscivo con tutta me stessa ad entrare in quel libro, ad entrare nel “Ritratto di Dorian Gray”. Lo aprii e mi sedetti in un angolo. Era buio lì ma avevo la mia pila, nascosta sotto delle vecchie coperte polverose. La presi. Sì, era ancora lì, nessuno l’aveva toccata. Iniziai a spostare la luce di parola in parola. Poi, ad un certo punto, iniziai a guardarmi attorno, come se quella cantina fosse la soffitta dove Dorian teneva il suo mostruoso ritratto. Istintivamente mossi la luce della pila per la stanza, sui muri e sul pavimento. Su ogni oggetto e su ogni granello di polvere, come se quel gesto avrebbe potuto cambiare la mia vita, ma quella era e quella sarebbe rimasta. Puntai nuovamente la torcia sul libro e continuai a leggere. Improvvisamente sentii la porta di casa sbattere. Logan era tornato. Sarebbe stato meglio risalire, odiava che stessi lì sotto, infatti ci andavo solo quando lui non c’era. Misi la pila nel suo solito posto ed il libro sotto la mia T-shirt. Risalii le scale scricchiolanti della cantina e nello stesso esatto momento che uscii, Logan passò dinanzi a me. I miei occhi incrociarono i suoi ed io deglutii.
- Che ci facevi lì sotto? Sai che non mi piace che tu stia lì!- sbottò con quel suo tono da superiore che odiavo. Non gli risposi e mi diressi verso la camera ma mi prese per una spalla e mi tirò uno schiaffo. Quello schiaffo mi scottò nell’orgoglio più del dolore che mi aveva procurato alla guancia. Ci appoggiai subito una mano sopra per provare ad alleviare il dolore. Ero sbigottita ed a bocca aperta.
- Come hai osato?- gli domandai a voce bassa più infuriata che mai. Strinsi forte i pugni e li misi in tasca altrimenti uno dei due si sarebbe sferrato sul volto di Logan.
- Cos’è questo?- improvvisamente mi prese il libro da sotto la maglia e me lo sventolò dinanzi agli occhi.
- Non sai leggere Logan? Ora, dammelo!- gli ordinai provando a riprenderlo ma lui più rapido alzò il braccio in aria impedendomi di riaverlo.
- Ancora questo libro? Guarda che anche se andrai al liceo classico, non serve che te lo impari a memoria!- rise beffandomi.
- Logan! Dammelo!- gli dissi un’altra volta scandendo bene le parole. Lui iniziò a sfogliarlo quasi fosse un libro qualunque ma non era così, quello era il mio libro, l’unico che mi faceva sentire a casa, quella casa che non avrei più rivisto.
- Mmh, e questa roba a te dovrebbe piacere? Ma andiamo! È assurdo! È noioso e …- lo interruppi prima di sentire un’altra critica assurdamente negativa su quel capolavoro.
- DAMMI QUEL LIBRO!- gridai esplodendo di rabbia. Alison si appoggiò con la schiena al muro.
- Ridaglielo, prende quel libro in modo troppo serio e potrebbe picchiarti, non voglio placare l’ennesima rissa tra voi due- borbottò sicuramente per interesse personale, come lei stessa aveva detto. Logan sbuffò e me lo porse. Glielo strappai dalle mani e corsi in camera piangendo silenziosamente. Mi chiusi dentro e girai la chiave tre volte nella serratura. La cosa orribile è che dormivo nella stessa camera di quell’odiosa di Alison, non avrei mai avuto pace in quella casa. Appoggiai la schiena alla porta e mi lasciai scivolare per terra. Chinai la testa sulle ginocchia ed iniziai a singhiozzare. Volevo la mia libertà. Trovavo tutto troppo strano lì: avevamo un tutore minorenne e la morte della mia matrigna non era stata denunciata al comune. Era insolito e sin troppo strano. Nessuno si era accorto di nulla e nessuno si era chiesto nulla. Mi alzai e lasciai il libro sul letto. Aprii la finestra ed iniziai ad osservare fuori: grattacieli, palazzoni, case … New York. La pioggia era finita ma il cielo era ancora grigio. Mi girai ed urtai contro il ventilatore che cadde tirando anche la spina che si staccò. Imprecai ad alta voce e tirai un calcio al letto. Sbattei la finestra per chiuderla e corsi nell’alcova della stanza che dava ad una piccola porta che faceva accedere in un altro modo alla cantina, e soprattutto da un’altra direzione. Logan però aveva nascosto la chiave per non farmi entrare. “Che bastardo” pensai con un sorriso di rassegnazione stampato in faccia. Peccato che la porta fosse talmente vecchia che una leggera tirata l’avrebbe aperta, ed io lo sapevo sin troppo bene! Quella non sarebbe stata la prima volta che ci entravo.
Iniziai a scendere le buie scale pericolanti di vecchio legno tenendo una mano attaccata al muro per paura di cadere. Una volta avevo picchiato Logan su quelle scale e lui mi aveva presa per i capelli e riportata in camera con uno schiaffo. Era da quel giorno che aveva tolto le chiavi, ma era troppo tonto per capire che avrei potuto entrare tranquillamente anche senza. Arrivata al pavimento iniziai ad ambientarmi nell’oscurità. Urtai però qualcosa di grande e pesante, ricoperto da un telo. Il cuore iniziò a battermi forte senza motivo. Trascinai la mano su quell’oggetto e ne sentii la forma intagliata. Presi il telo e lo tolsi. Mi pareva di aver capito cosa fosse, ma non ne ero sicura. Provai a premere la mano e ne uscì un suono. “Un pianoforte?” mi chiesi un po’ sbigottita. Ero sicura che nessuno della famiglia sapesse suonare … schiacciai dolcemente un tasto e ne uscì un Mi. Poi ne premetti un altro ed un altro ancora. Qualche anno prima avevo preso lezioni di piano con un’offerta della scuola e sapevo suonare qualcosa. Mi guardai attorno nonostante mi risultasse quasi impossibile, cominciando a cercare il contorno di una sedia, di uno sgabello, anche una scatola mi poteva andare bene, ma purtroppo non c’era nulla. Ma c’era quel piano, che non avevo mai notato in sette anni circa, che non potevo nemmeno immaginare che esistesse. Perché era lì? Forse il padre di Alison e Logan suonava? Non mi sapevo rispondere. E perché si trovava lì da tanto e io non l’avevo mai notato? Ne accarezzai i tasti bianchi, premendoli uno ad uno dolcemente, un po’ attratta ed incuriosita da una parte, ma dal’altra ne ero quasi spaventata. Pareva fosse apparso da un giorno all’altro. Io vivevo la mia vita in quella cantina e non mi ero mai accorta di un oggetto così voluminoso? L’unica scusa che trovavo era il buio, ma nonostante provassi a convincermi, qualcosa dentro di me diceva che c’era una spiegazione diversa. Ciò che mi distrasse dai miei pensieri fu un brontolio: il mio stomaco. Era ora di cena ormai. Decisi di risalire. Ma mentre camminavo su quei gradini pericolanti, sentii il bisogno di voltarmi ad osservare un’ultima volta quel piano.
Entrai in cucina. Logan era alle prese con i fornelli, lì l’unica che sapeva cucinare ero io ed infatti mi occupavo di tutti i giorni esclusi i martedì ed i giovedì, quelli erano di Logan, mentre i venerdì erano di Alison … in quei giorni mi preparavo un’insalata da mangiare in camera. La scusa? Ormai eravamo abituati a mangiare ognuno in posti diversi, a volte durante il giorno, nemmeno ci guardavamo.
- Che si mangia?- domandai sedendomi sulla credenza. Guardandomi attorno, notai un foglio di carta. Lo presi. “Attestato”. Guardai i risultati.
- Logan … di nuovo?- sbuffai vedendo le numerose F. Buttò il mestolo nella padella e si appoggiò al muro a braccia conserte.
- Cosa vuoi che ti dica? Non ci riesco! Per quanto ci provi, non riesco ad applicarmi! Cambieremo città il prossimo mese così potrò cambiare scuola … ho già preso i biglietti per l’aereo- a quelle parole la pagella mi cadde dalle mani. Ero a bocca aperta, sbigottita, quasi certa di aver sentito male. Lui non era nemmeno maggiorenne, dannazione!
- E dove andremo, scusa? Non abbiamo un tutore, non abbiamo una casa, non abbiamo nulla Logan!- gli dissi fissandolo negli occhi. Scesi dalla credenza e mi avvicinai a lui. Eravamo a meno di venti centimetri di distanza e potevo sentire il suo fiato caldo sulla mia pelle. Sospirò.
- Andremo nella casa … di nostra nonna … a Londra - a quelle parole mi dovetti appoggiare al tavolo per non cadere.
- Londra?- domandai incredula. La sua risposta fu uno sguardo a testa bassa. Misi una mano sulle labbra ed iniziai a saltellare per la cucina felice come mai lo ero stata da quando ero arrivata a New York. Londra, il paese di Dorian Gray, dov’era nato e vissuto. Era magnifico! Ci saremmo trasferiti lì, e magari in una casa migliore, dove c’era un adulto che ci avrebbe aiutati.
- Alison lo sa?- furono le uniche parole che mi uscirono dalla bocca. Lui annuì e ricominciò a cucinare. Uscii correndo dalla stanza e mi diressi spedita in camera mia. Londra! Solo quello mi risuonava per la testa, pareva che quel giorno dovesse arrivare da sempre, eppure … non era mai arrivato. Ma finalmente … finalmente, la mia vita sarebbe cambiata! Mi buttai sul letto ed iniziai a pensare alle valige, al giorno della partenza. Sorridevo come non mai, e se qualcuno mi avesse vista sarei potuta pure sembrare un po’ stupida, ma non m’importava, tutto ciò che volevo era partire, partire il prima possibile. Alison entrò in camera. Si chiuse la porta alle spalle ed iniziò a cercare qualcosa nei cassetti del comodino. Mi alzai di scatto.
- Hai sentito la notizia?- esultai. Forse non le avevo mai parlato con quel tono così allegro. Parlare con lei era sempre stato un supplizio, cercavamo di evitarci a vicenda: lei perché diceva che un fratello non l’aveva mai desiderato, e avrebbe sempre voluto essere figlia unica, ed una in più le peggiorava solo le cose. Peccato che lei fosse nata dopo suo fratello e quindi era lui che si doveva lamentare, cosa che assolutamente faceva. Io invece … non la sopportavo, punto! Rivolevo la mia famiglia, la mia mamma che la mattina mi svegliava con un bacio sulla fronte e con le carezze sulle guance, che quando mi leggeva le fiabe prima di dormire e, nonostante mi dicesse che era tardi e poteva leggermi un capitolo solo, finiva tutto il libro; che mi faceva portare i giochi nella doccia per farmi fare il bagno senza capricci, quella mamma che profumava di caffè … l’unica che io avrei potuto veramente chiamare mamma, la mia vera mamma. Il papà che mi prendeva sulle spalle e correva per tutta la casa come un pazzo, quello che giocava sotto una tenda creata da lui al re e alla regina, quello che mi proteggeva sempre quando la mamma era arrabbiata con me, anche se avevo torto; il papà che mi riprendeva con la videocamera la mattina appena svegliata e faceva le voci strane per farmi ridere. Quelli erano solo ricordi, ricordi che mi avrebbero accompagnata per sempre … ma che fuori dalla mia mente non avrei più rivisto.
Alison annuì non molto convinta e continuò a frugare nei cassetti.
- Non sei entusiasta?- le domandai prendendo una pinza per capelli ed iniziando a giocarci. Lei chiuse il cassetto con violenza e si alzò.
- No! No! No Claire! Non sono per niente entusiasta! Questa è la mia casa! Qui è la mia vita! Tu come ti sentiresti a trasferirti da casa tua e doverla lasciare probabilmente per sempre?- sbraitò senza freno. All’ultima frase abbassai lo sguardo, triste, con la mente invasa dai ricordi. Strinsi i pugni e mi lasciai cadere sul letto, seduta, stringendo il lenzuolo tra le dita.
- Oh … scusa …- sussurrò lei, senza sapere che altro dire, forse imbarazzata per la figura appena fatta. Per alcuni minuti rimanemmo in silenzio. Pareva che il tempo non passasse più, pareva un’eternità quella tra gli ultimi suoni uditi ed il momento che Logan ci chiamò per cenare.
Uscita dalla cucina, mi diressi lentamente nel seminterrato, che era più buio e freddo del solito. Iniziai a girare per la cantina alla ricerca del pianoforte. Sentivo di doverlo toccare un’altra volta. Era stato così travolgente prima poter appoggiare le dita sui tasti freddi e vecchi ma che emettevano un suono ancora delizioso. Ma nonostante mi sembrasse aver controllato in ogni angolo … il pianoforte non c’era. Quasi fosse stata pazzia, un sogno. “Impossibile” mi dissi allucinata. Rifeci il giro del seminterrato provando ad allargare le braccia per vedere se urtavo qualcosa ma le uniche cose che trovai furono scatoloni e qualche vecchia sedia coperta da polvere e vecchie coperte. Ma lui non c’era, il piano era sparito. Era assurdo! Un pianoforte di quelle dimensioni non poteva sparire da un momento all’altro! Parevo pazza, potevo davvero sembrare una squilibrata da manicomio! Ma sapevo che c’era, ne ero sicura, lo sentivo ancora sotto le dita!                                               
Mi coprii il viso con le mani, quasi stessi per piangere, perché era quella la sensazione che sentivo, volevo solo piangere. Ero talmente sicura che ci fosse, che fosse lì che mi ero illusa di poterlo portare con noi a Londra, ma non sarebbe stato così. Tolsi le mani e, rassegnata me ne tornai in camera, ma ero certa di averlo visto, di averlo toccato, non ero pazza e non avevo immaginato tutto: quel piano c’era davvero!
   
 
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