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Autore: Ronnie02    25/09/2012    4 recensioni
(Sequel "One Day Maybe We'll Meet Again)
Ormai le famiglie dei nostri pazzi marziani sono stabilite e la normalità regna nella loro vita. Tra famiglia, album e concerti, però Jeremy, come l'ultima volta, si ritrova a sfogliare un vecchio album fotografico. Cosa scoprirà attraverso quelle foto? Che ricordi nascondo quegli scatti?
*slide of life della storia principale*
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'One Day Maybe We'll Meet Again'
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Salve Echelon! Bentornati a tutti, sono qui con il nuovo capitolo del sequel di "One Day Maybe We'll Meet Again"! *ma dai?!*
Ok, vado avanti :D
Questa volta si salta prospettiva e andiamo nella mente del nostro bel Tomino, tanto caro e tenero (il quale, brutto stronzone ha fatto un mini VyRT di notte senza avvisare.. ma bravo!) *è pazza*
Vediamo se riuscite a capire in che periodo siamo (non è per niente difficile), e spero che vi piaccia. 
Buona lettura




Chapter 2. The Girl On Fire

 



“Tomo!”, urlò Jared nel mio orecchio, facendo seguire quell’orribile suono con un’allegra risata delle sue. Mi piaceva sentirlo ridere, visto che la notte precedente era entrato per tutta la durata delle tenebre in un coma remunerativo in cui apriva la bocca solo per dire Ronnie.
Mi aveva parlato di questa ragazza da tanto tempo ormai, ma solo nelle fasi in cui si deprimeva e entrava in quello stato che qualcuno chiamerebbe impasse, se lo osservasse da fuori. Ma lui in quei momenti non era impassibile: dentro soffriva tantissimo e, dopo aver imparato a conoscerlo, vedevo la sua sofferenza nei suoi occhi.
Ronnie… la sua unica vera fiamma, che si era spenta per uno stupido errore.
“Jared, a volte vorrei buttarti in un falò, tanto per vedere se la tua stupidità è un buon combustibile”, dissi mentre mi alzavo dal letto, senza maglietta e con solo i pantaloni della tuta. Mi sistemai un po’ i capelli, che avevo tagliato, e mi stropicciai gli occhi.
“Forza, Tomo! Oggi sarà una grande, grande, grande giornata!”, esclamò facendomi alzare gli occhi al cielo.
“Cosa succede oggi di importante, sentiamo?”, chiesi io, dimenticandomi completamente.
“Tomo… siamo a New Orleans in vacanza, potremmo anche andare un giro, sai?”, disse come se fosse ovvio. “Shannon e Matt gli ho già svegliati, quindi muoviti… cazzone!”.
“Come siamo gentili, stronzetto!”, replicai facendogli la linguaccia. Chissà perché proprio New Orleans, mi ero chiesto così tante volte… in fondo Jared e Shannon non erano di qui, e come loro nemmeno Matt. Io avevo abitato al Nord, dopo essermi trasferito da Sarajevo, quindi il Sud non aveva nulla a che fare con me.
Ma i Leto avevano detto ‘volevamo fare una gita, abbiamo preso una cartina e la fortuna ha indicato New Orleans’. Conoscendoli, credevo in ciò che dicevano.
Li immaginavo mentre rubavano a Constance, come dei bambini di dieci anni, una cartina degli Stati Uniti e avevano giocato a freccette per trovare una giusta meta.
New Orleans… cosa mi avrebbe riservato New Orleans?
Scossi la testa ed evitai di farmi incenerire da Jared per il ritardo cominciandomi a lavare e poi cambiare. Pantaloni di jeans, maglietta nera e giacca di pelle. Ovviamente occhiali da sole: il marchio Thirty Seconds To Mars.
Quando fui pronto presi il telefono e uscii dalla mia stanza, scendendo nella hall dell’hotel in cui alloggiavamo. Lì Shannon stava muovendo la testa a scatti, a destra e a sinistra: poteva sembrare un pazzo a prima vista ma notando le sue cuffie sapevo che stava creando.
Matt, che era il meno stravagante del gruppo, stava guardando il telefono, forse mandando messaggi a Debby, la ragazza con cui si sentiva in questo momento.
Jared… Jared era Jared e stava al telefono con Emma per decidere sulle tattiche per il prossimo album, che avremmo inciso tra qualche mese. Il primo album dove compariva il mio nome.
“Sì, credo che lui sarà molto contento. Emma, fai il possibile”, disse avvicinandosi a me. “Oh, Tomo, Tomo, Tomo… i prossimi mesi di registrazione saranno…”.
“Un inferno se dovremmo sopportarti”, gli rispose Shannon togliendo le cuffie e prendendo il giro suo fratello minore.
“Grazie bro… grazie davvero per la considerazione”, fece l’offeso per poi tornare a guardare me con un sorriso.
“Jared, mi fai paura”, dissi sorridendo mentre Matt metteva via il telefono e richiamava tutti all’ordine.
“Allora, vogliamo andare o restiamo in hotel per tutto il resto della vacanza? Io vorrei vederla, New Orleans!”.
“Sì… giusto, bravo Matt!”, si svegliò Jared lasciandomi in pace e andando davanti a tutti. Matt andò dietro a lui e, in coda come se fossimo una scolaresca, io e Shannon li seguimmo.
“La tua prima gita di gruppo”, commentò il batterista quando cominciammo a camminare al sole cocente del Sud, in una bella nuova giornata.
“Già… il mio sogno”, sussurrai sorridendo nel vedere Jared indicare cose a caso, come anche cassonetti o lampioni, ma tutti con la stessa meraviglia.
“Sono contento di aver scelto te. Jared ha grandi progetti sul tuo conto: fa bella figura come sempre alle registrazioni e entrerai nel cuore di tutti i marziani”, mi confessò.
“Lo farò, Shannon. Promesso”, dissi io. Ma non sapevo che qualcosa, o meglio qualcuno, mi avrebbe un po’ distratto da quel momento in poi.
Non tanto da farmi sbagliare le prove e farmi odiare da Jared, ma persi i miei pensieri nei suoi occhi scuri e l’immaginazione per le canzoni era fissa sul suo volto.
 
“Non cambierai mai, Vicky Bosanko. Mai”, sentii dire da una ragazza dai lunghi boccoli rossi, seduta davanti al bancone, mentre parlava con la cameriera. Una piccola ragazza sui vent’anni dagli occhi e capelli scuri. Piccola… doveva avere circa la mia età, ma la sua statura la tradiva di qualche anno.
“Senti, piccola impertinente, non mi rompere!”, rispose la ragazza, Vicky a quanto pare. “Quanto mai ti ho invitata a trovarmi…”.
“Vedo che la gentilezza ti caratterizza sempre come un tempo!”, disse la rossa, muovendo i suoi capelli, come se avesse caldo, e legandoli in una treccia laterale. Alcuni boccoli sfuggirono alla presa e ne rimase una bella acconciatura spettinata. “Insomma, ti ho lasciata cameriera e ti ritrovo cameriera!”.
“Mi serviva un lavoro e questo è il meglio che ho trovato, ok?”, si difese mettendo il broncio la mora. “A proposito, tu e Andy che state facendo?”.
“Quello che facevamo l’ultima volta che ci sei venuta a trovare a New York qualche mese fa”, sorrise la rossa, chiedendole un’altra Cola, che la mora le preparò subito con aria felice. “Lo studio fotografico va bene, clienti ce ne sono. Devo ringraziare Andy, in fondo è merito suo se dopo la sua università mi ha trovato un lavoro”.
“Almeno siete insieme”.
“Potresti venire anche tu. Insomma a settembre dovresti fare l'ultimo anno, no? Basta che dai via la casa qui e vieni a vivere con noi: lo spazio c’è e per me sei come una sorella. Andy non si fa problemi… le stai simpatica, lo sai”, propose lei.
La mora si voltò verso di me, sentendosi ovviamente osservata, così presi in mano il telefono e feci finta di giocherellare e bere la mia Cola, mentre aspettavo che i ragazzi tornassero dalla loro gita.
Non ero andato stavolta. Volevo farmi un giro per i fatti miei di qualche minuto e poi tornare in albergo per riposarmi: ne avevo bisogno dopo giorni e giorni di camminate per scoprire le meraviglie di New Orleans.
Ma non smisi di ascoltare.
“Veronica, lo sai…”.
“No, Vicky, non lo so!”, sbottò la rossa, Veronica. “Parli sempre di cambiare vita… insomma ti conosco, da quanto ti sei trasferita da Bossier City hai cambiato casa ogni sei mesi tipo e non ti ci vedo a restare qui per il resto della tua vita”.
Bossier City? Ma non era la città natale dei Leto?
“Lo so, Veronica. Ma lo sai che il mio sogno era tornare qui a New Orleans e…”, cercò di spiegare, ma poi non la sentii più parlare. Sì, ero un fottuto spione ma per una volta non ci feci caso e sperai che non si fosse interrotta per me.
“Esatto, il tuo progetto era tornare qui. E basta”, caricò la rossa. “Non mi hai parlato di famiglia, successo, carriera qui. Ti prego, Vicky! Ti prego!”.
“Non fare quella faccia…”.
“Quale faccia?”, ridacchiò l’altra.
“La faccia da cucciolo abbandonato a cui non posso dire di no!”, scoppiò a ridere la cameriera. Era una risata cristallina, quasi dolce.
“Io per lui ho cambiato vita…”, disse la rossa con un tono non più triste ma completamente sconfitto. “Mi sono obbligata ad andarmene, a non ripensarci più. Certo, mi capita di rivederlo nei ricordi, ma è… passato. Quindi muovi il culo e fai come me: torna a New York!”.
“Ci penserò… davvero Veronica ci penserò! Non mi guardare così, te lo prometto”, ridacchiò, forse perché l’altra non le credeva.
“Bene, ora vado… ci sentiamo stasera? Devo fare delle foto”, chiese la rossa.
“Certo, da me alle otto: cucini tu però, italiana! E voglio vedere le foto”, le gracchiò, come se fosse lontana.
“Con molto piacere, Southern girl!”, sentii piano la risposta della rossa, che probabilmente se ne era andata.
I campanellini sulla porta d’entrata scandirono la sua uscita e così io chiamai Jared. Era ancora in giro con Shannon e Matt e non sarebbero tornati prima di due ore.
“Ok, allora torno a casa e vedrò di inventarmi qualcosa da fare”, risposi al telefono.
“Sicuro che non ci vuoi raggiungere?”, chiese Shannon strappando l’aggeggio dalle mani di suo fratello.
“No, tranquillo batterista. Sono stanco, ho voglia di starmene tranquillo e in silenzio”.
“Ok, capito. Ci vediamo stasera allora”, mi salutò per poi riattaccare. Sorrisi e misi via il telefono, notando che davanti a me c’era il conto del bar per quello che avevo mangiato.
Lo presi in mano e lo guardai.
“No, mi dispiace, non ho scritto il mio numero”, sorrise la cameriera, che prima era al bancone, venendo verso di me e sedendosi nella sedia davanti a me.
“Cosa?”, chiesi senza nemmeno rendermene conto.
“Ho detto: non ho scritto il mio numero, mi dispiace”, ripeté di nuovo indicandomi il conto e ticchettando con le unghie sul tavolo. Rise ancora e poi continuò. “Quindi è inutile che controlli”.
“Non stavo cercando il tuo numero, ero sovrappensiero…”.
“Oh già, come lo eri prima mentre guardavi il telefono e nello stesso tempo origliavi la mia conversazione”. Merda. Beccato in pieno.
Scoppiò a ridere e poi mi fissò per un po’. Sorrideva, quindi non era così tanto arrabbiata…
“Che c’è?”, chiesi disturbato da tutto quel fissare.
“Niente… è che ti ho già visto da qualche parte”, mi studiò. “Boh… ma dimmi, perché ci stavi spiando? Conosci Veronica?”.
“Chi? La ragazza rossa? No, non credo di averla mai vita”, risposi cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Oh.. allora mi spieghi perché diavolo ci stavi ascoltando? Non avevi di meglio da fare?”, chiese ancora.
“Sinceramente?”, domandai e lei annuì curiosa. “Non ne ho idea. Si vede che non avevo esattamente di meglio da fare”.
E lei scoppiò a ridere, come se avessi fatto la battuta migliore del mondo. “Sei simpatico…”.
“Tomo. Tomo Milicevic”, mi presentai mentre la vedevo sgranare gli occhi, come tutti gli americani a cui dicevo il mio nome.
“Vicky. Vicky Bosanko”, mi rispose offrendomi la mano. “Da dove vieni… Tomo?”.
“Sarajevo. Mi sono trasferito quando ero piccolo con la mia famiglia e prima vivevo nel Michigan”, le risposi creando sul suo viso un’espressione molto interessata.
“Wow… mai vista Sarajevo, deve essere stupenda!”, immaginò mentre vedevo i suoi occhi perdersi in una città creata dal suo cervello.
“Lo è”, commentai semplicemente.
“Hai detto che prima vivevi nel Michigan. Ora dove abiti? Qui a New Orleans?”, chiese curiosa.
“Los Angeles… faccio parte di una band”, diedi piccole informazioni, ma oltre a questo non le avrei detto nient’altro, e  neppure dovevo se volevamo ancora uscire di casa per il resto della vacanza.
“Wow… voglio dire: forte!”, ridacchiò guardandosi poi l’orologio sul polso, dove un po’ più in basso, in penna, c’era scritto Casa Veronica, cena. Forse era un promemoria sulla pelle per quello che aveva promesso alla rossa. “Merda devo andare!”.
“Bè, non ti voglio far licenziare in tronco, quindi… ci vediamo”, dissi prendendo il portafoglio e passandole i soldi della consumazione.
“Chiamami”, disse soltanto mentre si alzava e lasciava la sedia vuota. Mi alzai per andarmene fuori ma qualcosa mi colpì, esattamente nel punto in cui era venuta a parlarmi. Sulla sedia c’era appoggiato un foglio con il nome del bar e la scritta Nice to meet you con un numero di telefono sotto di esso.
Sorrisi, presi il foglio e uscii dal bar. Chiamo o non chiamo?, mi chiesi.
 
“Ci divertiremo dai!”, cercarono di convincermi i ragazzi quella sera mentre io pensavo a come avrei potuto spedirli a quella festa senza di me.
“Ragazzi…”, cercai di giustificarmi, ma la mano di Jared fu sul mio braccio e, con una forza che non avrei mai immaginato, cominciò a tirarmi su di peso.
“Ragazzi un cazzo, muovi il tuo fottuto culo e vieni con noi!”, mi ordinò facendo ridere Matt e Shannon. Mi guardò in attesa di una risposta e, alzandomi da solo, sbuffai.
“Ok, ok, verrò con voi!”, annuii facendoli esultare. Che idioti…
“Bene, ora fila a cambiarti”, mi rimproverò Jared ridendo.
“Sì, come desideri… mamma”, lo presi in giro mentre lui mi faceva il medio, con un sorriso sul volto.
Spostandomi da loro andai in bagno, prendendo dei vestiti decenti. Mi feci una doccia veloce, sistemai i capelli e poi cominciai a vestirmi. Niente di eccezionale: pantaloni, maglietta e giacca di pelle.
Il mio stile era più o meno basato su quegli indumenti.
“Ok, ora siamo tutti pronti”, disse Matt con i suoi jeans e la sua camicia nero cenere. I corti capelli biondi erano tutti spettinati come sempre.
“Già, direi che possiamo andare. La domanda è: dove?”, sorrise Shannon, anche lui in jeans ma con una maglietta bianca e rossa.
“Calmi, fidatevi del vostro Jared, è tutto sotto controllo. Seguitemi”, disse il fratello piccolo mentre Shannon alzava gli occhi al cielo, pregando. Jared aveva dei pantaloni neri con una camicia bianca, fintamente sporcata di nero, e poi aveva anche i suoi occhiali scuri. Cosa gli servissero in piena notte era un mistero, ma ormai sapevo che ben presto avrebbe passato quel vizio a tutti quanti.
Uscimmo dall’hotel e prendemmo un taxi. Jared disse l’indirizzo e poi si mise comodo, parlando con suo fratello di qualche vecchio ricordo.
Matt stava giocherellando con il suo telefono come al solito, facendo un po’ l’associale, così mi misi a parlare con lui.
“Allora Matt, come va?”.
“Oh… bene, Tomo, perché?”, chiese lui mettendo di fretta il cellulare in tasca. Qualcosa non quadrava…
“Niente, sei lì tutto muto, mi sembra solo un po’ strano”, mi giustificai.
Lui alzò le spalle e non disse più nulla, toccando con la mano il telefono in tasca, che aveva preso a vibrare. Lasciai perdere e mi rimisi al mio posto, mentre lui controllava il messaggio.
Dopo qualche minuto Jared fermò l’autista e gli indicò una discoteca sulla destra. L’uomo annuì, cercò di parcheggiare e ci lasciò scendere davanti all’entrata.
“Amici miei… via al divertimento!”, disse sorridendo ed entrando nella discoteca, inghiottito dal buio e dalla musica che dava alla testa.
Guardai Shannon e lui alzò le spalle, così entrammo entrambi, seguiti da Matt.
Tutti si stavano divertendo, bevendo, chiacchierando ai tavoli intorno alla pista da ballo. Al centro di quella c’erano tantissimi ragazzi e ragazze  ballavano anche con bicchieri in mano e la faccia sull’ubriaco andante.
Ma una persona mi colpì in pieno petto.
I capelli corti e marroni legati in un piccolo raccolto ad opera d’arte, il collo, le scapole e le spalle intrise di brillantini rossi e arancioni, orecchini da cui pendevano fili leggeri azzurri, cremisi e gialli.
Il vestito, a vederlo da dietro, era una cascata di stoffa a balze: la prima azzurra, la seconda giallastra, la terza arancione, la quarta rossastra e la quinta, che poi copriva anche il busto e definiva il vestito, rosso sangue.
Si voltò, facevano una piroetta, e fu come se il fuoco del suo vestito prendesse vita. Era tutto così, anche davanti, tranne la fascia del seno, che teneva su la stoffa, tutta rossa.
“Oh… Tomo! Tomo, giusto?”, mi notò venendo verso di me con i suoi alti tacchi rossi.
“Ehm… sì sì, Tomo”, balbettai vedendo il suo viso truccato a meraviglia. “Vicky, giusto?”.
“Giustissimo”, ridacchiò per poi incupirsi di un poco. “Come mai qui?”.
“I ragazzi hanno deciso di uscire”, dissi senza rivelare chi fossero i ragazzi.
“Non mi hai chiamata”, commentò alzando le sopracciglia. Questo voleva dire che le importava?
“Forse sapevo che ti avrei trovato qui… ragazza in fiamme”, continuai indicandole il suo vestito.
Scoppiò a ridere. “Tacchi e vestito… non è il mio genere, fidati. Ma l’ho fatto per la mia migliore amica: mi è venuta a trovare dopo tanto tempo e quindi ho dovuto stare alle sue regole”.
“Mi sembra giusto”, sorrisi io, vedendo una ragazza dai capelli rossi, raccolti in una treccia lunga fin sotto il seno, con un abito corto blu elettrico e dei tacchi dello stesso colore, avvicinarsi a noi.
“Parli del diavolo…”, cominciò Vicky.
“E spunta Veronica”, sorrise la nuova arrivata. “Lui è il tuo nuovo amico?”.
“Sì, lui è Tomo Milicevic”, arrossì Vicky mentre stringevo la mano alla sua amica, sorridente e con due occhi verdi da farti sognare.
Ogni volta che vedevo quegli occhi non ero più capace di ragionare, e i suoi capelli erano una cascata di sangue che ti entrava nel cuore. E’ come se la vedessi ancora accanto a me…
“Di dove sei Veronica?”, chiesi io, preso dai discorsi del solito Jared depresso.
“Italia… ma mi sono trasferita qualche anno da a Bossier City, dove ho incontrato questa pazza. Ora vivo a New York, con l’altra mia migliore amica”, mi rispose lei sorridendo.
E quel suo accento italiano… mi faceva così ridere a volte! Mamma con lei faceva le sfide a chi cucinava la pizza migliore…
“Che bello…”, commentai io, preso da due desideri contrastanti: nascondere a Jared la presenza di una sua ex così importante o lasciar perdere.
“Ora devo andare, Vic. Ci vediamo appena finisci qui, ok?”, disse Veronica ammiccando all’amica, che diventò rossa quanto il suo vestito.
“Lasciala perdere: ha il cervello fuso per un amore finito male”, ridacchiò.
Non avrei mai voluto che finisse. Cristo, Tomo, perché l’ho fatto? Perché?!...
“Tomo!”, sentii la voce di Jared che mi chiamava dal bancone. Merda…
“Quello è Jared Leto?”, chiese sottovoce Vicky.
“Sì…”, cercai di dire valutando la sua espressione. Si voltò verso l’amica e poi riprese il discorso con me.
“Portalo più lontano possibile da qui. La nostra uscita finisce ora, Tomo”, dichiarò alzandosi ancora un po’ sui tacchi e dandomi un baco sulla guancia. “Ma spero che mi chiamerai la prossima volta”.
“Stanne certa, ragazza in fiamme”, sorrisi lasciando che andasse dalla sua amica, per poi dirigermi verso Jared.
Ci misi un po’, ma poi lo convinsi ad uscire da quella discoteca. Non capiva cosa andasse storto, ma dopo qualche meglio girare un po’, non credi? o non mi piace la musica qui oppure anche credo di aver visto un posto migliore decise di farmi contento e andare via.
Però ebbi sfortuna.
“Tomo… mi sa che ho le visioni”, commentò mettendosi una mano sulla fronte, come se la testa pesasse di più a causa dell’alcool. “Ho visto Ronnie”.
 
“E così vi siete conosciuti a New Orleans”, dissi guardando i miei zii.
“Già, piccolo frutto di una pazza coppia”, commentò zia Vicky mentre vedeva la foto che avevo scelto, continuando l’interessante gioco che aveva inventato mia madre.
“Ehi!”, urlarono i miei entrando in casa con Sandy in braccio. Erano andati dal veterinario per farla vedere ma a quanto pare stava benissimo. Quella vecchia gattaccia aveva la pelle dura!
“Scusatemi dolcezze, non volevamo offendere nessuno”, si scusò Tomo ridendo mentre Sandy si strusciava contro i suoi polpacci.
“Parla per te!”, rise zia Vicky , beccandosi una cuscinata da mia madre, con un piccolo cuscino del divano che avevamo in salotto. “Ok, ok, chiedo venia!”.
Sorridemmo tutti, mentre mia madre riguardò la foto che avevo deciso. “New Orleans… che ricordi”.
“Già... ti avevo vista ma ancora non ti potevo parlare”, disse tristemente mio padre.
“L’importante è che alla fine ci siamo ritrovati”, sorrise mia madre girandosi e dando un bacio a mio padre. Non sarebbero mai cambiati quei due.
 

...
Note dell'autrice:
Bè... il titolo è ovviamente preso da  "The Hunger Games"... Cinna ha fatto da stilista pure a Vicky a quanto pare :D
Mi sono sempre piaciuti quei due e mi è piaciuto un sacco scrivere di quando si sono  conosciuti. Bè, spero che sia piaciuto anche a voi (ho usato troppe volte il verbo 'piacere' questa cosa non va bene). 
Bè, se ci sono errori scusatemi ma sono malata ed è già tanto che ho aggiornato. "I'll do it for the kids... for the fans!" (The Rev insegna *-*) 
Anyway, ci vediamo la prossima settimana con il terzo, fatemi sapere cosa ne pensate, anche se vi fa schifo :D
Bacioni, Ronnie02
   
 
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