CAPITOLO 1.
Q |
uella sera continuai a guardare il
soffitto,
sdraiata sul mio letto. Pensavo, anzi, ero certa, che Arget mi sarebbe
stato
d’aiuto e che, se gli avessi spiegato la mia attuale
situazione, sarebbe stato
lieto di avere compagnia durante il suo viaggio. Scrollai il capo,
rendendomi
conto di quanto fosse assurda quell’idea. Come avevo potuto
pensare di lasciare
di nuovo casa e parenti per andare via con quello che era un completo
estraneo,
soltanto per poter tornare dalla mia famiglia?
La mia famiglia?
Tentai di convincermi che il sonno
stava cominciando
ad offuscare i miei pensieri: in fondo, per quanto cari, Ryan ed il
maestro non
erano e non sarebbero mai stati la mia famiglia e il luogo dove loro
vivevano
e che loro chiamavano casa non sarebbe mai stata
anche la mia.
…o forse
sì…
Così, immersa nei dubbi
di quella notte, mi
addormentai.
La mattina dopo, quando mi
svegliai, mi sentivo
stanca come se non avessi dormito affatto. Ero sudata ed avevo il fiato
corto,
come se il mio sonno fosse stato disturbato dai lunghi e tormentati
pensieri
della sera prima. Mi sentii sola e avevo solo voglia di scappare,
dimenticare
tutto e ricominciare la mia vita lontano da lì, lontano da
tutto quello che
conoscevo, senza pensieri, senza le incertezze che cominciavano a
sorgere
nella mia mente e che temevo, da quel giorno in poi, mi avrebbero
accompagnata
per sempre nella mia vita.
Evelyn bussò alla porta,
riscuotendomi dai miei
pensieri.
"È permesso?" chiese,
entrando.
Sorrise timidamente, poi disse: "È passato Arget prima, ha
detto che
vuole parlarti e che ti aspetta al fiume, lì dove
c’è il ponte."
"Quando?"
"Prima possibile: credo sia
già lì."
Senza fare troppe domande, uscii di
casa,
chiedendomi cosa avesse di così importante da dirmi da non
poter neppure
aspettare il pomeriggio.
Quando arrivai, trovai Arget
poggiato al parapetto
del ponte di legno, intento a fissare lo scorrere del fiume. Lo salutai
con la
mano, andandogli incontro. Lui mi sorrise lievemente, poi
tornò a scrutare il
corso d’acqua, in silenzio. Per molti secondi a seguire
nessuno di noi parlò
poi, improvvisamente e senza un motivo preciso, lui scrollò
il capo e se ne
andò, con le mani appoggiate alla cinta. Lo seguii senza
fare domande,
incuriosita ancora di più su quello che doveva dirmi. Lui
parve sorpreso nel
vedermi ancora al suo fianco. Sorrise.
Non sembrava avere intenzione di
parlare, così
dissi, sarcastica: "Non troverai mai una ragazza se ti comporti
così…"
Rise, poi si decise a parlare.
"Tu…somigli
molto a una persona…credo." Fece una lunga pausa, in cui ne
approfittò
per guardarmi meglio, poi continuò "Prima di partire per
venire qui, un
mio amico mi ha chiesto di cercare una ragazza…una sua
carissima amica di nome
Elyon."
Sgranai gli occhi e, tentando di
non farmi
illusioni, mi chiesi chi potesse cercarmi e se fossi davvero io quella
Elyon e
non soltanto un caso di omonimia, poi lui continuò
chiedendomi: "Conosci
per caso un ragazzo di diciotto anni, capelli sul biondo cenere, occhi
chiari e
che si chiama…"
Pensando a quella descrizione,
sussurrai distrattamente "…Ryan…" Era davvero lui?
"Esatto" esclamò Arget,
sorpreso. "Allora sei tu! Oh, meno male!"
Sorrisi. "Non posso crederci! Ti ha
detto
qualcosa? "
Annuì. "Gli manchi e
vorrebbe che tu fossi
ancora con lui…"
"Lo vorrei tanto
anch’io…"
Ci sedemmo sull’erba,
inumidita dai piccoli e
costanti schizzi d’acqua del fiume. Parlammo tanto, senza
pensieri, gli
raccontai di me, di come mi sentivo un’estranea nella mia
famiglia, della
lettera che il mio maestro mi aveva mandato e in cui mi chiedeva di non
cercarlo più, quando io avrei voluto così tanto
tornare da lui e da Ryan.
Recentemente avevo detto alla mia famiglia che avevo intenzione di
tornare da
loro ma questi, saputo della lettera, mi impedirono di raggiungerli.
Non capivo
perché. Dissi loro che non mi avrebbero mai chiesto di non
fare ritorno se non
fosse successo qualcosa e io volevo scoprire cosa...
Dopo aver riflettuto su quello che
avevo detto,
Arget disse: "Posso aiutarti!"
"Cosa?"
Sorrise nel vedermi così
confusa e speranzosa. "Sì, intendo a partire…" si
corresse, mentre continuava a
riflettere "…più a fuggire, nella tua situazione
attuale."
"Davvero?" chiesi, incredula. In un
primo momento mi rallegrai al pensiero di abbandonare quella
realtà così
scomoda e sofferta per me, ma poi dissi: "Non posso."
Arget mi guardò,
curioso. "Perché?"
"Non sarebbe giusto per gli
altri…voglio
dire…per la mia famiglia."
Sorrise di nuovo. "Fa’
come vuoi"
sussurrò "In ogni caso, ti aspetterò sotto casa
tua al tramonto…che tu
venga o meno non fa differenza, me ne andrò comunque." Si
alzò, mi
guardò un’ultima volta e si congedò,
mentre attraversava il ponte e spariva
dalla mia vista.
E così arrivò
il tramonto, tra dubbi, paure e
speranze impressi come un marchio a fuoco nella mia mente. Ormai avevo
deciso.
Mi affacciai alla finestra della mia camera: Arget era appoggiato ad un
muro di
casa. "È già qui…"
Presi la borsa che avevo
preparato sul letto, l’arco – che Ryan mi aveva
insegnato ad usare – e la
faretra, poi tornai alla finestra.
"Arget!" chiamai.
Lui alzò la testa.
"Che faccio: scendo?"
Sorrise e, annuendo, mi disse:
"Attenta a non
farti vedere."
"Sta’
tranquillo…sono mesi che aspetto questo
momento!" Guardai di sotto, fremendo per l’eccitazio-ne.
Durante i mesi
passati in quella casa avevo scoperto che potevo calarmi dalla finestra
della
mia camera, perché alcuni dei mattoni che componevano la
casa sporgevano e,
altri invece, erano rientranti. Salii sul davanzale e, stando molto
attenta a
non scivolare da quei rari punti d’appoggio, scesi tutta la
parete.
"Tutto bene?" chiese, stupito.
Annuii, soddisfatta.
"Credevo usassi le
scale…"
"No…le scale non mi sono
mai
piaciute…" Ma mi resi conto che avrei fatto meglio ad
usarle, visto che
mi facevano male le mani …forse avrei dovuto usare i
guanti…
Arget si guardò intorno,
poi disse: "Bene.
Faremo meglio ad andare, se non vogliamo essere scoperti."
Ci mettemmo a correre e ci fermammo
solo quando
fummo sicuri di essere abbastanza lontani da casa mia. Ci appoggiammo
alla
parete di un edificio per riprendere fiato. "Dunque: facciamo il punto
della situazione: dici che mi puoi aiutare, ma non so niente di
te…chi sei, da
dove vieni, dove devi andare…"
Sorrise. "Io…sto
cercando una persona e, per
farlo, devo viaggiare: non importa dove, ma devo
viaggiare…per quanto riguarda
il resto, ci penseremo più tardi; ora faremo meglio a
trovare una locanda dove
passare la notte."
Annuii, felice al pensiero che
presto avrei rivisto
Ryan ed il maestro.