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Autore: Querthe    12/04/2007    9 recensioni
Una sorta di poliziesco a metà strada tra un noir e X-file, o così spero di riuscire a farlo. Scusate se ogni tanto nella storia uso qualche imprecazione, ma non conosco poliziotti da film non scurrili. Mamoru e Rei compagni di squadra, un rapimento e un mistero attorno alla figura di un angelo biondo a cui mancano solo le ali e l'aureola, ma con dei bei codini...
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Rei/Rea, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie, Contesto generale/vago
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L'uomo attese paziente che la porta del vecchio ascensore finisse la sua corsa nel muro, quindi uscì nel corridoio e si diresse stancamente verso la porta del suo appartamento. Infilò la chiave e tentò di aprire, ma la serratura come ogni sera era restia a recitare il suo ruolo.
- Che il diavolo ti mastichi e ti... - iniziò ad imprecare.
- Buonasera Signor Chiba. Ha fatto tardi anche questa sera...
L'uomo si voltò bloccando la frase e sbattendosi in faccia il migliore sorriso di cortesia che riuscì a trovare.
- Buonasera signora Kino. Già. Al commissariato c'è stato del lavoro extra e...
- Capisco. - sorrise dolce la donna, sulla sessantina, i capelli brizzolati ancora a mostrare il marrone della chioma originale. Indossava un completo verde scuro e dalla porta aperta arrivava profumo di arrosto alle mele e torta di nocciole. Lo stomaco del trentenne commentò sommessamente. - Vuole cenare con me e mia figlia? Ho preparato tanta roba e la sua compagnia è certo più adatta della mia... Noi madri sappiamo essere davvero pesanti, a volte.
Mamoru sospirò.
- Come accettato, ma preferisco riposare. Sarei un ospite scortese stasera... - si scusò finendo di aprire la porta. La sua vicina non perdeva occasione. La sua crociata per sposare la figlia con lui era innocua, ma a volte, come quella sera, estenuante. - Buonasera, Signora Kino.
- Makoto! Mi chiami pure Makoto! - gli urlò mentre lui chiudeva la porta e gettava l'impermeabile grigio scuro sul divano.
La testa gli doleva, i piedi avevano già mandato lettere minatorie e lo stomaco stava chiaramente protestando per il poco cibo e le troppe sigarette. Meccanicamente si allentò la cravatta, abbandonò le scarpe sul pavimento e aprì la porta del frigorifero, arraffando una lattina di birra e aprendola. Solo alla fine del secondo sorso abbassò lo sguardo sui due gatti che si strusciavano il fianco sulle sue caviglie e sui suoi stinchi.
- Luna. Artemis. Scommetto che avete fame anche voi, eh?
Sia la gatta nera con la macchia a forma di luna in bianco che il suo compagno colorato in negativo rispetto a lei lo guardarono curiosi, per poi miagolare all'unisono. Mamoru aprì due scatole di cibo per gatti e lo scodellò in una ciotola di plastica, quindi si mosse nel bagno dove si concesse una doccia bollente. Si osservò allo specchio, una volta uscito, il volto ben delineato, la barba sfatta dovuta alle trenta e oltre ore in commissariato, gli occhi rossi con occhiaie scure e profonde per lo stesso motivo e per l'acre piacere del fumo. I muscoli del petto guizzarono nel muoversi, sebbene stanchi, mentre si massaggiava con la mano il mento e le guance. Incerto, decise infine di non rasarsi, preferendo infilarsi un paio di pantaloni da ginnastica e una maglietta nera di una squadra di basket americana. Prese un'altra lattina di birra, scongelò e fece cuocere una pizza nel microonde e si gettò sul divano accendendo la televisione sul canale dell'informazione sgranocchiando patatine al bacon. Addentò una fetta triangolare coperta di pomodoro, mozzarella e salame e finalmente si rilassò. Le notizie scorrevano veloci e cariche di disgrazie, ma lui non ci badò, perso nella sua personale catalogazione degli avvenimenti della giornata. Allungò la mano verso la lattina, ma la mancò per la stanchezza, facendola cadere. Parte della birra cadde sul basso tavolino velocemente quanto le imprecazioni. Si alzò verso la cucina per prendere della carta assorbente e un'altra lattina. Uno stridere di freni attirò la sua attenzione. Dalla piccola finestrella accanto al lavabo vide una figura camminare come sonnambula, illuminata solo dai fari della macchina che aveva dovuto inchiodare per evitare di ucciderla.
- Cretina! Guarda dove vai, imbecille! - le gridò il conducente, ripartendo.
Mamoru vide la figura di una donna, da quello che poteva intuire, arrivare sul marciapiede e fermarsi. Si rannicchiò sotto un lampione e lì rimase.
- Di matte ce ne sono in giro... - ridacchiò tornando al divano e scolandosi la birra.
La pizza era diventata fredda quando decise di mangiarsi il terzo pezzo. L'uomo chiuse il cartone che aveva ospitato il cibo e lo buttò nella spazzatura. La donna era ancora sotto il lampione, e aveva iniziato a piovere. Lui scosse la testa, e si voltò. Si fermò sulla porta della cucina, imprecò e si infilò l'impermeabile oltre a delle scarpe da ginnastica slacciate. Scese le scale velocemente, afferrando un ombrello dal contenitore a lato della porta di un inquilino del secondo piano e si ritrovò all'aperto, diretto verso quella che sembrava il suo ennesimo caso da poliziotto. Nella sua mente passarono automaticamente le possibili ipotesi del suo comportamento. Poteva essere pazza, drogata, sonnambula, vittima di uno stupro o sa il diavolo che altro. Avvicinandosi notò che era vestita con una tunica bianca senza maniche. Aggiunse adepta di qualche setta satanica alla rosa di possibilità. Non era una tunica, ma una sorta di camice da ospedale. Aveva i capelli biondi, lunghissimi e fini, quasi luminosi. Si era rannicchiata e si stava dondolando lentamente. Meccanicamente cercò la sua pistola, ma l'arma stava riposando tranquilla nell'appartamento nella sua fondina di pelle. La donna voltò il capo verso di lui. Si bloccò. Sembrava un angelo, lo sguardo perso in un'altra dimensione, il viso delicato con grandi occhi azzurri, una bocca sottile. L'insieme non era per nulla imbruttito dalla pioggia che le colava sulla pelle. Lei sorrise e tornò a dondolarsi. Mamoru ricominciò ad avvicinarsi, coprendole la testa con l'ombrello. Lei sollevò lo sguardo, incuriosita dall'improvvisa scomparsa del delicato ma incessante tamburellare della pioggia.
- Grazie...
- Prego. - rispose lui.
- Parlavo con l'ombrello, non con te. E' lui che mi ripara dalla pioggia.
Mamoru decise che era scappata da qualche manicomio.
- Ah, scusa. Cosa ci fai qui? Intendo dire, sola e sotto l'acqua? E' anche tardi.
- Non lo so.
- Scusa?
- Non lo so. Non so nemmeno dove sono. Io volevo solo uscire dalla mia stanza, poi non ricordo più nulla. - Tremò. - Ho freddo...
- Ci credo. Senti, che ne dici se parlassimo al caldo?
Lei sorrise e si alzò. Sembrava una bambina a cui avevano preannunciato un gioco nuovo. Lei seguì Mamoru nello stabile e in ascensore. L'uomo le gettò sulle spalle l'impermeabile, in parte per scaldarla, in parte per nascondere il camice. Quando la fece entrare nell'appartamento, oltre lo sguardo indagatore della signora Kino, Luna e Artemis stavano giocando con le stringhe di una scarpa non riposta nella giusta scatole. Si fermarono per osservare la nuova arrivata, che reagì violentemente abbracciando Mamoru e nascondendo il volto nel petto di lui.
- Brutti. Paura! - esclamò spaventata.
I gatti se ne andarono di corsa in cucina, come se avessero capito cosa l'aveva spinta a reagire così.
- Ma no. Ma no. Luna e Artemis non saranno dei tesori, ma non hanno mai ucciso nessuno. - La staccò da sé, inspirando il suo profumo misto all'acqua. Sapeva di latte e di tranquillità. - E ora non ci sono più. Non dirmi che hai paura dei gatti?
- Gatti?
- Gatti. Che cosa credevi che fossero? Leopardi?
- Tigri. Le tigri mangiano gli uomini.
Mamoru rise.
- Le tigri sono più grosse di me. Al massimo devi aver paura di loro se sei una topolina. Cosa che non sei.
Lei lo guardò poco convinta.
- Giura.
- Scusa?
- Giura che non mi mangeranno.
- Lo prometto. Parola di poliziotto. Ma ora buttati nel mio bagno e fatti una doccia bollente, mentre cerco qualcosa da farti infilare. Poi parliamo.
Lei annuì lentamente, poi gettò un occhio sul pacchetto di patatine semivuoto sul divano e iniziò a fissarlo, avvicinandosi lentamente alla sua preda.
- Le mangi?
- No. Direi di no. Falle pure fuori, ma dopo la doccia. Fila! La porta è quella.
La ragazza si avviò titubante, senza perdere di vista le patatine. Quando si chiuse dentro Mamoru cercò qualcosa per lei nel suo armadio, trovando solo dei vecchi pantaloni da ginnastica troppo stretti per lui e una camicia sul rosa che gli aveva regalato al suo compleanno la sua collega. Decise di far scaldare anche un panino con del prosciutto e del formaggio. La sconosciuta sembrava affamata, e a stomaco pieno si parlava meglio, lo aveva imparato presto durante gli interrogatori. Tagliò il pane e lo farcì con quello che riuscì a trovare in frigorifero, per poi accendere la piastra grigliante sbattendoci su il tutto.
- Posso assaggiare? - disse la voce della donna. La crosta strava bruciacchiando allegramente spandendo un buon profumo per la cucina; il formaggio accennava a colare ad indicare che lo spuntino era pronto. - Ho fame...
Lui si voltò, stupito di non averla sentita uscire dalla doccia. Un asciugamano era avvolto attorno alla folta chioma, un altro, più lungo, fungeva da vestito dalle ascelle a metà coscia. I piedi nudi avevano lasciato un paio di impronte umide sul pavimento di piastrelle bluastre.
- Ce... certo. Ma prima che ne dici di vestirti? Ci sono una camicia e dei pantaloni sul divano. Io intanto finisco di scaldare questo...
- Grazie. - sorrise lei abbandonando l'asciugamano che stringeva con la mano destra. Il soffice cotone cadde a terra con un debole fruscio mentre lei si voltava e zampettava nell'altra stanza. - Non ho mai messo dei vestiti veri. Solo visti sugli altri.
Mamoru seguì con gli occhi il fondoschiena della bionda, ma l'odore di formaggio bruciato lo fece uscire dal suo piccolo e personale momento di estasi.
- Porca... - bofonchiò mentre toglieva il panino dalla piastra, scottandosi i polpastrelli.
Sospirò per non imprecare nuovamente, quindi calcolò mentalmente il tempo necessario a permettere alla bionda di coprirsi e si mosse nel salotto. Trovò la ragazza che giocava con i due gatti, stuzzicandoli con una ciocca dei suoi capelli. Luna e Artemis erano sulle zampe posteriori, gli artigli anteriori a tentare di afferrare gli strani fili dorati. Rideva come una bambina, la camicia troppo larga e le maniche troppo lunghe.
- Non sono pericolosi. Avevi ragione... - gli disse, smettendo di muovere i capelli, passandosi le mani ai lati della testa e buttando indietro la chioma.
I gatti sembrarono rimanerci male, tornando a quattro zampe e muovendosi lentamente verso il loro angolo, dove le due piccole lettiere li aspettavano.
- I poliziotti non mentono mai. Ecco il tuo panino... - sorrise. - Sciocco. Non mi sono presentato. Io sono Mamoru. E tu?
- Ushahi... - mormorò a bocca piena.
- Ushai... Nome particolare. - La prese in giro bonariamente.
Lei ingoiò il boccone rumorosamente, bevve un lungo sorso di acqua dal bicchiere che aveva davanti e scosse il capo.
- Usagi. Mi chiamano Usagi. - sospirò. - Buono il panino. Più buono dei pasti che mangio di solito.
- Dove eri prima di finire sotto un lampione?
- Nella mia stanza.
- E dove era la tua stanza?
Lei si strinse nelle spalle.
- Non lo so. Loro non mi facevano uscire. Ogni tanto, se ero brava, mi facevano vedere la televisione. Lì ho visto le tigri, che erano grosse come i gatti.
- E loro chi erano? Uomini o cosa altro?
Lei lo guardò curiosa.
- Non sono stata rapita dagli omini verdi con tre occhi. Erano uomini, come te, e donne. La dottoressa Meiou era la più simpatica, ma era strana, secondo me... Ma mi portava le caramelle dopo che giocavamo e lei era contenta.
Finì il panino in silenzio, senza parlare nonostante altre leggere domande del poliziotto, quindi arraffò le patatine e le spazzolò come una affamata. Si rilassò sul divano e chiuse gli occhi.
- Ora che sei a posto, credo che dovremmo andare alla polizia per vedere di farti tornare a casa... o dovunque abitavi. Sono curioso di conoscere la dottoressa. - le disse, ormai convinto di avere davanti una in cura alla vicina clinica psichiatrica.
Lei non rispose, già addormentata. Mamoru decise di non svegliarla, e con delicatezza la sollevò spostandola sul letto, convincendosi che per lui anche il divano era comodo. La sistemò sotto le coperte e si gettò sul divano con una coperta e si addormentò cedendo alla fatica. Fu in sonno profondo ma agitato, riempito dei distorti fatti che avevano riempito la sua lunga giornata al commissariato. Vide i volti del suo capo, i suoi colleghi e la sia compagna mentre redigeva un verbale, mentre si stiracchiava stanca e accettava da lui una tazza di bollente e schifoso caffè.
- Grazie Mamoru... - gli sorrise nel sogno, poi la usa voce risuonò monocorde ma sempre più alta di volume. - Mamoru! Mamoru! - pugni sulla scrivania come arrabbiata. No, non sono pugni, lei sta bussando violentemente alla porta. - Mamoru! Ci sei?
L'uomo aprì gli occhi lentamente, impastati come la lingua. Biascicò qualche cosa alzandosi e aprendo la porta, in bocca un sapore amaro e metallico. Deglutì.
- Ciao Rei. - biascicò mollemente. - Non urlare, è piena notte.
La donna, sui trentacinque anni era vestita in un completo elegante, rosso, dal taglio classico, dove potevano risaltare i capelli lisci e neri. Lo guardò appena con gli occhi penetranti e sollevò la manica sinistra a mostrare l'orologio.
- Piena notte un corno! Sono le undici, tre ore che ti aspetto. E il commissario Tomoe non è più contenta di me...
L'orario lo colpì come un pugno, la testa a faticare per poter ragionare.
- Cristo, ieri notte con Usagi...
La sua compagna lo guardò tra il curioso e lo schifato.
- La conosco? Deve essere una dura per conciarti così. Nemmeno io...
- Entra. Ho bisogno di un caffè. - sbadigliò grattandosi la guancia. - E di aiuto. Questa qui deve essere fuggita da qualche manicomio. - indicò la sua camera, dove Rei si mosse, curiosa.
- Non solo da un manicomio, direi. Ti ha rotto la finestra e se ne è andata... - rise, ma subito divenne scura, il volto concentrato. - Aveva un amichetto fuori...
- Che cosa stai dicendo? Se ne è andata? Un amichetto?
Lei indicò i rimasugli del vetro, sparsi sulla moquette della stanza vicino alla finestra in frantumi.
- I frammenti sono all'interno. Chi l'ha rotta era fuori...
Mamoru rimase imbambolato sulla porta, la tazza di caffè istantaneo in mano. Lei si avvicinò e notò la pupilla dilatata del suo compagno di squadra.
- Non sono più il tuo tipo... - sorrise lui, un sorriso un po' ebete, come se non fosse totalmente in sé.
- Cretino. - gli rispose asciutta. - Ti sei fatto una canna ieri sera?
- Magari. Solo una pizza congelata.
Rei non aveva atteso la risposta e si era incollata al telefonino.
- Ispettore Hino. La scientifica a casa dell'ispettore Chiba. Sospetta rapina e ho un uomo probabilmente drogato. - ci fu una pausa. - Ma dille il cazzo che vuoi alla Tomoe! E muoviti con la scientifica! - Urlò.
   
 
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