Quel bambino ha cinque
anni. Due occhi vispi, di chi non si fa scappare
nulla.
Il corpo esile, le spalle
un po’ curve e le gambe agili, pronte a scattare verso l’ignoto.
Ma ora non corre. Se ne sta appoggiato al muro ad osservare in
silenzio gli altri bambini giocare. Fermo in attesa.
Sa che è diverso.
Sa anche che è per questo che molti lo evitano.
Quello che non sa è che
“molti” non sono “tutti”.
“Ciao! Ti va di giocare a
nascondino con noi?”
Gli
era sempre piaciuto osservare.
Rimanere ore ed ore immobile a scrutare ogni singolo elemento,
movimento, sfumatura.
Osservare
era la cosa che gli riusciva meglio. Osservare e analizzare.
Aveva
imparato a decifrare ogni cosa, ridurla in elementi essenziali, numeri e dati.
Sembrava quasi che anche i sentimenti per lui avessero un algoritmo ben
preciso.
Quegli
occhi profondi sembravano essere stati creati apposta per cercare. E trovare. Soprattutto trovare.
Lui
era il silenzioso spettatore della vita altrui. Come colui
che osserva un quadro e sa spiegare con precisione perché lì,
nell’angolo in basso a destra, l’autore abbia voluto piazzarci una brocca colma
d’acqua cristallina, piuttosto che una mela marcia.
Come
un quadro.
Non
un palco. Non un teatro.
Il
teatro è coinvolgimento. Nel teatro ti commuovi, ti incazzi,
ti diverti.
Un
quadro è muto. Volendo può essere anche discreto. Puoi decidere se vederlo o meno. Mentre in teatro devi vedere. E
devi anche sentire.
Ma lui non era fatto per il coinvolgimento. Lui era portato per
la critica chiusa solo a se stesso.
Un
quadro era decisamente meglio.
Gli
era sempre piaciuto osservare.
Perché
l’atto di osservare non necessita di un contatto
fisico. Quello gli piaceva un po’ meno.
Forse
perché prima di ricevere una carezza si era preso tante di quelle botte che il
solo ricordo gli faceva male. Dentro. Gli ricordava la
sua diversità.
L’infanzia
che in realtà non aveva mai avuto.
Le
manate e le parole di scherno. Le risa che non ridevano mai
con lui. Che forse ridevano per il suo strano modo di
camminare, oppure per non averlo mai visto mangiare un boccone di carne, o
magari per quel suo particolare modo di sedersi. O
che più semplicemente erano un modo come un altro per proteggersi da quel
bambino, capriccioso come tutti i bambini, ma più inquietante.
Un
qualcosa che non era mai riuscito a capire appieno, ma sapeva che semplicemente
doveva essere così. Anche se era terribilmente ingiusto.
Gli era sempre piaciuto osservare.
Perché
così il suo mondo rimaneva distante, non veniva
intaccato da estranei. Perché così non poteva rimanere
ferito.
E
soprattutto non provava rimorso quando feriva.
Il
suo lavoro era ferire la gente. Farla sanguinare per poter
scavare in profondità nelle loro anime e così trovare le risposte che
cercava.
Farle
male.
Forse
era una sorta di vendetta trasversale.
Ferire,
ma non venir ferito.
Per
questo faceva in modo di non aver bisogno di nessuno. E, se proprio ne aveva bisogno, cercava di starci il più lontano
possibile.
Senza
rendersi conto che così facendo non aveva solo allontanato gli altri: da solo,
si era costruito intorno un muro e ci si era
imprigionato dentro.
Fino
ad ora questo era andato bene così.
Fino
ad ora…
Ma ora quel suo mondo isolato gli faceva male.
Il
non potersi fidare di nessuno. Non poter guardare in faccia una persona e poter
pensare: è un volto amico.
Il
non poter dire: guardatemi, sono io colui che combatte
per voi.
Sarebbe
potuto scendere in strada in quello stesso momento, proclamando a piena voce di
essere il famoso detective che tutti considerano come il più geniale al mondo. E chi gli avrebbe dato ragione?
Ora
che si era plasmato come l’ombra di se stesso, chi avrebbe potuto riconoscerlo
come ciò che era veramente?
Indossare
un nome diverso per ogni diversa occasione. Non essere
mai l’immagine vera, ma solo il riflesso. Nemmeno una maschera: può essere
tolta e sotto rivelare l’essenza vera.
Ma lui era solo l’uomo che stava dall’altra parte dello
specchio. Senza che nessuno si fosse specchiato.
Era
solo una grande lettera nera nel bianco virtuale di
uno schermo.
Era
solo una voce modificata che a nessuno piaceva sentire.
Era
solo…
Era
solo e basta.
E
questo era triste.
L’avere
costantemente gente intorno glielo stava dimostrando con una semplicità
disarmante.
Maledetto
il giorno in cui aveva deciso di mostrare il proprio volto.
Così
adesso la copertura era saltata, la protezione scalfita.
Ma soprattutto, il muro di carte crollato.
E
quegli occhi profondi, che sembravano essere stati creati apposta per
nascondere, risero.
Sinceramente.
Come
mai avevano riso in vita loro.
Quel ragazzo ha da poco
compiuto venticinque anni.
Giace in silenzio, tra
lenzuola bianche. Le spalle rilassate, il volto disteso.
E gli occhi chiusi. Non potranno più mentire da ora in poi.
La partita è finita. Forse
ha perso, forse no. Queste cose ora non contano.
Perché dentro di lui il bambino continua a correre.
Corre come se i polmoni
dovessero scoppiargli nel petto. Il respiro bruciante, le gambe dolenti.
E là in fondo il traguardo
della sua folle corsa.
Le piccole mani
raggiungono il muro, dall’intonaco bianco un po’ screpolato. E
il bambino urla, come se quelle parole dovessero riecheggiare nell’eternità.
“TANA LIBERA TUTTI!!”
E il bambino ride.
Sì, ora sono tutti liberi.
Anche tu lo sei, Lawliet.
Parole dall’Autrice
Questa
fic non è nata di getto.
Mi
sono venuti in mente flash e frasi senza un ordine ben preciso e mi sono ritrovata a doverle incollare su un foglio bianco per
riuscire a dar loro una forma. Forse è per questo che
a me sembra così strana.
È
stata una sorta di auto esorcismo. Perché
dopo aver visto la 25^ puntata non sono più riuscita a dormire per tre notti di
fila.
Anche se avevo già letto il manga e sapevo perfettamente quello che
sarebbe accaduto, la mia debole psiche non ha retto.
Lo
so che può sembrare assurdo attaccarsi così tanto ad
un personaggio, ma ciò che è avvenuto mi sembrava, e tutt’ora mi sembra, così
ingiusto che mi ha fatto veramente male rivedere quelle scene.
Il
personaggio di L è uno dei più difficili da capire e
per questo credo sia meraviglioso e inquietante al tempo stesso. Forse è più
demoniaco di quanto non sia Kira.
Adorabile.
Mi
mancherai da morire.