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Autore: ChiiCat92    01/10/2012    1 recensioni
Ecco l'atteso (spero) ritorno di "Deep Sea", che qualcuno ha amato e qualcun altro ha solo letto.
Ritroviamo i nostri novelli amanti alle prese con la dura realtà giornaliera; riuscirà Maryll ad accettare di avere due gambe? Tom combatterà l'istinto di a pensare a lei come creatura non Umana? I loro sacrifici e le loro sofferenze che valore hanno?
Bhè, leggete e scoprirete!
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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27/06/2012

 

- Prologo -

 

Tom si svegliò di colpo nel cuore della notte, madido di sudore e con il cuore a mille che gli percuoteva lo sterno.

Tiratosi su a sedere si massaggiava il petto prendendo grandi boccate d'aria.

Nel buio della stanza non si vedeva a un palmo dal naso. Per quanto strizzasse le palpebre non riusciva a distinguere un solo particolare.

La prima cosa che fece quando il cuore tornò a battere ad una velocità normale fu tastare lo spazio intorno a sé, alla ricerca del suo corpo.

Le lenzuola erano stropicciate e fredde. Non c'era.

Tom si sporse verso il comodino e accese la luce. Per un attimo rimase accecato, macchie nere gli passavano sulle pupille impedendogli di vedere. Lentamente riuscì a mettere a fuoco la stanza.

Il suo lato era vuoto, sulle coperte c'era ancora la forma del suo corpo.

Lui sapeva esattamente dov'era.

Sospirò e si alzò, al posto delle pantofole ai piedi del letto teneva sempre pronte un paio di scarpe; le infilò dopo essersi messo il jeans abbandonato dalla sera prima e uscì dalla stanza, senza dimenticarsi di prendere una giacca anche per lei.

Era Dicembre e la temperatura era scesa a picco nel giro di pochi giorni. Doveva essere l'inverno più rigido degli ultimi decenni, perché il termometro aveva toccato i 9°, per poi scendere ancora quando tramontava il sole, assurdamente pochi per una città torrida come Los Angeles.

La casa era silenziosa. Bill se la dormiva della grossa accucciato nel suo letto, Tom si prese la briga di scrivergli un messaggio e lasciarlo sul suo comodino, caso mai si fosse svegliato e non avesse trovato nessuno dove l'aveva lasciato. Riteneva comunque improbabile che il fratello si fosse svegliato e fosse stato lucido abbastanza da capire che non c'era più nessuno in casa, ma non si sapeva mai, e date le precedenti esperienze non se la sentiva di farlo preoccupare più del dovuto.

Uscendo, Tom cercò di non far scattare la serratura troppo rumorosamente.

Appena fu fuori il freddo gelido di quella notte lo prese alle spalle, ancora calde di letto.

Si strinse nella giacca e tirò su la cerniera. Il suo respiro di condensava nell'aria diventando solido.

Le stelle durante quelle notti gelide erano particolarmente lucenti, sembravano brillare ancor di più, tutte infilate nel manto blu scuro del cielo, ricamate come piccoli diamanti nel tessuto dell'infinito.

Il piccolo satellite terrestre era occultato alla vista, benché fosse una notte così limpida da permettere la visione del suo disco nero.

Tom alzò lo sguardo al cielo come tutte le notti; ormai aveva bene impresse tutte le costellazioni di quell'emisfero. Inutile dire che gli mancassero la cara vecchia Orsa Maggiore e la Stella Polare, ma c'erano molte stelle che di quel cielo ammirava. Non sapeva cosa stava osservando, se avesse avuto più conoscenze forse avrebbe saputo che quelle macchie più chiare nel cielo altro non erano che le due nubi di Magellano e che quelle quattro luminosissime stelle messe tutte vicine formavano la costellazione della Croce del Sud, e più in alto altre tre piccoli luci formavano il Triangolo Australe.

In ogni caso, gli mancava la tranquilla luminosità del suo cielo, quello sotto cui era cresciuto, questo era quasi troppo brillante, troppo accecante, fastidioso come i faretti del palcoscenico che gli bruciavano gli occhi.

Un refolo di vento gelido lo fece rabbrividire; alzò il bavero della giacca e s'incamminò nella notte.

 

Los Angeles benché fosse una città di stelle, una città nottambula, una città priva di riposo, a quell'ora sembrava un deserto.

Il rumore pigro del mare che scrosciava sulla battigia era l'unico vero suono che si poteva udire.

In inverno l'oceano cambiava aspetto. Passava dall'essere pigro al rabbioso senza alcun motivo, si acquietava e si agitava senza preavviso ed era sempre di un tristissimo color grigio opaco. Qualcuno doveva aver di colpo cambiato la tinta delle sue acque normalmente azzurro scintillante.

Era una visione che deprimeva Tom fin nel profondo. Era assurdo come, nel giro di qualche mese, la spiaggia si spopolasse, le palme rinsecchissero e rischiassero di morire, nessuno passeggiasse più sulla pista ciclabile, gli ombrelloni venissero chiusi e ritirati, i bar sul lungo mare chiudessero i battenti. Tutto fioriva e moriva nel giro di un'estate, per poi tornare a ripetere quel circolo vizioso l'anno successivo.

E nel frattempo impregnava le strade con la tristezza dell'abbandono. A nessuno serviva quella parte della città ora che non c'era più Sole per riscaldarla, ora che continuava a piovere, ora che le temperature basse facevano rintanare nelle case. Si erano dimenticati tutti di quello che quella spiaggia gli aveva regalato.

Ma Tom no. Lui non aveva dimenticato niente. Era lì che aveva conosciuto lei, era lì che la loro avventura era cominciata. E anche se adesso il loro angolo privato era diventato un triste ammasso di roccia grigio scuro, lui non riusciva a dimenticarlo. Non dimenticava il caldo di quella giornata di Giugno, il Sole che tramontava dolcemente sull'orizzonte, la confusione che non lo lasciava respirare e poi lei, lei bellissima tra gli schizzi di sale e la sabbia, lei così disperatamente diversa e spaventata.

Era qualcosa che né lui né lei avevano mai dimenticato.

Come potevano d'altronde? Era l'inizio della loro strana vita insieme.

Attraversò la pista ciclabile. Le palme erano tutte spennate, senza foglie e flosce. L'Oceano mormorava parole che forse lei avrebbe potuto capire, ma Tom non riusciva a distinguerne una sola.

Quando le sue scarpe affondarono sulla sabbia fredda gli sembrò di trovarsi in un paesaggio surreale. Lui, lì, da solo, su quella spiaggia addormentata per il freddo dell'inverno.

Si fece largo, non con poche difficoltà, sulla spiaggia deserta.

C'era poca luce, dalla strada veniva la flebile illuminazione dei lampioni. In una normale serata estiva la spiaggia sarebbe stata abitata da milioni e milioni di piccole luci, dei bar, dei lidi, dei falò improvvisati dei ragazzi in vacanza.

Adesso c'era solo buio.

Tom cercava di guardare dove metteva i piedi per evitare di incappare in qualcosa di spiacevole, non riusciva a vedere a un palmo dal naso, quindi dovette procedere a tentoni. Comunque sapeva dove andare.

Alla fine della spiaggia un ammasso di scogli biancastri di sale circondavano un piccolo rettangolo di sabbia, sommerso durante l'alta marea. Era lì che stava andando.

Arrivato di fronte agli scogli si arrampicò per raggiungere il centro di quella che ormai considerava la sua spiaggia privata, la loro spiaggia privata, anche se non era altro che un pezzetto di sabbia con un grosso scoglio piatto al centro.

Lei era lì, seduta proprio su quello scoglio, le gambe strette tra le braccia, i capelli lunghi e castani abbandonati sulle piccole spalle. Indossava ancora il pigiama.

Si avvicinò a lei con un sospiro; per un attimo aveva creduto che non l'avrebbe trovata, invece eccola lì, in tutto il suo mistero.

Le poggiò la giacca sulle spalle e lei alzò di scatto la testa.

Aveva gli occhi pieni di lacrime e il viso sporco di sale. Quando riuscì a mettere a fuoco la sua immagine, Maryll si nascose il volto tra le mani, asciugandosi le lacrime.

Tom le si sedette accanto e lei subito si appoggiò sulla sua spalla, come fosse il rifugio più sicuro di quel mondo.

Era gelida, aveva la pelle d'oca, e tirava su con il naso.

- Potevi almeno prendere la giacca prima di uscire. -

Le disse, cercando di non essere arrabbiato, anche se lo era. Il sollievo per averla trovata era stato sostituito dalla rabbia per essere stato lasciato solo senza sapere cosa ne fosse stato di lei.

- L'ho dimenticata. Non ci sono abituata. E se fossi tornata indietro tu ti saresti svegliato. -

La sua voce era piccola e triste, a Tom si strinse il cuore.

Non era la prima volta che Maryll scappava in piena notte, né sarebbe stata l'ultima. Quando Tom si era svegliato e non l'aveva trovata accanto a lui nel letto, in un primo momento aveva pensato che fosse in bagno e si era riaddormentato; ma non c'era ancora due ore dopo quando si era svegliato di soprassalto, e non era in bagno, né in cucina, né sul divano, né in casa. L'unica cosa che era riuscito a pensare confusamente era che lei fosse scappata e tornata da dove era venuta, lasciandolo davvero solo. Aveva passato tutto il resto della notte e le prime ore dell'alba a cercarla, per poi incontrarla quasi per caso sulla strada di casa. Era stato così contento di vederla che non si era chiesto cosa avesse scatenato la sua fuga, e quella successiva, e tutte le altre. Forse non aveva il coraggio di capirla, forse non voleva capirla, forse aveva paura che gli dicesse qualcosa che non poteva sopportare, che l'avrebbero distrutto.

- Torniamo a casa? Si gela e rischi di prenderti un malanno. -

Le sussurrò; lei, se possibile, si fece ancora più piccola tra le sue braccia.

- Ho sognato mia madre. - rabbrividì e lui con lei - Mio padre era...era morto...e lei piangeva...era...sola...io non ero con lei...non potevo esserci...e... -

Qualunque altra parole si perse nel fiume di lacrime che cominciò a scenderle dagli occhi castani.

Tom provò il folle desiderio di alzarsi e immergersi in quell'Oceano scuro, così com'era, vestito, con tutte le scarpe; e di correre fino a Sub Los Angeles per pregare il popolo delle Sirene di togliere tutto quel dolore a Maryll, di toglierle tutta la sofferenza e darla a lui.

Ma non poteva fare altro che stringerla, stringerla con tutte le sue forze e sperare che bastasse.

Per quanto facessero entrambi finta che si fossero lasciati “quel mondo” alle spalle, non potevano fingere con l'altro. Maryll soffriva di nostalgia, come solo un essere strappato al suo mondo poteva soffrire. E Tom non poteva fare null'altro per lei che non fosse il confortarla e il distoglierla dal suo dolore.

Quel dolore, però, rimaneva sempre, ben ancorato sul fondo dell'anima di Maryll.

Nonostante il tempo passato in superficie lei non si era ancora abituata a quel mondo fatto di Sole, vento, macchine e confusione. Qualunque cosa la metteva in agitazione, qualunque cosa scatenava in lei sensazioni di paura e sconforto.

Per quanto si sforzasse non riusciva ad adattarsi alla terraferma, e odiava dover mostrare la sua debolezza all'unica persona che amava e l'unica che voleva tenere all'oscuro.

Soffriva senza l'Oceano e soffriva senza Tom, sembrava un baratro senza via d'uscita.

Maryll si asciugò gli occhi e si scostò appena da lui, gli accennò un sorriso.

- Perdonami, non parliamone più, lasciamo perdere, sono solo stupidaggini. Torniamo a casa. -

E si alzò, prendendolo per mano, come a voler allontanare entrambi da quell'Oceano di dolore.

   
 
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