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Autore: Fairy_tale    02/10/2012    3 recensioni
Piccola one-shot sui pensieri di Artù riguardo Gwen. In, particolare, uno dei tanti missing moments che la serie non ha raccontato, e che potrebbe aver spinto Artù a compiere il fatidico passo nell'episodo 2x02.
Spero che vi possa piacere!!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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UNEXPECTED

LOVE

 

Quand’è che aveva capito di essere innamorato di lei?

 

Artù lo sapeva. Lo sapeva benissimo.

E come avrebbe potuto dimenticarlo?

Era stato qualche giorno dopo il loro ritorno dal villaggio di Ealdor, quando erano riusciti a sconfiggere, con l’aiuto degli abitanti di quel posto, un intero esercito.

 

Quando aveva vinto.

Quando aveva dimostrato ancora una volta che non era solo un bamboccio viziato nelle mani di suo padre, del re.

A tutti tranne che a lei.

Gwen.

Lei non sembrava aver cambiato opinione e, anzi, l’aveva anche sgridato.

Era stato un duro colpo per il suo regal orgoglio all’inizio ma, dopo lo stupore e l’imbarazzo iniziali, aveva capito che forse – molto forse – lei poteva anche aver avuto ragione.

Probabilmente era stato duro anche per lei affrontarlo, dirgli apertamente ciò che pensava di lui – del principe Artù – ma nonostante tutto l’aveva fatto, pur sapendo di correre un rischio molto grande, per fargli capire che, in fondo, non era poi così tanto diverso da come la gente lo dipingeva.

Da quel momento, una volta tornati a Camelot, non si erano quasi più incontrati, se non di sfuggita mentre lei usciva dalla stanza di Morgana per tornare a casa e vice versa.

Era chiaro che lo stesse evitando.

Probabilmente era ancora troppo imbarazzata per reggere il suo sguardo.

Fino a quel momento.

 

Artù stava camminando nei corridoi del palazzo, senza realmente sapere dove andare.

Era stanco. Molto stanco.

Era appena rientrato dopo una missione di una settimana nel villaggio al limite della foresta che confina con il regno di Loth. Una creatura magica stava seminando il panico in quelle zone e suo padre l’aveva inviato lì per risolvere la questione al più presto.

Ce l’aveva fatta in poco tempo. Era tornato vivo e vincitore.

E tutto quello che aveva ottenuto era stata una frettolosa pacca sulla spalla e un grazie appena accennato.

Era tutto lì il rispetto che il re poteva dargli. Quello stesso rispetto che per tutta la vita aveva cercato faticosamente di meritare e che, adesso, si accorgeva di non volere più.

Non voleva il rispetto del re se non poteva avere quello di suo padre.

Troppo spesso, infatti, Uther sembrava dimenticare lo stretto legame di parentela che li univa, e ancora una volta troppo spesso Artù si era ritrovato a pensare che forse suo padre – o forse è meglio dire il suo sovrano – non vedeva in lui nient’altro che un soldato a cui affidare pericolose missioni, e del quale vantarsi se fosse ritornato vincitore.

Non che si aspettasse molto da lui, sapeva come era fatto.

Solo che alcune volte avrebbe preferito essere amato come figlio, che rispettato come cavaliere.

Era come se sentisse mancare qualcosa nella sua vita, una mancanza che la morte prematura della madre aveva contribuito a creare e che la freddezza di suo padre non riusciva di certo a lenire.

Qualcosa che poteva essere chiamato affetto, o forse addirittura amore, ma non avendolo mai veramente percepito intorno a sé, non era poi così sicuro di saperlo riconoscere.

Ma infondo, cosa importava tutto questo?

Lui era il Principe Artù, il futuro re di Camelot.

E un re non ha bisogno dell’affetto per governare.

L’unica cosa di cui il suo corpo necessitava in quel momento era il riposo e, a pochi passi dal massiccio portone delle sue stanze, riusciva già a pregustare il fresco pulito delle soffici lenzuola che lo attendevano.

Aveva dormito per molti giorni sul terreno umido in compagnia di qualche cavaliere e di un Merlino più chiacchierone del solito e, adesso, aveva assolutamente bisogno di un letto morbido, caldo e soprattutto silenzioso.

Si era appoggiato stancamente al pesante portone e, tentando di non fare rumore per non disturbare la sua povera mente già abbastanza affaticata, l’aveva aperto silenziosamente.

Ed era stato in quel momento che l’aveva notata.

Non aveva fatto ancora alcun passo nella stanza illuminata solo dalla flebile luce delle candele, che aveva avvertito la presenza di qualcuno. Istintivamente, aveva messo mano alla spada ma, una volta messa a fuoco l’immagine, si era rilassato.

Era solo lei. Solo Gwen.

Era appoggiata vicino la finestra, con la spalla sul muro, come se tentasse di sorreggersi per non cadere.

Tutto quello che riusciva a vedere dal punto in cui era rimasto era la sagoma del suo corpo di profilo illuminata dalla luna e un piccolo pezzetto di quel volto che – si era ritrovato con sua stessa meraviglia a pensare più volte - era troppo dolce perché potesse appartenere ad una serva.

Indossava uno dei suoi comodi abiti di cotone e teneva il viso rivolto verso l’esterno della vetrata. Aveva un’aria preoccupata, come se stesse attendendo qualcosa – o qualcuno.

Con le braccia, saldamente ancorate al petto, stringeva qualcosa che, in un primo momento, aveva pensato somigliasse molto ad una delle camice che era solito indossare quando non doveva combattere e che, quando lui era via da Camelot, riposavano tranquillamente nel suo ampio armadio.

Non aveva neanche fatto in tempo a domandarsi il motivo per il quale lei stesse stringendo quella che sembrava proprio una delle sue camicie, che era stato interrotto da un sonoro sospiro da parte di lei, seguito da quella che sembrava proprio un’accorata preghiera.

Dalla posizione in cui era, poteva ascoltare solo piccoli stralci confusi delle parole che uscivano dalle labbra della ragazza ma, ad un certo punto, aveva giurato di aver sentito qualcosa come :

- Tornate presto, Artù.

All’inizio aveva pensato di esserselo immaginato.

Perché mai Gwen dovrebbe essere in ansia per lui? Infondo non le era neanche simpatico.

Ma ripensandoci, e conoscendo il cuore gentile e generoso della ragazza, non era poi neanche così improbabile.

Eppure, anche solo il sospetto di essere tanto atteso da qualcuno che temeva per la sua vita e che sperava nel suo imminente ritorno, gli aveva scatenato dentro una tempesta di emozioni.

Non si era mai sentito tanto – amato? Era quella la parola giusta?

Nessuno aveva mai dimostrato per la sua vita tanta agitazione - neanche il suo stesso padre o Morgana – e, se anche solo l’avevano pensato, non si erano mai dati la pena di farglielo sapere.

A questo mondo, aveva sempre creduto che le persone lo stimassero per la sua carica, per il suo titolo, ma evidentemente si era sbagliato.

Lei non l’aveva chiamato Principe o Sire, come chiunque avrebbe fatto pensando a lui. Per lei, all’interno dei suoi pensieri più liberi, lui era solo Artù, solo un ragazzo per il quale darsi pensiero; non il cavaliere invincibile che tutti credevano.

Pur essendo solo una serva, era riuscita a cogliere in poco tempo la sua essenza più segreta e quello che era dentro, ovvero un giovane uomo come tanti altri, con più doveri e responsabilità di quante probabilmente chiunque potrebbe sopportare; e profondamente diverso dal principe altezzoso e vanesio che era abituato a mostrare agli altri, secondo il volere di suo padre.

Quando lo guardava, probabilmente lei riusciva a scorgere dietro la sua maschera di sfacciataggine meglio di chiunque altro fosse mai riuscito anche solo ad immaginare.

E, contrariamente a quanto si potrebbe supporre, era estremamente felice che qualcuno conoscesse il suo vero io.

Magari essere se stesso almeno con una persona l’avrebbe aiutato a sentirsi meglio, a sentirsi finalmente oggetto dell’autentico affetto di qualcuno che lo conosceva per davvero.

Così si era mosso, per cercare di avvicinarsi, ma una fitta alla spalla l’aveva costretto a fermarsi. Lei, spaventata da quel rumore improvviso, si era girata e, accortasi della sua presenza, i suoi occhi si erano riempiti di lieta meraviglia mista ad un forte imbarazzo, mentre si spostavano velocemente da lui verso la cosa che fino a poco tempo prima aveva stretto fra le braccia – e che in effetti era proprio la sua camicia.

Ripresasi dallo spavento, ed essendosi accorta della sua espressione di dolore, gli si era avvicinata, piegando in fretta il povero indumento e poggiandolo poco distante.

- Mio signore, non sapevo foste tornato. Io, ecco sì… io stavo… stavo conservando nel vostro armadio i vestiti, non mi ero proprio accorta di voi.

E l’aveva guardato, con un’espressione tra il colpevole e il dispiaciuto, simile a quella di un bambino rimproverato dal padre per aver fatto qualcosa di sbagliato.

L’unica cosa che Artù era riuscito a pensare mentre cercava di controllare i gemiti di dolore era stata:

Adorabile.

Lei, accortasi della sua espressione sofferente, gli si era avvicinata ancora di più, solo qualche centimetro a separarli adesso.

- Mio signore, tutto bene? Siete forse ferito?

Nel dire queste parole, aveva poggiato la sua mano delicata sul suo avambraccio, forse cercando di allevargli almeno un po’ il dolore intenso.

Era sempre così lei. Gentile e altruista fino in fondo, con chiunque ne avesse bisogno, anche se, ultimamente, aveva sperato che sguardi dolci e sorrisi sinceri come quelli che adesso ornavano il suo viso delicato, fossero riservati solo a lui.

Voleva aiutarlo a lenire il dolore e, forse, c’era anche riuscita.

Nonostante indossasse ancora la spessa cotta di maglia che componeva la pesante armatura che non era ancora riuscito a togliersi, lo sentiva chiaramente.

Riusciva tranquillamente a percepire tutto il calore e la dolcezza che quel contatto volevano infondergli, calmandolo e aiutandolo a dimenticare il dolore – se non quello fisico, almeno quello del suo spirito.

- No, non preoccuparti Gwen, è solo una distorsione. Presto starò di nuovo bene.

Ed era vero, ne era convinto.

Adesso si sentiva molto più forte e determinato di quando era partito, sarebbe guarito per lei.

- Lo spero proprio Sire. Ma credo che dovreste riposare adesso, è stato sicuramente un viaggio lungo e difficile il vostro. Sono sicura che domattina starete molto meglio.

L’aveva fatto di nuovo e, questa volta, ne era proprio sicuro.

L’aveva visto con i suoi stessi occhi lo sguardo di preoccupazione nei suoi, non poteva più dubitarne.

Lei si preoccupava per lui.

Ed era una sensazione meravigliosa.

- Grazie Gwen, credo proprio che tu abbia ragione. Ma dovresti andare a riposare anche tu, sarai sicuramente molto stanca.

Stavolta era stato lui che, nel parlare, le aveva sfiorato il braccio con il suo, come a volerla rassicurare che lui era lì, che stava bene.

Ed era sicuro di aver visto un sorriso accennato sul suo volto, prima che lei si avviasse verso la porta.

Ma, prima che lei se ne andasse, doveva fare un’ultima cosa.

- Buonanotte, Gwen.

Così si era voltata, felicemente sorpresa ed imbarazzata al tempo stesso e, con la stessa dolcezza di sempre, gli si era rivolta di rimando:

- Buonanotte anche a voi…

… Artù.

Era convinto di averlo sentito.

Questa volta lei l’aveva proprio chiamato con il suo nome.

Ma, prima che potesse averne le prove. Lei se n’era andata, non lasciando altro che il rumore delicato dei suoi passi ad allontanarsi nel corridoio.

 

Artù lo sapeva, se lo ricordava benissimo.

Era stato proprio in quel momento che aveva capito che, se quello era davvero ciò che tutti chiamano amore, allora non c’era più speranza per lui.

Era perdutamente innamorato di lei.

In seguito, dopo aver sperimentato più volte di persona quanto quelle labbra fossero davvero morbide e quanto grande era l’amore che lei provava nei suoi confronti, si era fatto molte volte la stessa domanda.

Come aveva fatto a vivere, senza sapere cosa significasse amare, per tutto quel tempo?

Perché se quello che lei rappresentava era amore, allora era convinto di una cosa:

Non avrebbe più potuto farne a meno.

 

  
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