“Convivendo in… Capsule”
Episodio XIV
Aqua, Sodium
Laureth Sulfate, Parfum, Sodium Laroyl Glutamate, Sodium Chloride, Disodium
EDTA, 2-Bromo-2 Nitropropene-1,3-Diol, Phosphoric Acid, Citric
Acid, Citronellol, Coumarin, Eugenol, Limogene, Linalool.
E
le mandorle?
Le
avevano raccolte dagli alberi, sgusciate una dopo l’altra e tritate insieme al
cocco?
Come
facevano a montare tanta schiuma bianca?
Da
quando aveva piantato le proprie tende sulla Terra – si fa per dire, giacché,
se non fosse stato per l’invito di un avvenente esemplare del posto, gli
avrebbe fatto da tetto la chioma di un albero - Vegeta si stupiva
delle cose più elementari: non del fatto che gli elicotteri e i jet potessero
entrare comodamente nel taschino laterale di una borsetta, né della capacità
dei terrestri di prevedere il sole o la pioggia; e neppure della ricerca
scientifica e tantomeno dell’arte.
Bazzecole!
Aveva
trovato più interessante, tanto per fare un esempio, la moka del caffè.
Erano
occorsi almeno quattro anni di permanenza sulla Terra per accorgersi di quell’arnese
che borbottava sui fornelli, ma quando aveva scoperto che proprio da lì si
diffondeva, di buon mattino, quell’aroma capace di stimolargli l’appetito e
dargli una carica in più, l’aveva fatta entrare nel limitato raggio della sua
considerazione: poco importava che l’avesse afferrata con le mani nude,
rovesciandone il contenuto bollente e imprecando bestemmie.
Alla
base orbitante di Freezer non esistevano né moka né
caffè.
Il
semaforo: pure questo sconosciuto si era guadagnato un posto discreto nel
limitato raggio sopracitato.
Incredibile
come fossero tre colori a decidere l’andamento del traffico di auto.
Che
stupida invenzione, verde, giallo e rosso, verde, giallo
e rosso, verde giallo e rosso, eppure… logica e sensata!
Se
la base orbitante di Freezer ne avesse avuto a
disposizione un paio, l’andirivieni di navicelle da un pianeta all’altro sarebbe
stato gestito meglio e non ci sarebbero state diatribe e scontri all’ultimo
sangue su chi avesse avuto il diritto di atterrare o decollare per primo.
Sul
pianeta di Freezer non esisteva neppure il bagnoschiuma, non certamente al
sapore di mandorle e di cocco: ci si lavava con acqua e niente
altro e la pelle manteneva sempre il sapore ferrigno del sangue.
Testato dermatologicamente. Ph neutro.
Non ingerire. Non disperdere nell’ambiente dopo l’uso.
Tenere lontano dalla portata dei bambini.
Ecco
di cosa sapeva la pelle di Bulma la sera prima: l’aveva gustata centimetro per centimetro e non un angolo del suo corpo era rimasto inesplorato.
L’essenza
di cocco e di mandorle era finito negli anfratti più
umidi e nascosti ed era stato come scoprire banchetti di dolci allestiti in
antri bui e stillanti di rugiada.
Da
cacciatore errante, pensò che anche quella sera sarebbe potuto
andare in cerca di mandorle e di cocchi su e giù per i sentieri di quel corpo.
Per
quanto ne conoscesse a memoria il percorso, ogni volta rischiava sempre di
smarrirsi: le strade spianate si stringevano d’improvviso costringendolo a
cambiare rotta; s’inerpicava, attraverso pendii scoscesi, sopra le vette più
alte, e lassù, col fiato corto e niente
affatto esausto, si tratteneva in bilico a contemplare il paesaggio
sottostante. Alcune delle vallate, se solo imboccate, trasmettevano segnali di
allerta di là dei confini e qualcosa di tagliente e di laccato, in agguato sotto
le lenzuola, lo assaliva alla schiena.
Quel
tragitto, durante il quale mai si concedeva soste, se non all’ombra della
vegetazione più fitta, non avrebbe avuto fine, e ogni volta si sarebbe ritrovato
spossato, nudo, ansimante, ma soddisfatto del bottino.
Posò
il flacone di bagnoschiuma sul bordo della vasca e tornò a flettere la testa
all’indietro, intanto che il vapore, prodotto dall’idromassaggio, si depositava
sulle mattonelle rosa del bagno come la sagoma di un fantasma.
Anche
questa era una bella invenzione, la vasca idromassaggio.
Soprattutto
dopo una giornata di allenamenti, era il posto ideale nel quale trovare un po’ di
quiete e scollare il sudore appiccicoso fermentato dalla
battle suite.
Peccato
che quella sera la quiete durasse un po’ meno delle altre volte, perché la
testolina azzurra di Bulma fece capolino dalla porta e invase il suo territorio
come una lepre impavida varca lo stesso sentiero del cacciatore.
Quella
donna non aveva limiti: sarebbe entrata con la stessa disinvoltura, anche se
fosse stato seduto sul water. Quante volte era già capitato con la scusa che
doveva lavarsi i denti in fretta!
Questo
era il risultato per averle concesso troppa confidenza: a nulla servivano i
codici individuali per la chiusura degli usci automatici se a lei bastavano
pochi secondi per indovinarne le combinazioni.
Ma Vegeta
decise di deporre il fucile e fare finta di non averla vista.
La
lepre impavida non era sbucata per caso sul sentiero fucsia del bagno, saltellando
tra un calzino puzzolente ed un paio di mutande, ma
l’aveva cercato di proposito, infischiandosi, con un bel muso tosto,
dell’arsenale che gorgogliava sotto l’idromassaggio.
“Ta-daaaaa!”,
sventolò un giornale e gli esibì la prima pagina come un trofeo. “Eletta donna dell’anno! Non ci posso ancora credere! Non è stupendo?”.
A
Vegeta interessava molto poco vedere la faccia di sua
moglie stampata sulla copertina di “Vanity Dragon”, accanto ad un sommario che
parlava di contraccezione, moda d’autunno, e cinquanta ricette da preparare con
la zucca.
“Era
così necessario farmelo sapere ora?”.
“Oh,
tesoro! Non stavo più nella pelle! Non potevo aspettare l’ora
di cena per fartelo sapere!”.
L’ora
di cena? Non gli sarebbe interessato saperlo neppure tra un ventennio!
Tuttavia,
valeva la pena di starla ad ascoltare, se non altro perché si era adagiata sul
bordo della vasca e, nell’accavallare le gambe, aveva messo in risalto i ricami
romboidali delle calze.
Al
saiyan non restò altro che spegnere l’idromassaggio, confidando che la lepre
impavida scorgesse nell’acqua sbollita il fucile, le munizioni e tutto
l’arsenale di cui disponeva per farla fuori in qualsiasi momento.
Chissà
se le lepri potevano cucinarsi con la zucca! O magari essere imbottite di mandorle
e farcite di cocco!
Umettata
la punta di un indice eccitato, Bulma sfogliò il giornale e, nella piega già formatasi
a metà, trovò in quattro e quattr’otto la prima pagina
delle cinque a lei dedicate: la numero 27.
“Intelligente, briosa, risoluta, Bulma Brief,
a quarant’anni, sfoggia le forme di una splendida ventenne. Eletta donna
dell’anno dai nostri milioni di lettori sparsi in tutto il mondo, per il
contributo che offre all’umanità intera grazie alle sue indispensabili invenzioni ed incredibili
scoperte, l’ultima delle quali l’esistenza di un pianeta a ridosso di Mercurio…”.
“Tu
non hai scoperto un bel niente”, la interruppe Vegeta. “Sono stato io a dirti
che Mercurio non è il primo pianeta del vostro sistema solare”.
Non
era stato facile persuaderla a riguardo, perché quel pianeta proprio non
riusciva ad essere visualizzato dai telescopi
terrestri e soltanto la spedizione di un robot, appositamente costruito, le
aveva fatto tirare la lingua e scendere dal piedistallo marmoreo di miss scienziata
alla quale non sfugge mai niente.
“E’
soltanto l’ultima scoperta!”, sdrammatizzò Bulma. “Non hanno mica detto che era
la più importante che avessi fatto!”, passò una mano tra i capelli che
incominciavano ad incresparsi sotto l’effetto dei
vapori mandorlati.
“Dunque, dove ero rimasta… sì… Intelligente, briosa, decisa, Bulma Brief, a quarant’anni, sfoggia le
forme di una splendida ventenne…”.
“L’hai
già letto, passa avanti!”, sbuffò l’altro il quale, nell’atto di incrociare le
braccia, sollevò un’onda anomala nella vasca.
A
farne le spese furono le frange del tappeto all’altro lato e le colonie di
acari che alloggiavano dentro.
“Allora…
ecco…”, scorse il rigo, “…Bulma Brief ha scelto
di aprire, solo per i lettori di Vanity Dragon, le porte della sua casa…”.
E mentre
la voce della donna diventava un’eco distorta, imprigionata dai fantasmi di
vapore che andavano e venivano dalle mattonelle, a Vegeta venne in mente la
troupe di giornalisti che aveva invaso
Nessuno
di loro aveva saputo trovare una spiegazione al fatto che le macchine
fotografiche fossero saltate in aria al passaggio di un uomo misterioso: tutti avevano
pensato di aver esagerato un tantino troppo con gli aperitivi e gli stuzzichini
quando avevano visto lo stesso uomo saltare dalla finestra e librarsi in aria.
“…La facoltosa scienziata, dopo aver
mostrato i laboratori ed esibito il progetto di un nuovo kit di capsule ancora
più spazioso, che sarà immesso sul mercato prima di Natale per la gioia di
tutti i consumatori, si è mostrata reticente a parlare della sua vita privata, della quale si conosce soltanto l’esistenza di un figlio e
di un uomo scontroso e riservato, nondimeno, si è detta assai soddisfatta e
felice…”.
A
sentirsi chiamare in causa, Vegeta sogghignò e un rivolo d’acqua scese lungo il
collo e si raccolse nelle fosse giugulari:
“Visto che sono anni che ti infischi del fatto che io sia un
tipo scontroso e riservato, ti consiglio di ritagliare quell’ultimo pezzo ed
incollartelo da qualche parte. Può essere che tu riesca a
ricordarlo meglio”.
“Mi
dispiace, ma questa è stata una mia licenza”, chiuse la rivista. “Non sei affatto menzionato nell’articolo e sai perché?”.
Vegeta
sembrò più interessato alla bolla di sapone rimasta in bilico sotto la fontana:
persino le paperelle di gomma sarebbero state un intrattenimento migliore, se
solo Trunks avesse avuto l’età giusta per giocarci ancora.
“L’unico
modo che avevo per evitare una mattanza gratuita di giornalisti in casa mia,
era raccontare che del padre di mio figlio non avessi più notizie da molti
anni. Non so se mi hanno creduto…”, fece soprappensiero, arrotolando il
giornale, “…anche perché tu sei apparso proprio in quel momento e quando ti
hanno visto spiccare il volo dalla finestra, ho dovuto far loro credere che eri uno dei miei robot”.
Quando
parlava a quel modo, il saiyan non riusciva mai a capire se stesse facendo
davvero sul serio.
Con
lo stesso scetticismo, la vide posare il giornale sulla cesta del bucato –
aveva acquistato almeno una ventina di copie ed una
era stata già incorniciata e inchiodata sopra la scrivania tra gli altri titoli
di studio – e mettersi ad armeggiare con un paio di forcine tra i capelli davanti
allo specchio.
“Il
direttore di Vanity Dragon mi ha chiamato proprio stamattina e mi ha proposto
di posare per un calendario di beneficenza. Mica ti
dispiace?”.
Non
solo non gli dispiaceva ma non gliene importava un fico secco. Tornò ad
appoggiare la testa contro il bordo della vasca e la schiuma osò avvolgergli il
mento di una barba profumata e bianca.
Bulma
non ricevette risposta e si voltò per accertarsi che lui avesse inteso giusto:
“Te
lo chiedo perché si tratta… ehm… di un calendario di nudo”.
I
fichi secchi gli rimasero in gola ed ebbe la sensazione che cinquanta
centimetri di acqua sarebbero stati più che sufficienti per annegarci dentro.
“Cosa…
cosa vuol dire beneficenza?”. Forse, aveva perso qualche passaggio, e intanto
la barba da anacoreta appena disceso dalla vetta di una montagna gli era già
caduta dal mento, ed un’altra onda anomala era stata
generata a danno del tappeto e delle colonie di acari alloggiate tra le frange.
“Che
il ricavato del calendario servirà a costruire un ospedale per bambini”.
E
tutta la beneficenza che già faceva a cosa diavolo serviva? Montagne di lettere,
calendari, bigliettini che riempivano la cassetta postale ogni mattina. I robot
non facevano in tempo a portarli in casa che già si traducevano in bollettini
postali. Neppure le leggeva! Avrebbe potuto finanziare anche un’associazione a delinquere e non se ne sarebbe accorta!
“Il
direttore dice che si aspetta di triplicare le vendite”.
Non
poteva triplicarle con le tette di qualcun’altra?
“E
i bambini cosa dovrebbero farci con un tuo
calendario?”, non aveva mai avuto tanta
premura verso i più piccoli come con questo pensiero.
Bulma
scoppiò a ridere:
“Sciocchino!
I calendari non sono mica per i bambini! La gente acquista il
giornale, paga un sovrapprezzo per ricevere anche l’allegato e con il ricavato
si finanzia la costruzione dell’ospedale”.
Ma questo
gli era stato chiaro fin dall’inizio: dare il calendario in mano ai bambini era
stata soltanto una speranza.
Nel
suo cervello di alieno disadattato non riusciva proprio a prendere forma l’idea
che il calendario sarebbe stato acquistato da chiunque e che tutti, compreso il
lattaio di fronte, il gelataio col carretto, il fioraio all’angolo, il
ragazzino brufoloso, l’autista dello scuolabus che stazionava
in prossimità dei laboratori, tutti avrebbero avuto una visione chiara, mese
per mese, giorno per giorno, delle tette di sua moglie.
Già
si era accorto del modo in cui il postino con i baffi squadrava Bulma ogni
volta che c’era una raccomandata da ritirare. Lei firmava e lui effettuava una scansione radiografica dalle gambe fino al
collo.
Ma che
bel regalo che adesso gli avrebbe fatto! Tanto valeva che andasse a ritirare la
raccomandata a seno nudo! Chissà quante volte l’aveva già sfogliata per ricordare una tassa da pagare o un appuntamento dal
dottore!
“Ovviamente sto parlando di foto artistiche. Non c’è niente di osceno e di sconcio. Se ne occuperà una troupe di professionisti”.
Si
sbottonò la camicetta e con una sculettata uscì dalla minigonna.
“Mica ti dispiace se ne approfitto e faccio un bagno pure
io?”.
Vegeta
non rispose. Restò a fissarla mentre, sfilate le calze e il reggiseno, mise
prima un piede e poi l’altro nella vasca; e intanto si chiedeva se con quella
stessa familiarità si sarebbe spogliata dinanzi ad una decina di…
professionisti.
Altro
che foto artistiche! Tra le sue tette ognuno ci avrebbe annotato quello che
voleva!
Un’altra
onda anomala si abbatté sulla colonia di acari e l’acqua incominciò a ribollire
di nuovo, ma non era l’idromassaggio.
Come
un moribondo nel deserto, Vegeta fu vittima di mostruose visioni, e mentre il
numero dei calendari si moltiplicava sotto i rulli delle stampe, ripensò alla
fotografia che Kakaroth aveva promesso a Kaioshin appena qualche settimana
prima.
Era
la giusta punizione divina per non aver voluto persuadere il vecchio con una
foto di sua moglie, ed ora avrebbe affrontato di nuovo
Majinbu in tutte le sue metamorfosi, sacrificio compreso, perché le migliaia e
migliaia di copie finissero tra le vereconde mani di Kaioshin e fossero
confinate anni luce da lì.
Mentre
le mandorle e il cocco sfrigolavano intorno alle mammelle e la spugna tamponava
con delicatezza estenuante il collo e le piccole spalle, Vegeta rifletté che, se
pure un ingenuo come Kakaroth aveva notato la generosità di certi dettagli,
allora non c’era scampo.
Il
problema andava estirpato alla radice e, considerato che
impedire la diffusione a mezzo stampa sarebbe stato come provare a debellare un
virus, solo due erano le soluzioni da passare al vaglio: o trovare il modo di
spianare il petto di sua moglie, magari sotto il rullo compressore di una stampante,
ma, rinunciando a tanta abbondanza, avrebbe fatto un torto a sé stesso prima
che agli altri, o il genocidio finale di tutta la razza umana, che per lui
valeva molto meno.
In
quest’ultimo caso, con Bulma e suo figlio avrebbe potuto trovare riparo sul
pianeta di Kaioshin e lì sua moglie, per la gioia del vecchio, sarebbe potuta anche andare in giro con le tette al vento.
La
soluzione più semplice, ovvero dichiararle che non era
il caso di fare beneficenza senza vestiti, equivaleva a fare un picnic da solo
con Kakaroth su di una tovaglia a quadretti bianchi e rossi: avrebbe preferito
morire.
“Tu
non lo fai per beneficenza, lo fai perché ti piace
essere guardata”.
“Anche
per questo”, ammise la lepre impavida senza vergogna, farcendo di mandorle e
cocco pure la faccia.
Vegeta
cercò di tenere a bada la contrazione della tempia, ma non ci riuscì.
“Che
c’è di male? Alla mia età può essere un’esperienza in più”.
“Non
mi farebbe piacere essere visto nudo da gente estranea”, aggiunse fingendo noncuranza,
ma intanto la frustrazione montava nell’acqua e irrobustiva la schiuma.
“E’
soltanto una forma d’arte, niente di più. Che vuoi che sia? Non è una questione
di pudore. Mi vergognerei di più se mi spiassero in questo
momento dai vetri della finestra e mi scattassero una fotografia”.
Davanti
a tanta disinvoltura, il principe dei saiyan sentì che sotto l’acqua calda uno
dei suoi muscoli, quello più virile, si era ritirato oramai in un eloquente
ermetismo e che, quando il resto del corpo avrebbe smesso di generare nervosismo
sottoforma di idromassaggio, sarebbe venuto a galla un
pesce morto.
Aqua, Sodium
Laureth Sulfate, Parfum, Sodium Laroyl Glutamate, Sodium Chloride, Disodium
EDTA, 2-Bromo-2 Nitropropene-1,3-Diol, Phosphoric Acid, Citric
Acid, Citronellol, Coumarin, Eugenol, Limogene, Linalool.
Anche
da lontano, riusciva a scorgere ogni lettera impressa sul flacone del
bagnoschiuma.
Non
riusciva a vedere altro che questo: la spuma era diventata una sostanza tossica
che gli stava togliendo il respiro; nel delirio, cresceva a dismisura,
arrivando a lambire anche la moquette della camera da letto
attraverso la fessura della porta, e i fantasmi di vapore andavano e venivano
dalle mattonelle prendendosi gioco di lui.
Si
risolse ad alzarsi con una scrollata d’acqua che debellò definitivamente le
colonie di acari e inzuppò pure gli altri indumenti lasciati a terra.
“Vegeta,
sei sicuro di sentirti bene?”.
Che
avesse trovato un pesce stecchito nell’acqua?
Il
saiyan davvero osservò la vasca e vide che il livello dell’acqua era tornato ad
abbassarsi svelando l’intero profilo, cosparso di schiuma, dei seni della
donna.
Prenderli
a morsi poteva essere la mossa giusta per costringerla a ritardare i suoi empi
propositi di visibilità, ma non aveva voglia di avvicinarsi a lei e neppure di
guardarla.
“Certo che sto bene. Sono a mollo da parecchio”, ringhiò e, anziché
incrementare l’aura come sempre faceva quando si
asciugava, tirò dal gancio il telo da bagno e se lo strofinò addosso come un
comune terrestre.
“Mi
sembri accaldato”.
“C’è
una temperatura di 50° gradi qua dentro”, superò il guado formatosi a terra, a
ridosso dei calzini puzzolenti e delle mutande, e fece scattare l’uscio
automatico.
L’impatto
con l’aria più fresca della stanza da letto gli fece realizzare
che non c’erano più schiuma, fantasmi, lepri impavide, né sentieri boscosi di
colore fucsia, solo quel profumo di cocco e di mandorle che si portava addosso
e che non avrebbe voluto sentire per i prossimi anni.
Con
la faccia schiacciata contro il cuscino, si domandò tutto quel malessere a cosa
fosse dovuto.
Era
gelosia? Ma la gelosia non era prerogativa dei
terrestri?
Voltò
la schiena e restò a fissare il soffitto tagliato in due dall’abatjour.
La
verità era che non gli andava di condividere sua moglie con nessuno e meno che mai
con quel branco di smidollati che erano i suoi amici.
Già
sentiva la pacca di Kakaroth sulle spalle:
“E pensare che ti sei
arrabbiato tanto quando ho proposto di dare una foto di Bulma a Kaioshin.
Siccome adesso tutti conoscono le tette di tua moglie, non è
che potremmo inviare una copia al vecchio come ringraziamento per averci
aiutato durante lo scontro con Majinbu?”.
Vegeta
sussultò come se davvero una presenza gli avesse sfiorato la spalla. Era il
colmo!
Al
pensiero che il calendario avrebbe arricchito la collezione di giornaletti
porno del vecchio eremita delle tartarughe, o rinfrescato
la memoria dell’ex fidanzato, che sicuramente, in passato, aveva sbirciato a
sufficienza sotto le magliette aderenti di Bulma, il suo petto fatto di acciaio
blindato rantolò, producendo lo stridio di un cardine arrugginito.
Tuttavia,
la certezza che Iamcha non avesse mai trovato banchetti di dolci allestiti in
antri bui e stillanti di rugiada, gli permise di trovare un istante di lucidità
mentale e con questo lubrificare meglio gli ingranaggi dell’acciaio blindato.
Alla
fine di tutti questi pensieri, volle illudersi che non si trattasse di gelosia,
ma soltanto di amarezza e che le donne non meritavano tanto affanno.
Facesse
pure la sua beneficenza! In un modo o nell’altro, gliela avrebbe fatta pagare cara!
La
lepre impavida uscì dal bagno portando altro odore nauseabondo di cocco e di
mandorle. Il cacciatore errante pensò che la preda fosse diventata troppo poco
appetitosa per sprecare una munizione; e la ignorò girandosi su di un fianco.
“Domani chiamerò il direttore di Vanity Dragon e gli
dirò che il calendario non è una buona idea. L’ospedale può essere realizzato anche con una
percentuale ricavata dalla vendita del nuovo kit di capsule che sarà messo sul mercato a breve”.
Vegeta
tornò ad aprire gli occhi, ma non si mosse.
“Il
bagno caldo mi ha permesso di riflettere meglio”, continuò Bulma, slacciando la
vestaglia. “E’ che non mi sembra giusto nei confronti di
Trunks. E’ ancora un bambino e ne potrebbe restare turbato. Non credi?”.
Dunque,
era soltanto per suo figlio che lo faceva? Ma se
Trunks aveva smesso di interessarsi alle sue tette da almeno sette anni!
Oltraggiato
e ferito, Vegeta sentiva la puzza di pesce morto proveniente dal bagno farsi
più insistente.
Bulma,
che lo conosceva troppo bene da indovinare il cruccio del suo volto anche soltanto
seguendo le linee tortuose della schiena, scosse la testa e sorrise:
“Inoltre…”,
aggiunse, infilandosi sotto le coperte, “…ho pensato che solo la persona di cui
sono innamorata ha il diritto di vedere certe cose ”.
Finalmente
le sentì dire una cosa sensata, ma gli oppose una tenace resistenza pure quando
la morbidezza del suo petto incriminato sgusciò dal pile del pigiama e finì
contro la sua schiena.
L’impronta
umida di un bacio sul lobo dell’orecchio neppure servì a risvegliarlo dal rigor
mortis del suo orgoglio; e così Bulma, ricordando di aver abbozzato delle e-mail
urgenti da spedire alle filiali in oriente, aprì il pc portatile lasciato sul
comodino e si mise a lavorare in attesa che il sonno, varcata la porta,
entrasse in punta di piedi.
La
normalità di quella situazione – non era raro che Bulma per addormentarsi
leggiucchiasse qualcosa e il pc facesse da terzo incomodo sopra le coperte – si
tradusse per Vegeta in una specie di respiro di sollievo: Kakaroth non lo
avrebbe commiserato, Muten non avrebbe arricchito la sua collezione, Iamcha non
si sarebbe rinfrescato la memoria e il postino con i baffi avrebbe continuato a
effettuare scansioni radiografiche ogni volta che ci
sarebbe stata una raccomandata da firmare.
Giorno
per giorno, mese dopo mese, stagione dopo stagione,
soltanto a lui sarebbe spettato il diritto – Bulma non si era avvalsa proprio
di questo concetto? - di guardare sua moglie a quel modo.
La
sensazione di pericolo scampato rasentò quasi quella sperimentata al ritorno
dal santuario di Dende, in compagnia di Bulma e di suo figlio, qualche
settimana prima.
Il
letto profumava di nuovo di cocchi e di mandorle e proprio nel momento in cui
il saiyan si domandava se fosse il caso di voltarsi e mettersi di nuovo alla
ricerca di banchetti di dolci allestiti in antri bui e
stillanti di rugiada, sentì Bulma esclamare sconvolta:
“Ma
come è potuto succedere?”.
In
genere, sceglieva quella gamma di interrogativo anche
quando sbagliava la combinazione del sudoku o scopriva di aver perso
l’inaugurazione di un nuovo centro commerciale, perciò, Vegeta continuò a
crogiolarsi nel pensiero confortante del pericolo scampato.
Trasmesse
le e-mail urgenti, la scienziata si era messa a navigare su acque più basse e
tranquille, ignorando che le insidie si nascondono anche in un metro d’acqua.
“Ti ricordi quando la scorsa settimana sono
andata a quella conferenza nella Città dell’Est?”.
Se
non altro, ricordava il broncio che Bulma aveva tenuto il giorno prima di
partire, quando si era arresa all’evidenza che né lui né Trunks le avrebbero
fatto compagnia.
“In albergo mi è stata data
una camera al primo piano. Mi hanno detto che le suite erano già tutte
occupate. Non so come sia potuto succedere, è stata una
frazione di pochi secondi, oh, è terribile… tutto questo è successo perché mi
avete lasciato andare da sola!”, si mise a singhiozzare.
A
quel punto, Vegeta decise di risorgere dal rigor mortis del suo orgoglio, si
voltò e vide che sul monitor del pc era visualizzata la pagina di un giornale.
“Un
paparazzo mi ha scattato una fotografia proprio nel momento in cui mi sono
avvicinata alla finestra per chiudere le tende”.
“E
allora?”, tralasciando il dettaglio che per lui un paparazzo era un incrocio sperimentale tra un papero starnazzante e
un missile, una creatura abominevole che solo uno scienziato come il Dott. Gero
avrebbe potuto partorire, non poteva sapere che “Gossip ball” era una delle
principali testate scandalistiche e non un giornale di divulgazione
scientifica; né poteva immaginare, il grande conquistatore di galassie, che un
popolo innocuo come quello dei terrestri disponesse di
armi alternative ed altrettanto micidiali.
Povera
scimmia venuta da lontano! Si sarebbe sempre potuto consolare con i cocchi e le
mandorle, giacché su certi dettagli l’esclusiva sarebbe stata sua, e continuare
a banchettare solo soletto in antri bui e stillanti di rugiada, nel confortante
pensiero che soltanto con gli occhi non ci si sfama sul serio, ma intanto chi
gli spiegava, senza mettere a repentaglio l’incolumità della razza umana, i
concetti di “pubblico dominio” e “privacy violata”?
Vedendo
che l’altra incominciava a rosicchiare le unghie e a singhiozzare come se
queste si ficcassero in gola, si decise a girare il monitor dalla sua parte: l’immagine
mostrava sua moglie intenta a tirare le tende dietro i vetri di una finestra
d’albergo, nuda come mamma l’aveva fatta e come solo lui si era illuso di vederla.
“Esclusivo: dopo la scoperta di un nuovo
pianeta, a Bulma Brief, genio indiscusso della C.C., non resta altro che tirare
una tenda e scoprire… sé stessa”.
FINE