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Autore: JiuJiu91    21/04/2007    25 recensioni
Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. Quando guardi a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarda dentro di te. [Friedrich Nietzsche]
Le gemelle Spencer vivono su binari paralleli: Maggie è esuberante, goffa e maldestra, perennemente intenta a collezionare figuracce, mentre la riservata Therese è una studentessa modello, saggia dispensatrice di consigli e ottima strega. Destinate a non incontrarsi mai, se non si fossero trovate intrappolate, assieme, in un piano molto più grande di loro, divise tra Bene e Male. Sempre che Bene e Male esistano ancora, quando i Buoni sono pronti a tutto pur di vincere la guerra e i Cattivi non sembrano poi così cattivi.
In un Mondo Magico in cui non è più tutto bianco o tutto nero si intrecciano storie d'amore e di guerra, d'amicizia e di fratellanza, di alleanze e di tradimenti. In tutte le sfumature che preferite.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo, personaggio, Serpeverde, Tom, Riddle/Voldermort
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Ciao a tutti...questo primo capitolo è un po' lungo...ma vi prometto che i prossimi saranno più brevi...

spero che questa storia vi piaccia!

Critiche e suggerimenti sono ben accetti! Baciottolonzi...a presto!

VITA DA MAGGIE

I

nciampo, rotolo giù dalle scale e sbatto violentemente la fronte lentiginosa sul corrimano di ferro delle scale. Ecco il primo ricordo “serio” che ho della mia vita. Secondo molti, questo spiega tutto. È stato il motivo per cui sono diventata Maggie. Secondo altri, è semplicemente stato il motivo per cui mia zia ha perso due settimane in ospedale con me, non ha potuto lavorare e ci siamo trasferite in un’altra casa.

Ma questo è successo quando ero uno scricciolo di due anni. A quell’epoca non sapevo che ci saremmo trasferite altre volte e che saremmo arrivate addirittura a trasferirci a Londra.

- Allora, Maggie, vogliamo parlarne? – la donna occhialuta davanti a me non mi conosceva. E sicuramente non voleva parlare con me. Faceva solo il suo dovere, il lavoro per cui veniva pagata e avrebbe potuto tornare a casa anche quella sera con i soldi per la cena

- Ehm…no – risposi sinceramente

- Hai bruciato la scuola, Maggie, un motivo ci sarà sicuramente un motivo – replicò imperturbabile quella donna

- Non ho bruciato la scuola – precisai – Ho tentato di farlo ma mi avete fermata sul più bello – le rammentai

- Tentare equivale a farlo – puntualizzò la donna

- Oh…non credo proprio perché se l’avessi fatto lei ora non potrebbe starsene seduta su quella poltrona – ribattei

- Bene, ora stiamo parlando – osservò rallegrata la donna – Io sono Miss Klane, vogliamo diventare amiche? –

La squadrai perplessa.

In undici anni di entusiasmante vita da Maggie non avevo mai conosciuto qualcuno così stupido come Miss Klane.

- Generalmente le psicologhe si chiamano Milly, Molly, Mandy, Kitty…lei invece? – domandai

- Ethel – rispose questa

- Che bello. Niente nomi assurdi – sorrisi senza entusiasmo

- Perché hai tentato di bruciare la scuola, Maggie? – ritentò

- Perché mi fa cagare – mentii

- Risposta errata – sorrise comprensiva Ethel – Banale –

- Io non sono una persona banale – ribattei

- Dimostramelo – Ethel mi fissò inespressiva

D’accordo, dovevo ammettere che avevo davanti qualcuno che sembrava conoscere il suo lavoro, finalmente, dopo anni di assistenti sociali isteriche e psicologhe che odiavano i bambini.

- Speravo di uccidere mia sorella – ammisi

- Stai scherzando mi auguro – sussurrò Ethel

- Assolutamente no – ribattei con aria sdegnosa – Io odio mia sorella –

Therese Spellman. L’emblema della perfezione.

Fisicamente eravamo quasi uguali, del resto essendo gemelle spesso capita: stessi capelli rossi, stessi occhi azzurri, stesse lentigini sul viso, stesso lardo sui fianchi, stessa espressione stupida, stesso portamento goffo.

Ciononostante, lei era sempre perfetta. Era la studentessa modello che ogni insegnante vorrebbe avere, la figlia perfetta che ogni genitore vorrebbe crescere, la ragazza dolce che ogni ragazzo vorrebbe sposare e l’amica ideale che ogni ragazza vorrebbe conoscere.

E per di più era una strega.

Ma non una strega di quelle cattive che fanno patti con il diavolo e volano di notte su una scopa vecchia e malconcia. No, lei era una strega apprendista. Le era persino arrivata una lettera dalla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Perdonatemi, signori, se credevo che fosse una buffonata.

Soprattutto perché la suddetta lettera aveva raggiunto anche me.

Ricordo perfettamente quella mattina di fine Agosto. Ci eravamo trasferite a Londra da meno di un mese: io, mia zia Tracie, mia cugina Bernadette e mia sorella Therese.

Ero scesa a prendere la posta nella speranza di trovare 100000£ e un biglietto di sola andata per New York, ma mi ero trovata tra le mani due vecchie buste ingiallite con lo stemma di una scuola che non conoscevo.

- Che dice? – chiesi a Therese non rinunciando alla mia colazione

- Sono una…strega! – esclamò lei con aria di onnipotenza

- Che scoperta – sibilai distrattamente

- Lo sapevo che non era normale far muovere gli oggetti sulla scrivania. Ora lo so! Sono una strega! Una vera strega! – Therese saltellò intorno al tavolo nel ristretto cucinino e mostrò la lettera che aveva ricevuto alla zia

Viviamo con zia Tracie da quando abbiamo quattro mesi, ovvero da quando l’aereo con cui i miei genitori e quelli di Bernie stavano andando in vacanza è precipitato nell’Atlantico. Ma lei, la nostra adorata zia, non ci ha mai fatto mancare nulla. Affettivamente parlando, perché in altri termini ci è mancato tutto: dai soldi, a una casa, a una vita in una città che amavamo come New York.

Zia Tracie aveva trovato su Internet un lavoro a Londra e aveva deciso che dovevamo cambiare aria, che non poteva continuare così. Così come? Fu la domanda a cui non trovai mai una risposta e fu la domanda che mi ripetei tutti i giorni di quel piovoso Agosto londinese.

- Che bello! Hai ricevuto una lettera! – sorrise la zia entusiasta

- Leggi! Leggi! Leggi! – Therese dischiuse la bocca in quello che mi sembrò un ghigno perfido

- La signorina…bla bla bla…è invitata a trascorrere i prossimi sette anni scolastici nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e bla bla bla…la scuola si aprirà il primo settembre come ogni anno…bla bla bla…il treno partirà dal binario nove e tre quarti di King’s Cross il primo settembre 2001 alle undici in punto – lesse la zia distrattamente

- Sono una strega! – ripetè Therese

- Le streghe non esistono – replicò Bernie

Mia cugina, Bernadette, era quella mattina uggiosa, l’unica che sembrava mantenere un minimo di cervello.

- Esistono, invece – Therese le lanciò uno sguardo cattivo

- Nei libri di fiabe per bambini – precisò Bernie – Non nella realtà –

- A me è arrivata la lettera di Hogwarts – sibilò Therese

- Qualcuno ti avrà preso per il culo – propose Bernie

- Ti rode perché io sono una strega e tu no – decretò Therese

- Io andrò in Portogallo a salvare le tartarughe marine, cosa me ne importa di una scuola di Magia?!? – sbottò Bernie

- Allora, zia, posso andare ad Hogwarts? – Therese si rivolse alla zia con un sorriso angelico

Zia Tracie mi lanciò uno sguardo perplesso.

Io sollevai le spalle e continuai a leggere il mio giornale di musica.

- Non so… - iniziò la zia sistemando le tazze nella credenza. Poi le finì tra le mani la seconda lettera – Maggie, ma ce n’è una anche per te! –

- Che cosa?!? – esclamammo in coro io e mia sorella

La leggenda popolare vuole che le gemelle parlino sempre in coro. Io e Therese, invece, non avevamo mai detto nulla in coro. Non fino a quel giorno.

- Non è possibile! – sibilò Therese disgustata – Tu non puoi essere una strega –

- Appunto – convenni

- Leggetela – suggerì la zia

La mia lettera era esattamente uguale a quella di mia sorella. Cosa che, a quanto pareva, non lasciava alcun dubbio.

- Sei una strega – sussurrò Therese colpita – Ci dev’essere un errore –

- Genetico – precisai

- Stiamo degenerado – osservò Bernie che, dall’alto dei suoi quindici anni, si considerava una ragazza seria e assennata

- Tu non ci vieni ad Hogwarts! – strillò Therese istericamente

- Non preoccuparti, non ci tengo – la rassicurai

- Tu non sai far muovere gli oggetti! – aggiunse Therese

- Vuoi vedere come faccio muovere questa sedia fino a spaccartela in testa? – proposi – Sto leggendo, Therese, e tu mi stracci i coglioni con questa stupida storia della scuola di magia. Non esiste una maledetta scuola di magia e non esiste la magia. Merda –

- Ben detto, Margaret – Bernie applaudì

Therese ci guardò entrambe con disprezzo.

- Io andrò ad Hogwarts! – annunciò

- Nessuna di voi due andrà ad Hogland! – urlò zia Tracie

- Cosa?!? – Therese si voltò verso la zia – L’anno scorso hai permesso a Maggie di fare il bagno nell’oceano la notte di Capodanno. E poi hai lasciato che Bernie andasse nel Maine a vedere le martore. E ora che io voglio fare qualcosa che per me è molto importante…dici di no. Perché?!? –

- Perché fare il bagno nell’oceano o andare nel Maine non mi è costato più di quanto costa questa casa – osservò la zia – Mi dispiace, Therese, so che per te è importante, perciò metterò via dei soldi e se ci riusciremo, potrai andare l’anno prossimo –

Tolsi le cuffie del walkman dalle orecchie e chiusi il giornale. La faccenda stava diventando interessante.

Pensai che Therese avrebbe pianto e urlato istericamente che voleva andare alla scuola di magia. Invece raccolse la sua lettera senza risparmiare una mossa di disgusto quando sfiorò il piatto delle pan cake e poi ci fissò una dopo l’altra, senza risparmiare occhiate di gelo, e dichiarò con disprezzo:

- Io vi odio tutte – e sparì nella sua camera sbattendo con violenza la porta

Dall’episodio erano passati quasi otto mesi. Era fine Aprile, ma Therese non aveva dimenticato la lettera di Hogwarts. Tutt’altro. Ogni sera si sedeva alla scrivania e leggeva un librone enorme, poi prendeva una penna e cercava di farla alzare in aria con la sola forza del pensiero.

Nonostante io non avessi mai visto la penna volare, Therese insisteva di essere una strega bravissima e che non appena avesse avuto i soldi per andare ad Hogwarts ci sarebbe andata.

Nel frattempo, si impegnava perché io mi trovassi male alla St. Catherine, la scuola che frequentavamo assieme, per fortuna in due sezioni diverse.

In compagnia di alcuni amici che mi ero fatta al doposcuola punitivo, avevo cercato di dare fuoco a delle cartacce e ora mi toccava sorbirmi un piano di recupero mentale con Miss Klane, la psicologa della scuola.

- Quindi tu odi tua sorella – ripetè Ethel sorridendo dolcemente – Capita nelle ragazzine orfane di trovare nella sorella o in un parente di età così vicina un nemico insormontabile, è normale –

- Se lo dice lei – sussurrai

- Quello che non è normale è il tuo tentativo di sopraffazione nei confronti di tua sorella – riprese Miss Klane

- No, lei deve aver frainteso qualcosa. Il tentativo di sopraffazione è suo. È di Therese. È lei che crede di essere la migliore sempre e comunque e che dice di essere una strega – spiegai

- Dice di essere una strega? – chiese Ethel

- Sì. Lo ripete da quasi un anno – ammisi

- Forse dovrei incontrarvi assieme. Ho bisogno di parlare anche con tua sorella – decise Miss Klane

Era Aprile. Un Aprile piovoso e umido così come lo erano stati Febbraio e Marzo. E anche Gennaio. E Dicembre e…beh, Londra sembrava avere un clima abbastanza uniforme per tutto l’anno.

Quando arrivò Maggio non sperai nemmeno di trovarvi un miglioramento.

E invece, il pomeriggio che Miss Klane si presentò a casa nostra per terapizzare me e mia sorella assieme, il sole splendeva in cielo.

E Therese aveva deciso che quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe dimostrato a tutti di cos’era capace una strega.

- La vede questa penna, Miss Klane? – chiese docilmente mia sorella

- Sì Therese – rispose Ethel, con quella voce che si usa per assecondare i pazzi

- Ora la farò volare – decretò Therese

- Certo – borbottai sarcasticamente io

Therese appoggiò la penna sul tavolo e la fissò intensamente per quelle che mi sembrarono ore ma che evidentemente furono solo un paio di minuti. Poi la penna si mosse. Impercettibilmente rotolò appena verso sinistra.

Miss Klane trattenne il respiro. Io feci un passo indietro.

Therese aveva la fronte imperlata di sudore e gli occhi ridotti a due fessure.

- Avanti…alzati…alzati… - sussurrò concentratissima

La penna vibrò e si alzò di un paio di centimetri dal tavolo. Therese distolse lo sguardo, la penna rotolò giù dal tavolo e lei si lasciò cadere su una sedia allo stremo delle forze.

- Se avessi una bacchetta magica, l’incantesimo di levitazione richiederebbe molte meno energie – spiegò tranquillamente asciugandosi la fronte

Miss Klane ci fissò interdetta. Voltò le spalle e scomparve nella tromba delle scale. Due giorni dopo si licenziò dalla St. Catherine.

Therese era davvero una strega.

Passai l’Estate di quell’anno 2002 a cercare di far levitare piccoli oggetti leggeri, ma l’unica cosa che si alzò in volo davanti a me fu una piccola cimice.

Una sera ritornai a casa molto tardi. Il mio gruppetto di amici della St. Catherine mi avevano portato al casinò, a giocare a poker. Avevo vinto 15£. Un nulla, pensando che le scarpe che desideravo da tempo costavano 69£ ma forse…con un po’ di sacrifici, entro qualche mese avrei avuto quelle Nike.

La porta della cucina era socchiusa e una luce filtrava da sotto. La cosa non mi avrebbe stupita se non avessi sentito una voce sussurrare frasi incomprensibili all’interno.

La zia non stava bevendo alcoolici. Né Bernie stava studiando. Né Therese si esercitava con le sue magie. Qualcuno parlava al telefono, e le frasi concitate non lasciavano dubbi sull’argomento della telefonata.

- Mi lasci ancora qualche giorno, Mr Campbell… - sussurrò la voce preoccupata della zia -…Ho dovuto comprare dei vestiti alle mie nipotine…lo pagherò l’affitto…non se ne preoccupi…lo so che è da Marzo che non paghiamo ma…vedrà che…no! La prego! – il tono di voce si alzò improvvisamente – Non mi sfratti…non saprei dove andare…non ho nemmeno i soldi per tornare a New York e ho appena trovato lavoro in una boutique in centro…le assicuro che avrà i suoi soldi –

Sospirai stancamente e infilai le mie 15£ nella scatola di biscotti vuota che la zia usava per i risparmi. Le Nike potevano aspettare.

Therese, invece, non aspettò neanche un secondo. Mi aggredì e mi trascinò in bagno.

- Stiamo andando ad Hogwarts – decretò – Facciamo i bagagli, prepariamoci e si va –

- Stiamo, facciamo…prepariamo…ma sei fuori?!? – sbottai – Tu vai dove vuoi, anche in Papuasia. Io non mi schiodo da qua –

- La zia non ha abbastanza soldi per pensare a noi – osservò Therese

- Se non ci avesse voluto ci avrebbe mollato in un orfanotrofio quando ne ha avuto l’occasione – replicai

- Che ne poteva sapere quando ne ha avuto l’occasione che noi saremmo state un peso?!? – sbuffò Therese

- Noi non siamo un peso – osservai

- Questo è quello che credi tu. Hai idea di quanto costa farti da mangiare tutti i giorni? – mi domandò lei

- No – ammisi

- Ecco bene, allora te lo dico in termini tuoi: alza il culo – sbottò Therese

- Per fare cosa? – domandai

- Per. Andare. Ad. Hogwarts – sibilò Therese – Hai capito o te lo devo ripetere? –

- Io. Non. Ci. Voglio. Venire – decretai – Hai capito o te lo devo ripetere? – la scimmiottai

- Tuo malgrado sei una strega – sospirò lei – Questa cosa mi disgusta. Ma non ci posso fare niente. Sei una strega e quindi verrai ad Hogwarts con me –

- Non credo che la zia… - iniziai

- È evidente che non hai afferrato – Therese si sedette sul bordo della vasca - La zia non deve sapere nulla –

- Tu vuoi fuggire nella notte per una scuola che neanche esiste senza avvertire la zia? – sussurrai

- Vedo che ci sei arrivata. Non sei così stupida, allora. È solo una patina superficiale di stupidità, ma sotto sotto sei quasi intelligente – sorrise Therese

- Stiamo facendo una cazzata – annunciai

- Quasi intelligente – puntualizzò lei

Magnifico. Proprio quello che ci voleva. L’armadio svuotato e tutti i miei vestiti spariti nel nulla.

- Therese? Se sei stata tu con una delle tue stupide magie mi incazzo. Fammi riapparire i vestiti – sibilai

- I vestiti sono qui – mi porse uno zainetto

- Lì? Lì? – ero scioccata – In quello zaino? E tu vuoi farmi credere che i miei vestiti che occupavano metà armadio ora occupano dieci centimetri cubi? –

Therese mi lanciò uno sguardo d’odio in silenzio. Poi aprì lo zainetto e tirò fuori una magliettina che poteva andare sì e no ad una Barbie.

- Merda! – avrei voluto strillarlo a tutto il condominio, ma Therese fu più veloce e mi tappò la bocca con la mano – Merda – ripetei a voce più bassa – Come cazzo hai fatto a ridurli così? –

- Magia – rispose lei misteriosa

- Questa cosa non mi diverte affatto – sussurrai

- Pronta? – mi chiese

Mi afflosciai sulla sedia. Mi presi la testa tra le mani e riflettei con calma. Le opzioni erano due: rimanere a casa ed essere torturata dalla zia e da Bernie perché dicessi loro dov’era Therese per il resto della vita o seguire mia sorella.

Che Hogwarts non esistesse ne ero certa, quindi il viaggio alla ricerca della scuola fantasma sarebbe durato massimo una settimana. Poi Therese sarebbe rinsanita. D’accordo, la seconda opzione poteva funzionare.

- Lasciamo un bigliettino alla zia? - proposi

Therese sorrise trionfante. Ce l’aveva fatta: mi aveva convinta.

- Ho già provveduto – mi rassicurò – Le ho scritto di non cercarci e di non chiamare la polizia – me lo mostrò e poi lo lasciò sulla scrivania, assieme al suo braccialetto di caucciù con la lettera “T”

- Posso portarmi qualcosa? – guardai la mensola piena di ricordi che mi legavano a New York: un’insegna luminosa di una pizzeria, una bussola rotta, il pennello con cui avevamo dipinto la mia camera, una scatola di scarpe che aveva contenuto il topo con cui avevamo spaventato a morte Miss Johnson, l’odiosa insegnante delle elementari che avevo frequentato

- Qualcosa di poco ingombrante – precisò Therese

- Il Monopoli? – proposi

- No – disse secca mia sorella

Sapevo cosa prendere. Era un piccolo ciondolo che il mio migliore amico Rob mi aveva regalato l’ultima sera che avevo passato a New York, dopo avermi dato il mio primo vero bacio serio. Me lo legai al collo: un ciondolo che raffigurava la Statua della Libertà e la scritta “I Love NY”.

- Questo va bene – approvò Therese

Scivolammo furtivamente fuori dalla camera. La zia aveva smesso di parlare al telefono. Era in cucina.

Lanciai un’occhiata nella fessura della serratura per non dimenticarmela.

I capelli corti rossi le ricadevano disordinatamente intorno al volto e sugli occhi azzurri pieni di lacrime. Era magra e piccolina, come se fosse rimasta bambina fuori e fosse cresciuta solo dentro. E dentro era cresciuta troppo presto, quando a dodici anni aveva perso la verginità con il suo spacciatore, quando a tredici aveva lasciato la scuola per lavorare, quando a venti si era ritrovata tre bambine tra capo e collo, quando a trentadue doveva scegliere come farle vivere bene.

Therese mi strattonò verso la porta e uscimmò. A New York camminare in una notte di Agosto sarebbe stato rilassante e divertente. Londra, invece, era buia e silenziosa. E soprattutto, sembrava stesse per piovere.

- Allora, qual è il piano? – domandai a mia sorella

Non avevamo mai camminato per così tanto tempo l’una accanto all’altra. Io e lei avevamo vissuto due vite separate da un muro almeno fino all’anno prima.

- Ora andiamo all’Admiral – decise lei

- All’Admiral?!? – feci io stupita

- Tu giocherai a poker e vincerai i soldi che ci servono – puntualizzò Therese

- Io?!? Pensavo che il piano prevedesse anche la tua partecipazione – osservai

- Infatti l’ho studiato io. Credo di aver partecipato abbastanza. E poi sei tu che vai al casinò, no? – sorrise Therese allusiva

- Quanti soldi ci servono? – domandai

- Mah…non so…sulle 3000£ - rispose pacata

- 3000£?!? – replicai – E dove le troviamo 3000£? –

- Al casinò – rispose lei beata

- E secondo te troviamo un coglione pronto a giocarsi 3000£ in cambio del nulla? – le feci notare

- Ops…hai ragione – osservò Therese

- Già…la prima breccia nel tuo piano – ribattei sprezzante

- Non importa. Improvviseremo – Therese si diresse velocemente verso l’ingresso dell’Admiral

- Therese! – esclamai

- Dimmi – lei si voltò verso di me

- Non di là…di qua – la portai in un vicoletto buio e salimmo una scalinata d’acciaio

L’unico modo per entrare nell’Admiral senza essere notati era infiltrarsi dall’uscita di servizio e fu quello che facemmo. Ero stata qualche volta all’Admiral e mi ero fatta amica due malviventi della zona che passavano le loro serate tra il tavolo da biliardo e i tavoli da poker.

Erano Philipp e il Giaguaro. Sembravano vivere in simbiosi: il Giaguaro era pelato e vestiva sempre di nero, Philipp era un bel ragazzo con una perla all’orecchio sinistro e adorava lo scotch.

Entrambi ignoravano che avessi una gemella.

- Guarda un po’ chi c’è! – esclamò Philipp, abbandonando la stecca da biliardo e sollevando il bicchiere nella mia direzione – La Rouge

- Sono io che ho bevuto troppo o sono davvero in due? – rise il Giaguaro

Therese mi lanciò uno sguardo curioso che si tramutò subito in uno sguardo di rimprovero come a dire “Tu conosci questa gente?”

- Oggi ho bisogno di soldi – annunciai

I due sorrisero divertiti.

Sul momento lo trovai molto maleducato da parte loro, ma immagino che trovarsi davanti una ragazzina che a Dicembre (il 12, per l’esattezza) avrebbe compiuto dodici anni che diceva di aver bisogno di soldi risultasse abbastanza comico.

- Quanti soldi? – volle sapere il Giaguaro

- Circa… - mi girai verso mia sorella e lei annuì convulsamente – Circa 3000£ -

- Roba da niente – ironizzò Philipp

- Già – sorrisi

- E va bene, Rouge, ma tu cosa scommetti? – sospirò il Giaguaro, sistemando due sedie vicino ad un tavolo

La sala dei tavoli da gioco era avvolta nel fumo. Nell’Admiral nessuno aveva mai parlato di divieto di fumare e non c’era giocatore, tranne me, che non avesse una sigaretta in bocca. La mia mente, però, era più annebbiata della sala.

- Mi gioco… - mi guardai attorno in cerca d’ispirazione – Mi gioco mia sorella –

Il Giaguaro e Philipp guardarono Therese.

Poi guardarono me.

- E noi cosa ce ne facciamo? – sbottò Philipp

- E secondo te io cosa me ne faccio? – replicai – Non è un problema mio cosa ve ne fate, così come non sarà un problema vostro cosa farò io con le vostre 3000£ -

Therese che mugolava innervosita alle mie spalle mentre giocavo mi dava alquanto fastidio. Mi trattenni dal tirarle un calcio e tramortirla perché doveva rimanere nelle condizioni da valere almeno 3000£.

Quando le banconote furono al sicuro nella tasca dello zainetto e noi al sicuro fuori dall’Admiral, Therese mi aggredì con delle chiazze violacee sulla faccia.

- TU! Stronza grassona odiosa…cos’avevi intenzione di fare?!? – strillò Therese fronteggiandomi con la solita aria di superiorità

- Esattamente quando? – chiesi

- Esattamente prima – disse Therese gelida

Quando socchiudeva gli occhi in quel modo e digrignava i denti faceva quasi paura. Aggiungendo il fatto che era notte, in uno dei quartieri meno raccomandabili di Londra e che lei era una strega, avevo tutti i miei buoni motivi per aumentare il passo.

- Dove stai andando? – mi domandò Therese sospirando

- Non lo so. Di là – risposi

- Dobbiamo andare a Diagon Alley – ribattè lei

Cercai di visualizzare la cartina della metropolitana nella mia mente, ma avevo un vuoto totale.

- Non conosco questo quartiere – ammisi

- Lo conosco io. Muoviti…cerchiamo il Paiolo Magico – sbuffò Therese e mi spinse verso la parte opposta

Camminammo per non so quanto tempo ancora su e giù per Londra. Un paio di volte ebbi la sensazione di essere già passata da quel posto, ma Therese ostentava talmente tanta sicurezza da convincermi che sapeva dove stavamo andando.

Le diedi retta finchè non arrivammo davanti ad una specie di vecchia locanda che sembrava rimanere su per una fortuita combinazione astrale.

- Se soffi cade – annunciai guardando perplessa il Paiolo Magico

- Siamo davanti alla barriera che divide i maghi dai babbani – sospirò Therese emozionata

- Dai ba-cosa? – feci io

- Dai Babbani. Quelli come te. Quelli senza poteri magici – spiegò lei

- Ma io sono una strega – replicai piano – L’hai detto tu –

- Sì…certo – rispose lei senza crederci troppo

Guardai il Paiolo Magico. Non prometteva niente di buono.

- Tu dici che questa è una barriera… - iniziai disgustata – Ciò significa che i maghi stanno in una specie di ghetto –

- Non è così – sbuffò Therese – Ora dormiamo. Domani vedrai cos’è Diagon Alley – lo disse con quella voce, quella spinta di desiderio come un affamato che vede una torta in fondo alla strada e sa che se arriva fin lì quella torta sarà sua

Peccato che io sapessi già che quella torta era di plastica.

Quella notte dormii nel letto più scomodo che avessi mai provato. Era freddo e bitorzoluto e nonostante io fossi rimasta una notte in riformatorio, diverse all’ospedale e una notte in una clinica di riabilitazione per ragazzi difficili del Bronx, non avevo mai dormito in un letto così scomodo.

Alle 10 del mattino, quindi, ero molto più stanca di quando ero andata a dormire e per di più avevo la schiena a pezzi.

Therese ignorò i miei malori e decretò che avremmo fatto shopping.

- Uh…tu conosci il significato della parola “shopping”? – le chiesi stupita – Pensavo che nel tuo dizionario forbito non rientrasse un simile termine da volgare stracciona –

- Non stiamo andando a comprare scarpacce da ginnastica nere glitterate o disgustosi cappellini da baseball. Compreremo l’attrezzatura per Hogwarts – spiegò Therese

- Ora mi si chiarisce tutto – ammisi

- Ti prego solo di essere più educata possibile – soggiunse lei, passandosi un velo di lucidalabbra

- Che motivo ho di essere educata? – le domandai – E con chi, per altro? Non conosco nessuno nel mondo dei maghi –

- Proprio per questo. Cerca di essere gentile – mi ordinò Therese

E io lo sapevo bene: un ordine di Therese era difficilmente ignorabile.

E così dovetti sorbirmi negozio dopo negozio una via intera di negozietti uno più assurdo dell’altro. Nella mia breve ma affascinante vita, nei sobborghi newyorkesi, non avevo mai visto nulla di simile.

Neanche a China Town esistevano negozi di quel tipo.

Ad un tratto inciampai in una gabbia che conteneva un gufo spelacchiato. Mi rialzai da terra scuotendo i miei jeans preferiti, quelli con gli strappi sulle cosce.

- Trovo tutto ciò molto stupido – annunciai apaticamente, mentre Therese si sceglieva una civetta per la posta – Non puoi usare i francobolli come tutte le persone normali? –

Una serie di facce incuriosite si voltò nella mia direzione.

- Hogwarts sta diventando piena di Mezzosangue – sussurrò una donna di mezza età, che teneva per la mano un ragazzino bruno

- Guardate com’è vestita – sussurrò una bambina dietro di me

- Siamo circondati da Babbani – soggiunse un ragazzo, un po’ più avanti

Therese arrossì e mi guardò facendomi sentire in colpa. Eppure, per una volta, non avevo fatto niente di male. Non avevo rubato nulla dagli scaffali, non avevo minacciato nessuno con un coltello e non avevo rotto la vetrina con una pietra. Ero solo una…ehm…Mezzosangue. Bene, e con questo?

- Perché non vai a vedere il negozio di scope? – suggerì Therese

Non mi importava nulla delle scope, ma mi rendevo conto che togliermi dai piedi non avrebbe fatto che bene a mia sorella. Inforcai gli occhiali da sole e andai a comprarmi un gelato.

Mi sedetti su un gradino al sole e mangiai il mio gelato in silenzio, assaporandolo piano. Era l’unico sfizio di avere finalmente i soldi per vivere.

- Ommioddio! Ommioddio! Ommioddio! – Therese si aggrappò praticamente alla vetrina di una libreria

- Ommioddio! Una libreria – le feci il verso

- Non capisci…quello è Gilderoy Allock! Sarà un nostro professore! È famosissimo…vado a vedere se mi fa un autografo sui libri! – e corse via lasciandomi imbambolata in mezzo alla strada

- Gilderoy Allock…e chi sarà mai questo Allock di così importante – sbuffai e andai a guardare la vetrina del negozio di scope

Guardai la vetrina per così tanto tempo che quando Therese uscì dalla libreria sapevo a memoria i nomi di tutte le scope in vetrina e avrei potuto descrivere ad occhi chiusi ogni particolare del manico e anche in quanti secondi acceleravano da zero a cinquanta chilometri orari.

- Non immaginerai mai chi c’era in libreria! – esclamò Therese con gli occhi che le luccicavano come se fosse il personaggio di un cartone animato giapponese

- Gilderoy Allock – risposi con voce piatta – Il nostro futuro famosissimo professore –

- NO! – Therese saltellava entusiasta – Cioè sì…ma…a parte lui –

- Brad Pitt? – proposi

- Harry Potter! – replicò lei

- Ah…Harry Potter, come ho potuto non pensarci – borbottai sarcastica

- Harry Potter…Dio…non dirmi che non sai chi è Harry Potter – sussurrò Therese

- Non lo so – ammisi

- Ommioddio – sospirò Therese – Ora dovrò spiegartelo –

- Puoi anche non farlo. Sbrigati a finire le tue compere, ho intenzione di vedere “City of Angels” in televisione questa sera – le suggerii

- Harry Potter è il Bambino Sopravvissuto. L’unico che sia riuscito a non morire quando tu-sai-chi ha tentato di ucciderlo – spiegò Therese

- Mi pareva di averti detto che non me ne frega nulla di Harry Potter – sussurrai

- L’unico che sia mai sopravvissuto a tu-sai-chi! – ripetè lei implacabile

Le lanciai un’occhiata nella quale speravo di averci messo abbastanza disprezzo e tirai fuori il cellulare dalla tasca del mio jeans.

- Non ho nemmeno un penny qui dentro. Chiamerò la Vodafone, voglio sentire una voce amica – sospirai

- Metti via quell’aggeggio – sibilò Therese

- Non ti conviene, o dovrò pensare e pensando mi verrà in mente che sto facendo una cazzata, prenderò un taxi e le tue 3000£ e me ne tornerò dalla zia nel mondo delle persone normali – specificai

- Muoviti, dobbiamo ancora comprare le nostre bacchette – annunciò Therese

- Dio se esisti, ti prego, batti un colpo – scossi la testa e mi rassegnai a seguire mia sorella

Restammo rintanate nel negozio di un vecchietto gentile di nome Olivander tutto il pomeriggio. Fu dura trovare una bacchetta che andasse bene per me. Ogni pezzo di legno che mi finiva tra le mani sembrava avere una reazione allergica a Maggie Spellman e schizzava via. Alla fine uscii dal negozio che fuori era buio, stringendo una bacchetta che aveva all’interno fibra di genitale di drago.

- Non mi sono mai vergognata come oggi in giro con te – decretò Therese, quando fummo in camera, al Paiolo Magico

- Potrei dire la stessa cosa anch’io – convenni

- Ora vado a mangiare. Tu resta qui, ti porterò qualcosa al mio ritorno – decise lei

- Io non sono il tuo cagnolino pacioccoso, né tantomeno la tua serva. Quindi se vuoi andare giù a mangiare fai pure, ma non pretendere che io ti aspetti qui. Dammi i soldi, vado al McDonald’s – sbuffai

Mangiai da sola in un angolo un BigMac guardando la mia immagine riflessa nella vetrina. Ero decisamente nel posto sbagliato. Ma cosa ci facevo lì? Una lacrima scivolò sulla mia guancia grassoccia e finì nel McFlurry. L’asciugai con il bordo della maglietta e presi la decisione più importante della mia vita, almeno così pensavo in quel momento: sarei resistita ad Hogwarts giusto il tempo di recuperare i soldi che mi servivano a comprare un biglietto aereo per New York e una volta lì mi sarei fatta ospitare dai miei amici e sarei tornata ad essere Maggie. La Maggie che tutti conoscevano come la Regina della George Washington, la scuola elementare più malfamata di New York.

Quando tornai in camera Therese dormiva con un libro aperto sulla pancia. Lo presi in mano. “Guida alla Magia di Adalbert Incant”. Ero arrivata in quel mondo da mezza giornata e già ero stufa.

Libri, scope, topi, gufi…che futuro di merda mi aspettava?

King’s Cross, la stazione di Londra, era gremita di gente. Turisti che tornavano nelle loro sperdute città di campagna, ragazzi che si ubriacavano sui marciapiedi, gente in giacca e cravatta pronta a sfrecciare nella metropolitana e andare al lavoro.

E poi noi due.

Therese con una gonna al ginocchio a quadri e una camicetta bianca spingeva il carrello con gli zainetti e una borsa ed io con un vecchio jeans sbiadito e una felpa nera con gli strass cercavo di capire il verso di una piantina.

- Per di qua – Therese mi spintonò verso il binario 10

- Avevo già le mie perplessità prima di partire da casa ma…dov’è il binario nove e tre quarti? – le chiesi

Therese si fermò davanti a un pilastro.

- Qui – rispose

- Qui? – feci scettica

Alla mia sinistra c’era il binario 9. a destra il 10. Nessuna entusiasmante via di mezzo.

- Magari è dall’altra parte, insieme al binario quattro virgola sei e al binario 2x meno 3y – suggerii sarcastica

- Bisogna attraversare questo muro – replicò Therese senza alterazioni nel tono della voce

- Sì, certo…come ho fatto a non pensarci? Bisogna solo attraversare questo muro – sospirai affranta

- Sbrigati, non abbiamo tempo da perdere – decretò lei

- Io vengo a piedi – decisi

- Lo fanno tutti i maghi che frequentano Hogwarts – spiegò Therese cercando di mantenere la calma – Lo si è sempre fatto e nessuno è mai morto –

- C’è sempre una prima volta – le ricordai

Therese non mi rispose. Mi spinse verso il muro. Proprio nell’istante in cui credevo che mi sarei schiantata sui mattoncini, mi ritrovai su una banchina che prima non c’era, con la faccia a terra e un treno a vapore che sbuffava ininterrottamente.

Mia sorella mi aiutò a rialzarmi.

- Sempre la solita – sibilò

- Abbiamo un biglietto? Un posto prenotato? – le domandai

- Non c’è bisogno del biglietto, stupida, questo è l’Hogwarts Express – ribattè lei

- Ah…si sale a scrocco – sussurrai

Era forse l’unica cosa che avevo capito del mondo magico. Il treno era gratis. Beh…bello, non c’è che dire.

Mentre gli altri studenti di Hogwarts con vestiti grigi e fuori moda si apprestavano a sedersi sulle comode poltrone del treno, io e Therese eravamo abbarbicate in bagno. Lei sul cesso e io sul lavandino.

- Non possiamo restare qui per tutto il viaggio – osservai intelligentemente

- Lo decido io quello che si può fare o no – ribattè Therese, meno intelligentemente

- D’accordo, Therese, tu sei il capo. Ma io ne ho fatti di viaggi a scrocco e credo che dovremmo andare a sederci, confonderci con gli altri passeggeri. Desteremo qualche sospetto chiuse nel cesso! – sbottai

Therese mi fissò sprezzante e poi aprì un libro.

- Trovati qualcosa da fare ma non rompermi i coglioni – suggerì

Passai le due ore più entusiasmanti della mia vita a contare e ricontare i fili di lana della mia sciarpa. Ad un tratto Therese chiuse il libro e tirò fuori un mazzo di carte.

- E va bene, giochiamo a poker – decise

- Tu giochi a poker? – le chiesi perplessa

- Ci sono molte cose che non sai di me. Molte più delle cose che sai – mi rimbeccò lei

Quando il treno si fermò alla stazione di Hogsmeade, mi vergognavo quasi ad ammetterlo, ma il tempo con mia sorella era passato abbastanza velocemente. Dopo il poker avevamo giocato a scala quaranta, poi a bridge e per finire avevamo messo via le carte e avevo convinto Therese a scrivere “Ciao Mondo” con un pennarello blu sulla parete del bagno.

- Ora dobbiamo mischiarci alla gente – annunciò Therese

- Ci vedranno comparire dal nulla, sarà dura mischiarci alla gente – ammisi

- Seguimi e credici – replicò Therese

Scendemmo dal treno seguendo la fiumana di gente che si dirigeva alle carrozze trainate da disgustose bestie grige. Proprio mentre stavamo raggiungendo una delle carrozze, un omone alto cinque volte come me ci fermò.

- Il primo anno da quella parte – ci disse

- Noi non siamo del primo anno – ribattè Therese offesa e mi trascinò via – Quando la gente ti importuna non darle corda, chiaro? –

- Uhm…sì – risposi

Nella nostra carrozza c’erano tre ragazzi che sembravano decisamente più grandi di noi. Uno di loro, il più figo, sembrava avere intenzione di porgerci qualche domanda, ma rimase in silenzio per tutta la durata del viaggio. Cosa che mia sorella apprezzò particolarmente, ma io mi morsi le mani.

- Ora aspettiamo – decise Therese una volta scese dalle carrozze

- Non so tu ma io ho fame – replicai – quindi non aspetterò –

- Maggie, chi è il capo? – mi chiese Therese

- Tu – risposi sbuffando

- Allora attieniti al mio piano – convenne lei

- Ma il tuo piano fa cagare – osservai – Non prevede la cena? –

- Certo, dopo che avremo una nostra Casa – ribattè Therese

- Speravo che avremmo dormito a scuola – sussurrai – Le 3000£ sono finite come pensi di pagare l’affitto? –

- Non quella Casa. Gli studenti di Hogwarts sono divisi in case…delle specie di squadre – spiegò Therese stancamente, come se me l’avesse spiegato già mille volte

- Per me non fa differenza in che squadra sarò, quindi possiamo entrare e andare a mangiare? – riprovai

- No perché non sapremmo a che tavolo sederci – rispose Therese spazientita

Nel frattempo tutti gli studenti erano entrati e noi eravamo in giardino, al freddo, davanti ad una scuola di pietra illuminata a giorno e nella quale sicuramente gli altri stavano cenando. Il mio stomaco sussultò.

- Therese, te lo dico in poche parole: ho fame e voglio entrare – annunciai

- Adesso entriamo, dobbiamo aspettare la circostanza giusta – replicò lei

In quel momento sentii un rumore forte e chiaro, come il motore di una macchina. Mi girai a destra, a sinistra, ma non c’erano auto in quel giardino. Eppure il rumore si avvicinava sempre più ed era come se venisse…

- Giù! – Therese mi spinse sotto un cespuglio

Alzai gli occhi al cielo. Una Ford Anglia blu mezza scassata stava planando verso un grosso albero al centro del giardino. L’albero non sembrò prenderla bene, alzò i rami e sfondò la carrozzeria. Due ragazzini dall’aria parecchio terrorizzata schizzarono fuori dalla macchina e rimasero sul prato qualche secondo. La macchina si mise in moto e sparì all’orizzonte. Mi voltai verso Therese.

- Queste cose sono all’ordine del giorno qui? – le chiesi preoccupata

- Quello è il Platano Picchiatore – annunciò Therese – Venne piantato anni e anni fa. È un albero molto prezioso per questa scuola –

- Non credo che i due sfigati che gli si sono schiantati contro la pensino così. Ma se lo dici tu… - sospirai quasi divertita

- Vieni! Ora! – il portone era aperto e una luce si diffondeva sulle scalinate – Mio Dio…è sensazionale – sussurrò Therese guardandosi attorno in un enorme ingresso un po’ inquietante

- Come il Plaza – ironizzai

I due ragazzi della macchina stavano discutendo con un vecchio dall’aria burbera sulle scale e sembravano nella merda.

- Saliamo per di qua – Therese si lanciò su per una scalinata di marmo

- Cosa prevede ora il tuo piano? – le domandai incuriosita

- Veramente il mio piano…ehm…si fermava a come saremmo entrate ad Hogwarts – ammise Therese

- E non hai pianificato cos’avremmo fatto una volta dentro? – le chiesi scioccata

- Beh…no, pensavo che mi sarebbe venuto naturale, del resto questa è un po’ la mia casa – sorrise Therese sognante

- Sai perché non ti schiaffeggio? Perché hai le guance sporche di terra – sbottai

- Ehi! Voi due! – una voce ci urlò alle spalle

- Cazzo – sussurrai

- Quello è Gazza, il custode – spiegò Therese

- Come fai a saperlo? – le domandai

- Ne parlano come di un gran pezzo di merda – annunciò

- E quindi? – la fissai in attesa

- Corri! – Therese cominciò a correre su per le scale, poi a sinistra, poi a destra, in un corridoio buio, ancora a destra, su per altre scale, giù per le scale, a destra, corridoio illuminato, sinistra, strada senza uscita.

- Siamo in trappola? – domandai a mia sorella

- Oh no…oh no…oh no…è la fine…Caput draconis! – sospirò Therese sconsolata

Un quadro dietro le nostre spalle si mosse e lasciò intravedere un altro corridoio, una sala, altre scale.

- Di qua! – urlai mentre Gazza compariva in fondo al corridoio

Su per le scale, a sinistra, ancora su. Una porta aperta. Dentro una stanza.

- Siamo salve – sussurrai

- Stai scherzando? – Therese si prese la testa tra le mani – Non ho idea di dove siamo e soprattutto non ho idea di come ci siamo arrivate –

- Tu hai detto quella cosa e… - iniziai

- Lo so! Era per non dire “merda”. Significa testa di drago in latino – sospirò lei

- Beh non a tutti sarebbe venuto in mente di dire una cosa in latino in un momento del genere – osservai

- C’è qualcuno? Calì? Lavanda? – una voce si avvicinava lungo il corridoio

- Le sorprese non sono ancora finite, seguiteci nella prossima puntata – mormorai sarcastica

- Avanti, dobbiamo nasconderci, non perdiamo tempo – sibilò Therese

- Hai ragione, Therese, dietro la tenda? – suggerii

- Nell’armadio! – Therese aprì un grosso armadio di legno e ci infilammo dentro

Stare troppo tempo così vicina a mia sorella mi avrebbe uccisa, già lo sapevo.

- Ragazze? – chiamò la voce da fuori – Toh…sono sparite. Vediamo un po’ se sono già a posto tutti i vestiti –

L’aria si riempì di un urlo lacerante quando la ragazza con i boccoli castani spalancò le ante dell’armadio. Therese urlò. La ragazza urlò. Io urlai.

La riccioluta fu la prima a riprendersi.

- Ehm…piacere, Hermione Granger, cosa ci fate nel mio armadio? – chiese cercando di parere gentile

- Scusaci, Hermione, ci siamo perse – spiegai cercando di sembrare gentile anche io, ma senza un apparente risultato

- Hermione Granger! Sei uscita con i migliori voti dal primo anno, ho saputo – sorrise Therese esaltata – Io sono Therese e lei è mia sorella, Margaret –

Hermione ci guardò di sbieco.

- Siete del primo anno? – domandò

Therese scoppiò a ridere, divertita.

- Oh, no! Certo che no! – disse poi

- Venite con me – la ragazza si girò e ci scortò fuori.

Giù per le scale, a destra, nella sala illuminata, corridoio illuminato, fuori dal quadro, giù per le scale, a sinistra, su per le scale, a destra, corridoio buio, corridoio illuminato, su per le scale a sinistra, in fondo a un corridoio una porta. Chiusa.

- Accidenti, la parola d’ordine – sussurrò Hermione, battendosi una mano sulla fronte

- Signorina Granger, i suoi amici sono appena atterrati nel giardino della scuola con una macchina volante – sorrise un vecchio con i capelli lunghi e una specie di camicia da notte

- Professor Silente! – esclamarono in coro Hermione e Therese

- Professor Silente! – ripetei io con un sorrisetto falso appena abbozzato

- Ho trovato queste due ragazze nel mio armadio, Professore. Le sembrerà strano, immagino, del resto sostengono di non essere del primo anno – raccontò Hermione

- Venite, ne parleremo con più calma nel mio ufficio – annunciò il vecchio

- Ma chi è? – sussurrai all’orecchio di mia sorella

- Il Professor Albus Silente è il mago più potente di tutti i tempi, nonché preside di questa scuola – rispose Therese

- Magnifico. Ho battuto ogni mio record. Sono dieci minuti che sono qui e sono già finita dal preside. Cominciamo bene – borbottai entrando nell’ufficio del preside

L’ufficio di Andrew Cohen, il preside della George Washington, era stracolmo di bottiglie di superalcolici. Quello di Amanda Grifft, la preside della St. Catherine, era un ricettacolo di quadri di paesaggi di montagna. L’ufficio di Albus Silente sembrava un vecchio ripostiglio. Era pieno di misteriosi oggetti dalla dubbia utilità e lo spazio per camminare era veramente ristretto. Mi infilai tra un grosso mappamondo e la libreria e aspettai a braccia conserte.

- Non ci siamo presentati. Io sono Albus Silente, il preside – mi porse la mano e io la strinsi con poco entusiasmo

- Maggie Spe… - iniziai

- Spencer – concluse mia sorella – E io sono Therese –

- Maggie e Therese Spencer – ripetè Silente – E…qual buon vento vi porta qui? –

- Abbiamo ricevuto la lettera di Hogwarts l’anno scorso – raccontò Therese – ma purtroppo una serie di sfortunati eventi ci ha impedito di frequentare il primo anno –

- Noi non rifiutiamo nessuno. Potrete farlo quest’anno – sorrise Silente comprensivo

- No! Professor Silente, mi scusi, io ho studiato quest’anno per recuperare ciò che non ho potuto fare l’anno scorso. Mi dispiacerebbe molto perdere un anno. Credo di essere in grado di seguire le lezioni del secondo anno – spiegò Therese

Il suo sorriso sembrava fatto di melassa. Era talmente zuccherato e disgustoso che il solo guardarlo avrebbe ucciso un diabetico. Era abbastanza snervante starmene lì impalata con le braccia conserte mentre mia sorella decantava le sue abilità. Dio quanto era odiosa.

- Professoressa McGranitt – Silente si voltò verso una donna piccolina con un cappello verde – Se i professori saranno tutti d’accordo, le signorine Spencer verranno inserite nei corsi del secondo anno –

Therese sorrise trionfante. Io mi fissai le scarpe da ginnastica nera rendendomi conto di non sapere neanche che materie avremmo studiato.

- Ma certamente – rispose la professoressa McGranitt, posando un cappello sdrucito sulla scrivania del preside – E in quale Casa sono state smistate? –

- Ah…ecco cosa stavamo dimenticando – sorrise il professor Silente – Il Cappello Parlante penserà a dirvi quale sarà la vostra famiglia per i prossimi set…volevo dire sei anni –

Therese si sedette elegantemente su una poltrona e Silente le posò in testa il vecchio capello malconcio, che dopo meno di un minuto declamò:

- Grifondoro! –

- Parla – sussurrai stupita

- Benissimo, benissimo, abbiamo un’altra Grifondoro – Silente strinse la mano a Therese – La Casa delle persone leali e coraggiose, dedite all’amicizia e all’onestà –

- E le alte opzioni quali sono? – domandai

- Serpeverde, la Casa degli astuti e dei puri di sangue – iniziò Silente

- I maghi più malvagi vengono da Serpeverde – precisò Hermione

Silente la ignorò.

- Corvonero, per i maghi che prediligono la ragione e la calma – continuò – E Tassorosso… -

- Per tutti gli altri – concluse Therese

- Vieni, Maggie – Silente mi invitò gentilmente a sedermi

Vediamo…c’è una piccola ribelle qui…disonesta quanto basta…sprezzante delle regole e decisamente scorretta con le persone…ma sono certo che le tue doti nascoste verranno fuori se ti affido ad una Casa come..

- Grifondoro – annunciò il Cappello

- Che cosa?!? – Therese mi fissò sbigottita – Non è possibile! Maggie non può essere una Grifondoro! Lei non è onesta, buona, coraggiosa e tutte quelle cose lì…lei è…una stronza –

Silente sorrise dolcemente e diede una leggera pacca sulla spalla a mia sorella.

- A volte siamo convinti che il Cappello Parlante abbia sbagliato. Ma lui non giudica le nostre azioni, giudica come siamo dentro e molto spesso nemmeno noi sappiamo a che Casa potremmo appartenere. Noi no, ma lui sì – e mi sorrise incoraggiante – Sono certo che Maggie sarà un’ottima Grifondoro. Le persone cattive sono quelle che possono piacevolmente stupirci quando fanno del bene, mentre quelle buone possono solo deluderci. Non trova anche lei? – mi guardò

- Sì, certo – risposi sorridendo

Forse in quella merda di scuola qualcosa di buono c’era.

- Come diavolo hai fatto a finire a Grifondoro? – Hermione Granger ci stava silenziosamente accompagnando nel nostro nuovo dormitorio, ignara del fatto che non avevamo cenato e che io avevo fame, mentre Therese si stava chiedendo come mai questa volta non fosse lei quella buona in tutti i sensi

- Vedi, Therese, a volte il Cappello compie gesti insensati, del resto te l’ha detto anche Silente, no? – le feci notare – Difatti non vedo come tu possa essere una Grifondoro, viste le qualità che non hai –

- Sono molto più onesta, buona e leale di te, se vogliamo dirla tutta – sbottò lei offesa

- Certo, ma non credo tu conosca molto bene il valore dell’amicizia, o sbaglio? – la punzecchiai

- Scusate… - fece Hermione

- Oppure vogliamo parlare di quella volta che hai scambiato il tuo compito di storia con quello della tua migliore amica per avere un voto più alto? – le ricordai

- Scusate… - ritentò Hermione

- Stai parlando di una cosa successa due anni fa – ringhiò Therese – Tu piuttosto, ad Aprile hai bruciato la scuola –

- Non ho bruciato la scuola! Ho tentato di bruciare la scuola – ribattei

- Scusate! – Hermione picchiettò sulle nostre spalle

La fulminammo entrambe con un’occhiataccia.

- Che c’è? – chiedemmo all’unisono

- Volevo solo dirvi di sbrigarvi, perché ho bisogno di parlare con i miei amici ora – dichiarò Hermione

Quella Hermione Granger già mi stava sul culo.

Therese, invece, non la pensava così. O meglio, la pensò così fino alla mattina dopo quando vide Hermione Granger in compagnia di due ragazzi che di speciale non avevano davvero nulla.

Uno era bassino, con gli occhiali rotondi da sfigato e l’altro era alto, con i capelli rossi e le lentiggini. Erano seduti a fare colazione e discutevano animatamente con Hermione. Mentre Therese correva verso di loro, rimasi a fissare la mia immagine in una vetrata.

Indossavo una squallida divisa grigia da ragazzina per bene e, cosa ancora più tremenda, un mantello nero e un cappello da strega. Eppure mancava più di un mese ad Halloween.

- Sei nuova? – mi chiese un ragazzo nero, dall’aria quasi simpatica

- Sì, ma non rimango a lungo – risposi freddamente e mi voltai verso il mio cellulare – In questo postaccio non c’è nemmeno campo! –

- Ehi! Maggie! Maggie! – mi urlò mia sorella, che si era seduta accanto a Hermione. Finsi di non sentirla e mi diressi a grandi passi verso l’altra estremità del tavolo – Maggie! Siamo qui! –

Siamo?

Mi voltai e le lanciai uno sguardo affranto.

- Che vuoi? – le chiesi

- Volevo presentarti i miei nuovi amici – sorrise

- Bene – brontolai

- Loro due sono Harry Potter e Ron Weasley. Harry Potter, capito? – si voltò verso i due ragazzi dall’aria perplessa – Lei è mia sorella. C’è stato uno sbaglio, in realtà doveva essere a Serpeverde –

- Lo sbaglio c’è stato – la corressi – Perché io non dovevo proprio essere qui. Dovevo scappare con le 3000£ e andarmene a New York –

Hermione ridacchiò e anche gli altri due fecero un sorrisino di comprensione a Therese. Perfetto, ora sì che sarebbero diventati amici: e avrebbero avuto anche un facile bersaglio da prendere in giro.

Imburrai due fette di toast e quando suonò la campana dell’inizio delle lezioni mi resi conto di aver dimenticato la bacchetta magica in camera. Raggiunsi l’aula di Pozioni, nei sotterranei, dopo quasi un quarto d’ora di ardua ricerca.

Entrai di soppiatto. Dal silenzio sembrava non ci fosse nessuno.

- Che culo! Sono la prima – chiusi la porta e mi girai. Circa trenta paia di occhi mi fissavano sbalorditi – Ehm…volevo dire…buongiorno! –

Un uomo alto, con il naso talmente rivolto verso il basso che quasi gli sfiorava il labbro e una folta chioma di capelli unticci, sorrise sarcastico.

- Non sarà un buongiorno se lei non si siede immediatamente al suo posto – dichiarò l’uomo

- D’accordo – borbottai perplessa

- Non si dice “d’accordo”, si dice “sì, professor Piton” – replicò l’Anguilla di Fiume

La mia mente perversa se lo immaginò mentre abbracciava una donna e gli sgusciava da tutte le parti per via di quella viscidità.

- D’accordo – approvai – No, scusi, volevo dire…sì professor Piton – mi corressi

- Pensa di essere spiritosa, signorina Spencer? – mi domandò l’Anguilla..ehm…Piton

- Abbastanza, quando c’è il sole – risposi

- Come, scusa? – fece lui

- Sono abbastanza spiritosa quando è sereno. Credo di essere lievemente metereopatica – ammisi

Qualcuno ridacchiò tra gli studenti.

- Silenzio – li zittì Piton – Spencer, vai a sederti prima che possa togliere dieci punti a Grifondoro –

- Sì professor Piton – diedi un’occhiata all’aula. L’unico posto libero era vicino ad un cesso astronomico che cercava goffamente di pulire il tavolo dallo schizzo di una pozione con un libro

Mi accomodai e attesi.

- Signorina Spencer, dove sono il suo libro, la sua bacchetta e se non oso troppo il suo calderone? – chiese Piton

Siamo partiti con il piede sbagliato…

- Ah quelli – sorrisi preoccupata – Credo di poterne fare a meno per oggi. Seguirò la lezione… come dire…in disparte, per familiarizzare con la materia –

- Malfoy, la signorina Spencer seguirà la mia lezione assieme a lei – annunciò Piton e si girò a scrivere strane cose alla lavagna, senza nemmeno dirmi chi fosse Malfoy

In uno scatto di intelligenza decisi che Malfoy doveva essere quello che mi stava guardando o che aveva liberato un posticino per me. La classe mi fissava senza espressione. Mi fissavano perché doveva essere così, ma nessuno mi stava probabilmente vedendo davvero.

Un ragazzino biondo si alzò in piedi.

- Professor Piton, mi scusi, ma io non voglio lavorare con una schifosa Mezzosangue – annunciò

Così capii chi era Malfoy.

Non era neanche male, per lo standard qualitativo dei ragazzi della classe. Alto, biondo, con gli occhi azzurro ghiaccio e un’espressione beffarda sul volto. Se non mi stesse insultando, avrei potuto quasi affermare che era degno delle mie attenzioni.

La classe trasalì quando Malfoy pronunciò la parola “Mezzosangue”. Compresi che doveva essere un insulto bello tosto, anche se ignoravo cosa significasse.

- Beh, professor Piton, mi scusi, ma se Malfoy non vuole lavorare con me, non ha importanza, nemmeno io voglio lavorare con lui – decretai lanciandogli uno sguardo di sfida

- Come ti permetti? – sbottò lui, senza cercare in Piton un intermediario

- Il tuo ego è talmente gonfio che trasborda dalle finestre di questa classe – sibilai

- E tu sei talmente lurida che non ho intenzione di parlarti ancora – ribattè Malfoy

- Io? Io sarei lurida? – digrignai i denti – Allora guardati un po’ allo specchio – mi girai di schiena e gli mostrai le chiappe nude

La classe trattenne il respiro.

Piton trattenne il respiro.

Malfoy trattenne il respiro.

Quando finalmente tutti ricominciarono a respirare un venticello attraversò la classe.

- Signorina Spencer, questo insulto ad un suo compagno costerà a Grifondoro cinquanta punti in meno – dichiarò Piton

Gli sguardi di quelli che indossavano una cravatta a righe rosso e oro si fecero minacciosi verso di me. Malfoy ridacchiò sollevato.

- Non pensi che ignorerò il suo comportamento maleducato e offensivo, signor Malfoy, solo perché è della mia Casa. Per aver denigrato una compagna solo per le sue origini Babbane toglierò cinquanta punti anche a Serpeverde – continuò Piton

- Ma non è giusto! – ribattè Malfoy – Professor Piton –

- Io, invece, lo trovo giustissimo – sorrisi

- Ciò non toglie che resti una sporca Mezzosangue – sorrise Malfoy – Una razza che odio –

- E ciò non toglie che tu resti uno schifoso snobbettino viziato e pieno di sé – sibilai – Una razza che odio –

- Spencer! Malfoy! Da Silente. Ora – Piton prese me per il braccio e Malfoy per il polso e ci trascinò fuori dalla classe – E non cercate inutili scappatoie – soggiunse sbattendo la porta

Io e Malfoy ci fissammo velenosamente negli occhi. Poi distolsi lo sguardo e mi avviai lungo il corridoio.

- Ehi, Mezzosangue, non vorrei disilludere le tue scarse conoscenze di Hogwarts ma l’ufficio del preside è di qua – mi richiamò Malfoy

Non trovai qualcosa da ribattere e lo raggiunsi. Camminammo in silenzio su e giù per le scale, finchè ad un tratto Malfoy parlò.

- Come hai detto che ti chiami, Mezzosangue? – mi chiese

- Non l’ho detto – risposi secca

- Ah… - Malfoy tacque per qualche altro corridoio – E…come ti chiami? –

Lo fissai sprezzante.

- Perché dovrebbe importarti? – gli domandai

- Non mi importa, te lo chiedo solo per passare il tempo – sorrise Malfoy

- Allora ti suggerisco un metodo per passare il tempo: conta quante righe ha la tua cravatta – ribattei

Malfoy sbuffò e accelerò il passo. Arrivammo davanti alla porta dell’ufficio di Silente praticamente correndo. E Silente, esattamente come la sera prima, comparve dall’altra parte del corridoio.

- Cos’è tutta questa fretta di raggiungermi? – sorrise amichevolmente

- Non vedevo l’ora di dirle, professor Silente, che la qui presente…Spencer…mi ha mostrato le chiappe nude – sibilò Malfoy

- E io, invece, volevo dirle che il qui presente Malfoy mi ha insultata – soggiunsi

- Bene, ne parleremo nel mio ufficio, davanti a dei deliziosi muffin che mi sono appena stati recapitati – propose Silente

La seconda volta che Piton mi sbattè da Silente trovai una torta al cioccolato, la terza un frappè, la quarta una mousse alla vaniglia e la quinta un vassoio di Cioccorane.

Anche se di questo passo sarei diventata in breve una balenottera lentiginosa, non disegnavo l’idea di trascorrere l’ora di Pozioni in compagnia di Silente.

Tra l’altro un giorno, avevo fatto notare a Piton che trovavo ingiusto punire un’intera squadra per il fallo di una persona e che era come se invece di dare il cartellino rosso a un giocatore venisse espulsa tutta la squadra. Quindi Piton aveva deciso che ogni qualvolta il mio comportamento si spingeva al di là dei limiti consigliati dalla buona educazione, mi avrebbe mandato in presidenza senza togliere punti a Grifondoro.

Non si era reso naturalmente conto, così facendo, di essersi fatto autogol.

Silente era, ad Hogwarts, il mio unico amico.

L’altra persona con cui parlavo di sfuggita era Malfoy, ma le nostre discussioni si limitavano essenzialmente a insulti e ogni tanto lui faceva l’originale chiedendomi “ma posso sapere come ti chiami?” o cose simili.

Se l’avesse davvero voluto sapere avrebbe potuto chiederlo a chiunque altro o guardare nell’elenco dei Grifondoro del secondo anno.

Therese mi ignorava e passava il suo tempo libero inseguendo Hermione Granger e i suoi due amici in giro per Hogwarts. Avrei tanto voluto dirle che gli amici non si conquistano portandoli allo sfinimento, ma il dialogo tra noi era completamente nullo.

Vivevo apaticamente sedendomi sul marmo freddo della finestra e pensavo nuove tattiche per trovare le 600£ che mi dividevano da New York.

E New York la vedevo solo in cartolina.
  
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