Fanfic su attori > Robert Downey Jr
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Autore: spikey    09/10/2012    3 recensioni
Lei è Gabriele: cantante, animatrice e ruvida individualista alla volta del successo Milanese. Lui il suo nuovo capo.
Lei è Eva: studente sul ciglio della laurea e resposabile della gestione delle dimore di lusso della Proto Organization. Lui il nuovo proprietario di un attico a cinque stelle in Piazza San Babila.
Loro lo odieranno, fino a non riuscirne a fare a meno.
“Piacere, sono Robert Downey Jr. e da oggi sono il socio maggioritario di questa baracca. E visto che mi piace essere sincero...il tuo primo colloquio di lavoro è stato un vero schifo”.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buongiorno a tutti!! Eccomi qui, a scrivere una nuova fanfic, per la precisione la prima che abbia come protagonista Robert Downey Jr.

Innanzitutto un ringraziamento a Beckystark, Allyson_, Jay W e tutte le fanfictioner che mi hanno ispirato questa nuova avventura. Spero che vi entusiasmi come a me ha entusiasmato scriverla.

Ultima nota personale...sono mooooolto amante dei commenti, che siano positivi o negativi non importa. Sono dell’opinione che una storia “cresca” anche per mano dei lettori che la seguono e danno consigli, suggerimenti o semplici conferme...quindi vi aspetto numerosi!

 

Buon inizio e... buon capitolo!!!

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La musica cominciava ad assordarla, le grida della gente a infastidirla e la mancanza di ossigeno a urtare la sua sensibilità polmonare. A tal punto la risposta era una sola: l’ora X era giunta e tra poco la ragazza avrebbe cominciato il suo conto alla rovescia per la fuga da quel posto.

Sospirando profondamente Gabriele guardò l’orologio. Le tre in punto; un’altra ora di quel supplizio poi l’aspettavano le coperte.

La ragazza posò il microfono sulla consolle e si piegò verso l’orecchio della deejay: “Francis, attacca coi pezzi di chiusura, vediamo se la gente comincia ad andare a casa”.

La biondina si tolse le cuffie e sorrise: “Non ne puoi più, vero- la frangia sudata le stava appiccicata alla fronte, pure lei aveva esaurito le energie- Vai a dire a Claude di scendere dal palco, cominciamo a raffreddare gli spiriti”.

 

La chioma riccia di Gabriele annuì compiaciuta, prima di scavalcare la ringhiera del palco per dirigersi verso le ballerine; una di loro la notò e capì al volo. Fece cenno a un bodyguard e quello la raggiunse per scortarla da Francis, che stava selezionando gli ultimi CD.

“Andiamo a casa?” la ballerina chiese conferma all’amica, prima di coprirsi con un accappatoio di cotone.

Gabriele la raggiunse, notando di sfuggita il succinto bikini con cui si era esibita quella sera.

“Dovrò parlare con Daniele, ormai i tuoi costumi di scena sono degni di un film porno”.

Claude sollevò un braccio per liberare i lunghi boccoli color miele dal colletto dell’accappatoio: “Ma sono una cubista”.

Gabriele sembrò non approvare e ribattè decisa: “Sarà...Ma sei anche una ballerina professionista e fino a prova contraria questa è una discoteca, non un night club”.

 

In risposta ricevette un broncio di disappunto; le labbra carnose di Claude si serrarono ammutolite.

Gli occhi grigi della riccia, leggermente a mandorla, si assottigliarono alla ricerca del direttore del locale: voleva parlargli, chiedergli la busta paga e andarsene prima che lui si perdesse nei conti di fine nottata.

Afferrò il microfono e con le solite frasi di rito salutò la folla di clienti, più o meno ubriachi, per incitarli ad andarsene il più in fretta possibile.

Gabriele lanciò un’occhiata a Francis e Claude, prima di buttarsi nella ressa: “Vado a cercare Daniele”. L’attimo successivo si infilò nella marea di corpi pressati davanti alla consolle.

 

Animatrice, deejay e ballerina: tre belle ragazze che esercitavano le tre professioni più ambite dai loro coetanei.

Ma in pochi sapevano che Claude aveva ballato alla scala, che Francis studiava al conservatorio da quando aveva sei anni e che Gabriele...beh, con lei era tutto più complicato.

Non erano semplici colleghe o “compagne di serate”; avevano condiviso un’amicizia lunga una vita intera, erano partite alla volta del successo per Milano, il trampolino di lancio di chi è deciso a distiguersi, a puntare alto alla roulette della vita.

21, 23 e 24. Le età di Claude, Francis e Gabriele si potevano in effetti giocare e loro avevano azzardato molto per pagarsi il futuro; così ora lavoravano insieme in uno dei locali notturni più frequentati della city Milanese, risparmiando ogni centesimo per i veri sogni.

 

Fu probabilmente il caso a far inciampare la ragazza sul suo capo, mentre questi correva frenetico a svolgere chissà quale mansione. Forse non lo sapeva nemmeno lui.

Gabriele cacciò quel pensiero polemico e parlò: “Dobbiamo chiudere, Dani”.

L’uomo nemmeno la sfiorò con lo sguardo, intento a far guizzare il capo da una parte all’altra: “Certo tesoro, si era capito che hai fretta e per tua fortuna ho un cliente iportante che aspetta in ufficio”.

 

Gabriele lo squadrò dall’alto al basso. Se lo poteva permettere, i suoi tronchetti borchiati tacco 12 la facevano svettare due spanne sopra il direttore; con quella differenza di altezza faceva fatica a darsi un tono autoritario.

La ragazza spense il microfono e lo infilò a fatica nella tasca dei pantaloni di ecopelle nera: “Bene, chiamo le altre e dico loro di chiudere bottega. Ci vediamo mercoledì”.

“Ehi, non così in fretta, cara- l’altro la bloccò per un braccio- Ti ho appena detto che c’è una persona importante che aspetta, vi voglio tutte e tre in ufficio, tra dieci minuti”.

Non ci fu tempo di ribattere, Daniele sparì di corsa su per le scale che portavano ai locali privati della discoteca.

Con i primi accenni di rabbia Gabriele si grattò la chioma leonina; un respiro profondo, un altro, poi andò a chiamare le amiche.

 

Francis aveva lasciato gli ultimi brani di chiusura in filo-diffusione, così sia lei che Claude la seguirono senza ribattere negli uffici.

Un bodyguard aprì loro la porta e le tre  si trovarono in quello che altro non era che un salotto privato di Daniele, con divanetti sparsi, cuscini, luci soffuse e un bar personale.

Quella era la sua idea di ufficio. Daniele era un genio della movida, narcisista e autocelebrativo.

Aveva voluto un personale esclusivamente femminile per il suo locale e aveva affibbiato a ognuna un nome d’arte, prettamente maschile. Per quale motivo? Per dare un tocco di esotico all’atmosfera. E perchè poteva farlo.

 

Una delle bariste si accostò a Gabriele: “Vi porto qualcosa da bere?”.

“Per me una Schweppes al limone, Andrea” Francis si accasciò su uno sgabello contro al bancone del bar; con un pettine di fortuna si riassettò la frangia per poi raccogliersi i capelli, dritti come spaghetti, in una coda di cavallo, rivelando dietro l’orecchio sinistro una zona della chioma rasata praticamente a zero, secondo la moda del momento.

Come molte cose di lei, quello era un suo lato che molti non si sarebbero aspettati.

Se qualcuno chiedeva a Gabriele un parere su di lei, la risposta era la stessa: “All’inizio sembra una brava ragazza. Poi ti fotte sempre”. Raramente si era sbagliata.

 

Claude invece optò per un succo di frutta e una bottiglietta d’acqua naturale; si era cambiata e ora sfoggiava un abito in cotone rosa e un paio di ballerine beige.

Era la più piccola di età e i suoi boccoli chiari, il naso a patata e le labbra a bocciolo di rosa le davano un’aura angelica...il tutto coronato dall’incoscienza di quanto fosse bella. Sembrava un angelo, sì...ma di quelli caduti per sbaglio dal cielo, direttamente su una passerella di Victoria’s Secret.

 

Gabriele prese posto accanto a Francis, liberandosi dell’ingombrante microfono e appoggiando il capo riccioluto al palmo della mano: “Per me un caffè shackerato...doppio, grazie”. Il morbido top che le passava dietro al collo si mosse, rivelando ulteriormente la schiena, già praticamente scoperta, andando a rivelare i suoi numerosi tatuaggi: una geisha che si perdeva tra le spire di un dragone, immortalato in combattimentocon una carpa variopinta, il tutto sotto una cascata di fiori di ciliegio che contornavano la spalla, disegnavano l’andamento delle vertebre e proseguivano fin sotto la linea del seno.

 

Claude le gettò un’occhiata distratta: “Copriti, sei praticamente nuda”.

Gli occhi grigio-verdi dell’amica rimasero fissi sul bancone: “Non me ne frega nulla, che Dani mi cacci pure, sarebbe la prima volta che mi manda a letto a un’orario decente”.

Francis scosse il capo: “Parli del diavolo...”.

Il diretto interessato fece il suo ingresso nella sala fra le grida e le risate di un gruppo di sconosciuti, che puntò dritto ai divanetti ignorando totalmente le ragazze.

“Bene, al mio tre scappiamo” propose fra i denti Gabriele.

“Ma quelli chi sono” Claude aguzzò la vista curiosa.

Francis fece spallucce e bevve il suo drink: “Chi lo sa? Almeno non sono un branco di sessantenni Russi, ubriachi di vodka”.

La chioma crespa di Gabriele si mosse: “Quanti bei ricordi...”.

 

“Ed ecco qui i nostri cavalli di battaglia- la voce adulatrice di Daniele le raggiunse dal divanetto- Coraggio, unitevi a noi”.

Francis e Gabriele si scambiarono un’occhiata, mentre Claude era già in procinto di alzarsi, quando la voce di uno degli sconosciuti sopraggiunse a fermarle: “State pure dove siete, vi raggiungiao noi, un po’ di cavalleria non guasta”.

Solo mentre parlava Gabriele si accorse che lo faceva in un inglese deformato dal tipico slang americano.

“Che ha detto?” si informò Claude.

“Lascia perdere, sono turisti Americani- Francis finì la sua tonica- Ma non vanno a fotografare la Madonnina, di solito?”.

Gabriele studiò in silenzio il gruppo di cinque uomini, capitanato da Daniele, mentre si avvicinava; conosceva discretamente l’inglese, più per passione che per altro e comprese solo allora che il suo capo l’aveva voluta lì per fare da interprete, oltre che da bella statuina.

 

Nei quattro sconosciuti non vi era nulla di insolito: jeans stinti, camicia e cravatta allentata. Solo uno di loro si distingueva per l’abbigliamento molto più casual e stranamente fuori luogo: sneakers, pantaloni stropicciati, una banalissima T-shirt...e per concludere berretto da baseball con occhiali da sole.

Il ragazzo aveva ancora qualche problema di fuso orario, evidentemente.

La ragazza si chiese se fosse stato lui a parlare; lo strano soggetto le si accostò con un mezzo sorriso, guardandola da sopra le lenti viola dei suoi RayBan specchiati; Gabriele non proferì parola, rimase a studiarlo appoggiata al bancone, in una posa che appariva speculare a quella di lui.

Contro ogni previsione l’uomo le allungò la mano, accennando una risata sghemba: “E’ un piacere conoscerti”.

Gabriele a stento resistette all’impulso di storcere il naso; lasciando il suo intelocutore con la mano a mezz’aria, si rivolse alle due amiche: “Cristo Santo, cambia la nazionalità, ma la puzza di vodka rimane”.

Claude rise, mentre uno degli altri ospiti, decisamente più sobrio, si presentava cortesemente a lei e Francis. Gli altri lo seguirono a ruota.

 

Con grande gioia, a Gabriele rimase la sua gatta da pelare, che dal suo canto continuava a fissarla, la mano ancora tristemente tesa in attesa di una risposta.

Quasi con pietà la ragazza contraccambiò la stretta: “Piacere, sono Gabriele”.

L’uomo sembrò sorpreso: “Gabri...ele? non è un nome da uomo?”.

“Esatto”. Nulla di più; la riccia si astenne dal proferire ulteriori parole. La presenza del suo ospite la metteva a disagio.

Non aveva detto il proprio nome, come se lo desse per scontato e questo era un comportamento ben noto alla ragazza, tipico di tutti quelli che, più o meno famosi, non ritenevano necessario annunciarsi. E non riuscire a riconoscerlo la faceva sentire inadeguata.

 

“Beh, a me sembri a tutti gli effetti una donna”.

Daniele intervenne in quel momento: “E lo è, anche se ci comanda tutti a bacchetta come se fosse un uomo- il direttore fece un cenno verso la barista- Andrea, una vodka liscia al nostro ospite. Ghiaccio e limone, grazie”.

Gabriele stette zitta, continuando la sua scansione ai Raggi X dello sconosciuto: portava il pizzetto e da sotto il berretto poteva intuire che avesse una folta chioma nera.

Altro particolare, era poco più basso di Daniele: la ragazza lo sorpassava in altezza con tutta la testa e lui aveva il naso pericolosamente all’altezza della sua scollatura.

“Perchè farla scomodare...pensaci tu” dopo quelle poche parole, quasi con la gestualità di un mago lo sconosciuto fece comparire una bamconota da 100 Euro fra le dita, per poi sventolarla di fronte al naso di Gabriele.

L’attimo successivo si premurò di farla scivolare nella scollatura della ragazza.

 

Al contatto della banconota con la pelle nuda del seno, Gabriele passò i primi istanti tra la sorpresa e l’afasia totale: un brivido insipegabile le corse giù per la schiena, non di freddo ma di una strana sensazione mista a calore e rabbia furente.

Il turbinio di quel tutto trovò sbocco in una mezza smorfia che aveva la lontana parvenza di un sorriso, per nulla cordiale.

Francis rimase in apnea, mentre Claude a stento non si affogò bevendo il suo succo.

 

“Non ti preoccupare” furono le laconiche parole della diretta interessata, mentre si allungava con fare languido per prendere il drink dal bancone. Si avvicinò di mezzo passo all’uomo, d’altra parte era quella la breve distanza che li separava.

Il viso di lei finì a sfiorare quello del misterioso ospite, a un battito di ciglia dalle sue labbra.

L’uomo inspirò profondamente, trovandosi immerso nell’aroma vanigliato ed esotico della chioma riccia: in attesa del suo verdetto inclinò il capo, ormai mancava un soffio a poterle sfiorare la pelle.

 

Il mezzo ghigno di Gabriele si allargò e con fare sensuale mormorò: “Offro io”.

La mano libera scivolò al passante dei jeans di lui; a stento trattenne un gemito quando un secco strattone lo scosse fino all’inguine.

L’attimo successivo la sua aguzzina gli versò tutto il contenuto del bicchiere nei pantaloni.

 

Alle loro spalle un gridolino femminile lasciò intuire alla riccia che Francis avesse soffocato una delle sue risate fragorose, mentre probabilmente Claude era impallidita per la vergogna; ci fu un suono sordo, che la ragazza riconobbe essere l’applauso di uno degli altri ospiti.

Per ora solo Daniele si avvaleva della facoltà di essere rimasto senza parole.

Dal canto suo il battezzato si era tolto il cappello, con cui si faceva aria a mo’ di ventaglio: era diventato improvvisamente caldo, lì dentro.

Con aria di trionfo Gabriele vide confermate le sue teorie: i capelli dell’ospite erano un po’ brizzolati alle tempie- gli aveva dato meno anni d quanti ne aveva realmente- ma erano davvero folti e neri, di quella consistenza soffice, che è un piacere prendere a manciate.

 

Prima ancora di tornare dal suo viaggio fra le nuvole, una voce maschile la riportò alla realtà: “Davvero divertente- il sorriso beffardo dello sconosciuto la fece vacillare un attimo- Ora penso sia il mio turno”.

Con un rapido gesto si liberò anche dell’ultima copertura: gli occhiali da sole. Due iridi brune si piantarono in quelle color cielo della riccia.

Con tutt’altra verve tornò a porgerle la mano, sibilando le presentazioni: “Piacere, sono Robert Downey Jr. e da oggi sono il socio maggioritario di questa baracca. E visto che mi piace essere sincero...il tuo primo colloquio di lavoro è stato un vero schifo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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