Buongiorno a tutti!! Eccomi qui, a scrivere
una nuova fanfic, per la precisione la prima che abbia come protagonista Robert
Downey Jr.
Innanzitutto un ringraziamento a Beckystark, Allyson_, Jay W e tutte le fanfictioner che mi hanno ispirato questa nuova avventura. Spero
che vi entusiasmi come a me ha entusiasmato scriverla.
Ultima nota
personale...sono mooooolto amante dei commenti, che siano positivi o negativi
non importa. Sono dell’opinione che una storia “cresca” anche per mano dei
lettori che la seguono e danno consigli, suggerimenti o semplici
conferme...quindi vi aspetto numerosi!
Buon inizio
e... buon capitolo!!!
La
musica cominciava ad assordarla, le grida della gente a infastidirla e la
mancanza di ossigeno a urtare la sua sensibilità polmonare. A tal punto la
risposta era una sola: l’ora X era giunta e tra poco la ragazza avrebbe
cominciato il suo conto alla rovescia per la fuga da quel posto.
Sospirando
profondamente Gabriele guardò l’orologio. Le tre in punto; un’altra ora di quel
supplizio poi l’aspettavano le coperte.
La
ragazza posò il microfono sulla consolle e si piegò verso l’orecchio della
deejay: “Francis, attacca coi pezzi di chiusura, vediamo se la gente comincia
ad andare a casa”.
La
biondina si tolse le cuffie e sorrise: “Non ne puoi più, vero- la frangia
sudata le stava appiccicata alla fronte, pure lei aveva esaurito le energie-
Vai a dire a Claude di scendere dal palco, cominciamo a raffreddare gli
spiriti”.
La
chioma riccia di Gabriele annuì compiaciuta, prima di scavalcare la ringhiera
del palco per dirigersi verso le ballerine; una di loro la notò e capì al volo.
Fece cenno a un bodyguard e quello la raggiunse per scortarla da Francis, che
stava selezionando gli ultimi CD.
“Andiamo
a casa?” la ballerina chiese conferma all’amica, prima di coprirsi con un
accappatoio di cotone.
Gabriele
la raggiunse, notando di sfuggita il succinto bikini con cui si era esibita
quella sera.
“Dovrò
parlare con Daniele, ormai i tuoi costumi di scena sono degni di un film
porno”.
Claude
sollevò un braccio per liberare i lunghi boccoli color miele dal colletto
dell’accappatoio: “Ma sono una cubista”.
Gabriele
sembrò non approvare e ribattè decisa: “Sarà...Ma sei anche una ballerina
professionista e fino a prova contraria questa è una discoteca, non un night
club”.
In
risposta ricevette un broncio di disappunto; le labbra carnose di Claude si
serrarono ammutolite.
Gli
occhi grigi della riccia, leggermente a mandorla, si assottigliarono alla
ricerca del direttore del locale: voleva parlargli, chiedergli la busta paga e
andarsene prima che lui si perdesse nei conti di fine nottata.
Afferrò
il microfono e con le solite frasi di rito salutò la folla di clienti, più o
meno ubriachi, per incitarli ad andarsene il più in fretta possibile.
Gabriele
lanciò un’occhiata a Francis e Claude, prima di buttarsi nella ressa: “Vado a
cercare Daniele”. L’attimo successivo si infilò nella marea di corpi pressati
davanti alla consolle.
Animatrice,
deejay e ballerina: tre belle ragazze che esercitavano le tre professioni più
ambite dai loro coetanei.
Ma
in pochi sapevano che Claude aveva ballato alla scala, che Francis studiava al
conservatorio da quando aveva sei anni e che Gabriele...beh, con lei era tutto
più complicato.
Non
erano semplici colleghe o “compagne di serate”; avevano condiviso un’amicizia
lunga una vita intera, erano partite alla volta del successo per Milano, il
trampolino di lancio di chi è deciso a distiguersi, a puntare alto alla
roulette della vita.
21,
23 e 24. Le età di Claude, Francis e Gabriele si potevano in effetti giocare e
loro avevano azzardato molto per pagarsi il futuro; così ora lavoravano insieme
in uno dei locali notturni più frequentati della city Milanese, risparmiando
ogni centesimo per i veri sogni.
Fu
probabilmente il caso a far inciampare la ragazza sul suo capo, mentre questi
correva frenetico a svolgere chissà quale mansione. Forse non lo sapeva nemmeno
lui.
Gabriele
cacciò quel pensiero polemico e parlò: “Dobbiamo chiudere, Dani”.
L’uomo
nemmeno la sfiorò con lo sguardo, intento a far guizzare il capo da una parte
all’altra: “Certo tesoro, si era capito che hai fretta e per tua fortuna ho un
cliente iportante che aspetta in ufficio”.
Gabriele
lo squadrò dall’alto al basso. Se lo poteva permettere, i suoi tronchetti
borchiati tacco 12 la facevano
svettare due spanne sopra il direttore; con quella differenza di altezza faceva
fatica a darsi un tono autoritario.
La
ragazza spense il microfono e lo infilò a fatica nella tasca dei pantaloni di
ecopelle nera: “Bene, chiamo le altre e dico loro di chiudere bottega. Ci
vediamo mercoledì”.
“Ehi,
non così in fretta, cara- l’altro la bloccò per un braccio- Ti ho appena detto
che c’è una persona importante che aspetta, vi voglio tutte e tre in ufficio,
tra dieci minuti”.
Non
ci fu tempo di ribattere, Daniele sparì di corsa su per le scale che portavano
ai locali privati della discoteca.
Con
i primi accenni di rabbia Gabriele si grattò la chioma leonina; un respiro
profondo, un altro, poi andò a chiamare le amiche.
Francis
aveva lasciato gli ultimi brani di chiusura in filo-diffusione, così sia lei
che Claude la seguirono senza ribattere negli uffici.
Un
bodyguard aprì loro la porta e le tre si
trovarono in quello che altro non era che un salotto privato di Daniele, con
divanetti sparsi, cuscini, luci soffuse e un bar personale.
Quella era la sua idea di ufficio.
Daniele era un genio della movida, narcisista e autocelebrativo.
Aveva
voluto un personale esclusivamente femminile per il suo locale e aveva
affibbiato a ognuna un nome d’arte, prettamente maschile. Per quale motivo? Per
dare un tocco di esotico all’atmosfera. E perchè poteva farlo.
Una
delle bariste si accostò a Gabriele: “Vi porto qualcosa da bere?”.
“Per
me una Schweppes al limone, Andrea” Francis si accasciò su uno sgabello contro
al bancone del bar; con un pettine di fortuna si riassettò la frangia per poi
raccogliersi i capelli, dritti come spaghetti, in una coda di cavallo,
rivelando dietro l’orecchio sinistro una zona della chioma rasata praticamente
a zero, secondo la moda del momento.
Come
molte cose di lei, quello era un suo lato che molti non si sarebbero aspettati.
Se
qualcuno chiedeva a Gabriele un parere su di lei, la risposta era la stessa:
“All’inizio sembra una brava ragazza. Poi ti fotte sempre”. Raramente si era
sbagliata.
Claude
invece optò per un succo di frutta e una bottiglietta d’acqua naturale; si era
cambiata e ora sfoggiava un abito in cotone rosa e un paio di ballerine beige.
Era
la più piccola di età e i suoi boccoli chiari, il naso a patata e le labbra a
bocciolo di rosa le davano un’aura angelica...il tutto coronato
dall’incoscienza di quanto fosse bella. Sembrava un angelo, sì...ma di quelli
caduti per sbaglio dal cielo, direttamente su una passerella di Victoria’s
Secret.
Gabriele
prese posto accanto a Francis, liberandosi dell’ingombrante microfono e
appoggiando il capo riccioluto al palmo della mano: “Per me un caffè
shackerato...doppio, grazie”. Il morbido top che le passava dietro al collo si
mosse, rivelando ulteriormente la schiena, già praticamente scoperta, andando a
rivelare i suoi numerosi tatuaggi: una geisha che si perdeva tra le spire di un
dragone, immortalato in combattimentocon una carpa variopinta, il tutto sotto
una cascata di fiori di ciliegio che contornavano la spalla, disegnavano
l’andamento delle vertebre e proseguivano fin sotto la linea del seno.
Claude
le gettò un’occhiata distratta: “Copriti, sei praticamente nuda”.
Gli
occhi grigio-verdi dell’amica rimasero fissi sul bancone: “Non me ne frega
nulla, che Dani mi cacci pure, sarebbe la prima volta che mi manda a letto a
un’orario decente”.
Francis
scosse il capo: “Parli del diavolo...”.
Il
diretto interessato fece il suo ingresso nella sala fra le grida e le risate di
un gruppo di sconosciuti, che puntò dritto ai divanetti ignorando totalmente le
ragazze.
“Bene,
al mio tre scappiamo” propose fra i
denti Gabriele.
“Ma
quelli chi sono” Claude aguzzò la vista curiosa.
Francis
fece spallucce e bevve il suo drink: “Chi lo sa? Almeno non sono un branco di
sessantenni Russi, ubriachi di vodka”.
La
chioma crespa di Gabriele si mosse: “Quanti bei ricordi...”.
“Ed
ecco qui i nostri cavalli di battaglia- la voce adulatrice di Daniele le
raggiunse dal divanetto- Coraggio, unitevi a noi”.
Francis
e Gabriele si scambiarono un’occhiata, mentre Claude era già in procinto di
alzarsi, quando la voce di uno degli sconosciuti sopraggiunse a fermarle:
“State pure dove siete, vi raggiungiao noi, un po’ di cavalleria non guasta”.
Solo
mentre parlava Gabriele si accorse che lo faceva in un inglese deformato dal tipico
slang americano.
“Che
ha detto?” si informò Claude.
“Lascia
perdere, sono turisti Americani- Francis finì la sua tonica- Ma non vanno a
fotografare la Madonnina, di solito?”.
Gabriele
studiò in silenzio il gruppo di cinque uomini, capitanato da Daniele, mentre si
avvicinava; conosceva discretamente l’inglese, più per passione che per altro e
comprese solo allora che il suo capo l’aveva voluta lì per fare da interprete,
oltre che da bella statuina.
Nei
quattro sconosciuti non vi era nulla di insolito: jeans stinti, camicia e
cravatta allentata. Solo uno di loro si distingueva per l’abbigliamento molto
più casual e stranamente fuori luogo: sneakers, pantaloni stropicciati, una
banalissima T-shirt...e per concludere berretto da baseball con occhiali da sole.
Il
ragazzo aveva ancora qualche problema di fuso orario, evidentemente.
La
ragazza si chiese se fosse stato lui a parlare; lo strano soggetto le si
accostò con un mezzo sorriso, guardandola da sopra le lenti viola dei suoi
RayBan specchiati; Gabriele non proferì parola, rimase a studiarlo appoggiata
al bancone, in una posa che appariva speculare a quella di lui.
Contro
ogni previsione l’uomo le allungò la mano, accennando una risata sghemba: “E’
un piacere conoscerti”.
Gabriele
a stento resistette all’impulso di storcere il naso; lasciando il suo
intelocutore con la mano a mezz’aria, si rivolse alle due amiche: “Cristo
Santo, cambia la nazionalità, ma la puzza di vodka rimane”.
Claude
rise, mentre uno degli altri ospiti, decisamente più sobrio, si presentava
cortesemente a lei e Francis. Gli altri lo seguirono a ruota.
Con
grande gioia, a Gabriele rimase la sua gatta da pelare, che dal suo canto
continuava a fissarla, la mano ancora tristemente tesa in attesa di una
risposta.
Quasi
con pietà la ragazza contraccambiò la stretta: “Piacere, sono Gabriele”.
L’uomo
sembrò sorpreso: “Gabri...ele? non è un nome da uomo?”.
“Esatto”.
Nulla di più; la riccia si astenne dal proferire ulteriori parole. La presenza
del suo ospite la metteva a disagio.
Non
aveva detto il proprio nome, come se lo desse per scontato e questo era un
comportamento ben noto alla ragazza, tipico di tutti quelli che, più o meno
famosi, non ritenevano necessario annunciarsi. E non riuscire a riconoscerlo la
faceva sentire inadeguata.
“Beh,
a me sembri a tutti gli effetti una donna”.
Daniele
intervenne in quel momento: “E lo è, anche se ci comanda tutti a bacchetta come
se fosse un uomo- il direttore fece un cenno verso la barista- Andrea, una
vodka liscia al nostro ospite. Ghiaccio e limone, grazie”.
Gabriele
stette zitta, continuando la sua scansione ai Raggi X dello sconosciuto:
portava il pizzetto e da sotto il berretto poteva intuire che avesse una folta
chioma nera.
Altro
particolare, era poco più basso di Daniele: la ragazza lo sorpassava in altezza
con tutta la testa e lui aveva il naso pericolosamente all’altezza della sua
scollatura.
“Perchè
farla scomodare...pensaci tu” dopo quelle poche parole, quasi con la gestualità
di un mago lo sconosciuto fece comparire una bamconota da 100 Euro fra le dita,
per poi sventolarla di fronte al naso di Gabriele.
L’attimo
successivo si premurò di farla scivolare nella scollatura della ragazza.
Al
contatto della banconota con la pelle nuda del seno, Gabriele passò i primi istanti
tra la sorpresa e l’afasia totale: un brivido insipegabile le corse giù per la
schiena, non di freddo ma di una strana sensazione mista a calore e rabbia
furente.
Il
turbinio di quel tutto trovò sbocco in una mezza smorfia che aveva la lontana
parvenza di un sorriso, per nulla cordiale.
Francis
rimase in apnea, mentre Claude a stento non si affogò bevendo il suo succo.
“Non
ti preoccupare” furono le laconiche parole della diretta interessata, mentre si
allungava con fare languido per prendere il drink dal bancone. Si avvicinò di
mezzo passo all’uomo, d’altra parte era quella la breve distanza che li
separava.
Il
viso di lei finì a sfiorare quello del misterioso ospite, a un battito di
ciglia dalle sue labbra.
L’uomo
inspirò profondamente, trovandosi immerso nell’aroma vanigliato ed esotico
della chioma riccia: in attesa del suo verdetto inclinò il capo, ormai mancava
un soffio a poterle sfiorare la pelle.
Il
mezzo ghigno di Gabriele si allargò e con fare sensuale mormorò: “Offro io”.
La
mano libera scivolò al passante dei jeans di lui; a stento trattenne un gemito
quando un secco strattone lo scosse fino all’inguine.
L’attimo
successivo la sua aguzzina gli versò tutto il contenuto del bicchiere nei
pantaloni.
Alle
loro spalle un gridolino femminile lasciò intuire alla riccia che Francis
avesse soffocato una delle sue risate fragorose, mentre probabilmente Claude
era impallidita per la vergogna; ci fu un suono sordo, che la ragazza riconobbe
essere l’applauso di uno degli altri ospiti.
Per
ora solo Daniele si avvaleva della facoltà di essere rimasto senza parole.
Dal
canto suo il battezzato si era tolto
il cappello, con cui si faceva aria a mo’ di ventaglio: era diventato
improvvisamente caldo, lì dentro.
Con
aria di trionfo Gabriele vide confermate le sue teorie: i capelli dell’ospite
erano un po’ brizzolati alle tempie- gli aveva dato meno anni d quanti ne aveva
realmente- ma erano davvero folti e neri, di quella consistenza soffice, che è
un piacere prendere a manciate.
Prima
ancora di tornare dal suo viaggio fra le nuvole, una voce maschile la riportò
alla realtà: “Davvero divertente- il sorriso beffardo dello sconosciuto la fece
vacillare un attimo- Ora penso sia il mio turno”.
Con
un rapido gesto si liberò anche dell’ultima copertura: gli occhiali da sole.
Due iridi brune si piantarono in quelle color cielo della riccia.
Con
tutt’altra verve tornò a porgerle la
mano, sibilando le presentazioni: “Piacere, sono Robert Downey Jr. e da oggi
sono il socio maggioritario di questa baracca. E visto che mi piace essere
sincero...il tuo primo colloquio di lavoro è stato un vero schifo”.