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Autore: mercutia    10/10/2012    1 recensioni
Nulla nella mia vita era più lo stesso. Per quante esperienze l'avessero attraversata e sconvolta, nulla era più lo stesso da quando vivevo nel palazzo che Mélisande aveva preso a Città di Elua per quella che era la sua nuova famiglia: un trio la cui formazione aveva sollevato parecchi mormorii, un'unione anomala e stravagante persino per la gente di Terre d'Ange. E non tanto, o non solo, perchè questa famiglia era formata da due donne e un bambino, ma perchè eravamo io, Phèdre nó Delaunay de Montrève, la più famosa cortigiana del regno, Mélisande Shahrizai, la famigerata traditrice della corona, e suo figlio, Imriel no Montrève de La Coursel, frutto di uno dei piani diabolici di sua madre. Mélisande era per tutti una pericolosa e spietata traditrice e nessuno avrebbe mai smesso di vederla a quel modo. Nemmeno io. Io che meglio di chiunque altro la conoscevo. Io che meglio di chiunque altro avevo pagato sulla mia pelle e sulla mia coscienza il dolore dei suoi giochi crudeli. E io che, nonostante tutto, l'amavo con ogni fibra del mio essere, come nessun altro avrebbe mai potuto.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti
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Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.



Maison Shahrizai - Episodio 1

La madre di Imriel

Nulla nella mia vita era più lo stesso. Per quante esperienze l'avessero attraversata e sconvolta, nulla era più lo stesso da quando vivevo nel palazzo che Mélisande aveva preso a Città di Elua per quella che era la sua nuova famiglia: un trio la cui formazione aveva sollevato parecchi mormorii, un'unione anomala e stravagante persino per la gente di Terre d'Ange. E non tanto, o non solo, perchè questa famiglia era formata da due donne e un bambino, quasi un ragazzo ormai in realtà, ma perchè eravamo io, Phèdre nó Delaunay de Montrève, la più famosa cortigiana del regno, Mélisande Shahrizai, la famigerata traditrice della corona, e suo figlio, Imriel no Montrève de La Coursel, frutto di uno dei più oscuri giochi di potere di sua madre. A ben vedere c'era ben poco da biasimare chi mormorava, ben poco da stupirsi nel cogliere sopracciglia alzate e sguardi sbigottiti al nostro passaggio.
Come prevedibile l'amnistia, che in un proclama aveva concesso l'annullamento dei reati di Mélisande contro il regno, non aveva cancellato la fama che questi le avevano dato. Mélisande era per tutti una pericolosa e spietata traditrice e nessuno avrebbe mai smesso di vederla a quel modo. Nemmeno io. Io che meglio di chiunque altro la conoscevo. Io che meglio di chiunque altro avevo assaporato il gusto amaro dei suoi tradimenti. Io che meglio di chiunque altro avevo pagato sulla mia pelle e sulla mia coscienza il dolore dei suoi giochi crudeli. E io che, nonostante tutto, l'amavo con ogni fibra del mio essere, come nessun altro avrebbe mai potuto.
Stavo riflettendo sull'assurdità di quella mia nuova vita, che io per prima in realtà avevo azzardato immaginare quando ancora crescevo Imriel sola con Joscelin, quando il ragazzino entrò nella stanza in cui io e sua madre stavamo leggendo sedute ai lati del focolare.
«Mamma» disse.
«Sì» risposi con naturalezza.
«Dimmi» mi sovrastò la voce di Mélisande.
La guardai, ingenuamente convinta che avrebbe subito capito che Imri non si fosse rivolto a lei, che gli stava accanto soltanto da poche settimane, ma a me, che l'avevo cresciuto durante il suo esilio.
Ingenuamente attesi che si correggesse e mi cedesse il passo.
Non lo fece.
«Credo che Imriel voglia parlare con me» dissi allora.
«Dimmi» ripetè di nuovo lei, incurante delle mie parole.
Davanti a noi il ragazzino era come pietrificato, bloccato da un evidente imbarazzo e dagli occhi di sua madre, così incredibilmente uguali ai suoi.
«Mélisande, lo state mettendo a disagio» dissi senza sortire il minimo effetto in lei, che invece continuava a fissarlo, insistente.
«Mélisande»
«Basta, Phèdre»
Come capitava spesso, ebbi un attimo di turbamento nel sentire la sua voce così calma eppure perentoria rivolgersi a me. Ma vivevamo insieme da tempo, ora ero in grado di controllarmi e di impormi a mia volta. Per questo cercai di nuovo di persuaderla dell'errore.
«Mélisande...»
«Ho detto basta, Phèdre» questa volta accompagnò le parole con lo sguardo, che posò fermo e penetrante su di me, dentro di me. E capii per l'ennesima volta di aver sopravvalutato le mie capacità: dopo tutto quel tempo Mélisande aveva ancora l'innato potere di annebbiare le mie facoltà mentali con un niente, di ottenere da me qualsiasi cosa volesse con una semplice occhiata. Era sempre stato così e così sarebbe sempre stato, per quanto odiassi ammetterlo e per quanto ostinatamente cercassi di oppormi.
A fatica ripresi il controllo su me stessa. La mia voce suonò quasi sicura quando replicai.
«Siamo pari ora Mélisande, non potete più darmi ordini»
«Oh Phèdre, non è affatto necessario che io mi impegni a dartene infatti» rispose lei, mentre tornava a rivolgere la sua attenzione a Imriel.
«Dimmi pure, tesoro»
«Non prendetevi gioco di me» proruppi con più veemenza di quanta la situazione meritasse in realtà.
Sorridendo, Mélisande mi guardò con la coda dell'occhio.
«Perchè altrimenti?»
Ne valeva del mio orgoglio a quel punto, della mia autostima e di quella che con tanta fatica avevo ottenuto da Imri, immobile spettatore di quell'assurdo teatrino familiare.
«Dovreste aver imparato che è pericoloso sfidarmi. Non vi pare di essere rimasta scottata troppe volte nel tentativo di mettermi alla prova?»
La sua risata fece avvampare la mia rabbia, ormai apertamente dichiarata.
«Vero» disse quando, con calma, smise di ridere «Ma lo trovo comunque un gioco delizioso»
Mi si avvicinò «Imri, esci per favore» dissi nel vedere in lei l'espressione di un predatore sazio, solo intenzionato a giocare con la sua vittima.
Sentii il rumore della porta che si chiudeva. Mélisande era ferma davanti a me. I miei occhi incatenati ai suoi.
«Ti spavento ancora tanto?»
«Fino a quando non sarò in grado di prevedere fino a che limite possono spingersi i vostri giochi. Temo tuttavia che questo non accadrà mai»
La sua risata mi scosse, ma me l'aspettavo. Fu solo quando cominciò a giocherellare con i lacci che s'intrecciavano tenendo stretto il mio corpetto, che cominciai a preoccuparmi davvero.
«E' proprio questa la parte del gioco che preferisco, quella che mi diverte di più. Ed è lo stesso per te, non negarlo» disse tirando i lacci, lenta.
La mia voce mi tradì leggermente mentre replicavo, cercando di dissuaderla.
«Il tempo per questi giochetti è finito Mélisande. Non mi sembra il caso di...»
Il nodo del corpetto si sciolse bloccandomi il fiato in gola. Un sorriso terribile si allargò sulle labbra di Mélisande.
«Il tempo. Credi davvero che il tempo possa imporre qualcosa a me? Nessuno mi dà ordini, Phèdre. Posso fare alleanze e patti, posso persino abbassarmi e scendere a compromessi, ma, lo sai, lo faccio soltanto per ottenere ciò che desidero»
Fece presa sui lacci e li usò per tirarmi a sé. Barcollai inerme contro di lei.
«E dimmi, riesci ad immaginare cosa desidero in questo momento?»
Mi mossi spinta da un istinto che mi sembrava alieno e profondamente intimo allo stesso tempo, una pulsione irrazionale quanto incontrollabile. Colmai i pochi centimetri che distanziavano i nostri volti, cercai le sue labbra come fossero per me una fonte vitale. Le raggiunsi in un tocco lieve e fulmineo, un blando sfiorarsi prima che quel sorriso tremendo si sottraesse a me. Rimasi immobile ad annaspare nella bramosia, respirando in modo irregolare nel corpetto che, sempre più lento, stava scivolando verso il basso.
«Non ti avevo chiesto di dirmi ciò che desideri tu» rise Mélisande, che subito dopo mi girò le spalle e si avviò verso la porta.
«Imriel cercava te prima: te lo vado a chiamare. Renditi presentabile.»



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

   
 
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