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Autore: Maya89    12/10/2012    4 recensioni
Prendete quattro amiche bloccate a casa da un temporale, birra e dolcetti a volontà.
Aggiungete un gioco innocente e i ricordi più imbarazzanti.
Shakerate per qualche secondo e otterrete una serata indimenticabile!
NOTA: Versione rivista e corretta
 
La storia ha partecipato a diversi contest:
- “L’alfabeto dei ricordi”, indetto da AngyLulu, vincendo il Premio risata
- "L'epilogo vincente-contest (edite e inedite-multifandom)" di sam mc lean (giudice sostitutivo Riot:), vincendo il secondo premio.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Era una sera buia e tempestosa e quattro ragazze si ritrovarono bloccate a casa, a causa di un forte temporale…» disse Elisa con voce profonda, portando una candela sul tavolino e accendendola con un fiammifero.
«Guarda che non siamo in uno dei libri macabri che scrivi di solito!» la ammonì Lisa, sedendosi sul divano e raccogliendo le gambe.
«Hai ragione, tesoro, ma gli elementi ci sono tutti: ragazze indifese? Ci sono; pioggia a catinelle che ha isolato le strade, mandando a monte la nostra serata in discoteca? C’è; temporale che ha fatto saltare la corrente? C’è; rumori inquietanti in casa? Non mancano mai... Vedi? Manca solo un serial-killer psicotico e una motosega…» continuò l’amica, sedendosi a terra su un morbido cuscino.
Dalla cucina arrivarono una serie di rumori metallici che fecero sobbalzare le due ragazze, seguiti da una voce strozzata, che minacciava le pentole con frasi terribili.
«Alice, Cassy! Tutto bene?» chiese Lisa, alzando la voce.
L’unica risposta fu una risata, una di quelle particolari che si ricordano tutta la vita. Ci sono quelle persone che, quando ridono, guaiscono, imitano i maialini o pigolano. Bè, Cassandra - Cassy per le amiche- sembrava una foca. Era carina e spiritosa ma, quando rideva, la gente la guardava come un alieno e iniziava a ridere di conseguenza.
I lunghi capelli biondi di Cassy fecero capolino dallo stipite della porta. «Alice… ha rovesciato... metà dei biscotti… per terra… Disastro!» Non riusciva a respirare tra una risata e l’altra, aveva il viso arrossato e le lacrime agli occhi.
Mentre le altre due ragazze ridevano a loro volta, la futura cuoca entrò a passo spedito nella stanza, portando un vassoio pieno di brownies fatti in casa. «Molto divertente, davvero! Al posto di strozzarti, potevi anche darmi una mano!» disse, guardando Cassy con lo sguardo che i ragazzi chiamavano “secca maroni”. Era la sua specialità, riusciva a congelarti il midollo fissandoti con gli occhi tanto chiari da sembrare bianchi.
«Dai, bambine, basta litigare! Cerchiamo di non rovinare ulteriormente la serata!» intervenne Lisa, con il suo solito savoir faire da maestra dell’asilo.
Le ragazze presero posto attorno al piccolo tavolino di legno al centro del salotto, accomodandosi sui morbidi cuscini colorati, che risaltavano sul marmo bianco del pavimento.
«Adesso che abbiamo cibo e beveraggi, anche se dubito che quattro birre ci bastino per tutta la serata, non ci resta che decidere cosa fare…». Lisa ruppe il silenzio, aprendo una bottiglia di birra con l’accendino bic che aveva in tasca. «Elisa? Tu sei la padrona di casa e una scrittrice… dovresti avere fantasia da vendere!»
Elisa aveva in mente un’idea, ma prima che potesse dare fiati ai tuoi pensieri, Cassy prese la parola. «Potremmo raccontarci storie paurose, come facevamo anni fa!» propose, guardando le amiche con un sorriso adolescenziale.
«Per favore! Non abbiamo più tredici anni! Insomma, ragazze… Siamo più vicine ai trenta che ai venti, non ci vediamo da una vita… Non possiamo raccontarci storielle sotto il lenzuolo e con una torcia in mano!». Alice smorzò l’entusiasmo dell’amica, che le fece la linguaccia e si riempì la bocca di biscotti.
Elisa si raccolse i capelli in una coda bassa, richiamando l’attenzione delle amiche, e propose il gioco che aveva in mente. «L’idea di Cassy non è male, è il tema che non ispira… Allora, sentire qui… Siamo amiche da quanto? Otto anni? Ci conosciamo bene e ci siamo aiutate nei periodi grigi, ma non sappiamo proprio tutto una dell’altra… Ci sono quei segreti che non abbiamo mai rivelato a nessuno, momenti da dimenticare che ci hanno segnato la vita… Vi sfido ad un nuovo gioco: pescheremo a turno una lettera dell’alfabeto, che sarà l’iniziale della parola chiave; questa parola dovrà essere centrale nel ricordo che andremo a condividere. Badate bene, però, non dovete raccontare ricordi banali di vita quotidiana, bensì i momenti più imbarazzanti della vostra vita, quelli in cui avreste desiderato scomparire o sotterrarvi per la vergogna… Non è così semplice, però! Per rendere il tutto un po’ più vivace, ognuna di noi, dovrà raccontare qualcosa riguardante il sesso. Non siamo ragazzine e non siamo sante, so che tutte abbiamo fatto qualche figura di merda tra le lenzuola… Non è necessario entrare nei dettagli e creare l’immagine di un film porno, solo rendere l’idea… Cosa ne dite?»
Nella sala regnava il silenzio, nessuna aveva avuto il coraggio di avere una reazione durante la proposta e ora se ne stavano lì, a fissarla con gli occhi spalancati per la sorpresa.
«Sei malata!» disse Lisa, portandosi alla bocca la bottiglia di birra, «Così ti diamo spunto per il tuo nuovo libro… Non ci tengo a vedere per iscritto i miei segreti!»
Alle lamentele si unì anche Cassy, la più perbenista del gruppo. «Mi vergogno troppo, dai, non possiamo fare qualcosa di meno imbarazzante?»
«Allora mettiamo in chiaro due cose: uno, non userò quello che verrà detto per un libro, a meno che cambi i nomi e luoghi; due, giuro solennemente, croce sul cuore, di non usare queste rivelazioni per prendervi in giro, rimarrà tutto in questa casa e non ne parleremo mai più… Dai, è solo un gioco innocente! Mica è un interrogatorio! Non si faranno domande aggiuntive, raccontate solo quello che vi sentite, purché sia la verità. Niente ricordi inventati o presi da film…»
Alice guardò le compagne negli occhi e si pulì le mani sul tovagliolo di carta. «Oh, non fatela lunga, io ci sto! Nessuno batterà le mie figure di merda… Devo già contenermi al lavoro, questa sera voglio solo divertirmi!». Lei e Elisa si guardarono e si diedero il cinque, da buone complici.
Lisa alzò le mani, in segno di resa. «Va bene, va bene. Ci sto anch’io… Penso di aver bisogno di un’altra cassa di birra, ma potrebbe essere divertente… Cassy?»
«Non sono molto convinta, ma vi dimostrerò che non sono la ragazza innocente e scema che credete! Ho anch’io le mie storie… però niente scherzi, ok? Non voglio che mi prendiate in giro!»
Le amiche si fecero la croce sul cuore e tutte e quattro iniziarono a ridere come ragazzine.
 
Elisa tornò dopo qualche minuto con le tessere dello scarabeo, carta e penne per tutte. «Per le lettere ho trovato solo queste» disse, mostrando il piccolo sacchetto giallo, «dobbiamo solo dividere quelle che ci servono. Ho preso anche qualcosa per scrivere, se dobbiamo prendere appunti o altro…»
«Vuoi usare tutte le lettere?» chiese Cassy, prendendo il sacchetto e rovesciandolo sul tavolino.
«Lo scarabeo ha anche le lettere particolari come J, K, X, Y. Alcune sono davvero difficili, quindi potremmo scartarle e usare le altre ventuno… Per voi va bene?». Al cenno affermativo delle altre, riprese a parlare. «Dato che siamo in quattro, abbiamo cinque lettere a testa. Ne avanza una e la prenderò io… Dato che vi ho chiesto di raccontarmi cose imbarazzanti, pagherò pegno così…»
Dopo pochi minuti, le lettere da usare ritornarono nel sacchetto giallo e, a turno, furono pescate dalle ragazze.
Lisa si alzò in piedi e prese carta e penna. «Elisa sei d’accordo se ci prendiamo due minuti per pensare? Così ne approfitto e vado in bagno… La seconda birra è scesa velocemente…»
Nella sale le ragazze iniziarono a ridere e ognuna si prese del tempo per scavare nella propria memoria.
           
«Siete pronte?» chiese Alice, alzando la testa dal foglio e vedendo le amiche annuire. «Che il gioco abbia inizio!»
«Ok, dato che ne ho una in più, inizio io» disse Elisa, prendendo una sorsata generosa di birra, per farsi coraggio. «La prima lettera è la S, di scoreggia. Non ridete!» si interruppe, fulminando le amiche con lo sguardo, poi riprese. «Una delle cose più imbarazzanti mi è successa in terza liceo, durante una gita a Monaco. Eravamo nella sala da pranzo dell’albergo e ci stavamo sedendo per cenare. Ricordo che ero stanca morta, avevamo camminato tutto il giorno sotto il sole e mi sentivo cotta. Bollita. Vabbè, è meglio non divagare… Stavamo chiacchierando e ridendo come matti per una battuta scema, quando entrò il primo piatto. La sala si fece fatta silenziosa, si sentivano solo i borbotti delle pance affamate e, bè, la mia scoreggia… Avevo riso così tanto che non ero riuscita a trattenerla! Tutti hanno iniziarono a ridere e guardarsi intorno, finché la mia vicina si girò verso di me e disse che ero stata io… Dio, che vergogna! Tutti mi fissarono ridendo. Non sono più riuscita a dire una parola. Ho mangiato con gli occhi bassi e sono corsa in camera… Non me lo dimenticherò mai, sono diventata rossa come un pomodoro nel giro di un millisecondo…»
Le quattro ragazze rimasero in silenzio per qualche secondo, trattenendo le risa fino a deformarsi il viso, poi si guardarono e si lasciarono andare. Le risate riempirono la piccola stanza illuminata dalla candela, ma fu la voce di Cassy a prevalere sulle altre.
«Ridete, ridete… Toccherà anche a voi, prima o poi!» disse Elisa, portandosi alle labbra la bottiglia e riportando il silenzio nella sala.
Lisa si asciugò una piccola lacrima che stava scendendo sulla guancia e finì il biscotto che aveva in mano. «Ok, diamole un po’ di tregua… La mia figuraccia è epica, inizia con la U di ubriaca… E’ successa la sera del mio diciottesimo compleanno. Stavo festeggiando con gli amici in un pub in centro, non serve che vi dica quanto avessi bevuto perché lo capirete da sole… All’epoca, oltre all’alcol e alle feste, c’era un ragazzo. Si chiamava Michael, aveva tre anni più di me e guidava una schifosissima Citroen color fumo, che puzzava come una fogna ed era ammaccata in più punti. Erano le tre o le quattro, non ricordo più, Michael mi disse di aspettarlo appoggiata alla vetrina, mentre recuperava la macchina. Non ero in grado di camminare e a mala pena riuscivo a stare dritta. Ad un certo punto, arrivò una macchina davanti a me. Riconobbi la marca sulla portiera, una Citroen, così mi avvicinai barcollando. Con molta fatica aprii la portiera, scivolando sul bordo del marciapiede un paio di volte, e mi gettai sul sedile, bofonchiando che lo amavo moltissimo e gli avrei fatto vedere le stelle. Appena mi ricomposi, notai, con mio grande dispiacere, che l’autista non era il mio ragazzo. Era la mamma di un’amica, che mi guardava come se avessi la lebbra. Scoppiai a riderle in faccia, senza pensare alle conseguenze del giorno dopo. Morale della storia? Il giorno dopo si presentò a casa mia e raccontò tutto ai miei, scuotendo talmente tanto la testa, che pensavo le si svitasse dal collo. Non mi sono mai vergognata tanto… Ha passato molti anni a guardarmi con sdegno, quando mi incontrava per strada… Adesso, a pensarci, mi viene da ridere…»
Elisa e Alice iniziarono a ridere di gusto mentre Cassy, scuotendo la testa, si rivolse a Lisa. «Come hai fatto a sbagliare auto? Non è mica semplice!»
«Tesoro, quante volte ti sei ubriacata? Non solo bere qualche bicchiere, ma arrivare al punto che non ti ricordi bene la strada in cui abiti. Ti posso assicurare che in quello stato non distingui una Citroen Classica da una Picasso, una color fumo da una nera… Vidi solo una macchina scura, con il logo della Citroen… Ok, vedere è un eufemismo. Diciamo che la percepii…»
«Complimenti, Lisa… La bella maestrina non è poi tanto innocente, hai avuto anche tu il tuo “periodo alcolico” con una buona dose di cazzate!» disse Alice, dandole una delicata pacca sulla spalla. «Ora, però, tocca a te Cassy! Illuminaci!»
La bionda si agitò sul cuscino e si sistemò i capelli dietro all’orecchio, come sempre quando si sentiva a disagio. «Ok. So che pensate che sono un po’ svampita…». Le amiche si guadarono sottecchi e una risatina collettiva interruppe la ragazza, che però sorrise e continuò a raccontare, fissando il pavimento.
«Sì, bè, a volte avete ragione. Il mio momento imbarazzante è legato alla lettera Q, di quad. E’ successo un paio di anni fa, quindi è ancora più brutto… Ero in vacanza al mare con degli amici e un giorno qualcuno propose di affittare alcuni quad per fare un giro sulla spiaggia. Sembrava un’idea carina, anche perché sapevo guidarlo. Trovammo i mezzi e partimmo senza problemi. Non so cosa ci fosse di sbagliato nella sella del mio quad, forse qualcosa che spuntava o altro. Sta di fatto che il ragazzo davanti mi chiamò, io mi alzai per sentirlo meglio e sentii un sonoro “crack”. Quando mi girai, vidi che era successo qualcosa di orribile. Pantaloncini, costume, tutto fuori posto! Così, restai con il sedere di fuori in mezzo alla spiaggia. Tutti iniziarono a ridere, anche quelli sotto gli ombrelloni… Quando spensi il quad e feci per scendere, i vestiti si strapparono del tutto e riuscii a coprirmi davanti per un pelo… Volevo buttarmi in mare e annegarmi… Imbarazzante e terrificante…»
Le amiche iniziarono a ridere rumorosamente, sbattendo le mani sui cuscini e tenendosi la pancia, mentre Cassy si riempì la bocca di biscotti, annaffiati con un sorso di birra.
«Oddio, sto per soffocare… Mi dispiace, tesoro… Non si può non ridere!» le disse Elisa, rimettendosi seduta. «Non guardarmi così! Abbiamo promesso che tutto quello che diremo rimarrà segreto… Non ho intenzione di sputtanarti in giro! Vi voglio troppo bene per fare la carogna…»
«Lo sappiamo, Elisa. Purtroppo, però,  a volte sai essere una vera stronza. I tuoi scherzi sono un po’ pesanti in certe occasioni, anche se non lo fai con cattiveria… Te lo dico con amore, naturalmente!». Alice le mise una mano sulla spalla, parlandole con il tono giocoso che, abitualmente, usava per smorzare l’effetto delle sue rivelazioni.
«Lo so, a volte esagero… Forse mi identifico troppo con i personaggi strafottenti di cui scrivo, per questo che tendo ad essere un po’ volgare e aggressiva…»
«Oh, mi sta per scendere la lacrimuccia… Lo sappiamo che, in fondo, sei una cucciolona!» disse Alice, scompigliandole i capelli.
«Bando alle ciance» proseguì Alice, «tocca a me adesso! Vi anticipo che questa è difficile da battere… Inizia con la G di gelato ed è successa sei mesi fa. Indovinate dove? Sì, in una gelateria. Faceva un caldo allucinante e, con il mio compagno, mi fermai a prendere un gelato in una delle gelaterie più buone della città, stando ai commenti degli amici. C’era una marea di gente seduta e in piedi, ma riuscimmo a sederci nell’unico tavolino disponibile, in fondo al locale, e a ordinare due coppe di gelato grandi come una casa, la mia con le fragole e la sua con la banana split. In questi locali hanno il brutto vizio di decorare il tutto con la panna montata che, come sapete bene, a me non piace. Quando la cameriera appoggiò il gelato al nostro tavolo, io arricciai il naso e iniziai la mia operazione chirurgica per rimuovere la panna. Senza pensare al doppio senso, guardai il mio compagno e gli chiesi: “Posso mettere la mia panna sulla tua banana?”. Lui mi guardò con tanto d’occhi e la gente attorno iniziò a ridere, contagiando l’intero locale. Mi ci volle nemmeno un secondo per capire che avevo fatto una figura di merda colossale! E’ stato assolutamente imbarazzante! Giuro che l’ho detto senza pensarci… Ho imparato la lezione, però. Adesso lo dico subito che non voglio la panna sul gelato…»
Anche in questo caso le risate non tardarono ad arrivare. «E’ una cosa da Cassy! Non pensavo potesse capitare a te!» disse Lisa, tra le lacrime.
«Ehi! Non tiratemi sempre in mezzo!» rispose a tono la diretta interessata, tirando un buffetto all’amica.
«Non è così difficile da battere, Alice! Aspetta che vi racconto questa e poi ne parliamo!» disse Elisa, aprendosi un’altra birra. «Allora, la lettera di riferimento è la T di turca. Non è la nazionalità, ma proprio quello che pensate… il bagno!»
«Oddio!» esclamò Lisa, iniziando a ridacchiare.
«Lascia stare, è stato terrificante… L’incubo di ogni ragazza… Ero in un bar in centro e, per la cronaca, non avevo bevuto! Era un locale carino, arredato in stile un po’ retrò, che aveva come unico aspetto negativo il bagno. Non c’era la tazza, ma la turca. Voi sapete quanto io le odi, soprattutto quando ho i tacchi alti e un equilibrio un po’ precario… Quello che successe è che avevo bisogno di fare la pipì, così mi incamminai traballante con i miei tacchi 15 verso il bagno. Quando entrai, notai due cose: uno, il bagno faceva schifo e puzzava; due, non c’era più carta, perché era quasi tutta sul pavimento. L’idea di pestare quello schifo mi face venire da vomitare, ma non sarei riuscita a tenerla fino a casa… Ricordo di aver pensato: “meno male che ho messo i jeans stretti, così non rischio di strisciarli per terra!”… Meno male un cazzo! Nel bel mezzo delle operazioni di apertura jeans e accovacciamento, il tacco destro perse la presa sulla carta bagnata. Inevitabilmente il piede mi scivolò nel buco della turca e le mani toccarono per bene lo schifo circostante. Quando mi rimisi in piedi, vedi con orrore i jeans macchiati di un colore troppo tendente al marrone… Fui costretta a uscire dal bar passando davanti a tutti, con la gamba macchiata e puzzolente. Tutti si girarono e si lamentarono per la puzza, poi mi guardarono e iniziarono a ridere… Ogni tanto me lo sogno ancora di notte!»
«Che schifo! Mi sarei nascosta in un angolo!» disse Cassy, sputando i rimasugli del biscotto che stava mangiando.
«Io mi sarei spogliata e sarei uscita in mutande! Con il fisico che ti ritrovi, sarebbe stato meno imbarazzante!» rispose, di rimando, Lisa.
Elisa annuì, portandosi la bottiglia alle labbra. «Ci ho pensato, in effetti! Ma avevo troppo schifo… Ho lavato le mani quattro volte e mi sono fiondata a casa!»
«Dopo questo racconto raccapricciante, il mio, a confronto, sembra una caramella… » esordì Lisa, scompigliandosi i corti capelli neri, che la facevano sembrare uno dei folletti delle storie che leggeva ai suoi bambini. «Inizi con la lettera D, come damigella. A mia discolpa, vorrei sottolineare che all’epoca avevo solo sedici anni. Ero maldestra, molto maldestra, e tutti lo sapevano. Nonostante la mia fama, mia cugina decise di nominarmi damigella al suo matrimonio. Il mio compito, apparentemente molto banale, era quello di portare il cuscino con le fedi all’altare. Niente di più semplice, direte voi. Al mio equilibrio latitante aggiungete: il nervosismo dei parenti e della sposa, che volevano che tutto fosse perfetto; un vestito orrendo in microfibra che mi pizzicava; le mutande, che tanto anti-stress non erano e le scarpe con un tacco 7 che, portando solo scarpe da tennis, mi sembravano dei trampoli. Shakerate tutto per un minuto, ovvero per il tempo necessario a percorrere la navata, e avete un risultato perfetto: la sottoscritta che cade miseramente, lanciando il cuscino sul pavimento. I due bellissimi anelli, però, non erano stati fermati a dovere con i nastri. Così, nei successivi cinque minuti, sessanta persone si agitarono forsennatamente alla ricerca delle fedi, lanciandomi sguardi di fuoco. Ricordo i miei genitori che scuotevano la testa, rassegnati, mentre lo sposo rideva come un cretino… Volevo sparire!»
«Li avete trovati poi?» chiese Alice, ridendo.
«Sì, sì… Mia cugina ce l’ha ancora con me, però! Me lo rinfaccia quando vuole farmi sentire in colpa!»
Quando l’ilarità si spense, Elisa si alzò e si sgranchì le gambe. «Ragazze, abbiamo finito le vettovaglie… Posso tentarvi con altra birra e patatine assortite?»
Le amiche annuirono, raccogliendo le briciole dal tavolino. «Ci sono le patatine al formaggio?» chiese Cassy, con un tono quasi infantile.
«Potevano mancare? Arrivo tra un secondo… Cassy inizia a pensare al tuo ricordo!»
Nel giro di pochi minuti, il tavolino fu nuovamente imbandito e le ragazze pronte a nuove rivelazioni.
«La prossima lettera è la L e, prometto, non ci sono sederi di fuori… Solo un lampione.» disse la bionda, alzando le mani. «Avevo diciotto anni e facevo l’animatrice in un campo estivo. Un giorno decidemmo di portare i bambini in piscina, tanto per cambiare un po’ e farli divertire; eravamo arrivati da un paio d’ore, forse, e io vidi un ragazzo bello da paura due ombrelloni più avanti. Anche lui era un animatore, ma di un altro campo estivo, così iniziammo a chiacchierare, tanto per passare il tempo. All’ora di pranzo, iniziai a girare per la piscina per cercare i miei bambini e mi accorsi subito che lui era dall’altra parte del ciottolato, intento a fare la stessa cosa.  Quando mi passò accanto, ci sorridemmo ma non ci fermammo. Quando mi superò ero così impegnata a fissargli il sedere, e che sedere oserei dire, che non mi accorsi di un favoloso lampione in mezzo alla strada. Non uno qualunque, ma uno di cemento solidissimo, su cui mi spalmai come una mosca sul parabrezza. Il colpo è stato così tanto forte che anche lui se ne accorse e venne ad aiutarmi. Molto scherzosamente iniziò a prendermi in giro, chiedendomi cosa stessi guardando di così interessante da non farmi vedere un palo enorme. Non sapevo cosa dire, in questi casi è molto meglio stare zitti. Mi limitai a sorridere e arrossire come una bambina. Penso che abbia capito perfettamente, perché divenne tutto rosso… Il problema non è stato lui, in effetti, ma i ragazzini del mio gruppo, che videro l’intera scena e passarono il pomeriggio a  raccontare la mia disavventura, enfatizzando la parte in cui guardavo il suo culo… Non riuscivo nemmeno a guardarlo in faccia…»
«Questo è proprio da te! Mi dessero un centesimo per ogni volta che scivoli o sbatti contro qualcosa, adesso sarei miliardaria!» disse Lisa, allungandole il sacchetto di patatine. «Sai che ti vogliamo bene anche per questo, vero? Sei sempre così tenera!»
Cassy abbassò lo sguardo e arrossì. Tra tutte era la più ingenua e timida, ma adorava le sue amiche.
«Io, invece, decido di alzare la posta in gioco con la lettera B di bagno… ». Alice smorzò il momento di imbarazzo dell’amica, riprendendo il gioco. «Dato che dobbiamo rivelare qualcosa di piccante, voglio togliermi questa spina dal fianco… Avevo diciassette anni e stavo con un ragazzo. Era un mio compagno di scuola e ci frequentavamo da qualche mese. Erano gli anni degli ormoni in subbuglio e dell’arrapamento continuo, anche per noi ragazze. Vi ricordate, no? Ecco, uno di quei momenti folli ci prese mentre eravamo con i suoi a fare shopping. Un bacio tirò l’altro, le mani scesero sempre di più… e lui iniziò ad avere i jeans stretti. “Cosa facciamo adesso?” , gli chiesi io, innocentemente. “Cerchiamo un posto appartato, ovvio!”, rispose lui, ancora più innocentemente. L’unica soluzione era il bagno degli uomini, naturalmente, perché dalle donne c’era troppo traffico. Dentro non c’era nessuno, perfetto! Entrammo nella prima porta e sbrigammo i nostri affari, limitando i rumori. Primo pensiero una volta rivestiti: “Wow! Nessuno ci ha beccati!”. Sembrava tutto perfetto, fino a quando non accostammo la porta per uscire… Il bagno era pieno! Mi prese il panico, come potevamo uscire? Aspettammo un po’, ma la situazione non migliorò… E’ in quel momento che a lui venne un’idea, cretina a mio avviso: lui avrebbe fatto finta di essere cieco e io sarei stata la sua aiutante. Come no! Appena usciti, un tipo al lavandino si girò verso di noi e notò il mio trucco sbavato e la bocca del mio ragazzo con tracce evidenti di rossetto. Sorridendo imbarazzato, il tipo ci chiese: “Vi siete diverti?”. Nessuno gli rispose, uscimmo di corsa rossi come peperoni… Mai più sesso in luoghi pubblici!»
Il coro di risate riempì il silenzio della stanza, mentre Alice si servì altre patatine, in attesa che finisse. «Aspetto di sentire le vostre! Meno male che ne abbiamo solo uno da raccontare! E’ meglio contenere i danni…»
Lisa si asciugò una lacrima e bevve un sorso di birra. «Mi farete morire… Una serata così, giuro, non l’avevo mai passata!»
«Concordo perfettamente!» disse Elisa, controllando sul suo blocco degli appunti. «Tocca di nuovo a me… Ah, sì. Vi racconto questa! Ricordo numero tre, con la lettera I di incinta. Tranquille, non si tratta di me! L’anno scorso, andai all’inaugurazione del bar di Luca, il mio vecchio compagno di liceo. C’erano un sacco di ragazzi che non vedevo da anni ed fu molto bello ritrovarsi dopo tanto tempo. Tra i tanti c’era Sabrina, la reginetta del mio anno, era sempre stata bella come una fotomodella e invidiata da tutte. Mi si avvicinò e iniziammo a parlare del più e del meno, sapete cose del tipo che lavoro fai, la tua famiglia… Ad un certo punto notai che indossava un vestito attillatissimo, che metteva in mostra la pancia molto pronunciata. Molto innocentemente, le feci le congratulazioni e le chiesi quanto mancava alla nascita. Lei mi guardò tutta stizzita e mi rispose che non era incinta, era solo grassa… Ho pensato seriamente di scavare una buca e infilarci la testa… Che figura di merda!»
«Questa è epica! Ho rischiato anch’io di farla, poco tempo fa… Meno male che mi sono trattenuta dal parlare!» disse Alice.
«La colpa, però, non è stata tutta mia! E’ sempre stata magra come un chiodo, mai sarei andata a pensare che fosse ingrassata così tanto. Solo sul giro vita! Ho pensato che se stava mettendo in mostra la pancia era perché era in dolce attesa!»
Le amiche non poterono non concordare con il suo ragionamento, anche se non riuscivano a smettere di ridere.
Fu Lisa a riportare l’attenzione sul gioco. «E’ il mio turno, con la lettera O di orecchino… Risale al mio periodo da specializzanda, mentre ero ad una conferenza sull’educazione dei bambini con handicap. Era una di quelle occasioni abbastanza chic, piena di studiosi in giacca e cravatta e signore in tailleur, così optai per una camicetta bianca con maniche alla corsaro e una gonna a tubino nera, molto semplici ma eleganti. Decisi, anche, di mettere gli orecchini che i miei genitori mi avevano regalato alla laurea, quelli con i piccoli diamanti, e una collanina sottile. Sono accessori che non possono mancare, a quanto mi hanno detto. Durante la pausa a metà mattina, ne approfittai per andare in bagno. Nulla a che vedere con quello della tua disavventura, Elisa! Questo era pulito e profumato, probabilmente potevi mangiare per terra senza prenderti nulla. Talmente tanto pulito che aveva il disinfettante blu nell’acqua del gabinetto, in modo da lasciare sempre il wc pulito. Ringraziando Dio, avevo già tirato l’acqua perché, a causa di un movimento troppo brusco, un orecchino si aprì e centrò la tazza. In quel momento non ho pensato a tirarmi su la manica della camicia, avevo solo paura che prendesse la via dello scarico, dato che era molto piccolo e leggero. Senza esitazioni, infilai il braccio nella tazza. Quando lo tirai fuori, il danno era fatto! Una favolosa manica blu, dal polso al gomito! Tragedia, non potevo lasciare la conferenza perché mi serviva per l’esame, e non avevo nulla con cui coprire il disastro… Fui stata costretta a rimanere in sala fino alle due, tra le risate dei presenti e le occhiatacce del mio tutor. Unica nota positiva: salvai un bellissimo orecchino…»
«Oddio! Sei riuscita a farla venire pulita?» chiese Cassy, portandosi le mani ai capelli.
«Figurati! Sono tornata a casa come un puffo e l’ho buttata. Era irrecuperabile, più o meno come la mia dignità…»
«Oh, se ti può consolare, quella penso di averla persa da tempo! E’ successa una cosa, qualche anno fa… Tanto vale che ve la racconti, dato che Alice ha già confessato la sua figuraccia a luci rosse. La mia inizia con la F, come fiume» disse Cassy, puntando i suoi occhi timidi verso il pavimento. Iniziò a tormentare la su T-shirt rosa con le mani, cercando di farsi coraggio e riprendere a parlare. «Ricordo addirittura il giorno, era il quattordici luglio del 2009. Era un pomeriggio caldissimo e il mio ragazzo mi propose di andare al fiume. Di solito c’era tantissima gente, ma lui conosceva un posto tranquillo in cui avremmo potuto stare da soli. Mi sembrò un’idea grandiosa, anche perché vivevamo entrambi con i genitori ed ero stufa di fare l’amore in macchina. Doveva essere un posto semi-nascosto, in cui nessuno poteva disturbarci. In effetti non fu così perché, mentre noi ci divertivamo sulla sabbia, dall’altra sponda tutti potevano vederci. Non ce ne accorgemmo finché alcuni ragazzi, forse della nostra età, iniziarono a urlare e complimentarsi per la scena… Uno mi chiese, addirittura, quanto volevo per fare le stesse cose con lui! Fu così tanto imbarazzante che presi i miei vestiti e scappai. Sì, lo lasciai nudo, in mezzo alla spiaggia, e me ne andai… Non credo che mi abbiano riconosciuta, ma i giorni successivi non volevo uscire di casa…»
Le amiche la guardarono con gli occhi sgranati e un’espressione di stupore dipinta sul viso. Fu Elisa ad esprimere a parole quello che tutte pensavano. «Non ti facevo così selvaggia! Mi sembravi il tipo da “sesso solo a letto, con la luce spenta e solita posizione”»
Cassy arrossì vistosamente e guardò negli occhi, una ad una, le sue amiche. «Vi avevo avvertite che vi avrei fatto cambiare idea. Non sono così ingenua! E’ solo che non sono spigliata come voi o estroversa. Sono timida e per questo la gente mi sottovaluta…»
«In effetti, anch’io pensavo che avresti evitato l’argomento sesso. Sono contenta che ti sia aperta con noi… Mi devo ricredere: sei un po’ ingenua e imbranata, ma sei ok. Se fossi diversa, non saresti più la nostra Cassy!» disse Lisa, dandole un bacio con lo schiocco sulla guancia.
«Siete così dolci, che mi fate venire il diabete!». Lisa interruppe lo scambio di complimenti, per riportare l’attenzione sul loro gioco. «Adesso vi racconto una cosa che mi ha sconvolta per anni. Ha a che fare con la lettera V e i vestiti. E’ così terrificante che mi capita di sognarla ogni tanto, e inevitabilmente la giornata inizia con il piede sbagliato!». La ragazza si interruppe e finì l’ultimo sorso di birra, scuotendola leggermente davanti al viso. «Se continuo così, dovrete portarmi a letto di peso… Torniamo alla storia, che è meglio. Ero al primo anno di Università e avevo fatto amicizia con alcune compagne di corso. Ci vedevamo ogni giorno, mangiavamo insieme, uscivamo la sera, cose così. Per festeggiare la fine degli esami, decidemmo di passare una giornata al mare. Fu tutto perfetto e ci stavamo divertendo molto, finché non iniziò a piovere. Recuperammo tutto e ci fiondammo in macchina, vestendoci velocemente durante il tragitto. Dopo dieci minuti di strada, l’amica che guidava iniziò a lamentarsi delle macchie d’acqua sui sedili nuovi della sua macchina; ci costrinse, quindi, a fermarci in una stazione di servizio per cambiarci. E’ qui che arriva il bello… Mi spogliai in bagno lanciando a loro i vestiti, perché lo spazio era poco e il pavimento era troppo sporco per appoggiare la borsa. Una volta asciugata per bene, chiesi che mi passassero i vestiti asciutti. Quelle stronze si misero a ridere, dicendo che avrei dovuto pagare pegno per non averle aiutate con l’esame di spagnolo. La mia punizione fu stata molto imbarazzante, perché mi costrinsero ad attraversare l’area di servizio con addosso solo un asciugamano e, per amor di chiarezza, non era un telo da mare ma un misero asciugamano da bagno! Per coprirmi la parte anteriore del corpo, lasciai scoperto quasi tutto il sedere. Tutti mi guardarono, alcuni fischiarono… Volevo solo morire! Ah, sì, mi chiusero anche fuori dalla macchina per qualche minuto! Volevo ucciderle!»
«Terrificante!» disse Elisa, rischiando di strozzarsi con una patatina. «Sarebbe già inquietante come incubo, figuriamoci se accadesse davvero!»
«Io non sarei uscita dal bagno!» affermò Cassy, guardando la sua vicina.
«Non avevo molta scelta… Mi avrebbero lasciata lì, di questo sono sicura! Mi consolo pensando che la mia vendetta è stata inaspettata e piacevole, ma questa è un’altra storia…»
«Per adesso, questa storia mi sembra la migliore e mancano solo due giri alla fine!» disse Elisa, guardando il suo foglio. «Il prossimo ricordo che voglio condividere risale a poche settimane fa, mentre mi trovavo a Roma. La lettera è la H di hotel, perché è lì che è successo tutto. Ero in città per la presentazione del mio nuovo libro, che si doveva tenere nella sala conferenze di un prestigioso hotel. Poco prima di salire sul palco, come ogni volta che ho un appuntamento importante, fui costretta a correre in bagno. Chissà perché la mia vescica è poco collaborativa, in quelle occasioni! Ero in bagno da trenta secondi, quando l’organizzatrice entrò tutta trafelata, dicendomi che mi stavano aspettando in sala. Feci più in fretta possibile e uscii di corsa, seguendo la donna fin sotto il palco. Quando misi un piede sulla scaletta, sentii un brusio strano levarsi dai presenti. In un secondo diventarono risate aperte e la gente iniziò ad additarmi e fischiare. “Oddio, cos’ho?” è la prima cosa che mi chiesi. Mi guardai dietro la schiena e notai, con grande vergogna, che non avevo controllato la gonna prima di uscire dal bagno! Avevo tutto in vista: perizoma nero, autoreggenti e reggicalze. Dopo un momento di panico e angoscia, mi sistemai e feci finta di niente, sperando che nessuno si ricordasse dell’episodio una volta uscito. Naturalmente mi sbagliai, perché il giorno dopo, insieme alle recensioni del libro, non si sprecarono i commenti sul mio comportamento poco professionale. Scoppiai a piangere quando finii di leggere, pensando che la critica mi avesse rovinato la vita…»
«Questa sì che è una figura di merda colossale!» disse Alice, prima di iniziare a ridere senza contegno. Alla ragazza si unirono anche le altre, Elisa compresa. Certe volte non puoi fare altro che riderci su!
«Forse io ti batto, sai?» interruppe Lisa, richiamando l’attenzione su di sé. «Lettera P di palpeggiare, signore! Sì, sì, proprio palpeggiare!»
Dopo essersi scompigliata i capelli, riprese. «Immaginatevi la scena: strada affollata, piena di gente che si ferma a guardare le vetrine e ragazzini rumorosi che scherzano tra di loro. Ero con il mio ragazzo e, teneramente, andavamo via abbracciati. Oddio, non proprio abbracciati… Avevamo la mano infilata nella tasca posteriore dei jeans dell’altro. Cosa carina, in genere. Ad un certo punto, mi trovai davanti ad un negozio di scarpe. Sapete bene che le scarpe sono il mio tallone d’Achille e che non riesco a resistere alla tentazione di sbavare sulle vetrine! Con la testa tra le nuvole, o meglio tra le scarpe, allungai una mano per avvicinare il mio ragazzo. Infilai semplicemente la mano nella tasca stringendo debolmente la natica, come avevo fatto centinaia di volte. Peccato che era la tasca sbagliata, il culo sbagliato e il ragazzo sbagliato! Il mio ragazzo era dall’altra parte e la morosa del povero palpeggiato proprio accanto a me. Lei mi fece davvero paura, pensai volesse strangolarmi! Lui era imbarazzato, io mortificata e rossa come un pomodoro, e lei incazzata nera. “E il tuo ragazzo?” chiederete voi… Mi guardava e rideva come un ebete, appoggiandosi al muro per non cadere! D’ora in poi, per mano come i bambini… Male che vada, se sbagli, puoi dire di non averlo toccato intenzionalmente!»
«Io mi sono sempre limitata a parlare con sconosciuti, pensando di farlo con l’amica!» disse Elisa, pulendosi la bocca dalle briciole.
«Oppure salutare qualcuno che credevi un conoscente, scoprendo di aver sbagliato completamente!» proseguì Cassy.
«Anche la nostra dolce maestrina è umana, incredibile!» Alice sorrise, facendo segno a Cassy di prendere la parola.
«Sono contenta di non essere l’unica a stupirvi! Quanto a me, il penultimo ricordo risale a pochi mesi fa, mentre ero al lavoro, e la lettera è la Z di zip. Dal momento che faccio la segretaria in uno studio legale, ho l’obbligo di vestirmi sempre elegante, perché sono la prima persona che vedono i clienti e devo dare l’impressione di serietà e professionalità. Quel fatidico giorno misi un tailleur nero con la gonna che, qualche giorno prima, avevo portato a stringere dalla sarta. Arrivò un cliente molto importante, uno di quelli che fa entrare un sacco di soldi allo studio, per intenderci. Mentre lo stavo accompagnando alla porta dell’avvocato, gli cadde la pila di documenti che teneva in mano. Senza pensarci due volte, mi inginocchiai per aiutarlo a rimettere insieme i fogli. Quando mi rialzai, sentii la gonna allentarsi e un brivido di freddo sulle cosce. Vidi la sua espressione diventare terribilmente imbarazzata e capii subito che era successo qualcosa di imbarazzante! La cucitura della zip si era scucita ed ero rimasta in mutande, con la gonna arrotolata alle caviglie… Raccolsi tutto velocemente e corsi in bagno piangendo!»
Lisa scoppiò a ridere, senza lasciare che l’amica finisse di raccontare. «Un’altra volta? Non ti è bastato il quad?»
«Questa volta, però, le mutande sono rimaste a posto!» ribatté Cassy, torturando il bordo della maglia.
«Oddio! Cos’è successo con il tuo capo?» chiese Alice, accarezzando il braccio della ragazza.
«Per fortuna, niente. Un’amica mi portò un paio di pantaloni neri e mi cambiai velocemente. Quando uscii dal bagno, però, vidi il cliente davanti alla mia scrivania… Voleva accertarsi che stessi bene e assicurarmi che non c’era nessun problema, perché gli incidenti capitano. Va bene, ha ragione, ma perché succedono sempre a me?»
«Succedono a tutti, Cassy!» le disse Elisa, bevendo un sorso di birra. «L’unica differenza è che noi cerchiamo di nasconderli e stiamo più attente, quando siamo in compagnia! Non ne facciamo un problema. Anzi, ci rialziamo, sorridiamo e continuiamo per la nostra strada…»
«La fate semplice, voi! Io attiro le figuracce, come la cacca fa con le mosche!»
«Non essere così severa con te stessa…» la consolò Alice. «Adesso ti racconto qualcosa che ti tirerà su! La mia figuraccia è l’incubo di ogni viaggiatore e, dato che è successa su un autobus, la lettera è la A. Quando andavo alle superiori, avevo un’ora e mezza di viaggio da casa a scuola e partivo alle sei. Ero perennemente stanca, e mi capitava spesso di addormentarmi sull’autobus. Il giorno in questione, però, non mi limitai a dormire… mi misi a russare rumorosamente! Quando mi svegliai, avevo una ventina di ragazzi attorno che mi guardavano come se fossi un fenomeno da baraccone! Ridevano come matti e mi prendevano in giro! E’ stato imbarazzante e umiliante… non ho più avuto il coraggio di addormentarmi in viaggio!»
«Devi ammettere, però, che quando dormi russi come uno scaricatore di porto! Parlo per esperienza personale...» disse Lisa, cambiando posizione sul divano.
«Non è vero!» rispose stizzita la ragazza.
«Devo dare ragione a Lisa, tesoro» intervenne Cassy. «Ti ricordi il nostro viaggio a Londra? Eravamo in quattro in camera e, per colpa di qualcuno che russava forte, in tre non abbiamo dormito. Al mattino eri l'unica con l'aspetto di un fiorellino appena sbocciato!»
Tutte si misero a ridere, ricordando la loro piccola avventura londinese. Alice guardò le amiche e fece loro la linguaccia, dichiarando così chiuso il capitolo “russare”.
«Povera cucciola, nessuno ti prende in giro sul serio. In fondo in fondo, sai che abbiamo ragione… Per questo ci adori così tanto!» disse Elisa, prendendosi un pugno sulla spalla da parte dell’amica «Ok, ok, basta. Mi arrendo!»
«Al posto di prendermi per i fondelli, raccontaci la tua storia… Ride bene chi ride ultimo, istigatrice» disse all’amica, con tono di sfida.
«E sia, lascio per ultima la storia più imbarazzante. Questa Lisa la sa già, perché è successa sulle scale di casa sua. La racconto comunque perché mi ha devastata.»
«Oddio, non sarà quella del minestrone?»
«Sì… Proprio quella! La lettera, mi sembra ovvio, è la M di minestrone. Era lo scorso inverno, voi due eravate impegnate e Lisa aveva l’influenza. Il sabato sera non avevo voglia di lasciarla a casa da sola, così andai da lei per cena. Cercando di farla stare meglio, decisi di portarle il minestrone che mi faceva sempre mia mamma quando stavo male. L’ho sempre considerato un toccasana! Avevo sbagliato un po’ le dosi, perché ne era uscita una quantità industriale; poco male, decisi che glielo avrei lasciato per un altro pasto. Arrivai sotto il suo condominio e iniziai a salire le scale lentamente, tenendo in equilibrio la pentola. Stavo iniziando l’ultima rampa di scale quando, non so bene come sia successo dato che avevo le scarpe da ginnastica e non i tacchi, mi scivolò un piede e finii per terra. Sentì la pentola cadere e chiusi gli occhi per paura di vedere il disastro. In quel momento, Lisa uscì dal suo appartamento e iniziò a ridere come una matta. Quando mi decisi a riaprirli, vidi il minestrone colare su tutte le scale. Come ben sapete, lei abita al secondo piano e quello schifo arrivò fino al piano terra, infilandosi sotto il corrimano… Che vergogna! Uscì anche il tipo che abitava nel mezzanino, spaventato dal rumore… Rideva anche lui a crepapelle. Come no, c’era proprio da essere allegri! Alla fine mangiammo altro e passai la serata a pulire le scale…»
«Cassy due, la vendetta! Dobbiamo chiamarti così, adesso!» la schernì Lisa, lanciandole il tovagliolo appallottolato.
«Mi è successo solo una volta, però! Non è una cosa cronica!»
«Adesso sai come mi sento, quando mi succedono queste cose! Perché credi che nessuno mi lasci pacchi da portare su per le scale? Non certo per cavalleria!» rispose Cassy, allargando le braccia per enfatizzare la sua posizione.
«Io e il mio vicino ridiamo ancora quando vediamo qualcuno salire le scale con le braccia cariche!» disse Lisa, aprendo la birra numero tre. O quattro?
«Ah ah, ridete pure!» le canzonò Elisa, «Intanto siamo arrivate all’ultimo giro!»
«Meno male siamo all’ultima storia! Sono le tre e sono leggermente ubriaca. Ok, forse più di leggermente ubriaca, ma tanto non devo guidare! Adoro le amiche con le camere per gli ospiti!» disse Lisa, alzando la birra in direzione della padrona di casa.
Poi riprese «E’ arrivato il momento della mia storia hot, che ha a che fare con un educatore estivo e la lettera E. Avevamo entrambi diciassette anni e ci eravamo conosciuti durante il corso di preparazione per il campo estivo. Non mi ricordo il nome, Jonathan forse, boh, qualcosa del genere. Era un figo da paura: palestrato, abbronzato, perennemente in costume… Inutile negare che ci fu subito una forte attrazione. Iniziammo ad uscire insieme la settimana successiva e finimmo a letto dopo il terzo appuntamento. La figuraccia si inserisce perfettamente nel discorso sugli ormoni in subbuglio e sull’arrapamento continuo, di cui parlava Cassy. Quindi sì, tesoro, ti capisco perfettamente. La volta in questione eravamo in campeggio al lago e, naturalmente, erano state montate tende distinte per i maschi e le femmine. La mia la condividevo, niente popò di meno, con la direttrice del campo. Era una donna sulla quarantina, bacchettona fino al midollo e amica dei miei genitori dalle elementari, che non tollerava le effusioni in pubblico. Durante il campeggio si occupava di accompagnare i ragazzi alle docce, assicurandosi che i bambini non si perdessero durante il tragitto. Io e lui avevamo, quindi, più di un’ora a disposizione per stare da soli, nella mia tenda. L’avevamo già fatto altre due volte, quindi eravamo sicuri di non essere scoperti… Quella volta, però, qualcosa andò storto. La rompipalle entrò nella tenda in tempo per vedere le nostre acrobazie, degne delle più spinte fantasie erotiche. Ci accorgemmo di lei solo quando iniziò ad urlare e insultarci. Ero più che mortificata, terrorizzata dal fatto che potesse raccontare tutto ai miei… come effettivamente accadde quando ci rispedì a casa, il giorno dopo. Inutile dire che loro si arrabbiarono per la mia poca responsabilità e mi misero in punizione fino alla fine dell’estate…»
«Ne è valsa la pena, almeno?» chiese Alice, sorridendo.
«Oh, ci puoi scommettere!» rispose l’amica, alzando la bottiglia e arrossendo dalla testa ai piedi. «E’ stato uno degli amanti migliori che abbia mai avuto!»
Elisa alzò la bottiglia in direzione dell’amica e assunse un’espressione fiera. «Brava la nostra maestrina! Incredibile quante cose si scoprono con questo gioco stupido… Puoi anche rilassarti, adesso. La tua tortura è finita!»
«Grazie a Dio! Ci sono cose che non avevo mai detto a nessuno… Coraggio, Cassy, togliti l’ultima spina dal fianco!»
La bionda si sistemò sul cuscino e finì la birra. «Ok, l’ultima lettera rimasta è la C di camerino. Questa disavventura si è ripetuta per ben due volte, ma vi racconto la seconda perché è più movimentata… Ero in un negozio in centro, con un collega, durante i saldi. C’era una marea di gente accalcata tra gli scaffali e facevi quasi fatica a respirare. Il ragazzo che accompagnai mi aveva chiesto di aiutarlo a comprare un completo per il suo primo giorno in tribunale. Era sempre stato gentile con me, quindi decisi di aiutarlo. Scelto il modello e il colore, andammo nei camerini a provarlo. Quando entrò, si rese conto che la porta non si chiudeva bene, ma gli assicurai che sarei rimasta io a tenerla ferma. Quando provò il tutto, ci concordammo che la camicia era troppo piccola e mi offrii di andare a prendere una taglia più grande. Quando tornai, aprii la porta senza pensarci e trovai un ragazzo, che di certo non era il mio collega, in mutande davanti allo specchio. Ero talmente tanto imbarazzata che non riuscii a muovere un muscolo. Nessun problema! Ci pensò la sua ragazza, incazzata nera, a scuotermi e farmi riprendere. Iniziò a urlare e fare scenate, incolpandomi di essere la zoccola con cui lui la tradiva. Non mi lasciò nemmeno il tempo di spiegarle il malinteso, ero rossa come un pomodoro e sudavo come un animale… Quello stronzo del mio collega, che si era spostato in un altro camerino libero con la porta non difettosa, si godeva la scena da lontano, ridendo con gli altri. La ragazza ci mise più di dieci minuti a calmarsi, grazie all’intervento del suo compagno. L’intero negozio aveva assistito alla scena. E’ stato terrificante! Mi prende in giro ancora adesso!»
«Per questo adesso chiedi sempre se siamo noi, prima di aprire i camerini!» disse Lisa.
«Vorrei anche vedere! Non ci tengo a ripetere la scena una terza volta!»
«E la prima volta?» chiese Alice, cercando le briciole dal sacchetto di patatine.
«Stessa scena, con l’unica differenza che nessuno mi urlò contro. Al posto dell’amica con cui ero andata nel negozio, avevo trovato una donna dell’età di mia mamma. Mi scusai e finì lì… Era colpa mia, però. Avevo aperto il camerino sbagliato.»
«Ringrazia la svitata se adesso non sbagli più! » terminò Alice, abbandonando la ricerca di qualcosa da mangiare.
«Tocca a me, quindi» riprese, allungando le gambe indolenzite. «Bene, l’ultima figuraccia ha a che fare con la R di reggiseno. Sapete bene che, per me, questo è un tasto doloroso… Mi ci sono voluti anni per accettare il mio corpo e non sempre è stato facile. Non potete capire fino in fondo il disagio che provavo quando i ragazzi facevano battutacce sulla mia taglia o mi fissavano…»
«Non fare così, tesoro. Sei formosa, ma non è un problema…» le disse Lisa, accarezzandole dolcemente una mano.
«Adesso non lo è, in prima superiore era più complicato. Ero alta un metro e sessantacinque, pesavo cinquanta chili e avevo una quinta di reggiseno. I ragazzi sapevano essere spietati con i commenti. Forse per qualcuno poteva essere un pregio, avere così tanto seno. Io lo consideravo una disgrazia. Comunque, il punto è che io mi facevo un sacco di paranoie e quell’episodio non aiutò. Ero in un centro commerciale fuori paese con alcuni compagni e faceva un caldo soffocante; l’aria condizionata quasi non si sentiva ed eravamo tutti quanti con i vestiti estivi, leggeri. Non so per quale motivo, forse feci un movimento brusco, il reggiseno si strappò dietro la schiena. Un amico si girò verso di me e iniziò a ridere, dicendo che avevo le tette alle ginocchia… E’ stato orrendo, iniziarono tutti a prendermi in giro e ad additarmi. Meno male che c’era una lavanderia nella galleria e la proprietaria, gentilissima, si offrì di ripararmelo sul momento…»
«E’ orrendo, tesoro!» esordì Cassy, abbracciando l’amica.
«Sì, bè, i momenti imbarazzanti non sono sempre divertenti… Meno male che, crescendo, ho imparato ad apprezzarmi e a disinteressarmi dell’opinione degli altri…»
«E’ stata comunque una bastardata! Nemmeno io, nei momento più cattivi, ho mai fatto una cosa del genere…» disse Elisa, cercando il consenso delle altre ragazze.
«Dai, ragazze! Non è mica cascato il mondo! Sono ancora viva, sono ubriaca e mi sento una strafiga… Cosa sono quelle facce da funerale! Sono passati più di dieci anni!» Alice ammonì le amiche, cercando di risollevare il morale. «I ricordi sono solo ricordi, niente che non si possa nascondere in un angolo buio e polveroso della memoria. Comunque, devo ringraziare tutti quegli stronzi… Non sarei la persona favolosa, perfetta, adorabile e straordinaria che sono adesso, se non fosse stato per loro!» Di nuovo il suo modo di fare giocoso e divertente, indispensabile per riportare il sorriso.
L’enfasi sulla sua perfezione ottenne, infatti, l’effetto sperato: un coro di “E poi?” e “Viva la modestia”, unito a spintarelle con i gomiti e tovaglioli che volarono nella sua direzione.
«Sì, sì! Sapete che ho ragione! Ma ora, dulcis in fundo, lasciamo che Elisa ci delizi con l’ultimo ricordo… che, se non ricordo male, dovrebbe essere quello più piccante!»
«Ebbene sì, anch’io ho avuto le mie disavventure a letto… Il protagonista inizia con la lettera N… di nonno! Se ci penso adesso, mi viene solo da ridere… Avevo diciassette anni, e stavo con un mio compagno di classe; lui era di un'altra città e non ci vedevamo spesso, fuori da scuola. Avevamo trovato un posto dove poter stare da soli, che fosse comodo per entrambi. A metà strada tra me e lui, vivevano i suoi nonni paterni; vivevano in una casa che dava su un cortile e, nell’altra estremità, avevano una piccola taverna che ci lasciavano per le feste. Quel pomeriggio, dopo scuola, andammo lì per stare un po’ da soli; i suoi nonni non erano in casa, ma avevamo un doppione delle chiavi. Ci stavamo divertendo sul pavimento da un po’, nudi, quando la porta si spalancò senza preavviso. I suoi nonni erano tornati dal mobilificio e dovevano posare il nuovo armadio nella taverna. Non vi dico l’espressione di suo nonno quando ci vide! Potevi leggerci imbarazzo, stupore, un pizzico di curiosità… Sul mio c’era solo imbarazzo. Il mio ragazzo si ammosciò all’istante, e non solo in senso metaforico… Farci vedere come mamma ci ha fatti dal nonno, non era decisamente tra le cose da fare quel giorno! Lui uscì di corsa e noi ci vestimmo alla velocità della luce… Non riuscivo a guardare nessuno negli occhi! Da quella volta, però, abbiamo avvisato sempre.»
«Che vergogna! Come si è risolta la cosa?» chiese Cassy all’amica.
«Non ne abbiamo più fatto parola… Non sono riuscita a guardarlo negli occhi per un po’! Penso che non se lo sia mai dimenticato…»
Scoppiarono tutte a ridere come ragazzine e alzarono le bottiglie, ormai quasi vuote, per un ultimo brindisi.
«A questa serata particolare e illuminante!» disse Alice, cercando l’approvazione delle amiche.
«E a noi!» proseguì Elisa, «Nella speranza di rimanere le stesse di sempre! Con qualche ruga in più, sicuramente, ma sempre “favolose, perfette, adorabili e straordinarie”, citando la nostra cuoca preferita…»
«A noi!» risposero tutte in coro, facendo tintinnare le bottiglie e ripensando ai bei momenti che avevano condiviso. Chi si scorda una serata così?
 
Federica alzò gli occhi dallo schermo e si sgranchì le spalle, avviando la stampa del frontespizio e della dedica. Aveva appena finito il suo ultimo folle libro, che sarebbe stato pubblicato a breve: Raccontami i tuoi segreti di Elisa Mirti. Odiava doversi nascondere dietro ad uno pseudonimo, ma l’aveva promesso alle sue amiche.
Accarezzò la pagina con la breve dedica e si incantò a guardarla, appoggiando il mento sul palmo della mano.
 

Alle mie amiche,
che mi hanno dato il materiale per questa pazzia
e hanno ispirato le protagoniste.
Riuscite a riconoscervi?
Vi voglio bene, ragazze!
La vostra “Elisa”
 

Si passò una mano tra i capelli e sorrise tra sé, immaginando la reazione che avrebbero avuto le sue amiche durante la lettura in libreria. Dopotutto, aveva mantenuto fede alla promessa: aveva cambiato i nomi!
   
 
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