FANFICTION
30 SECONDS TO MARS
CHAPTER
1 –
L’INIZIO DI UN SOGNO
I bagagli erano
quasi pronti, mancava
soltanto la terza valigia, ora aperta sul mio letto. Ci misi dentro le
ultime
cose, lo spazzolino per i denti in una bustina di plastica chiusa e il
pettine
per i capelli. Chiusi la cerniera e la spostai per terra. Era
pesantissima,
sperai non superasse i venti chili previsti per un bagaglio, anche se
era
improbabile che pesasse di meno. Mi guardai in giro. La camera, che
purtroppo
da quel giorno non sarebbe stata più la mia, era piena di
borse di tutte le
grandezze. Tentai di infilarne una dentro l’altra e ottenni
due valigie grosse.
Cosa mancava? Niente, riflettei, la
cosa più difficile l’avevo conclusa il giorno
prima, ovvero licenziarmi dal mio
lavoro di ostetrica. Il mio capo era stato solo preoccupato del fatto
che
adesso avrebbe dovuto trovarmi una sostituta, figurati se gli importava
che
stavo per andare a vivere dall’altra parte del mondo.
Guardai l’orologio: segnava le nove,
dovevamo andare. Diedi un’ultima occhiata alla stanza, avevo
preso tutto, le
pareti erano spoglie, avevo sistemato in valigia il cucù a
forma di gufo che
tanto amavo e tutte le foto, dedicando un’attenzione maggiore
a quella che
raffigurava me a tredici anni che tenevo in grembo mia sorella appena
nata e
sorridevo alla telecamera; Sophie indossava un pigiamino rosa e mi
fissava
sorpresa. Era la mia foto preferita, l’avevo scattata
papà il giorno del
secondo mese della piccola…
Ebbi un tuffo al cuore…Papà…
-Annie! Sei pronta? - Sophie
aveva aperto la porta della mia camera
e sporto la testa all’interno. Non l’avevo proprio
sentita arrivare.
- Sì sì! Adesso arrivo - risposi
e iniziai a trascinare le
valigie in corridoio. - Hai portato con te
duecento poster, vero? -
le domandai sorridendo.
- Non sono duecento! - ribatté
lei -
E poi sono sottilissimi,
che fastidio possono dare?-
- Beh, se sono tanti fanno
spessore -
- Ma non son…- fece per
ribattere lei, ma la
interruppi: - Stavo scherzando, stellina! -
dissi. La chiamavo spesso
“stellina” perché anche mamma era solita
soprannominarla così e lei voleva che
facessi lo stesso in memoria sua. Scoppiai a ridere e lei fece
l’offesa, poi
però sorrise. Sapevo che non potevo dire niente di negativo
sulla sua band
preferita e così non continuai. Avevano un nome strano, che
non ricordavo mai,
qualcosa con “
Portammo i bagagli all’ingresso e ci
girammo a guardare la casa per l’ultima volta. Sì,
forse un giorno ci saremmo
ritornate, ma non sarebbe stata più la nostra
casa, bensì quella della mia migliore amica Roxy.
Gliel’avevo venduta a
buon prezzo perché lei abitava fuori città e per
andare a lavorare impiegava un
sacco di tempo.
- Ti senti pronta ad
iniziare una nuova vita? - chiesi
a Sophie.
- Sì, e tu? -
- Anche io. Lo faccio
anche per te, stellina, lo faccio per noi
-
Quando uscimmo
di casa, il freddo di
fine inverno mi investì come una valanga di ghiaccio. Era
inizio febbraio, mi
ero messa una maglietta a maniche lunghe nera e dei jeans pesanti.
Sophie
indossava una t-shirt bianca della sua band preferita, come al solito,
con
strani simboli dappertutto, un cappotto caldo sopra e dei pantaloni
lunghi
scuri; ai piedi, delle scarpe nere brillantinate su cui aveva scritto
delle
frasi con il pennarello indelebile, aveva detto che erano parti delle
canzoni
dei 30 Seconds To Mars. Le indossava sempre, non potevano mancare quel
giorno
così importante.
In quel momento un’auto svoltò nella
via e si fermò davanti a noi. Roxy scese dal posto di guida
e ci venne ad
abbracciare. L’avevo conosciuta quando avevo tre anni alla
scuola materna,
avevamo frequentato anche le elementari e le medie insieme, poi avevamo
scelto
superiori e università diverse ma eravamo inseparabili. Ci
aiutò a mettere le
valigie nel bagagliaio della C3 grigia, poi salimmo sull’auto
e Roxy mise in
moto verso l’aeroporto di Malpensa. Il traffico milanese era
intenso e
arrivammo a destinazione alle nove e cinquanta. Trascinammo i bagagli
fino al
check-in, dove imbarcammo le mie due valigie e quella di mia sorella.
Comprammo
dei panini da mangiare in aereo e attendemmo su delle panchine vicino
al nostro
gate. Un cartello indicava a scritte grandi e nere: MILANO - LOS
ANGELES. Alle
dodici una signorina dall’altoparlante ci annunciò
che potevamo salire
sull’aereo, abbracciai di nuovo Roxy, stavolta una stretta
lunga e forte.
- Abbi cura di te, tesoro,
e di tua sorella -
mi
disse.
- Certo che lo farò -
risposi, poi mi ricordai delle chiavi
di casa che avevo in tasca e gliele diedi, lei le prese e poi
abbracciò anche
Sophie.
- Sei contenta di partire?
- le
chiese.
- Sì. Lì ci abita la mia
band preferita, non si sa mai che li incontro - esclamò lei e
sorrise. Ero sollevata dal fatto
che lo dicesse, ma sapevo che aveva sofferto nel salutare le sue
amiche; e poi
a Los Angeles avrebbe dovuto parlare una lingua che non era la sua, per
quanto
fosse portata in inglese. Ringraziai Roxy perché comprando
la mia casa a Milano
mi aveva dato i soldi necessari per il viaggio e parte di quelli per
acquistare
la casa in America. Poi salimmo sull’aereo, mostrando
biglietti e passaporto, e
ci sedemmo nei posti assegnati. Al rombare dei motori strinsi forte la
mano di
Sophie perché l’aereo mi aveva sempre dato un
senso di inquietudine.
- Sembri tu
la quattordicenne e io la
ventisettenne - commentò
lei e scoppiò a ridere.
Accennai un sorriso anche se avevo una paura tremenda. Quando fummo in
aria mi
tranquillizzai e iniziai a leggere un libro in inglese. Ero sempre
stata
portata per questa lingua, sperai di non avere problemi ad abituarmici.
Sophie
si mise le cuffiette e iniziò a ticchettare con le dita di
una mano sulla
ginocchia. Con l’altra si toccò la collanina che
portava 24 ore su 24 al collo,
ovvero un triangolo argenteo tagliato a metà.
L’aveva comprata su Internet
qualche anno prima e mi aveva detto che si chiamava
“Triade” ed era il simbolo
di quella che lei chiamava “Grande famiglia”, gli
Echelon, i fan della sua
band. Ma, non avevo mai capito perché, odiava quando io
dicevo “fan”. La vidi
sorridere guardando fuori dal finestrino, poi lei notò che
la stavo fissando,
si tolse una cuffietta e me la tese. - Vuoi
ascoltare? - mi
chiese. Le risposi di no, che volevo
leggere un po’, così si rimise la cuffietta e
riprese a guardare le nuvole. Era
bello vederla felice. Chissà, magari un giorno li avrei
ascoltati anche io, e
forse mi sarebbero anche piaciuti.
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NOTA AUTRICE :
Spero che come inizio vi piaccia, lasciate pure un commento
e...Al prossimo capitolo!! :D