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Autore: marig28_libra    14/10/2012    11 recensioni
Shun e June: un'amicizia sbocciata nell'infernale isola di Andromeda, un'intesa ormai maturata in un legame più ardente e profondo. Dopo i tifoni che hanno travolto il Grande Tempio, il ghiacciato Asgard e il Regno di Poseidone, i due giovani decidono di amarsi oltre le incognite che infestano gli orizzonti futuri.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Shun, Chameleon June
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà di Masami Kurumada. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
 
 
 

Dal cuore , l’angoscia sgorgava.
Dalla terra,  il respiro si sgretolava.
Dai corpi morti , il sangue sgrondava.
 
June, con i polmoni gonfi di tensione disperata, correva.
La maschera e l’armatura le si  erano lordate di terra e gocce rosse.
 
“ Shun! Dove sei?! Dove sei?! “
 
Su quel palcoscenico di guerra, ogni alone di  vita bruciava  nella malaria del caos.
Il cielo era un agglomerato di sfatto vermiglio, rantoli di fumo nero, brandelli d’ematomi viola.
La notte, un tempo dama dalle vesti intarsiate di stelle cristalline, ora aveva il viso d’ una martire dalla pelle lacerata di putrida lebbra.
 
Tutto fluttuava al ritmo d’una foschia ruvida.
I templi d’Atene e  le dune aride  dell'isola Andromeda si  mescolavano in quell’orrida visione.
 
“ Shun! Ti prego! Dimmi che sei vivo! “
 
I pensieri volavano sulle ali di bui sparvieri .
La ragazza stava cercando il suo amico in quell’ ammasso di carcasse di case, tronchi ustionati, cadaveri sfigurati.
Saltava, simile ad un’antilope, da un masso all’altro, da una rovina all’altra, con l’aria marcia che le entrava nelle narici…
La sua lunga chioma bionda era l’unico  sprizzo di sole che s’agitava in quel disegno di tenebra.
 
Improvvisamente un punto bianco nella volta celeste appestata.
 
June si fermò per guardarlo bene.
Era una colomba.
 
Si librava con mesta eleganza, con vacuo stordimento…
Sembrava un  foglio di carta errante in una brezza d’infinita spietatezza.
 
La giovane avvertì il cuore batterle con maggior dolore di prima…
 
Un sibilo interruppe quel breve attimo di contemplazione.
 
Un dardo infiammato, velocissimo, trafisse il leggiadro uccello.
 
Con le piume e le carni che prendevano fuoco brutalmente,  precipitò verso il suolo.
Un grido atroce di spasimo si propagò dal suo becco…
Un grido che divenne sempre più umano…Una terribile musica che divenne sempre più famigliare…
 
“ Shun! No! “
 
June riprese a correre velocissima, tentando di captare il cosmo del cavaliere.
Il fumo della guerra, purtroppo,  pareva affievolire qualunque segnale.
 
“ Non puoi morire! Non devi morire! “
 
Delle sagome oscure di nemici le si pararono davanti. Erano sfocate, avevano contorni disciolti, parevano mostruosi spettri di carne.
 

 

- Levatevi di mezzo!! – urlò afferrando la propria  frusta.

 
Gli inquietanti esseri le si avventarono contro.
Facendo mulinare l’arma simile ad un terribile fil di ferro, ella li falciò in un sol colpo.
Del liquido rosso scuro insudiciò il terreno.
 
Un lievissimo suono echeggiò  ad un tratto.
 
 Era il tintinnio tenuissimo del cosmo di Shun.
 
“ Resisti! Sto arrivando! ”   
 
June  riconobbe , sul sentiero che stava percorrendo, le estremità delle catene di Andromeda.
Seguì la loro scia d’anelli impolverati e opachi.
 
Avvertì l’aurea dell'amico sprofondare nel buio.
 
Cosa le avrebbero mostrato quei grigi fili d’Arianna?
Cosa avrebbe trovato al termine di quel nefasto labirinto di battaglia?
 
Le si aprì dinanzi un ampio piazzale dalle  mattonelle rotte, d’agonia corrotte.
Attorno edifici di legno e pietra squarciati e divorati da incendi.
Al centro uno straccio di muro somigliante ad una lapide funeraria scolpita in modo grezzo…
 
Su di essa era crocifisso un ragazzo.
 

 

- Shun!

 
La sacerdotessa fissò la coppia delle  catene…  convergevano in un  ammasso caotico e trucido che avvolgeva il corpo del guerriero.
 
Devastata, si precipitò ancora più vicino.
Dalla sua gola stritolata non riuscì ad emergere alcun suono.
 
Le membra snelle e diafane dell'amico erano dilaniate da eritemi, crivellate da crude ferite…la loro bellezza pura era stata deturpata dal sangue che si riversava dalla carne bagnata di tortura.
Solamente qualche misero avanzo d’armatura era rimasto appeso alla pelle e ai muscoli sdruciti.
 
June, con  l’anima massacrata, spostò lo sguardo sul viso dell'adolescente.
 
I  lineamenti graziosi, delicati e teneri, erano ormai  un manufatto trafugato. Gli ematomi, i graffi scarlatti e il pallore osseo ne trasfiguravano qualunque freschezza.
I folti capelli verdi erano lerci e ciondolavano ai lati delle gote come fronde d’un albero livido.
Lo spettacolo più orribile si mostravano gli occhi: vitrei al pari della chioma, possedevano quell’alone di morte che hanno le bambole vecchie, guaste e assopite nell’oblio.
  
 
La ragazza avvertì le lacrime affogarla,  la testa che le doleva mostruosamente, la nausea che le abbrancava le viscere.
 
Voleva gridare per buttare fuori tutto quanto il cuore, il sangue, la vita.
Nulla continuò ad uscire dalle corde vocali.
 
Il respiro le si smorzò violentemente.
Gli occhi non le fecero distinguere più le cose.
Lo scheletro smise di sostenerla.
 
Barcollò.
Cadde…Nel nero tacitato, gelato, sconfinato.
 

 
 Si destò di soprassalto.
Il pulviscolo dell'orrore le si sciolse alla vista di un soffitto chiaro.
Si voltò alla propria destra.
Una grande finestra mostrava un  acquazzone che inondava d’ azzurro ovattato e cinerino i cigli dell'aurora.
 
La cognizione dello spazio e del tempo iniziò a snebbiarle lo spaesamento onirico…
 
Si trovava  nel suo letto, all’interno di una delle camere per gli ospiti di Villa Kido.
Era venuta  a Tokio, due giorni fa ,  per trovare Shun e  quest’ultimo aveva domandato a Lady Saori  di accoglierla nella  tenuta.
June era stata contenta  di quell’ospitalità: da tanto desiderava trascorrere alcuni momenti di tranquillità con l’amico.
 In quelle giornate di passeggiate e  pranzi condivisi assieme  , purtroppo, lo spettro delle angustie s’era nuovamente manifestato…
La quotidianità continuava ad essere un’illusione vagheggiata, una bella illustrazione che restava incisa nel libro dei desideri impossibili.
Dalla tipografia della fantasia non uscivano che scritti inverosimili. Bisognava rassegnarsi veramente ad un’esistenza di perenne precarietà…ma in che modo? In che modo tenere a freno un cuore che s’affannava alla ricerca d’un faro simile ad un pescatore disperso in un nubifragio?
 
 
June, ancora agitata dall’incubo, si alzò e uscì dalla stanza da letto.
Si diresse verso l’alloggio di Shun, che era a pochi metri di fianco al proprio.
Giunta dinanzi alla porta,  bussò piano per vedere se il ragazzo dormiva o no.
 
Un lieve rumore di passi.
L’uscio venne aperto.
 

-June! – sorrise Andromeda- anche tu già sveglia?

- Eh sì…colpa d’un incubo…

- Capisco…neanche io riesco a dormire tranquillo…

- Dovremmo essere abituati a questo…- sospirò lei fissando afflitta il pavimento – siamo guerrieri…

- Certo, ma possiamo pretendere pure noi un minimo di calma come le persone normali? – rise egli  amaramente.

- Hai ragione…hai ragione…

 
Lo abbracciò felice di sentirlo intatto, di non percepire deformata la sua dolce beltà. Sebbene lui indossasse semplicemente una canotta grigia e dei lunghi pantaloni blu, le pareva regale come un principe.
 

- Shun – sussurrò lei – è stato orribile…Pensavo fosse vero quello che mi stava succedendo…

 
Accarezzandole le spalle, il giovane la fece entrare nella stanza.
 

- Su – disse affettuosamente –  non ci pensare…

- Come faccio? Come posso scordarmi le volte in cui sogno…la tua morte? È un continuo...

 -  June – mormorò lui stringendola a sé  – devi smetterla di star male a causa mia.

-  È inutile che dici così –  rispose ella svincolandosi dall’abbraccio e andandosi a sedere  lentamente sul letto. - Ho compiuto una scelta… quando tentai di fermarti durante la battaglia al Santuario…mi tolsi la maschera…e tu vedesti il mio volto.

 
Shun s’assise su una piccola poltrona di fronte a lei. Le ammirò lo sguardo  turchese ricamato di ciglia nere, il naso piccolo, la bocca tenera e perfetta…
Il  suo viso fine gli appariva levigato come quello d’una ninfa scolpita nel marmo. Alla luce bigia dell’aurora lacrimante, la pelle  splendeva , malinconica , di una trasparenza opaca.
 La lunga chioma  liscia tingeva  d’un bagliore dorato, a mo’ delle pitture bizantine, quella   bella immagine incastonata nel grigiore opalescente delle ansie.
 
Era meravigliosa. 
 
Il cavaliere si deliziava nel contemplarla senza le vestigia del Camaleonte.
Una leggera camicia da notte azzurro pallido, le copriva il corpo magnifico.
Le spalle snelle lasciavano sporgere la rotondità degli omeri. Il seno ben fatto emergeva dolcemente da sotto il tessuto della veste. Il ventre piatto e le gambe sottili restavano celati nel calore misterioso dell'ombra.
Fin da piccolo l’adolescente voleva vedere June, vestita come una fanciulla.
La corazza rendeva maestosa ma aspra  la sua figura snella e soave.
Era rimasto colpito quando la conobbe per la prima volta su l’isola di Andromeda.
Non sapeva che le piante fossero in grado di germogliare in suoli d’atroce arsura. Nel ciclone delle sensazioni orribili di quel periodo, ella l’aveva salvato…
Rimembrò il proprio ritratto di bambino  perduto…rimembrò anche l’adorato Maestro Albione…buio e luce convivevano nella memoria  simili ad un’ incomprensibile coppia di coniugi…         
 
 
Dalla banchina del porto vecchio e rude si poteva scorgere la veste di Andromeda.
Non era quella della bellissima principessa incatenata agli scogli. Era una necropoli di sabbia gialla e marrone. Le sue dune  parevano tumuli di vittime perite  per la falce del caldo mortifero.
Il sole martellava qualunque cosa sopra un’incudine infuocata.
L’aria era totalmente essiccata.
Il cielo possedeva una tonalità d’azzurro plastificata nell’afa.
 
Il piccolo Shun era appena sceso dalla nave proveniente  del Giappone assieme ad altri ragazzini.
La calura  lo picchiava e , come se non bastasse, la tensione e il timore contribuivano a sfinirlo ulteriormente.
Aveva compiuto quel lungo viaggio da solo, senza l’adorato fratello maggiore.
Non aveva parlato con nessuno, aveva mangiato poco, aveva dormito esigue ore.
 
Forse tutto apparteneva ad’un copione di una tragedia. Sì…una tragedia che si sarebbe dovuta concludere.
Forse era tutto finto…un brutto scherzo. Il bimbo pensava, distrutto,  a questo.
Gli piaceva estraniarsi dalla realtà che gli appariva troppo crudele e irreale. Il mondo non poteva essere  perfido in quel modo.
 
Si sarebbe risvegliato. Avrebbe raggiunto Ikki e i genitori per fare colazione.
Si sarebbe ritrovato nella sua dimora al sicuro.
 
“ Sì “ rifletteva “ è un sogno un po’ lungo ma finirà…”
 
Non voleva accettare il suo destino. Non  comprendeva che non aveva mai posseduto una casa, non aveva mai conosciuto i genitori. Lui e Ikki erano alla mercé completa degli uragani.
La fondazione Kido  li aveva scaraventati in  quel caos.
 
“ Non è vero…non possono  essere stati così cattivi con noi…”
 
Shun non desiderava vedere per davvero. Non poteva  diventare cavaliere.  Era assurdo.
Lui e il fratello non erano orfani.
 
“ Ikki…quand’è che mi svegli? Sto dormendo troppo…”
 
Assieme  agli altri bambini venne condotto oltre la banchina, verso un arido lembo di terra dove stava un gruppo di piccoli apprendisti...
Portavano  delle corazze...
Un giovane uomo, che sovrastava quel nugolo di opliti ancora insicuri della loro missione,venne avanti…
Era  alto, atletico, austero.
Possedeva una chioma bionda che gli giungeva fino alle spalle. Il suo viso era bello, energico ma duro come quello d’un quarzo irradiato dall’astro diurno. Gli occhi lasciavano spirare la cerulea e penetrante frescura dei cieli invernali. Contrastavano, pari a lapislazzuli, sulla carnagione  imbrunita dal sole.
 

- Il mio nome è Albione – dichiarò con voce secca e grave – sarò vostro maestro di combattimento e di sopravvivenza. Questa è l’isola di Andromeda. Di giorno la temperatura arriva  a  cinquanta gradi. Di notte va sotto lo zero e rischia di congelare il sangue che avete in corpo. State bene attenti a quel che vi dirò, non fate sciocchezze, non comportatevi da matti. Voi siete apprendisti cavalieri. Siete servitori  della giustizia. Atena è la dea che noi difendiamo. Lei ha in mano il nostro mondo e la pace. Affronterete molte prove per diventare forti nel corpo e nella mente. Il percorso è assai rischioso e difficile ma lo dovete assolutamente compiere. O lottate o lottate. Non c’è scelta.

 
 
Shun sentiva il cuore dolergli mostruosamente.
Aveva mal di pancia. Era pallido.
Si guardò febbrilmente attorno.
Si accorse che, tra gli apprendisti in armatura, alcuni ragazzini lo stavano squadrando…ridacchiavano piano…si bisbigliavano qualcosa…
 
Non seppe in quale maniera, ma riuscì a cogliere qualche frase velenosa…la paura e la soggezione gli avevano amplificato ferocemente l’udito…
 

- Ehi, hai capito se un maschio o una femmina?

- Da come sta tremando, per me  è una femmina…

- La faranno fuori subito?

- Ma l’hai vista?! Quella creperà fra tre giorni!

 
 
Shun volle piangere ma fu costretto a trattenersi.
La testa iniziò a girargli vertiginosamente…una strana nausea lo invase nello stomaco e nella gola...
Mentre Albione domandava ai nuovi arrivati di presentarsi,  le parole iniziarono a sbriciolarsi…gli occhi gli  si appannarono…le sue membra diventarono molli…il sangue parve scomparirgli dalle vene e dal cuore…
 
Tutto si offuscò.
Piombò per terra.
 
Non seppe quanti minuti trascorse nell’incoscienza.
 
Percepì, ad un certo punto, una sensazione di piacevole fresco sul viso…
Aprì lentamente le palpebre che parevano pesanti veli...
Era stato condotto  in un  rifugio,in  un alloggio dalle pareti di legno.
Sotto la schiena aveva la superficie d’un letto non particolarmente morbido.
La fronte gli  era stata  inumidita con un pannetto bagnato.
 
Due visi  lo stavano osservando. Il primo era di Albione, il secondo, coperto da una maschera, apparteneva ad una bambina dai lisci capelli dorati. 
 

- Come ti senti?- chiese lei  preoccupata.

 
Shun tentò debolmente di puntellarsi sui gomiti ma il Maestro lo costrinse delicatamente a sdraiarsi di nuovo.
 

- Io…- mormorò con voce impastata – io…sono…molto stanco.

- Per forza!- fece il giovane toccandogli il viso- ti sei beccato una bella febbre! Scommetto che non hai mangiato e non hai dormito abbastanza  durante il viaggio. Non mi meraviglio se sei svenuto.

- Vuoi che ti prepari qualcosa?- si rivolse  la bimba – chiedimi quello che ti pare! Io sono June!

- Sei in buone mani- rise Albione – anche se ha solo sette anni, la nostra amica è davvero in gamba a cucinare!

 
Shun riuscì a stendere un sorriso sulle labbra.
 

- Come ti chiami? – gli domandò June.

- S-Shun…

- Shun…- disse Albione – davvero un bel nome…sai cosa significa?

- No – rispose il bambino.

- Significa che scintilli, che sei una persona di talento.

 
Il piccolo lo guardò incuriosito.
 

- Che vuol dire…talento?

 
L’uomo  sorrise limpido ma  imperscrutabile.
 

- Quando hai talento, hai capacità grandi e uniche. Puoi fare cose strabilianti.

- D-davvero?

- Devi imparare a credere e…a conoscerti.

- Come?

- La strada è lunga e pericolosa. Non è facile.

- Io…ho paura…dite che non sarò mai coraggioso?

- Shun, per avere coraggio bisogna avere  paura.

- Perché? Non capisco…se uno ha paura non ce la fa a combattere…

- Guarda, che nessuno nasce coraggioso. Occorre diventarlo.

- Se lo diventerò…non avrò più paura?

- Tu avrai sempre paura. Non la puoi sconfiggere. La devi domare. Lei ti può aiutare. Ti lascia vedere meglio i rischi. Saranno molti gli ostacoli che fronteggerai … ma mi vedrai al tuo fianco.  

 
Si allontanò lentamente dal giaciglio.
 

- June – proferì aprendo  la porta della stanza – ora devo raggiungere gli altri apprendisti…ti lascio il nostro nuovo ragazzo. Mi raccomando…ah, Shun…un’ultima cosa…

 
Il bimbo attese coi  verdi occhi impazienti
 

- Oggi sei stato fortunato…hai conosciuto una bambina che porta il nome di giugno…il mese in cui l’estate inizia...

 
Strizzò  l’occhio con fare  complice e uscì dall’alloggio.
 
June sorrise ma Shun non poté vedere la luce del suo viso.
 

- Il Maestro Albione è un uomo molto forte e buono – affermò ella – sono venuta qui, sull’isola, cinque mesi fa e  mi ha sempre  aiutato . Sto imparando molto…lui sa tante cose…

- Sicuramente ha  dei poteri enormi.

- Già …per questo alcune volte fai fatica a capirlo…dice frasi strane…però puoi star sicuro che non è bugiardo…devi aspettare…

 
Aspettare…aspettare…
Shun lanciò un’occhiata fuori la finestra del rifugio…
Quante nuvole avrebbero attraversato le lande del cielo, come pastori erranti? Quanti uccelli si sarebbero allontanati spaventati da Andromeda? Quante lune e quanti soli avrebbero raggelato e surriscaldato il deserto delle battaglie?
 

- June…sarà molto il tempo che starò qui?

- Mi sa proprio di sì…tutti dovremo stare qui per molto.

 
 
Gli venne un tremito. Gli bruciarono gli occhi.
 

- C- ce la farò…a rimanere vivo?

 
June  si avvicinò per ribagnargli la pezza.
 

- Stai tranquillo. C’è  il Maestro Albione e io sono tua amica. Nel nostro gruppo conoscerai degli scemi che magari, ti piglieranno in giro. A me è successo perché all’inizio non sapevo combattere però ora riesco. Pensa che so buttare a terra un maschio. Se uno si azzarderà a farti male lo picchierò di brutto, contaci!

 
Shun rise tenuemente.
 

- Grazie.

- Non dire stupidaggini. Ci dobbiamo aiutare. È così che va.

 
 
Gli mise il pannetto nuovamente rinfrescato sulla fronte.
 

- June…- sussurrò lui – sono contento di diventare tuo amico.

 
Le prese affettuosamente la piccola mano.
Era umida, calda e morbida.
 
La bambina da dietro la maschera arrossì.
 

- Shun…se ti senti triste  vieni a cercarmi…svegliami pure  di notte. Non voglio  piangere da sola.

 
 
 Ora era lì.
Seduta. Abbattuta.
Nessuna maschera le nascondeva le espressioni del viso. Era come conoscerla una seconda volta. Appariva più graziosa, reale…
 
Shun si protese in avanti, dalla poltrona, per prenderle le mani.
 

- E’ bellissimo vedere i tuoi occhi –  disse – da bambino mi chiedevo di quale colore fossero…non ero mai riuscito a scoprirlo come del resto non sapevo niente delle tue guance e della tua bocca…

 
June gli abbozzò un sorriso.
 

- E’ vero…che cosa brutta e ridicola quella maschera…fu un dramma quando mi costrinsero a portarla…ti lascio immaginare in che condizioni stavo quando mi condussero al Gran Santuario. Mio padre, l’unico parente che avevo, mi era  morto da poco. Delle sacerdotesse guerriero m’avevano trascinato via dall’Etiopia alla Grecia. Dovevano trovare delle piccole apprendiste. Io non capivo nulla. Non appena fui nel loro campo d’addestramento, ad Atene,  mi trovarono una maschera adatta al mio viso. Mi dissero che non dovevo toglierla durante gli allenamenti. “ Nessun uomo deve guardarti. Questa è la regola” mi dissero. Poiché l’ordine delle sacerdotesse venne istituito più tardi rispetto a quello dei cavalieri, alle prime guerriere  fu impartito l’obbligo di nascondere la loro identità. La guerra non era un’arte femminile e tra l’altro la posizione della donna sai bene che non era delle migliori. Per evitare insidie, aggressioni, situazioni compromettenti, le servitrici d’Atena dovettero proteggere la loro vulnerabilità e in parte negare la loro natura.

- La maschera rappresenta per voi un mezzo per diventare simili agli uomini… anzi diventare come essi…

- Sì…è l’unico strumento che  consente di difenderci. Quando non siamo col volto scoperto siamo guerrieri. Il nostro essere donna è dimenticato.

- Che condizione assurda! Non l’ho mai concepita. Vedere le ragazze mascherate fa uno strano effetto… è come se fossero surreali…è come se non si  conoscesse parte della loro anima…

- Ti ricordi quando mangiavamo assieme?

- Eccome! Era deprimente pranzare o cenare con te che mi voltavi le spalle per non farti guardare. Quanto odiavo quella maschera…

- A pensarci adesso non so se c’è più da ridere o da piangere.

- Sai una cosa? – fece Shun  sorridendo – domandai  una volta al Maestro se ti avesse mai vista in viso…lui  mi rispose che purtroppo non gli era mai successo e che gli dispiaceva da morire non sapere quale tonalità avessero…la tua bellezza e la tua nobiltà…

 
Il ragazzo si commosse nel ripensare di nuovo ad Albione.
June condivise pienamente il suo stato d’animo.
 

- Il Maestro era una grande persona – rimembrò la ragazza con tono un po’ tremante – non mi pare vero che sia morto…a volte m’immagino che viva ancora con noi… Quel giorno in cui arrivai ,per la prima volta, nell’isola di Andromeda non la finivo più di piangere. Lui mi guardò  severamente  ma poi mi sorrise in modo favoloso…in quel momento pensai di vedere mio padre…gli assomigliava parecchio…mi venne voglia di abbracciarlo e d’illudermi di essere ritornata a casa…

-  Anche per me Albione è stato come un padre – assentì Shun tristemente – ci voleva davvero bene…riusciva a restare Maestro e nello stesso tempo sorrideva con noi senza abbandonarci un solo istante.

- Non meritava quella fine…sento una gran rabbia a pensare che siano stati due cavalieri d’oro la causa della sua morte…due cavalieri d’oro…il vertice della gerarchia….davvero ammirevole.

 
La fanciulla aggrottò la fronte biecamente.
Shun comprese la sua avversione ma dentro gli regnava la confusione. Milo aveva distrutto  Andromeda mentre  Aphrodite  s’era macchiato  dell’assassinio del Maestro…le loro colpe si rivelavano gravi ma bisognava considerare che erano stati  alle dipendenze di Arles, la parte malvagia di Saga che aveva tenuto in pugno le redini del Santuario…
Il ragazzo conosceva la  franca lealtà del guerriero dello Scorpione : se quest’ultimo aveva peccato era stato per difendere il Grande Tempio.
Il cavaliere dei Pesci…un enigma. Shun l’aveva sconfitto nella Dodicesima Casa. Poiché grande era stato  il  dolore per la morte di Albione aveva voluto ucciderlo per realizzare la vendetta.
Sì…la vendetta…la vendetta che gli aveva aperto altre ferite…Aphrodite s’era mostrato un giovane ambiguo, infido però…celava qualcosa…qualcosa di vagamente luminoso…indescrivibile.
Shun sentiva di non aver risolto niente.
A che cosa era servita l’uccisione d’un altro guerriero? Un guerriero che non aveva mostrato interamente la verità del proprio valore?
 

- June – si rivolse grave -  quello che è capitato alla nostra isola è stato terribile…abbiamo abitato in un inferno , però…quell’inferno ci ha plasmato e in quell’inferno abbiamo conosciuto Albione. Lui…Ci è stato portato via per sempre. Milo e Aphrodite hanno causato disastri ma…al Grande Tempio c’era Arles, ricordi?

- Shun! Non fare il santo misericordioso, ti prego!

 
La ragazza si levò bruscamente in piedi a andò vicino la finestra.
Il giovane  le si avvicinò.
 

- Senti – ribatté lui –  non ti posso dare torto ma quei due cavalieri sono stati ingannati, dovevano servire il  Santuario e…

- Piantala di giustificare! Quei maledetti potevano pensarci prima di combinare guai irreparabili!

- Pensi che la questione sia così semplice? Milo non è un demonio! Come credi si senta, dopo che ha scoperto d’aver servito un impostore e di essere stato causa d’una tragedia?!

- Bello parlare…se quel maledetto avesse avuto un po’ di  coscienza ora non starebbe a piangere da emerito idiota!

- June! Il mondo non è chiaro e lucente di sole!

- Neanche quell’infame borioso di Aphrodite lo era! Che razza di bastardo…è l’oltretomba il luogo che si merita.

- Non dire questo!

- Shun! Ha ucciso il nostro Maestro!

- E io l’ho fatto resuscitare?!

 
La guerriera guardò l’amico amareggiata.
Dopo un po’ sorrise affranta e vagamente irritata.
 
- Il Maestro Albione diceva la verità…- rivelò ella – quando tu lasciasti l’isola di Andromeda era angustiato come me…perché temeva la tua bontà…la tua splendida e dannata bontà…  
  
 
 
June, immobile nei riflessi fulvi del vespro, osservava la partenza di Shun. 
La nave per  il Giappone s’allontanava,  greve , dal porto di Andromeda.
Le onde del mare  luccicavano ostentando quella miscela di diamanti e rubini che decorava i loro capi.
Scostandosi alcune ciocche bionde che le solleticavano le spalle e il petto, la ragazza avvertì l’ombra dell'assenza dell'amico.
Era partito da una quindicina di minuti, ma già le mancavano tremendamente il suo viso, i suoi occhi, il suo sorriso.
Erano stati fianco a fianco molto a lungo. Come si rivelava strana e desolante quella separazione…
 
Un rumore di passi alle spalle.
 
June si voltò e vide l’imponente e  possente  Albione avvicinarsi.
S’accorse, perplessa, che era privo dell’armatura.
 

- Maestro! Ma…per quale ragione non indossate il cloth?

 
Il giovane uomo sorrise in modo insolito.
Una cromatura di gioia ed asprezza gli  si leggeva sulle  labbra; un’orma di recondita e severa tristezza.
 

- Vedi, June ho avuto sempre ragione. Anche se all’inizio pareva assurdo,  sapevo che Shun era dotato d’un cosmo straordinariamente potente.

- Cosa intendete dire?

- Il tuo amico ha ridotto a pezzi la mia corazza.

- Come?!

- E’ incredibile, lo so…quando lui stava per giungere qui, dopo avermi parlato, le mie vestigia sono andate in frantumi… all’improvviso.

- Possibile?

 
Albione  contemplò il bastimento diretto a Tokyo divenire  più piccolo, più minuto, quasi avesse desiderio di celare le sue intelaiature di grandezza.
 

- June, non dovresti meravigliarti se Shun sia riuscito a infliggermi un colpo simile… L’hai potuto constatare quando ha preso l’armatura di Andromeda.

- Avete ragione…si è  fatto incatenare agli scogli, ha affrontato la terribile mareggiata dell'oceano…io ero angustiata a morte ma alla fine…ci è riuscito. E’ riuscito ad immergersi nell’inferno. Lui che odia combattere...

- Già... lui che odia combattere…mi ha superato. Mi ha vinto nel giro di qualche secondo. Il suo cosmo si è mosso alla velocità della luce. Non mi sono accorto di nulla. I miei sensi non hanno captato il minimo movimento. È pazzesco…il cloth è finito sbriciolato. L’ energia vitale di Andromeda è stata talmente potente che non ha necessitato del supporto corporeo per correre e attaccare. Mi riempie di rabbia tutto questo. Perché diamine quello sciocco me l’ha mostrata soltanto ora la sua potenza?!  

 
Calò il silenzio...
Shun  non mostrava mai la sua vera forza…
Si lasciava vincere perennemente dalle esitazioni…
La ragazza sentì l’animo colmarsi di profonda ammirazione, immensa mestizia, sfavillante amore…
 

- Lui – disse – ha un cuore molto grande.

- Sì…- asserì Albione – purtroppo è  così la sua indole.

 
 
Aggrottò  la fronte  in un’espressione di dolente rammarico.
 

- Quel cavaliere – seguitò – è dotato di un animo troppo buono, generoso, onesto…se queste sono le sue virtù più luminose, si rivelano al contempo stesso i suoi difetti più letali…se continua a perseverare in atteggiamenti di pietà ed eccessiva tolleranza finirà calpestato. Le prime vittime a  rimettere la pelle sono proprio  le persone come lui.

 
Con un nodo in gola, la fanciulla soggiunse:
 

- Ahimè è vero…gli imbecilli e gli infami rovinano tutto…la bontà per loro è debolezza, mancanza di midollo…l’intelligenza e la sensibilità sono cose da stracciare come carta da quattro soldi… a che  servono se lo scopo è  spaccare la testa al prossimo?

- Dillo  alla bestialità umana. Noi siamo costretti a diventar violenti per arginare la violenza. Occhio per occhio, dente per dente. I nemici non hanno voglia di usare la ragione. La bellezza  è un fiore che viene bruciato di continuo. Senza ritegno. Senza senno.

 
 
Gli occhi azzurri e intensi di Albione si inumidirono.
June comprese l’amarezza che lo affliggeva: Shun gli  era simile ad  un fratello minore o ad un  figlio.
 

- E’ necessario  usare gli artigli più taglienti - mormorò egli – o si  viene  distrutti…

 
La fanciulla ascoltava con il viso mascherato  proiettato verso la nave che annegava nell’infinta lontananza dell'orizzonte.
 
Il Maestro fissò le nuvole del crepuscolo che s’allungavano smagrendosi nel feto della sera.
Sospirò chiudendo lo sguardo:
 

- Oh, June…capirà mai quel ragazzo che dovrà lottare veramente per stare sotto questo cielo troppo vasto e troppo piccolo? 

 
 
La pioggia seguitava a scrosciare dalle anfore del cielo.
Le vetrate della finestra erano appannate dagli aliti esausti e moribondi dell'oscurità.
June proiettava il viso nella voce del diluvio.
Shun seguiva ingrigito la scia dei suoi occhi incupiti.
 

- Vuoi sapere perché spesso sto male ? – esclamò   l’amica – perché sei uno stupido! Il Maestro lo sapeva. Non darai mai il massimo di te a causa del tuo grande animo.

 
Andromeda si concentrò sul riflesso della propria immagine: annuvolata e  sfumata somigliante ad un antico affresco d’un angelo pensoso.
 

- Io…- stormì egli – non comprendo la lingua delle battaglie…e forse non la voglio comprendere.

 
La guerriera lo squadrò alterata.
 

- Ma ti rendi conto?! Hai dei poteri immensi, le tue catene viaggiano in qualsiasi dimensione senza limiti, la tua nebulosa è devastante e letale! Non vuoi usare veramente le tue armi! Tu e il tuo buonismo! La tua maledetta pietà! Dove speri di andare?! In guerra se ne fregano di risparmiarti! Presto o tardi ti farai massacrare! Pensi troppo! Guardati!  T’avveleni per i sensi di colpa…ti struggi nel pensare alla morte dei nemici…Shun! Dobbiamo combattere! Questa è la nostra sorte! La nostra legge! Quando ti deciderai a capirla?!

- Non ne ho idea, June! Non ne ho idea!

 
 
Si sedette frustrato sulla poltrona.
 

- Sì…sono uno stupido…- sibilò con un groppo in petto – un rammollito…non sono tagliato per fare il cavaliere…negli addestramenti crollavo venti o quindici volte al giorno. Se non fosse stato per la magnanimità di Albione stai sicura che sarei morto. Me lo dicevi anche tu che la vita del guerriero non è per me…

- Allora per quale motivo  hai preso il cloth, hai abbattuto Aphrodite, sei sopravvissuto nell’Asgard e hai sopraffatto uno dei generali degli Abissi?

- June! Io continuo a sentirmi a pezzi!

 
Si prese con fare esausto il capo fra le mani.
La fanciulla lasciò svanire dal proprio volto l’ombra della durezza… Lo scrutò in silenzio.
 

- Mi sono scaraventato nei pericoli – disse lui – per annientare me stesso…credevo di cancellare qualunque mia debolezza…credevo di bruciare la mia paura nel fuoco delle lotte. Volevo mostrare a Ikki di non aver bisogno del suo aiuto…non dovevo essere d’intralcio a Seiya, Shiryu , Hyoga…era da solo che desideravo affrontare i miei avversari…che sciocchezze! La corazza  mi pesa più di prima! È come se dovessi indossare  un costume scomodissimo e io di recitare non sono proprio in grado!  Ho imparato tanto su Andromeda eppure continuo a vedermi tale e quale a quando ero piccolo…un bambino che si metteva a piangere non appena veniva spinto a terra…

 
Shun si levò dalla poltrona  tentando d’asciugarsi nervosamente le lacrime di sfogo.
June gli sfiorò il braccio, ma lui si ritrasse girando il viso dalla parte opposta.
 

- Non so – ribadì  egli col respiro un po’ affannato – non so se detesto di più la mia persona o il mio destino…

 
L’amica gli prese il volto tra le mani asciugandogli le gote.
 

- Shun – confessò  lei con affetto-  Hai visto che anche io mi agito allo stesso di modo di quando avevo sei anni e mi svegliavo da sola nel buio? Non sei l’unico a sentirti fuori luogo…io ho conquistato le vestigia del Camaleonte ma…ho terrore di pensare a cosa mi accadrà domani. Tante volte ho sognato di fuggire. Dimenticare qualunque tecnica di lotta. Allontanarmi per sempre dal mio dovere…con te.

 
Osservò fuori il cielo procelloso.
Tornò di nuovo a guardare gli occhi verdi di Shun inondati dalla tristezza.
 
- Tornerai di nuovo ad Atene? – domandò lei con un sorriso scosso- neanche sta volta riuscirò a fermarti, giusto? Anche se dici di sentirti debole alla fine riesci a rimetterti sempre in cammino…non è vero che sei un bambino…tu sai decollare… sono io che in realtà   resto a terra ad osservarti.
 
Si abbracciarono con intenso tremore.
June posò il capo sulla spalla di Shun.
Lui le affondò il viso tra i capelli dorati.
Restarono, per un lungo istante, stretti l’uno all’altra con la mesta sinfonia dei respiri, con le percussioni calde e accelerate dei cuori, col silenzio piovigginoso che inumidiva le pareti della stanza.
Come due ballerini che han timore di dare principio al valzer più lirico e tragico della loro esistenza, restarono immobili. Si scambiarono reciprocamente tenui brividi. Udirono il flusso del sangue nelle vene irrorare le ombre di quel temporale che si disintegrava in minuti aghi d’acqua.
La finestra vetrata della camera era bagnata  dall'estate in frantumi che scriveva il suo epilogo in gocce di sudore.

- Shun – sussurrò la ragazza – perdonami per quello che ti ho detto prima…è che…io impazzirei se non vedessi mai più il tuo ritorno…sei il mio migliore amico ma sei soprattutto parte di me. Ormai non riesco a capire la differenza tra  la vita che scorre nelle mie arterie e tu che scorri nei miei pensieri…

 
Shun la strinse più forte accarezzandole la liscia chioma e baciandola sulla guancia come se fosse il fiore più bello e soleggiato che avesse mai colto.
 

- June, hai ragione…purtroppo non posso definirmi un vero guerriero. Sono sempre urtato dai sensi di colpa, non ce la faccio a  stare in equilibrio sui coltelli, piango senza essere capace di ghiacciarmi. Vorrei diventare come mio fratello. Mutare in pietra e scordare qualunque mia esitazione.

 
La fanciulla gli si staccò lievemente per ammirare i suoi occhi di verde luce.
 

- Io ti adoro così – sorrise dolcemente – mi farai anche morire d’angoscia ma se ti amo è proprio perché ti ho visto in lacrime un sacco di volte, ti ho visto inciampare, rialzarti, rischiare la vita per l’armatura…ti butti nell’inferno nonostante tu sia un angelo che merita di stare in cielo.

 
Shun posò delicatamente la propria fronte contro quella di lei.   
 

- Non esistono parole – mormorò – che possano descrivere quello che hai rappresentato  per me nell’isola di Andromeda. Se non sono morto è grazie alla tua forza. Avevi timore ma tu eri sempre ad allenarti con me, a curarmi ogni volta che finivo distrutto. Mi salgono dei brividi atroci se penso a cosa sarebbe accaduto se non ti avessi mai incontrata… Sei il sogno più grande che mai avrei sperato di conoscere.

 
La baciò con la tenerezza d’un soffio d’ali bianche.
Allontanò per un breve istante il volto ma lei glielo prese tra le mani lasciando che le loro bocche si congiungessero di nuovo.
Shun le avvolse i fianchi  ed ella gli si avvinghiò alle spalle per non volersi liberare dall’essenza del suo tepore.
 
I minuti degli orologi s’annichilirono sotto la terra della dimenticanza, pari ad antichi reperti incapaci di discutere…
L’acquazzone, che colmava d’odori terrei ed acri l’aria dell’aurora, rimase circoscritto nel suo rituale tribale di musiche tuonanti e rauche.
Le paure sgusciarono via eguali a barchette di carta schiaffeggiate dai  flutti fluviali.
 
I baci di Shun e June, all’inizio splendenti della dolcezza argentea della luna, s’accesero del bollore del sole. Le bocche divennero più umide e ardenti alla melodia dei respiri colmi d’irrequieta curiosità : si accarezzarono annegate nella soavità degli aneli vitali.
Con il rimbombo del cuore, che correva rovente nelle tempie, il ragazzo attrasse maggiormente a sé la giovane che,  slacciandosi dal bacio, gli mise le mani sotto la canotta, esplorandogli la superficie palpitante della schiena, desiderando conoscere quella pelle candida di carnalità.
Egli le baciava con soffice avidità le spalle e il collo, sollevandole i lembi della camicia da notte affinché potesse assaporarle la cute delicata.
In questo vortice di scottanti carezze, June venne spinta con insistente dolcezza sul letto. Shun, liberandosi della canottiera, le si sdraiò sopra leggero cullandola con le labbra e con tocchi impazienti e puerili. Le sbottonò la veste, finalmente godendo della caldura del seno, del suo profumo che gli scivolava dentro le molecole delle membra...un sogno che aveva solo potuto sfiorare nella mente.
Non esisteva il deserto dell'isola di Andromeda.
Vi erano soltanto lenzuola bianche di spiagge tropicali.
Vi erano due anime che bramavano di sondare le loro carni e i loro pensieri.
 
Shun tolse la camicia a June con la morbidezza che si adopererebbe nello svestire una bambina. Vedendole il petto, l’addome e le gambe,  incantevolmente discinti,  volle conquistare, fervoroso, la loro meraviglia…pensò che Venere dovesse riverberare di tal bagliore quando nacque vergine ma turchina di sensualità dalla spuma del mare…
Nell’attimo in cui s’appropriava di quelle terre con la bocca e le mani, la fanciulla ridendo fece:
 

- Tesoro, non siamo pari sai?

 
Lo capovolse supino e gli sfilò i pantaloni denudandolo completamente.
 

- Ehi! – finse di lamentarsi lui- questo è stato un colpo basso!

- Pensi che mi accontenti solo di questo? – chiese ella divertita posandosi sopra il suo corpo e baciandolo in bocca.

 
Shun avvertì la mano dell’amante accarezzargli voluttuosamente il torace. Come se stesse pattinando su una landa di seta, lei godeva nel massaggiare il suo splendido corpo   disegnato da un pennello etereo…chissà chi era l’artista che  gli aveva plasmato quel  petto soave e chiaro, quel ventre  dalle linee sottili dei muscoli, quelle orlature degli inguini accaldate…
Il ragazzo gemette  di piacere come se si stesse crogiolando sotto lo scroscio d’una doccia rovente  alitante di vapore…
June venne pervasa dai brividi dell’amato, percepì il proprio sentimento esplodere nell’ immenso…il cavaliere di Andromeda le sembrò ancora più bello nudo, ansimante, con la dolce bocca socchiusa , con gli occhi serrati e rapiti, con la chioma smeraldina sparpagliata sul cuscino. Nonostante fosse inebriato dalle cascate dei sensi, non perdeva nulla del suo biancore angelico, non discioglieva la sua essenza celestiale che lo rendeva somigliante ad un messo degli dei.  
 

- Shun…- bisbigliò lei  ridendo con un filo di imbarazzo.

- Cosa c’è? – chiese egli immergendole le mani nei capelli.

- Ecco....mi sento un po' ridicola...

- Come?

- Santo cielo...ho un po' paura...Proprio ora...che stupida sono...

 
Shun fece sdraiare dolcemente June sulla schiena.
 

- Mi avevi lasciato a metà dell’opera –  disse lui con un sorrisetto  togliendole la biancheria intima.

- Che modi! – scherzò ella – sei proprio uno spudorato!

- Sta volta devo spingerti io dal trampolino!

- Ora il pio Shun diventa uno smargiassone!

 
Lui l’abbracciò con tenera foga, esplorandole con mano delicata il basso ventre .
Toccò curioso il suo tepore mentre lei rabbrividiva   al contatto delle sue dita che, simili a piume, l’accarezzavano di languore…desiderò appartenergli. Desiderò averlo con tutto il suo mondo.
Unirono le loro labbra, stringendosi più forte… intrecciarono le loro gambe snelle e lisce annullando la distanza tra le carni…
Si sarebbero trasportati da un’altra parte…oltre le mura della stanza, oltre le nubi piovigginose che stavano fuori…
Shun cingeva June come se stesse afferrando un pianeta con l’acqua, l’aria e la terra… come se respirasse le stelle d’una galassia…
 

- Sei stupenda…- le sussurrò lambendole il collo.

 
 
Lei sarebbe stata Elena e lui il Paride che l’avrebbe portata via aldilà dei terremoti di guerra lavica.
Lei sarebbe stata Psiche e lui il divino Eros che l’avrebbe destata dal sonno d’ogni infero sollevandola in cielo.
 
La notte era ormai sbiadita dai teli del mattino.
Passato e futuro si rivelavano molecole incolori e  prive di consistenza.
Il presente s’illuminava ora.
 
Shun scivolava dentro June con la sottigliezza di un’ancora che fende vellutata gli abissi.
I martellamenti del cuore si confondevano, si univano in un’unica corda…i petti e i ventri si sfregavano con slancio…la bocche si bagnavano a vicenda di fiamme.
La ragazza non s’accorgeva del peso del giovane su di sé: talmente morbida e delicata le pareva la magia del suo fisico che persino il male dell' amplesso le giungeva quasi ovattato, sigillato in una sfera a parte.
Lui l’avvolgeva con le braccia perlacee, tastandole la collana della spina dorsale, i fianchi sinuosi, le gambe sottili…nessuno dei suoi movimenti si mostrava brusco, brutale, eccessivamente frenetico…egli scopriva con immacolata veemenza, senza cessare di spargere premurosa tenerezza.
Nonostante l’indolenzimento, June si sintonizzava con le sue voglie, con la sua mente, aleggiando con lui senza perdersi alcun eco d’elisio.
Da quanto desiderava aggrapparsi ai lembi di quella felicità lontana da qualunque opprimente disastro? Era incredibile che perfino in una sinfonia di travagli esistessero intervalli meravigliosi dove l’incertezza si disperdeva esiliandosi nel vuoto.
Nel viaggio d’essenza carnale, i due amanti restavano sospesi sulle vette dell'innocenza. Nessuna morbosa lascivia imbrattava i suoni dei loro gemiti, dei loro gesti. Tutto apparteneva ad un rituale di spontanea purezza.
 
Shun era intatto. June era intatta.
Nel fare l’amore,   essi  avevano  incatenato al palo dell'oblio il tempo che latrava  paralizzato nella sua corsa maligna con le clessidre d’arida sabbia compromesse.
 
Cosa rappresentavano i sensi se non un delizioso e inimitabile smarrimento  nella comunione dei cosmi?
 
 
June provò un pungente laceramento ma quell’ombra bruciante le si sciolse, tuttavia, pari ad un miraggio, in un’oasi di limpido verde…
Shun prese a mareggiare con maggiore impeto, annebbiato da uno stordimento che gli galoppava nel cervello, nel cuore, nei lombi. Afferrando le lenzuola del letto si gettò a capofitto in quel torrente di  virulenza.
La fanciulla gli strinse con più forza le spalle e il torso, lanciandosi con lui nelle onde del gorgo spumeggiante.
 
Tutto vorticò, splendette, saettò uguale ad un getto d’acqua irruente e cristallino che schizza da una fontana d’oro.
Ogni rumore che non fosse di godimento o sudore perse occhi e volto.
Solo due spiriti che s’avvinghiavano.
Solo il cielo e la terra che annullarono definitivamente ciascun minuscolo granulo d’aria che li separava.
 
Il biancore più totale.
Un’esplosione di variopinta nebulosa…infine una pioggia di comete…scintillanti, ebbre, trasognate.
 
June sentì confluirle, nei meandri più intimi,  la passione di Shun che la inondò aspergendole qualunque recondita landa.
 
Attimi di silenzio…battiti di fiato che lentamente s’accinsero a volteggiare più in basso, sugli specchi quieti di piccoli laghi e prati dormienti…
 
Il giovane baciò aereo la ragazza sdraiandosi sul dorso e lasciando che ella gli posasse il capo sul petto.
Stettero entrambi immobili, chiusi nel dondolamento delle carezze, nell’aroma dei capelli in cui convergevano il verde delle felci e la brillantezza dei girasoli.
 
Una foschia sembrava veleggiare sul letto sfatto simile al fumo odoroso che si disperde dai fori d’un incensiere.
 
All’esterno dei muri della camera, il temporale era cessato.
Shun guardò lì: i suoi occhi si persero nel cielo, in quell’ammasso di detriti febbricitanti prosciugati dall’acqua…
S’accingevano ad allontanarsi verso ponente…
Avrebbero sgomberato l’est lasciandolo, tuttavia, maculato d’interrogativi.
 
Il cavaliere, abbassando lo sguardo per distogliere il cuore dalle nuove e ombrose luci del giorno nascente, sussurrò, inquieto, a June:
 

- Ti amo.

 
Ella udì quelle parole che sapevano di latte e frutti amari.
Erano terribilmente sincere,  piovose.
“ Ti amo” e poi?
 
E poi?
 
Si strinse di più a lui per evitare d’essere ghermita dall’ alito del gelo. In quel momento vide in se stessa il riflesso di Didone lasciata da Enea, l’immagine di Penelope costretta a subire la separazione da Odisseo.
Shun sarebbe stato rapito, come il bellissimo Ganimede, dall’aquila dei doveri divini.
 

- Non…non riesci a prevedere…nulla, vero? – balbettò ella con le lacrime che minacciarono d’evadere dall’anima.

 
Il ragazzo, girandosi su un fianco, la coccolò protettivo.
 

- No, June…non sono un oracolo…ma posso dirti di certo questo…

 
Nel cielo l’ondata dell'alba iniziò a rompere le dighe delle tenebre.
 

- …le mie catene ti raggiungeranno ovunque…ignorano le barriere…conoscono soltanto l’infinito.

 
Il primo dardo del sole trapassò i vetri della finestra.
 
Sì…le catene di Andromeda potevano diramarsi in ogni dimensione…avrebbero continuato a viaggiare oltre i limiti…
Si sarebbero immerse negli occhi, nel cuore di June. Negli atri d’una fonte inesauribile.
Nella voce d’un vento che vola nell'  immortale del levante.
 
 
 
 
 
 
 
Note personali: ciao a tutti!! ^^ è da mesi che stavo macchinando questa one-shot -.- la prima volta che l’ho buttata giù non mi convinceva , perciò l’ho abbandonata…ho aspettato un po’ e alla fine ho ripreso in mano le redini della situazione. Finalmente sono riuscita a iniziarla di nuovo e concluderla!! XD è stata una bella fatica…forse la one-shot più difficile che io abbia scritto fin’ora. È, tra l’altro, la più lunga!! Desideravo realizzare qualcosa di un po’ più pienotto con una delle coppie che mi piace di più: Shun e June…non so quanto possano essere graditi ( non li ho visti tanto anzi, diciamo, quasi per nulla! >.< )  però la loro storia l’ho apprezzata davvero ! Ci tenevo a narrare la loro intesa e il loro amore evolutosi da una bella amicizia!! ^^ spero che abbiate apprezzato la mia fan-fic  u .u mi ha fatto seriamente dannare XD mi auguro di aver combinato qualcosa di decente! XD
 
( mi scuso per il ritardo d’aggiornamento de L’occhio dell’ariete -.- entro o prima la fine di questo mese  vorrei aggiornare! Sto macinando il cap 10 XD…)  
 
 

   
 
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