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Autore: 6PinkLady6    18/10/2012    2 recensioni
«Aspettami Ritsu!»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Avevi detto che saremo tornate a casa insieme, ricordi?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusami Sawa, ultimamente ho la testa fra le nuvole»
Amicizie indissolubili.
«Lo vedo» disse la mora evitando che l’amica finisse contro un palo. «Oggi che facciamo?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Mi dispiace, ma fra un’ora ho lezione di piano. Oh, mi scusi» disse la ragazza con i capelli castani.
«Carino vero?» chiese Sawa.
«Gli avrò fatto male?»
«Piuttosto… credo tu abbia fatto colpo»
«Dici? Beh a me non piace» disse affrettando il passo.
«Ma dico, l’hai visto? Alto, robusto, capelli castani, occhi verdi!»
«Non mi piace. Punto e basta» concluse Ritsu abbassando il volto.
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«Però sai, ho preso la scossa quando ci siamo toccati, come un brivido lungo la schiena»
Futuri incerti.
«Vedi? Siete nati per stare insieme»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Non intendo lasciare la mia vita in mano al destino»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Un giorno dovrai affrontarlo» disse Sawa.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Rain'
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Spero vi piaccia e buona lettura. <3
-----------------------------------------------------------------------------------*Angolo della Scrittrice*---------------------------------------------------------------------------------

«Aspettami Ritsu!»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Avevi detto che saremo tornate a casa insieme, ricordi?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusami Sawa, ultimamente ho la testa fra le nuvole»
Amicizie indissolubili.
«Lo vedo» disse la mora evitando che l’amica finisse contro un palo. «Oggi che facciamo?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Mi dispiace, ma fra un’ora ho lezione di piano. Oh, mi scusi» disse la ragazza con i capelli castani.
«Carino vero?» fece Sawa.
«Gli avrò fatto male?»
«Guarda che vi siete solo urtati. E poi è stato lui a venirti addosso.»
«No, è stata colpa mia... non guardo mai dove vado.»
«Su, su. Non è successo niente» la confortò Sawa strofinandole dolcemente la testa. «Piuttosto… credo tu abbia fatto colpo, se no per quale motivo l’avrebbe fatto?»
«Dici? Beh a me non piace» disse affrettando il passo.
«Ma dico, l’hai visto? Alto, robusto, moro, occhi verdi!» replicò Sawa.
«Non mi piace. Punto e basta» concluse Ritsu abbassando il volto.
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«Però sai, ho preso la scossa quando ci siamo toccati; come un brivido lungo la schiena.»
Futuri incerti.
«Vedi? Siete nati per stare insieme.»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Non intendo lasciare la mia vita in mano al destino.»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Un giorno dovrai affrontarlo, sai?» disse Sawa.
«Sì, come no. Uffa, ora devo correre altrimenti perdo il treno. Ci vediamo domani, ciao!» disse Ritsu iniziando a correre.

Dalla scuola alla stazione c’era almeno mezzo chilometro in salita da fare, il marciapiede era stretto e pieno di buche, ogni due cancelli c’era sicuramente un cane ad aspettare che passassi per esibirsi nel suo miglior abbaio e le macchine sfrecciavano vicinissime al marciapiede senza curarsi dei pedoni, il che non era un gran problema, purché non fosse periodo di pioggia e non fosse pieno di pozzanghere. Aggiungeteci che i treni partivano ogni venticinque minuti, quarantacinque minuti buoni per arrivare a casa e un impegno fra meno di un’ora, e avrete davanti agli occhi il motivo per cui Ritsu era di cattivo umore, arrivata al binario sud, non trovando il treno ad aspettarla, bagnata fradicia sia di sudore sia d’acqua, con il cuore a mille, i lunghi capelli scompigliati e una scarpa slacciata.
Ritsu odiava quella scuola, non ricordava neppure perché ci si fosse iscritta, forse per stare insieme alla sua migliore amica. Erano sempre state insieme, fin dall’asilo, e non sopportava l’idea di doverla perdere alle superiori; ecco perché aveva rinunciato alla scuola di musica per il liceo linguistico, anche se odiava le lingue.
Odiava tutto di quella scuola, dalle materie ai professori, dalla struttura all’ubicazione.
L’unico periodo dell’anno in cui era possibile apprezzare quella zona era la primavera. Quando tutti i ciliegi fiorivano e iniziavano a perdere i loro petali, e tutta la via si trasformava in una distesa rosa, quando anche se dovevi correre non sudavi e se le macchine correvano non ti schizzavano.

Ritsu si lasciò cadere a terra, disperata. Avrebbe sicuramente fatto tardi per la lezione di piano e Sarah si sarebbe di nuovo arrabbiata con lei. Non poteva neanche avvertirla, perché non aveva soldi al telefono. Se ne fece una ragione e si preparò il miglior discorso della sua vita da presentarle una volta arrivata a casa.
Mentre aspettava il treno si diede una sistemata ai capelli e ai vestiti cercando di tirarne fuori la maggior quantità d’acqua possibile. Tirò tutto fuori dalla borsa e strizzò anch’essa, si riallacciò le scarpe e rimise tutto al suo posto. A casa avrebbe dovuto prendere il phon e asciugare tutti i libri, l’astuccio, il diario e il vocabolario di greco… due scatole!
 Il cellulare nella tasca del giacchetto si mise a squillare e Ritsu non riuscì a trattenere un urlo di spavento. Inutile dire che tutti ora la osservavano attentamente. Per rispondere dovette combattere contro le mani bagnate e il telefono che voleva cadere a tutti i costi.
«Pronto!» urlò, ormai senza pazienza, appena fu in grado di premere il pulsante giusto, dopo aver schiacciato tutti gli altri.
«Ritsu! Dove sei? Ti sento malissimo»
«Mamma! Non ti sento!» urlò di rimando. Intorno a lei tutti ridevano, ma non capiva perché. «Mamma! Sono alla stazione! No, non in punizione! Stazione!»
«Oh, mi scusi». Una voce maschile, dopo averla urtata. Le prese il cellulare dalla mano, gli fece fare un giro di 180 gradi e glielo restituì. Dopodiché se ne andò come se nulla fosse.
«Ritsu! Mi senti?»
«Sì» rispose con la testa altrove. Era il ragazzo col quale si era scontrata all’uscita di scuola.
«Dove sei? Sarah è già qui»
«Scusa, ho… ho perso il treno» le gambe le iniziarono a tremare. «Dille che farò tardi. A dopo» e chiuse la comunicazione prima che le potesse rispondere.
Era in preda al panico. Il ragazzo la guardava di tanto in tanto. Non sapeva cosa pensare, quando finalmente arrivò il treno. Scesi i passeggeri, si affrettò a salire e a occupare un posto. In questo bisognava essere velocissimi, perché i posti liberi sparivano in un batter d’occhio. Sulla banchina si vedono studenti stremati e lavoratori di tutte le età senza più un briciolo di forza; poi, arrivato il treno, addio stanchezza, gli s’illuminano gli occhi, improvvisamente le loro menti si focalizzano su un unico pensiero: “Devo trovare un posto”. Appena si aprono le porte non fanno neanche scendere i passeggeri, gli piombano addosso, gli passano fra le gambe… è una lotta all’ultima sedia. Dopo mezz’ora di treno asfissiante, dove dopo cinque minuti rimpiangi di esserci salita per quanto possono puzzare quelli che ti stanno intorno, Ritsu arrivò alla sua fermata.
Uscita dalla stazione, aveva smesso di piovere e il sole, ormai in procinto di scomparire, faceva capolino fra le nubi. Stormi di uccelli uscivano dai nidi e si libravano in aria, piccoli puntini neri su uno sfondo arancione.

Casa di Ritsu era situata su una collina e aveva solo un vicino di casa, anziano per giunta. Insomma la sua era la casa dei sogni di qualunque ladro: villa tre piani, soffice giardino senza animali da guardia, zona isolata dal resto del mondo, vicini inesistenti. Ritsu odiava anche la sua casa, perché non c’era attività lì intorno, tutto morto, e poi era distante anni luce dalle sue amiche. La “casa dei vecchi” la chiamava. Nome azzeccato giacché i suoi genitori avevano una certa età e che era figlia unica.
Stava per aprire il cancello, quando fece retromarcia e girò dietro la casa per entrare dall’apertura nel muretto che si era creata anni prima per evadere di notte. Non le andava di incontrare Sarah e di beccarsi il cazziatone appena messo piede dentro, meglio mettersi in ordine e risistemare la borsa prima, poi avrebbe affrontato la sua insegnate.
Davanti al buco grande come una porta, si bloccò di colpo e alzò gli occhi al cielo. Lì, avvolto da un blu oltremare, fluttuava un fiocco di neve; forse era una goccia d’acqua, o un chicco di grandine, oppure… no, non era nulla di tutto ciò. Nel cielo non c’erano più nuvole, era impossibile che fosse qualcosa composto d’acqua.
Da lontano sembrava grande come il palmo della sua mano, ma in realtà non era più grande di un pollice. Aveva la forma di un diamante e i riflessi della luce brillavano sulla sua superficie liscia. Si preparò a prendere lo strano “oggetto” come si aspetta che un fiocco di neve si posi sulla mano.
Appena il diamante sfiorò la sua pelle, scomparve. Avete mai visto un video, un documentario o una ricostruzione di come esplodono le stelle? Se non lo avete ancora fatto vi consiglio di andarlo a vedere, perché è proprio in quel modo che il diamante scomparve tra le mani di Ritsu.
Appena il diamante esplose, Ritsu notò qualcosa di diverso nel buco nel muretto. Si era formato come un muro invisibile ma visibile allo stesso tempo, come uno strato di sapone.
Incuriosita, si avvicinò e allungò la mano per toccarlo. Il cuore le batteva fortissimo, non aveva mai visto niente di simile, era sicura che Sawa non le avrebbe mai creduto se glielo avesse raccontato.
Appena prima di riuscire a toccarlo, il velo di sapone esplose in silenzio e scaraventò Ritsu un metro indietro col sedere a terra. Il contenuto della borsa si sparpagliò per terra, ma per la prima volta nella sua vita, rimetterlo a posto era l’ultimo dei suoi pensieri. Come una calamita al ferro, era attratta a quello che prima era sapone ma ora acqua. Nell’alzarsi cadde due volte e c’era una qualche entità superiore che non le permetteva di restare in piedi. Alla fine dovette gattonare per avvicinarsi allo specchio d’acqua.
Era veramente fantastico. Nel vero senso della parola. Era una cosa fuori dall’ordinario, irreale. Un muro d’acqua cristallina, sottile come un foglio, perfettamente incastrato nel buco del suo recinto. Come fosse un altro cancello.

«Ritsu Downpour. 16 anni, giusto?» chiese un ragazzo alle sue spalle.
«Quasi diciassette veramente» rispose lei in tono allegro girandosi per vedere con chi stesse parlando. «A-a-a-a-a-ancora tu! Chi sei? Che vuoi? Come conosci il mio nome? N-non sarai mica uno stalker!» gridò in preda al panico riconoscendolo.
Fece per aprire la borsa e prendere il cellulare, quando si accorse di averla lasciata a terra insieme a tutto ciò che conteneva.
«Ti ho osservata a lungo, Ragazza della Pioggia, in attesa di questo momento» disse indicando qualcosa dietro di lei. Vedendo che non capiva, agitò più volte la mano, poi le fece segno con gli occhi, con la testa, ma niente.
«Lo specchio d’acqua» disse spazientito dopo un minuto. Il volto di Ritsu s’illuminò come se si fosse appena ricordata qualcosa che non avrebbe dovuto dimenticare.
«Lo specchio d’acqua!» ripeté lei con euforia. «È una cosa stupenda vero? Avresti dovuto vedere il cristallo che mi è esploso fra le mani!»
Il ragazzo si stupì nel vedersi trascinare per mano davanti suddetto specchio. Giorni e giorni di sudore nella preparazione e stesura di un discorso che avrebbe fatto impallidire un professore di letteratura, spazzati via in pochi minuti da questa ragazza.
«E sta proprio nel buco del muretto di casa mia, sembra fatto apposta! Ora però come entro senza farmi beccare da Sarah? Io non l’ho ancora toccato, vuoi farlo prima tu?»
Continuò a parlare con entusiasmo di quello che era successo. Arrivò a parlare di Sawa, di come si erano incontrate, del liceo, della sua famiglia… Insomma andò avanti per un quarto d’ora. A un certo punto si bloccò di colpo, imbarazzata abbassò lo sguardo sulle loro mani ormai intrecciate e lasciò la presa di scatto allontanandosi di mezzo metro.
«Scusa, mi dispiace tanto. Giuro che non l’ho fatto apposta. Oddio che vergogna» disse Ritsu prendendosi il volto tra le mani.
«Huthor-sama»
«Cosa?»
«Il mio nome, idiota!» esclamò irritato. «Mi stai stremando» sussurrò mimando un forte mal di testa.
«Huthor...»
«Ho detto Huthor-sama! »
«Ah! E che differenza c’è scusa? Io credevo fosse il cognome. E poi non c’è bisogno di gridare!»
«Si dà il caso che io sia un principe e…» iniziò lui tutto serio.
«Ah- Ahahahahah!» sbottò lei. «Ma non mi dire! Un principe! Ahahahah, scusa ma non riesco a smettere… di ridere… una volta che inizio» disse asciugandosi le lacrime.
«Come dicevo…»
«Un principe! Scusa, non rido più, promesso» disse cercando di assumere un tono serio.
«Da dove vengo io si usa suffissare il nome dei nobili»
«E –sama sarebbe…»
«Il suffisso in questione» concluse Huthor.
«Scusa, ma è inutile» disse Ritsu facendosi scappare una risata.
«È un fatto di rispetto. I comuni cittadini non possono permettersi, anzi neanche sognare, di chiamarci solo per nome! Anche in Giappone usano fare così. Non posso credere che non lo sapessi!»
«E tu come fai a sapere tutte queste cose?»
«Diciamo che ho viaggiato parecchio»
«Immagino tu possa permettertelo.»
Huthor andò a riprenderle la mano e la portò davanti allo specchio d’acqua.
«Ehi, ma che fai!» esclamò Ritsu cercando di liberarsi dalla sua presa ferrea.
La sistemò al centro dello specchio, si spostò dietro di lei e le mise le mani sulle spalle.
«Cosa vedi?» le sussurrò gentilmente all’orecchio.
«La mia casa circondata dal giardino» rispose Ritsu, impassibile.
«Non guardare dall’altra parte del buco, guarda nell’acqua» la incoraggiò.
«Ma lo sto facendo!»
«Non è vero, altrimenti vedresti quello che vedo io: il nostro riflesso. Io, te e la pioggia tutt’intorno» concluse Huthor bonariamente prima di mettersi fra lei e lo specchio. «Vieni con me» disse porgendole la mano.
Questo ragazzo la stordiva, non lasciava trasparire nulla di ciò che pensava. Le rivenne in mente la conversazione che aveva avuto con Sawa, poche ore prima. Non poteva credere che tutto questo stesse accadendo a lei. Il cervello le diceva di non fidarsi, di non lasciarsi portare chissà dove da chissà chi; ma al cuor non si comanda, lui l’avrebbe volentieri seguito in capo al mondo. Ecco perché decise di afferrare quella mano molto più grande e forte della sua.
Vide Huthor toccare delicatamente la superficie dello specchio d’acqua con la mano libera e passarvi attraverso. Lo vedeva ancora, non era sparito. Non poté pensare altrettanto della sua casa però, quella si era volatilizzata nel nulla.
«Ho paura» balbettò Ritsu ancora aggrappata al suo misterioso compagno.
«Non ti preoccupare, ci sono qui io» disse tirandola un po’ verso di sé.
Ritsu posò la mano libera sul pelo dell’acqua, fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e passò dall’altra parte.

-----------------------------------------------------------------------------------*Angolo della Scrittrice*---------------------------------------------------------------------------------
Prima parte finita. Vi prego di farmi notare eventuali errori. Onegaishimasu *si inchina*
Grazie ancora per la visita. BaCi
 
  
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