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Autore: Littlefinger    18/10/2012    0 recensioni
Piacere, mi chiamo Neil McRoberts e sono un mago.
Questo l’avrete capito dal fuoco fatuo che mi ronza intorno, il cappello a punta e il bastone intarsiato che mi porto sempre appresso. Scherzo, ovviamente; non indosso un cappello a punta, sono così fuori moda.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neil McRoberts'
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Piacere, mi chiamo Neil McRoberts e sono un mago.
     Questo l’avrete capito dal fuoco fatuo che mi ronza intorno, il cappello a punta e il bastone intarsiato che mi porto sempre appresso. Scherzo, ovviamente; non indosso un cappello a punta, sono così fuori moda.
     Dicevo, mi chiamo Neil McRoberts e sono un mago, laureato cum laude nella città-stato di Xiam, centro mondiale del sapere scientifico. O almeno lo sarei se avessi discusso la tesi e non fossi andato via per… diciamo questioni di forza maggiore. Ma questa è un’altra storia.
     Quella di oggi era meno avventurosa, almeno in principio. Mi trovavo in un piccolo bar in uno sperduto paesino nell’entroterra sardo in compagnia di un’amica, mentre attendevo un collega. Mi dondolavo sulla sedia tenendo le spalle appoggiate al muro, Naturalmente ci trovavamo in un tavolo d’angolo. Nel nostro mestiere è d’obbligo non farsi sorprendere alle spalle: non voglio certo farmi servire una Dead Man’s Hand. Chiara era seduta alla mia destra e sorseggiava un bicchiere d’aranciata. Mi voltai a guardarla, perché, diamine, era proprio uno spettacolo. Aveva due occhi neri incantevoli e un visetto con due gote paffute che mettevano in evidenza le fossette sulle guance quando sorrideva. Teneva i capelli castani legati in una coda di cavallo e la tuta da ginnastica che indossava non rendeva giustizia al suo fisico atletico. Si accorse che la guardavo e mi sorrise. Un sorriso lievemente divertito, come a dirmi “Sogna pure”. Che donna!
     La porta del bar si aprì ed entrò un robusto uomo di colore. Robusto era riduttivo: alto quasi due metri e con cento chili di muscoli guizzanti, Jebediah Spencer non era passato nella NFL per un soffio. Aveva quindi deciso di dedicarsi alla sua seconda passione e si era avventurato nell’allegro mondo dei PMC (Private Military Contractor), o mercenari, come dicono nei film.
     «Salve, Neil.» disse, mentre si sedeva al tavolo. «Chiara, è sempre un piacere vederti.» La donna ricambiò il saluto con un cenno della testa.
     «Salve, Big J. fatto buon viaggio?» Jebediah è un nome troppo lungo per i miei gusti e il “Big” si spiega da solo.
     «Tranquillo, anche se le coordinate che mi hai dato per il Salto mi hanno fatto quasi finire dentro un porcile.»
     Ridacchiai. Da qualche anno era consuetudine che gli preparassi dei Salti in posizioni abbastanza strane. “Saltare” era un modo di dire che indicava l’utilizzo di portali magici per compiere lunghi spostamenti. Solitamente si preparava un luogo in cui si potesse aprire un Portale e il viaggiatore usava un oggetto incantato per utilizzarlo. Poi serviva un altro oggetto che “conteneva” le coordinate magiche del punto d’arrivo, con il quale il viaggiatore poteva attraversare con sicurezza il Portale e arrivare nel luogo voluto e non, che so, nella tana di un drago o in una dimensione popolata da demoni birichini. Poi vi erano anche altri tipi di Portali, per altre occasioni: viaggiare in gruppo, con destinazione fissa  e via dicendo. Meglio che non mi dilunghi in questioni tecniche.
      Avevo un Portale disponibile vicino a tutte le località importanti – Londra, Praga, Las Vegas per citarne alcune - ma la Sardegna non era fra queste. Io ero arrivato in aereo e ne avevo preparato uno apposta per l’occasione, con l’aiuto di Chiara.   
     Jebediah non aveva nessun talento magico, ma la nostra professione richiedeva l’apprendimento di qualche trucco per viaggiare comodi e non morire con troppa facilità. La stessa cosa valeva per Chiara. Anche lei non aveva nessun addestramento nel campo della magia, ma aveva qualche asso nella manica.
     La donna posò il bicchiere e disse: «Ora che anche Big J è arrivato puoi sputare il rospo e dirci di cosa si tratta.»
     Sempre dritta al punto. «Un lavoro di routine. L’obiettivo si è rintanato da qualche parte nelle montagne e bisogna stanarlo.» dissi.
     «Nelle montagne? Non sulle?» chiesi Big J curioso.
     «Sì, dentro le montagne. È nascosto in una caverna.»
     «Dobbiamo prenderlo vivo o morto?»
     «Indifferente. Quindi, se il gioco diventa pericoloso, prendiamo la via sicura.»
     Jebediah annuì. «Meglio lui che noi.»
     «Quanto è protetto? Solo sgherri acqua e sapone o anche qualche simpaticone sovrannaturale? Non vorrei finisse come l’anno scorso a La Paz.» disse Chiara.
     «Proprio no.» concordò l’altro.
     A La Paz erano successe un paio di cose non proprio piacevoli: demoni delle Sfere Esterne e bazzecole simili. «Secondo il mio cliente solo l’obiettivo possiede addestramento magico.» risposi. Chiamai la cameriera per ordinare dell’altra aranciata. Avrei preferito una bella birra ghiacciata, ma sul lavoro non si beve. Altra regola del grande gioco del piccolo mercenario.
     «E suppongo che tu sia in grado di tenergli testa.» disse Chiara.
     «Ovviamente! Sono o non sono Neil McRoberts, laureato cum laude…»
     «Sì, sì» m’interruppe  «sappiamo la storia.»
     «Tu che ne pensi, Mic?» disse Jebediah.
     Mic è il mio Spirito, il fuoco fatuo che mi ronza attorno di cui parlavo prima. Si manifestò durante la mia prima esercitazione, quando avevo otto anni e quasi distrussi il laboratorio della scuola. Da allora non ha più smesso di rompermi le scatole. Per dovere di cronaca - e non per il puro gusto di vantarmi – è un 5k. Negli Orbitali sopra di lui ci sono Spiriti il cui potere non è descrivibile con la nostra fisica. E il mentore di Merlino. Sì, avete capito bene, quel Merlino.
     Mic svolazzò intorno all’energumeno. «Non dovrebbero esserci problemi. La Paz ha insegnato a Neil che non si deve evocare ciò che poi non si è in grado di rispedire indietro.»
     «O ciò che può a sua volta evocare qualcosa che non possiamo prendere a calci nel didietro. Sì, lo sappiamo. Abbiamo tutti letto Lovecraft.» replicai. «Ora basta parlare di La Paz.»
     «Le informazioni che ci ha passato il cliente ci dicono che ha un addestramento minimo. Un qualsiasi studente di primo livello potrebbe tenergli testa.» disse Mic. «Inoltre abbiamo fatto una ricognizione prima che arrivaste e non abbiamo individuato nessuna radiazione magica fuori dalla norma. Uno stregone di un certo livello non può nascondere l’aura magica che irradia.»
     «Se ci fosse stato un vero mago ce ne saremmo accorti.»
     «Allora non dovrebbero esserci problemi di sorta.» disse Chiara, mentre si alzava, seguita subito da Jebediah. «Domani ci ritroviamo qua?»
     Annuii e mi alzai anche io. «Dimenticavo. L’obiettivo è un vampiro.»
     La sorpresina paralizzò i due. Poi mi guardarono scocciati e Chiara scosse la testa. Alle donne faccio sempre quell’effetto.
     «In quale universo “eliminare un vampiro” è un lavoro di routine, Neil?» si lamentò Jebediah.
     «Ecco l’inghippo!» aggiunse Chiara. «Un vampiro! Mi sembrava strano che fosse un lavoro facile facile.»
     «Un vampiro!» ripeté , mentre usciva dal bar.
    
     Se vi è mai capitato di partecipare a un’escursione in montagna sapete che non è il massimo del divertimento, almeno secondo il significato che do alla parola. Scarpinare lungo sentieri accidentati, mentre il sole mi martella sulla schiena non è fra i miei hobby. Preferisco di gran lunga sedere in un pub a gustare un buon whisky oppure in uno strip club a godermi una lap dance. Questione di gusti. Se poi aggiungete il fatto che il lavoro del mago è molto sedentario – ore e ore a leggere libroni e studiare vecchie pergamene, anche se l’avvento dei computer e d’Internet ha facilitato le cose – e che Chiara e Jebediah erano molto più in forma di me, potete immaginare come mi sentissi felice nel vederli qualche metro avanti a me che saltellavano sulle rocce come due dannati stambecchi.
     Entrambi avevano sulle spalle uno zaino tattico che pesava almeno venti chili. Il mio equipaggiamento era molto più leggero e su quel fronte non potevo lamentarmi. Oltre all’immancabile zaino in cui tenevo acqua e cibo, portavo con me solo il bastone e una Glock che tenevo nei jeans, nascosta alla vista dalla larga felpa che indossavo. Se mi state immaginando vestito come Gandalf il Grigio, vi state sbagliando di grosso. Niente cappe, cappelli a punta, vesti lunghe con cappucci o lunghe barbe bianche. Come Jebediah e Chiara, portavo un paio di jeans scadenti e una felpa grigia, comprati il giorno precedente al supermercato, scarpe da tennis e un cappellino da baseball per riparami dal sole. In effetti, il bastone – superava la mia testa di almeno tre pollici - può ricordare Gandalf. Attendo con ansia l’occasione di gridare “Tu non puoi passare!” e far saltare un ponte.
     Arrivammo sull’obiettivo nel tardo pomeriggio. L’imbocco della caverna in cui il vampiro si nascondeva si trovava vicino a un nuraghe. L’antica costruzione si stagliava imponente sull’ingresso della caverna, nonostante il tempo non gli fosse stato clemente. Vista la sua posizione in cima all’altura, in antichità probabilmente veniva usato come avamposto e punto di controllo. All’interno si distinguevano due uomini armati di Kalashnikov che discutevano fra loro, mentre fuori, a guardia della caverna, c’erano altri tre uomini, intenti a fumare e giocare a carte.
     «Vi pare il modo di fare il proprio lavoro? Ci manca solo che siano ubriachi!» commentò Chiara. «Rovinano l’immagine della categoria.»
     «Chi ti dice che siano dei PMC? Magari sono solo dei cultisti che adorano il vampiro.» disse Jebediah.
     Ridacchiai. «Sono i fanboy del vampiro.»
     «Suvvia, non scherziamo.» disse Chiara, dopo aver riso a sua volta. «Slavi armati di Kalashnikov, è  ovvio che siano colleghi. Piuttosto maldestri, ma pur sempre colleghi.»
     «Regole d’ingaggio?» chiese Jebediah, mentre ci avvicinavamo all’obiettivo e le guardie si accorgevano della nostra presenza.
     «Fingiamoci dei simpatici escursionisti e appena capiscono che non lo siamo e mettono mano alle armi, cominciamo la sinfonia Parabellum.» dissi, anche se in realtà non ero sicuro dei violini che avrebbero suonato Jebediah e Chiara. Il primo era un aficionado della Heckler&Koch e solitamente usava un MP-5, mentre Chiara preferiva usare due Beretta 92.
     «Roger, capo.» dissero, quasi in contemporanea.
     Misi da parte le pignolerie sulle mie baggianate e mi concentrai, attingendo all’energia che si trovava nel mio corpo e tutt’intorno. Usare la magia elementare non richiedeva un grande equipaggiamento, almeno al mio livello. Certo, un bambino che impara ad accendere una candela o formare un cubetto di ghiaccio in una bevanda in principio ha bisogno di qualcosa – oggetti, parole, movimenti; vettori, se vogliamo usare il termine tecnico – per incanalare l’energia e produrre il fenomeno che vuole produrre. Con l’esperienza si migliora la propria abilità nel concentrarsi e nel sentire l’energia, per cui si può fare a meno dei vettori. Naturalmente se volessi fare qualcosa di complicato – che so, deviare l’orbita di un satellite geostazionario – anche io avrei bisogno di vettori, e tanti, ammesso e non concesso che sia in grado di controllare l’energia richiesta senza ammazzarmi.
     Questo è l’altro inghippo nell’utilizzo della magia: non si possono bypassare le leggi della termodinamica e della fisica in generale. Per cui, se volessi far precipitare il suddetto satellite, dovrei fornire all’incantesimo almeno l’energia necessaria per il cambio di orbita. Dico almeno perché se il Primo Principio dice che non possiamo vincere, il Secondo dice che non possiamo nemmeno pareggiare; entropia e via dicendo, non voglio farvi una lezione di fisica.
     In parole povere, avrei potuto far esplodere – letteralmente far esplodere - con molta facilità, e tanta violenza, i tre mercenari che ci venivano incontro, ma dopo i miei amici avrebbero dovuto attaccarmi una flebo al braccio e portarmi con urgenza all’ospedale più vicino.
     «Allontanatevi.» gridò una delle guardie, in un italiano stentato.
     «Siamo solo dei poveri escursionisti che si sono persi.» gridai di rimando, mentre caricavo l’energia sul bastone. Prima mentivo, anche io uso un vettore. Altrimenti perché mi porterei dietro un bastone? Mica sono zoppo.
     I mercenari ormai erano a distanza di tiro e si leggeva chiaramente nei loro movimenti che non avevano intenzione di essere gentili con i poveri escursionisti che si erano persi. «Musica, maestro.» dissi.
     Mi voltai a sinistra e vidi Jebediah che con un gesto della mano apriva un Portale; come un piccolo strappo in una tenda, solo che la tenda era la nostra realtà e dall’altra parte c’era una differente dimensione. Un’applicazione rozza e grossolana degli incantesimi di trasporto, ma non mi soffermo a spiegarvi la teoria che c’è dietro, non vorrei tediarvi. E soprattutto non ne ho voglia.
     Jebediah infilò la mano nello strappo e tirò fuori il suo SMG e contemporaneamente mise il colpo in canna. Era un MP-5, avevo indovinato. Dieci punti per Neil.
     Alla vista dell’arma, i tre mercenari sollevarono i loro mitra, ma a mia volta puntai il bastone su di loro e rilasciai un po’ dell’energia che vi avevo immagazzinato. Una potente folata di vento li fece sbilanciare e persero l’equilibrio.
     «Fico!» dissi. «Un Portale per non doversi portare appresso le armi pesanti. Vorrei tanto essere un mago e poterlo fare anche io! Nevvero, Chiara?» Mi girai a destra, ma Chiara era sparita. Un istante dopo, spari di piccolo calibro echeggiarono all’interno del nuraghe e subito furono accompagnati dalle ritmate raffiche  dell’arma di Jebediah, che finiva gli uomini a terra. Chiara apparve subito dopo alla porta del nuraghe, con le pistole puntate sull’imbocco della caverna; due Beretta 92. Altri dieci punti per Neil McRoberts.
     Jebediah imitò Chiara e si spostò velocemente in un punto riparato per tenere sotto tiro la caverna. Invece, io, lo stregone pigro e fuori allenamento, presi una barretta di cioccolato dallo zaino e la divorai in un paio di bocconi. Come vi dicevo, usare la magia consuma tanta energia e il cioccolato aiuta a ripristinare in fretta un po’ di zuccheri. Soprattutto è decisamente più buono delle maltodestrine. Sul serio. Un mio vecchio collega si portava appresso solo borracce d’acqua e di maltodestrine; sembrava un ciclista. Beveva come una spugna, ma devo ammettere che il metodo era molto efficiente. Lo uccise un lupo mannaro che lo sorprese mentre faceva pipì. La morale è che ogni tecnica ha i suoi punti deboli.
     «Che si fa? Entriamo?» La voce di Chiara mi distolse da quei pensieri importanti. O meglio, mi riportò a terra a pensare al lavoro.
     «Un attimo.» Mi avvicinai con cautela all’ingresso mentre studiavo con attenzione il fluire dell’energia magica intorno alla caverna. Volevo essere certo che il caro vampiro non avesse piazzato qualche trappola o qualche allarme. Diamine, gli spari erano stati un più che chiaro avvertimento e là sotto, chiunque ci fosse, si stava preparando a riceverci. Il miglior piano d’azione era quello di entrare in fretta e non dar loro il tempo di organizzarsi.
     Non vi era nulla di strano intorno alla caverna. Nessun segnale di attività magica, escludendo quella radiazione di fondo che permea qualunque luogo in cui sono presenti esseri viventi. Era lievemente superiore alla norma, in particolare intorno al nuraghe. L’aveva notato anche Mic durante la ricognizione, ma avevamo deciso che dipendesse dalle condizioni della zona.  La magia non è statica, si diffonde lungo grandi linee. È una sostanza in equilibrio dinamico, se vogliamo essere tecnici. Basta anche una variazione delle condizioni climatiche per modificarne il comportamento.
     Alzai il pollice per indicare il via libera e Jebediah entrò nella caverna. Io lo seguii subito dopo, mentre Chiara chiuse la formazione. In un ambiente stretto come quel tunnel, mandare avanti il nostro peso massimo era la soluzione migliore: se il combattimento fosse diventato ravvicinato o avessimo incontrato qualcosa armato di zanne e artigli, Big J aveva molte più possibilità di sopravvivenza rispetto a me e Chiara.
     Il tunnel era libero da qualsiasi ingombro e scendeva dritto come un fuso, con una lieve pendenza. Ci muovevano lentamente, quasi strisciando lungo le pareti per evitare di far da bersaglio a eventuali cattivoni appostati nell’ombra. Stare al centro del tunnel controluce era l’equivalente di appenderci al collo un’insegna al neon con scritto “Sparate qua, amici!”.
     Dopo una decina di passi, la luce che arrivava da fuori divenne insufficiente e la visibilità calò rapidamente. Mi sarebbe piaciuto alzare il bastone e dire “Shirak!” per evocare magicamente una luce, ma vale la considerazione precedente riguardo i facili bersagli. Invece, aprii una tasca dello zaino, tolsi fuori un paio di occhiali da sole e li indossai. Come per magia, il paesaggio si era colorato di quelle tinte verdi tipiche dei visori notturni. In effetti era proprio magia – ba-dum tish - quegli occhiali erano incantati in maniera tale da fungere proprio da visori notturni. Inoltre erano meno ingombranti dei modelli usati dai militari acqua e sapone. Ed erano alla moda. Jebediah e Chiara mi aveva imitato e avevamo ripreso la discesa.
     Camminare attaccati al muro, senza poter guardare dove si mettono i piedi, è un esercizio lento e stressante. Non guardi a terra perché hai lo sguardo fisso avanti per non farti cogliere di sorpresa e a ogni passo muovi il piede lentamente strisciando il tallone sulla parete, per seguirne il profilo. Poi lo posi piano cercando di non fare troppo rumore. Ripeto: lento e stressante. Si percorrono distanze piccole in tempi enormi ed è faticoso.
     Sono accortezze fondamentali quando gli obiettivi sono umani, ma lasciano il tempo che trovano quando si tratta di attaccare un predatore sovrannaturale. I vampiri fondamentalmente sono degli esseri umani, ma possono affinare con facilità i propri sensi tramite la magia, per cui non era scontato che non si accorgesse di noi. Per il nostro metro di giudizio potevamo pure essere silenziosi, ma magari il vampiro sentiva un fracasso stile concerto rock. Magari non aveva nemmeno bisogno di occhiali chic per vedere al buio.
     Il piano d’azione migliore sarebbe stato quello di svuotare un’autobotte di napalm dentro la caverna, poi lanciarci una dozzina di molotov e infine far crollare tutto. Così però non avremmo potuto confermare l’eliminazione del bersaglio e ci sarebbe toccato rinunciare la ricompensa, per cui non ci rimaneva che utilizzare la solita tattica e sperare di non diventare la cena dell’obiettivo.
     La domanda da un milione d’euro era perché stavamo scendendo indisturbati. Mi sarei aspettato una dozzina di mercenari che ci davano il benvenuto lanciandoci un po’ di confetti di piombo, oppure direttamente Mr. Dracula che ci correva incontro per farci a pezzi.
     Invece nulla.
     Proseguimmo nel tunnel per una decina di metri, fino ad arrivare a una porta di legno. Dalla base filtrava della luce. Jebediah si era già piazzato su un lato, pronto a fare irruzione. Con un gesto della mano indicai a Chiara di posizionarsi dalla parte opposta e mi preparai ad aprire la porta.
     “Aprire” era un eufemismo.
     Alzai la mano sinistra e concentrai dell’energia sul palmo fino a quando non apparve una sfera di fiamme azzurre. Mormorai una parola e il proiettile magico schizzò contro la porta, facendola saltare dai cardini e spingendola violentemente all’interno, accompagnata da una forte esplosione. Jebediah lanciò una flashbang dentro la stanza e ci coprimmo gli occhi. Dopo la detonazione, Big J entrò con l’arma in posizione di tiro. Fece in tempo a sparare una raffica e poi lo vidi volare verso destra, spinto da un attacco invisibile. Lo seguii dentro e mi preparai a lanciare una seconda sfera esplosiva contro la figura che si distingueva fra la nube di… polvere? Nebbia? Qualcosa d’indefinibile... che riempiva la stanza.
     Nell’istante che lanciai il mio attacco capii che qualcosa non andava. La palla azzurra sembrò rimbalzare su un muro e ritornò verso il mittente. Feci appena in tempo ad alzare il bastone ed evocare uno scudo magico per proteggermi. La sfera esplose sul muro invisibile, a pochi centimetri dalla mia faccia, e l’esplosione mi fece volare contro la parete.  La vista mi si riempii di puntini colorati, mentre scivolavo sul muro fino ad accasciarmi a terra.
     «Stai sveglio, Neil» mi dissi, nonostante tutto il mio corpo gridasse il contrario. Avevo preso una bella botta, ma lo scudo aveva assorbito gran parte dell’energia cinetica dell’esplosione e i danni erano minimi: solo qualche livido al posto di ustioni di terzo grado.
     Nella nebbia – o qualsiasi cosa fosse – vedevo due figure muoversi molto velocemente. E non intendo “Usain Bolt-velocemente”, ma “Superman-velocemente”. Chiara stava dando del filo da torcere a Mr. Dracula. Le silhouette sembravano danzare, mentre si scambiavano colpi con delle armi. Chiara – non potevo non riconoscere la sua figurina da ginnasta con le tette - stava usando il suo solito pugnale da combattimento, mentre il vampiro aveva un’arma più lunga, probabilmente una spada.
     Cercai di studiare la nebbia, perché era chiaramente un incantesimo che il vampiro stava usando per complicarci la vita. Mi concentrai per annullarlo, mentre Chiara lo teneva occupato. Non era nulla di astruso – una banale condensazione del vapore acqueo presente nell’aria - e mi bastò tagliare il contatto fra l’incantesimo e la mente dell’evocatore. Nel caso d’incantesimi semplici, una volta rimossa la fonte di energia, il fenomeno decade quasi istantaneamente.
     Quando la nebbia svanì mi si presentò una scena che sembrava tratta da un film di Tarantino.
     «E vai con lo stallo alla messicana!» esclamai, mentre mi rialzavo aiutandomi col bastone.
     Il vampiro era in piedi e puntava la spada – una striscia o, come dicevano i francesi, rapière – alla gola di Chiara, che stava in ginocchio e a sua volta teneva la pistola puntata sul cuore del vampiro. Il braccio sinistro le pendeva molle sul fianco e del sangue colava formando, una pozzanghera accanto al suo ginocchio. Jebediah si era rialzato e teneva l’MP-5 puntato su Mr. Dracula, che lo teneva sotto tiro con una pistola. Il pugnale della donna si trovava qualche passo più in là, probabilmente scaraventato via da un colpo di spada.  I tre erano pronti a farsi fuori a vicenda, in caso l’altro facesse una mossa sbagliata. Come al solito, io ero stato tagliato fuori dal divertimento.
     Immagino che ora vi starete chiedendo perché il vampiro si trovava in pericolo: non bisogna usare un paletto di frassino per ucciderne uno? Forse era vero in passato, quando non esistevano fucili di precisione che permettevano di abbatterli comodamente da un chilometro di distanza. In realtà, il manuale del perfetto killer spiega come traggano il proprio potere dal sangue, quindi l’importante è dissanguarli; e colpire il cuore è un ottimo metodo. Oppure farli deprimere affinché si taglino le vene nella vasca da bagno, ma questo sarebbe più complicato. Nonostante la loro reputazione letteraria li renda abbastanza spaventosi, nella realtà i vampiri non sono così pericolosi.  Almeno questi, perché ne esistono di un tipo ben più spaventoso, ma così rari che incontrarne uno è così improbabile che l’ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione.
     Per cui bastava che Chiara premesse il grilletto e Mr. Dracula era storia passata. Magari non sarebbe morto all’istante, ma ci avremmo pensato Big J e io a farlo a pezzettini.
     La donna sembrava brillare di luce propria. Era più radiosa. No, non sono innamorato di lei, cioè sì, ma non era quello il motivo. Il suo braccio continuava a sanguinare, ma non ero preoccupato. Lei era speciale, era una…
     «Una jana.» disse Mr. Dracula, compiaciuto. «Non sapevo che fossero in grado di combattere.»
     Io avrei detto fata, ma il succo era quello. Le janas sono un’antica razza di fate di origine sarda. Piccole fatine luminose che tessono con un telaio d’oro e vanno per le case a chiedere lievito per il pane. Mi piaceva chiamarle fate domestiche. Nomignolo che mi aveva fatto guadagnare uno schiaffo da parte di Chiara. Il folklore però aveva dimenticato le parti più interessanti, come velocità e resistenza sovrannaturali, talento innato per la magia e altri trucchetti utili nel nostro campo. E non dimentichiamo le tette spettacolari, anche se forse è solo una caratteristica di Chiara, visto che non conosco altre janas.
     «Il lavoro parla di vivo o morto.» dissi. «Quale opzione preferisci?»
     L’uomo si mise a ridere. «Potrei scegliere una terza opzione.»
     «Cioè?» Ora che la situazione era diventata meno frenetica mi presi due secondi per studiarlo. Aveva l’aspetto di un uomo di mezz’età ed era vestito come un pastore: pantaloni e giacca di velluto, stivali alti e berrìtta in testa. Portava diversi coltelli a serramanico appesi alla cintura. A prima vista non sembrava un tipo pericoloso.
     «Vi uccido tutti.» Si passò la lingua sulle labbra, come a gustare il momento in cui l’avrebbe fatto.
     Deglutii rumorosamente. Avevo abbastanza esperienza da distinguere una minaccia a vuoto da un dato di fatto e quella non era una minaccia. Il solito problema di quando il datore di lavoro ti forniva informazioni completamente sballate. Ci aspettavamo una barca a vela e invece eravamo andati a sbattere contro una corazzata, se mi passate la metafora nautica. Quel tizio maneggiava la magia molto bene, fisicamente teneva testa a Chiara e sembrava in grado di tirare di scherma e sparare contemporaneamente.
     «Stai bluffando.» dissi, cercando di mettere in mostra la mia espressione più sprezzante. «Oppure hai una terza mano con la quale mi stai tenendo sotto tiro.» Sentii Big J farsi sfuggire una risata.
     «Posso tranquillamente uccidere questi due e avere abbastanza tempo per sgozzarti, prima che tu possa pensare a quale incantesimo usare.» rispose.
     «E io dico che posso farti esplodere il cuore prima che tu possa dire bah.» disse Chiara. La luce che emanava il suo corpo sta aumentando d’intensità e cominciava a superare le lampade a fluorescenza che illuminavano la stanza.
     «Io le darei ascolto, Dracula. L’ultimo folle che ha sfidato Chiara in una gara di velocità ora sdraiato comodamente dentro una bara.»
     Il vampiro sorrise nuovamente. «Anche se mi arrendessi non so proprio come possiate consegnarmi al vostro capo. Probabilmente mi uccidereste non appena abbasserei le armi.»
     «Probabilmente.» ripetei.
     «Dunque siamo in una situazione di stallo.» disse Dracula. Era proprio un tipo sveglio.
     «Complimenti, Capitan Ovvio.» disse Big J.
     C'era solo un modo per sbloccare la situazione: fare qualcosa di stupido e folle che lasciasse di stucco il pastore vampiro.
     «Piano C.» dissi, per avvertire i miei compagni. Voleva dire: sto per fare una cretinata, state pronti.
     Battei a terra il bastone e scaricai al suolo tutta l’energia che avevo a disposizione. La terra intorno a noi cominciò a tremare violentemente.
     Perdemmo tutti l’equilibrio.
     Dracula sparò un paio di colpi, ma rimbalzarono sulla parete senza colpire nessuno. Chiara si era già allontanata e la spada la ferì solamente di striscio. Jebediah fece fuoco e una raffica colpì il vampiro a una gamba. Fra quello e il mini terremoto, Dracula cadde a terra. Fu una sfortuna, visto che così schivò i colpi sparati da Chiara. La caverna continuava a tremare e piccole rocce cominciavano a staccarsi dalla volta. Bisognava accelerare i tempi. Lanciai una folata di vento per costringere il vampiro a stare a terra e contemporaneamente Chiara e Jebediah scaricarono le loro armi su di lui. Un grido lacerò l’aria, poi più nulla.
     «Mission accomplished!» dissi, imitando l’accento texano. «Ora leviamoci dalle scatole prima di rimanere intrappolati!»
     «Forse è meglio che venga un secondo a guardare il cadavere.» mi disse Jebediah.
     Mi avvicinai, aspettandomi di trovare il pastore vampiro in formato groviera, sopra un lago di sangue.
     Mi sbagliavo. Il cadavere si stava sgretolando come se fosse stato una statua d’argilla.
     «Questo lavoro è stata una completa presa in giro.» borbottai. «Che diavolo abbiamo ucciso? Un vampiro? Un golem? Un “che diavolo abbiamo appena affrontato”?»
     «Sappi che voglio essere pagata ugualmente.» brontolò Chiara, mentre correva verso l’uscita, seguita a ruota da Big J.
     «Può bastare.» disse una vocina squillante. La caverna smise di tremare.
     Subito ci fermammo per cercare l’origine di quella voce. Spazzammo tutta la caverna con le armi alzate, ma non c’era nessuno.
     «È stato un bello spettacolo, ma ora basta.» continuò la voce misteriosa. «Siete molto efficienti e mi avete anche fatto divertire. Oppure hai una terza mano…» Una risata argentina risuonò nella caverna. Era un suono piacevole, alleggeriva le preoccupazioni. Non sentivo più la tensione del combattimento e del rischio di rimanere sepolto vivo. E questo era un male: mai abbassare la guardia in situazioni di potenziale pericolo. Per quel che ne sapevo poteva essere l’incantesimo di un folletto per distrarmi e farmi fuori con facilità.
     All’improvviso, un bambino comparve dal nulla nel centro della caverna. Era vestito con il tipico costume sardo, rosso, nero e bianco, ma la prima cosa che mi colpì del suo aspetto furono gli occhi castani. Si spostavano velocemente, osservandoci con attenzione. Distolsi lo sguardo perché ero certo che se li avessi fissati troppo a lungo, quell’essere mi avrebbe sopraffatto.
     Il tizio – ovviamente non era un vero bambino, chi mai poteva pensare che fosse un bambino? – era uno stregone. O un mago. O fattucchiere. Non so, non ricordo mai la terminologia corretta per differenziare gli usufruitori di magia. Il bimbo, al di là del termine, era forte. Potevo vedere l’aria intorno a lui vibrare, tale era l’aura di potere che emanava. Probabilmente avrebbe potuto ucciderci tutti e tre in un batter d’occhio, senza nemmeno troppo sforzo. Per fare un paragone calcistico, se io ero un centrocampista che militava in una modesta squadra di Serie A, lui era il cugino bravo di Messi. Mi chiesi come fosse stato possibile che Mic e io non ne avessimo individuato la presenza.
     Se lui era il vero obiettivo e il vampiro d’argilla era un’esca, eravamo in guai seri. Eravamo sprofondati nella merda fino al collo, se vogliamo usare un francesismo. Anzi, fino al collo è riduttivo; fino al naso rende meglio l’idea.
     Il bambino si mise ad applaudire. «Bravi, bravi. Ho fatto bene a scegliere voi. Sapete il fatto vostro.»
     Tirai un sospiro di sollievo, lui era solo il committente del lavoro.
     Grazie al cielo.
     Quel giorno non avevo voglia di morire.
     Chiara fu la prima ad abbassare l’arma.
     «E poi non mi aspettavo una jana!» continuò il bimbo. «Le tue simili solitamente non sono interessate alla guerra. Preferiscono tessere e fare il pane.» Sorrise. «Ti serve del lievito?»
     Le guance di Chiara si tinsero di rosso, ma si trattenne dal rispondere a tono e chinò il capo in segno di rispetto. «Maskinganna.» disse semplicemente.
     «Maskinganna?» esclamammo Big J e io praticamente all’unisono.
     Il bambino si lanciò nell’esecuzione di un’elaborata riverenza. «Al vostro servizio.» Fissò Chiara per un lungo istante, studiandone le fattezze. Poi sorrise, come se si fosse ricordato di qualcosa.
     «Mic.» chiamai. Lo spirito apparve nella sua solita forma di fuoco fatuo. Svolazzò intorno alla caverna, poi si fermò all’improvviso di fronte al bambino.  Ci girò attorno un paio di volte e tornò indietro, posandosi sulla visiera del mio cappellino.
     «Perché diavolo stiamo nella stessa stanza di un Lord delle fate?» disse, teso.
     «Un Lord delle fate?» ripetei. «È il nostro committente, Mic.»
     «È un Lord della corte fatata sarda, un Lord.» Mic scandì la parola lettera per lettera. «Noi abbiamo i Seelie e gli Unseelie, gli irlandesi hanno gli Aes Sidhe, c’è la Tylwyth Teg in Galles e anche in Sardegna hanno la propria corte, l’Areu Afadau
     Il bambino non sembrava molto preoccupato che si stesse parlando di lui come se non fosse presente. Guardò con curiosità Mic e disse: «Un Spirito della Conoscenza che proviene dalle Sfere Esterne. Sei fortunato ad avere un simile mentore, Neil McRoberts.»
     «Glielo dico sempre.» aggiunse Mic. Si rese conto che l’atmosfera era molto rilassata e si calmò. «Quindi non siamo nei guai? Non hai offeso Lord Maskinganna?»
     Mi tolsi il cappellino e lo agitai per far allontanare Mic. «No, non ho offeso nessuno. Per ora.»
     «Neil!» Chiara mi lanciò uno sguardo adirato.
     «Deve spiegarmi il perché di questa messinscena. E tu, Mic, devi dirmi perché non abbiamo individuato la sua presenza.»
     «Il nuraghe.» disse Maskinganna, indicando verso l’alto con un dito.
     Rimasi a bocca aperta. E altrettanto avrebbe fatto Mic, se avesse avuto una bocca.
     Era ovvio. Come dicevo prima, la magia non è qualcosa di statico, è in equilibrio dinamico. L’energia si diffonde lungo grandi linee, dai punti in cui è maggior concentrata verso le zone in cui è più rara. Al mondo esistono luoghi di potere da cui la magia “nasce”, se mi passate il termine non proprio tecnico. Ed esistono altri luoghi in cui essa tende ad accumularsi. Luoghi antichi d’importanza storica, luoghi di culto, campi di battaglia. Luoghi in cui una grande quantità di persone hanno provato le stesse emozioni, eseguito gli stessi rituali, trovato la morte. Stonehenge, Ichen Itza, Waterloo, il Colosseo, la Basilica di San Pietro a Roma, Bannockburn, Gettysburg, la Valle dei Re, Westminster Abbey, per fare qualche esempio. L’energia magica tende ad accumularsi in questi luoghi e poi lentamente si diffonde tutto intorno. Quando Mic e io avevano notato come la radiazione di fondo presente vicino al nuraghe fosse superiore alla media non avevamo tenuto conto di questo. Evidentemente anche esso era un luogo di potere, dunque qualsiasi segno di energia esterno veniva coperto dalla sua aura.
     «Il nuraghe.» ripeté Mic.
     «Ovviamente.» dissi. «Mic come hai fatto a non pensarci. Ti dimezzo la paga.»
     «Quale paga? Lavoro gratis!»
     Feci per rispondere, ma Maskinganna levò una mano e mi fermai.
     «Il motivo di questa messinscena è semplice. Ho bisogno di un gruppo di uomini, esterno alla corte, per un lavoretto.»
     «Potevi reclutarci subito per il lavoretto.» replicai, enfatizzando la parola come lui aveva enfatizzato “messinscena”.
     «Volevo vedervi in azione e assicurarmi che foste in grado di svolgere il compito che sto per assegnarvi.»
     «Cosa sarebbe successo se avessimo fallito?» chiese Jebediah.
     «Avrei fatto sparire i cadaveri e contattato un altro gruppo.» rispose il folletto. «Ma basta con le domande, è ora che vi prepariate per il nuovo lavoro.»
     «E se non accettassimo?»
     «Sono certo che accetterete. Oppure non tenete all’amicizia dell’Areu Afadau?» disse Maskinganna, col sorriso sulle labbra. Era molto sicuro di sé e ne aveva tutti i motivi, dato che era l’equivalente magico di una portaerei.
     Ripeto, ho abbastanza esperienza per riconoscere le minacce a vuoto. Maskinganna magari non ci avrebbe uccisi subito, ma ci avrebbe sguinzagliato contro tutta la corte. Non mi andava di vivere il resto dei miei giorni braccato da fate e folletti.
     Guardai Big J e Chiara e fecero un cenno col capo. Anche loro avevano capito la situazione.
     «Qual è il lavoro? E qual è la paga?»
     Il bambino ridacchiò. «Sei saggio, Neil McRoberts.»
     «Allora?» continuai, ignorando il suo commento. «Lavoro? Paga?»
     «Lo sapete già. Dovete uccidere un vampiro.»
     «Ovviamente!» esclamò Jebediah, alzando le braccia al cielo.
     Nella mano del folletto comparve una cartella di plastica. L’aprì per guardare i fogli e poi me la consegnò. «Qua ci sono tutte le istruzioni e le informazioni necessarie.»
     «Spero siano più precise rispetto a quelle che ci hai dato per questo prova.» disse Jebediah.
     «Sono precise, Mr. Spencer. Vi avevo dato informazioni sballate per vedere come avreste reagito in una situazione non programmata. Avete superato quel test e ora non è certo mia intenzione ostacolare il vostro successo.» rispose Maskinganna. Fissò per un attimo Chiara e aggiunse: «Ti attendiamo a casa, jana. Il mio invito è sempre valido.»
     Chiara annuì e mi poggiò la mano sul braccio, fermando sul nascere la mia domanda. Invece mi rivolsi al Lord folletto. «Non hai ancora parlato della ricompensa.»
     Allargò le mani in un gesto di benevolenza. «Cosa ha più valore della riconoscenza dell’Areu Afadau?» Evidentemente si accorse della mia espressione dubbiosa e aggiunse: «E Oltre a questo riceverete dell’oro.»
     «Oro vero? Non come quelle truffe che voi folletti siete soliti rifilare?»
     Maskinganna inarcò un sopracciglio. Bastò quello per farmi capire che non era salutare scherzare troppo. «Stai dubitando della mia parola, uomo? Riceverete del vero oro della migliore qualità e nella forma che preferirete. Monete, gioielli, lingotti, qualunque cosa vi possa venire in mente.»
     Sorrisi. L’oro è l’unica cosa che adoro quanto le donne. Beh, quasi quanto le donne.
     «Vi contatterò quando avrete terminato il lavoro.» disse.
     «E se qualcosa dovesse andare storto?» domandai.
     «Se fallirete, sarete morti.» Un ghigno sinistro si disegnò sulle sue labbra. «Per mano del vampiro o per mano mia.» L’istante successivo era scomparso.
     «Dalla padella alla brace. Ogni volta che lavoro con voi capita sempre qualcosa di assurdo.» commentò Big J, mentre si allontanava verso l’uscita.
     Chiara e io ci scambiammo un sorriso divertito e lo seguimmo.
   
 
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