Attenzione:
Nel
caso non fosse super chiaro...CONTIENE SPOILER grandi e grossi come le
noci di cocco di Rafiki. Quindi, vi prego, non leggete, se non avete
terminato CoLS o non lamentatevi dopo, io l'avviso l'ho messo ^-^
P.S. Si ringrazia lo staff di EFPEditing (Yuko
per il banner e Hilary per la recensione).
Dedicata a Wilma, nella quale ho scoperto una grande amica.
Dedicata a Kuro, perché è la "mia" Magnus.
Dedicata a Aika, per farle gli auguri e
a Yuko che è stata così gentile da darci un'occhiata.
Le
sue
parole riecheggiavano ancora nelle orecchie, nella testa e nel cuore.
L’unica azione che, forse, l’avrebbe
fatto
stare meglio - uccidere colei da cui tutto era iniziato -
non aveva avuto la possibilità di portarla a
compimento,
perché qualcuno ci aveva già
pensato.
Quando
era
finalmente uscito dai tunnel della metro, si era accorto che fuori
stava
piovendo, ma non aveva fatto nulla per coprirsi. Pensava solo al fatto
che la
pioggia avrebbe nascosto le lacrime che avevano iniziato a scendere,
non appena
si era reso conto che non c’era nulla da fare se non tornare
a casa.
Non
sarebbe
mai riuscito a passare all’appartamento per prendere le sue
cose.
Non
sarebbe
mai riuscito a guardare la stanza da letto con gli stessi occhi o
accarezzare il
Presidente Miao con lo stesso tocco.
Si
odiava.
Mentre sgomitava tra la gente che andava a lavorare, senza preoccuparsi
che si
accorgessero di lui e delle sue rune, si accorse dell’odio
che provava verso se
stesso.
Si odiava per tutto. Per essere stato così idiota da
innamorarsi di uno
stregone di ottocento anni che aveva vissuto tante di quelle esperienze
diverse
che lui nemmeno in tutta la sua vita da cacciatore avrebbe visto.
Si odiava per il proprio aspetto, così innocente, per la
propria stupidità, per
essersi fidato di quella vampira da cui lui l’aveva
allontanato in tutti i
modi, per aver solo pensato di poter vivere assieme a lui per sempre o
per
tutto quello che sarebbe rimasto della sua breve vita di cacciatore.
Magnus….
Aveva
sbagliato tutto, di nuovo. Mai che fosse riuscito a fare qualcosa di
giusto.
Aveva creduto di essere innamorato del proprio parabatai, quando sapeva
benissimo che, se anche fosse stato vero, non avrebbero potuto fare
nulla, la
legge lo avrebbe impedito.
Quando
aveva capito cos’era il vero amore, quando aveva trovato
Magnus, non era
riuscito a lasciarsi andare, rischiando di perderlo più di
una volta.
Erano riusciti a stare insieme, nonostante tutto. Lui era stato
paziente. Lo
aveva aspettato. Lo aveva cullato, quando la morte di Max lo aveva
perseguitato per
notti intere. Lo aveva allontanato dai brutti
ricordi, facendolo viaggiare come lui mai aveva fatto.
Lo aveva amato.
E lui? Come lo aveva ricambiato? Lo aveva tradito. Aveva cercato, no, aveva pensato di accorciargli la vita, acciecato dalla gelosia, forse, dalla poca fiducia che gli era rimasta per quel passato mai scoperto, ritrovato in parte in lei e in un nome dal volto sfumato, ma dai tratti così simili ai suoi.
Il dolore di quei ricordi lo colpì ancora e ancora, come un pugnalata.
Si
era
sentito improvvisamente una nullità, nel momento stesso in
cui l’aveva vista,
quando l’aveva sentita nominare quel Will. Come poteva anche
solo competere con
lei? E con un ricordo così vivido per Magnus?
Avrebbe potuto uccidere lei, gettarla al sole cocente di mezzogiorno,
ma non avrebbe
potuto uccidere un ricordo.
L’unica
cosa che aveva desiderato era che Magnus gli dicesse chi era, da dove
veniva,
niente che lui non avesse fatto. Ma lui non aveva voluto.
“È
finita.”
Quella frase lo aveva colpito come un colpo di una spada angelica.
Avrebbe
forse preferito una ferita mortale a quel dolore che gli squarciava il
petto.
Perché quel dolore non si poteva curare. Perché
nulla lo avrebbe fatto sentire
meglio. Perché un iratze non avrebbe avuto effetto.
Avrebbe voluto poter tornare indietro, a Vienna magari, costringere Magnus a restare con lui, a non tornare. O magari rifiutare la proposta di Camille da subito, senza farsi abbindolare dalle sue parole, risultate così vane, così false.
Lei che era sembrata quasi un'amica.
Avrebbe
voluto svegliarsi la mattina dopo, ancora tra le sue braccia, al caldo,
con le
fusa del Presidente Miao, e sì, perché no, farsi
chiamare “Sweet pea”*. Avrebbe
voluto che Magnus gli dicesse che era stato un incubo, che non
c’era stata
nessuna Camille.
Ma non era possibile. E non sarebbe stato più possibile.
Per lui aveva sbagliato.
Perdonami…Ti prego,
perdonami. Ti amo. Abbracciami. Dimmi che mi ami, che mi perdoni, che
possiamo
ancora stare insieme.
Non
l’avrebbe mai fatto. Non lo voleva più nemmeno
vedere, non lo avrebbe
perdonato.
Entrò all’Istituto, sperando di non incrociare nessuno.
Si
specchiò, mentre saliva e
vide un ragazzino, nemmeno un uomo, con gli occhi gonfi di pianto,
spalancati,
le guance rigate, i capelli zuppi di pioggia, così come lo
erano i suoi
vestiti.
Sentì la rabbia ribollire.
Lanciò un urlo e colpì con violenza quello
specchio, mandandolo in frantumi.
Alexander Gideon
Lightwood.
Continuò
a
correre, fuori dall’ascensore.
Te l’avevo detto.
Forse
qualcuno lo aveva chiamato, ma non gli importava.
Manipolatrice.
Voleva
farsi
del male, male fisico. Si accorse, con grande stupore, di aver appena
compreso
Jace.
Non doveva essere
una tua scelta.
Jace.
Forse, lui avrebbe capito. Ma non voleva vederlo.
Aku cinta kamu. **
La
sua
stanza. Non propriamente ordinata.
Non cambierà niente.
La
sciarpa
azzurra. Prendendola tra le mani, sentì il suo odore.
Ricordò il giorno in cui
l’aveva portata la prima volta. Quando era stato da Camille.
Quella prima
volta. Il suo primo sbaglio.
È finita.
Nell’ombra
della sua stanza, provò con tutte le sue forze a
squarciarla. Non ci riuscì e
le lacrime di frustrazione tornarono a pungergli gli occhi.
Ho sbagliato tutto.
Magnus, ti prego…Perdonami.
*Sweet
Pea: Fiorellino (nella traduzione italiana)
**Aku cinta kamu: Ti amo (In Indonesiano)
Ok, momento di sconforto per le fan del Malec tra tre, due,
uno...*Offre fazzolettini e cioccolatini*
Sono una fan, super fan, di Alec, ma in questo momento lo sto
maledicendo pure io...