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Autore: Ray    01/05/2007    0 recensioni
Un racconto che attraversa vari momenti dello Universal Century, una cronaca di guerra che ne narra i principali conflitti attraverso gli occhi dei personaggi che li vivono. E che combattono le battaglie più dure dentro di sé.
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO 4: ‘NON ESISTE BELVA SULLA TERRA…’

***

"No, dai, mi stai prendendo per il culo…".

"Ti giuro. O almeno, a me l’hanno raccontata così, poi non so se sia vero".

"Cioè, mi stai dicendo che gli ha strappato i coglioni e li ha messi in bocca al suo cadavere?".

"Pare che non fosse ancora cadavere quando gli ha messo i coglioni in bocca. Ma sai cosa? Io dico che ha fatto bene. Dai, cazzo stiamo parlando di sua figlia!".

"Guarda, nemmeno io ho simpatia per certa gente, ma pensare a una cosa del genere mi fa un po’ impressione".

"Non fare l’ipocrita, dai… Con tutte le persone che hai ammazzato, ti scandalizzi per una cosa del genere?".

"Sì, ma io ho ucciso solo soldati e solo in guerra. Qui stiamo parlando di una vendetta personale".

"E grazie! Ma hai capito cosa aveva fatto questo tizio? Aveva messo le mani addosso a sua figlia. E sua figlia ha quattro anni! Stiamo parlando di un fottuto pedofilo del cazzo. Io dico che ha fatto benissimo ad ammazzarlo".

"Sì, però dai…".

"E cosa avrebbe dovuto fare? Aspettare un tribunale? Ma hai presente in che situazione ci troviamo? Ribadisco che per me ha fatto bene. Io mi sarei comportato allo stesso modo".

"Be’, insomma… non che a me interessino le bambine di quattro anni, ma sapere che lavorerò con un tizio del genere mi mette un po’ di apprensione. Almeno ne vale la pena?".

"Dicono di sì. Pare sia molto abile nel suo lavoro".

***

Il documento che segue costituisce un estratto del testamento di Leonard Erwyn, ufficiale dei Titans risultato KIA nel novembre 0087, in seguito a uno scontro con un’unità dell’AEUG.

Io sottoscritto, Leonard Paul Erwyn, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali (o almeno così dice l’imbecille che mi ha in analisi, suppongo per evitare che io gli chieda indietro i soldi), dichiaro quanto segue.

Miei ben poco amati parenti, se un notaio pagato profumatamente con il mio denaro vi sta leggendo questo testamento, significa che ho avuto la sfiga di morire prima di voialtri cazzoni (che peccato, mi sarebbe piaciuto passare un po’ di tempo senza avervi tra le palle). Di conseguenza, mi appresto a distribuirvi quanto è rimasto di ciò che ho costruito con fatica mentre voi passavate la vita a grattarvi, sperando che vi ci possiate strozzare.

Visto che da vivo vi ho detestati tutti più o meno allo stesso modo, da morto non farò favoritismi e darò a ciascuno di voi pari opportunità di ottenere qualcosa di interessante. Nella fattispecie, lascio a ciascuno dei miei parenti le quote minime del mio patrimonio che la legge prevede vadano a loro. Cedo tutti gli altri miei soldi depositati sul mio conto bancario svizzero alla Fisk & Crane. Visto che, con tutta probabilità, sono morto per il cancro che le loro sigarette mi hanno causato (non l’ho detto a nessuno, ma ho già visto le analisi, è solo questione di tempo prima che vada in metastasi e mi faccia schiattare in maniera estremamente ignobile e dolorosa), trovo giusto ricompensarli per avere tolto dal mondo uno stronzo come me. Oh, no, miei ben poco amati parenti, non spaventatevi, quello sul conto svizzero non era tutto ciò che di valore possedevo, adesso arriva la vostra parte. Ho nascosto una cosa che vale un sacco di soldi… in un certo senso, si può dire che sia ciò che ho inseguito per tutta la vita, un segreto che potrebbe rendere schifosamente ricco chiunque di voi se ne impadronisse. Vi chiederete perché non l’abbia usato io. Be’, perché c’era un sacco di gente che lo voleva e andarmelo a cercare avrebbe attirato l’attenzione… Loro sapevano che io sapevo. Inoltre, non è che avessi bisogno immediato di soldi. Diciamo che volevo tenermelo per una pensione tranquilla, ma, soprattutto, avevo in mente un progettino niente male. Visto che voi non siete altrettanto previdenti, però, voglio permettervi di scialacquare questa immensa ricchezza senza troppi scrupoli. State bene a sentire questo cazzo di notaio, perché sta per rivelarvi l’esistenza di un OOPART. Un OOPART, idioti. Certo, mi rendo perfettamente conto che siete troppo ignoranti per sapere cosa significhi. Out Of Place ARTifact. Una cosa che non dovrebbe esistere, in pratica. Se trovaste un’astronave in una piramide egizia, sarebbe un OOPART, per dire. Bene, adesso ascoltate, che sto per fare ricco perlomeno qualcuno di voi…

***

Il colonnello Alan Shake guardò la giovane donna che avanzava verso di lui reggendo una grossa valigia nella mano sinistra e tendendo la destra a cercare la sua. L’uomo la strinse, mentre dietro di lei le nubi di sabbia sollevate dal piccolo aereo che l’aveva portata lì turbinavano incessantemente.

La donna sembrava essere vestita apposta per quell’ambiente desertico che era l’Africa settentrionale: indossava una giacca color sabbia annodata appena sopra l’ombelico con le maniche arrotolate sopra i gomiti. Sotto la giacca, una maglietta bianca che la sabbia stava facendo di tutto per scurire. Di color sabbia, indossava anche un paio di shorts e un cappellino da baseball, dal quale spuntavano i suoi capelli neri, raccolti in una lunga coda di cavallo. Le pesanti scarpe marroni e le calze bianche sembravano stonare con i piccoli occhiali da sole rotondi dalle lenti verdastre e dalla montatura dorata.

"Rachel Osborne, Anaheim Electronics", disse la giovane donna stringendo la mano del militare. "Mi hanno detto che avete problemi con il sistema operativo dei Doga", aggiunse indicando i Geara Doga color sabbia che si vedevano inginocchiati accanto ai magazzini.

"In effetti sì", replicò Shake. Non aveva ancora trent’anni, ma, tra i suoi lunghi capelli neri, c’era già un po’ di grigio. Qualche ruga attorno ai suoi occhi blu lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse. L’uniforme logora del Neo Zeon di Char Aznable, anch’essa con le maniche arrotolate sopra il gomito, dava l’impressione di una persona trasandata. Ma non c’era molto che un soldato potesse fare in quelle condizioni.

"Avevamo diversi soldati inesperti", spiegò Shake facendo strada a Rachel in direzione del basso edificio di quell’aeroporto abbandonato in cui si trovava il suo ufficio. "È stato per questo che abbiamo chiesto a una società di software del posto di modificare il vostro sistema operativo originario con uno che rendesse i mobile suit più semplici da pilotare. Il problema è che questa nuova versione rende sì la macchina meglio operabile, ma blocca alcune funzioni base come il condizionamento interno e la regolazione del balancer. In pratica, vorrei che fosse ripristinato il sistema operativo che c’era prima".

Rachel scosse la testa: "Ma non le è venuto in mente che c’è un motivo se le cose vengono fatte in un certo modo?".

Shake alzò gli occhi al cielo: "Per favore, non mi faccia la predica… Penso di avere già subito abbastanza le conseguenze della mia decisione".

"Questi Doga erano ancora in garanzia, vero? Lei è consapevole che alterarne deliberatamente il sistema operativo toglie qualsiasi valore ai diritti che avevate al momento dell’acquisto?".

"Ma sì, so anch’io che la garanzia ormai non è più valida. Vi pagheremo, non si preoccupi. Piuttosto, è un problema grave?".

"Di per sé, non credo, però sarà una seccatura. Suppongo che basti eliminare il nuovo sistema operativo e reinstallare quello vecchio, a meno che i vostri amichetti non abbiano fatto qualche casino a livello hardware. Un classico formattone, in pratica". Rachel si stupì che avessero bisogno dell’assistenza tecnica per una cosa del genere, ma probabilmente non avevano bene idea di ciò che andava fatto. "Comunque, anche se fosse come penso, bisognerà ripetere l’operazione per tutti i mobile suit nei quali avete trafficato. Una settantina di minuti, direi".

"Ah, ma allora sarà una cosa veloce…".

"Settanta minuti per macchina, ovviamente".

"Uh… Be’, se vuole le offro qualcosa da bere…".

"…poi però devo subito mettermi al lavoro, giusto?".

"Ma veramente non intendevo…".

"Lasci stare, ho capito. Non si preoccupi, era quello che avevo intenzione di fare. Non sono una gran consumatrice di alcolici, comunque".

"Guardi che io parlavo di acqua…".

***

Rachel entrò nel grande hangar buio. Originariamente concepito per degli aerei, era stato pesantemente modificato per ospitare dei mobile suit, il che lo rendeva molto diverso da come doveva essere stato in principio. Due file di macchine antropomorfe, varianti di Geara Doga, erano allineate lungo le pareti interne dell’edificio. Una dozzina in tutto. A volte, Rachel sentiva un bizzarro senso di compassione per quei soldati.

Lei era stata solo una ragazzina durante la Guerra di Un Anno, ma ricordava ancora bene quello che gli zeoniani avevano fatto in nome dell’indipendenza… E come i federali avevano risposto. Sapeva che alcuni suoi coetanei erano stati costretti a prendere le armi e ad andare sul campo di battaglia. Ai tempi della Guerra di Gryps e della Prima Guerra di Neo Zeon, era stata un’apprendista alla Anaheim, che studiava contemporaneamente all’università per poter essere assunta in pianta stabile. Ora, a ventott’anni (ne avrebbe compiuti ventinove a dicembre, ma non lo diceva), era un tecnico dei sistemi operativi. Non proprio l’ultima ruota del carro, ma abbastanza sacrificabile da venire spedita a fare assistenza in un posto sperduto della Terra (che, tra l’altro, era risaputo essere una zona di guerra). E non era una persona che apprezzasse particolarmente viaggiare: già il fatto di doversi trasferire da Side 4 a Von Braun City per studiare prima e lavorare poi non l’aveva entusiasmata granché.

Appoggiò per terra la propria valigia, un borsone blu pieno di un numero imprecisato di tasche, e cominciò a frugarvi dentro.

Non era mai stata una persona ordinata.

Ma riuscì a trovarvi i dischi che cercava.

Tra i vestiti di ricambio e i fazzoletti di carta, vide spuntare un pacchetto di sigarette con la scritta ‘Fisk & Crane’. Si chiese se lì dentro fosse vietato fumare. Di certo non era consigliabile farlo nell’abitacolo di un mobile suit. Ma sì, in fin dei conti…

Si tolse gli occhiali, usando una bacchetta per fissarseli al colletto della maglietta, e si accese una sigaretta, avvicinandosi al primo degli ascensori metallici che permettevano di salire fino ai cockpit delle macchine antropomorfe.

Era già alzato.

Sollevò lo sguardo: questo significava che in quel mobile suit c’era già qualcuno. E che cazzo! Spense velocemente la sigaretta contro una delle colonne metalliche che sostenevano l’ascensore e rimise nel pacchetto quello che ne restava. Si sentiva un po’ una pezzente quando faceva queste cose, ma d’altra parte non è che le uscissero i soldi dalle orecchie.

"Signorina, perché metti via la sigaretta che ti eri appena accesa?".

Rachel sussultò e si girò di scatto.

Una bambina. Capelli castani arruffati, una maglietta gialla e un paio di pantaloni azzurri.

Un aspetto piuttosto trasandato, o almeno questa era l’impressione che dava.

La guardava nascosta tra le ombre che le colonne dell’hangar proiettavano sotto l’ascensore.

Ma che ci faceva lì una bambina?

Rachel si sedette sui talloni e sorrise alla piccola: "Ehi, e tu chi sei?".

Se non fosse che Rachel trovava carini tutti i bambini piccoli, avrebbe detto che l’occhiata che questa marmocchia le stava rivolgendo fosse truce.

La bambina non rispose: si limitò a continuare a guardarla con i suoi occhi verde chiaro e la fronte aggrottata, quasi in una minaccia.

Rachel scosse il capo rassegnata. Forse i bambini erano carini, ma erano anche tremendamente difficili da trattare. Qualche anno prima, quando aveva incontrato quello che aveva creduto essere il grande amore della sua vita, aveva desiderato ardentemente di diventare madre. Avevano fatto progetti, avevano pensato di sposarsi, di avere almeno cinque figli e di vivere felicemente per tutto il resto della propria esistenza. Poi, lei lo aveva trovato a letto con un’altra. Quando vedeva un bambino comportarsi in quel modo, pensava che avere perso un’occasione di maternità non fosse stata poi questa grande tragedia.

Riprovò: "Ciao, io mi chiamo Rachel e sono qui per lavorare sui mobile suit. Hai anche tu del lavoro da fare in questo hangar?".

Stavolta, la bambina rispose: "No. Sono qui con papà". Alzò il braccio per indicare l’ascensore all’altezza dell’abitacolo di uno dei mobile suit.

La figlia di un combattente?

Be’, non era poi così strano. Aveva visto delle donne soldato in quella base, era relativamente normale che la natura facesse il suo corso. Ma era anche molto triste che dei bambini fossero costretti a vivere in quelle condizioni. Quanti altri ce n’erano?

Prima che potesse elaborare ulteriormente le proprie elucubrazioni, un basso ronzio metallico le annunciò che l’ascensore stava scendendo. Bene, avrebbe potuto cominciare a lavorare. Si rimise in piedi.

La persona che toccò terra era molto diversa da come lei se l’era immaginata.

Non indossava l’uniforme di Neo Zeon, ma una polo verde e dei pantaloni neri.

Ma quello era sicuramente il padre della bambina: la somiglianza era inequivocabile. Avevano gli stessi occhi e gli stessi capelli (ma lui li portava tirati indietro sulla fronte e lunghi fin quasi alle spalle, benché ugualmente disordinati). Un uomo sui trent’anni o poco più, con lo stesso sguardo della piccola e con una corta cicatrice sotto lo zigomo sinistro.

Una lacrima?

L’uomo lanciò a Rachel un’occhiata che le ricordò in maniera inquietante quella della figlia: "E tu?".

"Dovrei chiedertelo io", rispose la donna. "Mi aspettavo di trovare un soldato, anziché un civile".

"Non faccio parte di questo contingente", rispose lui con un cenno della mano, quasi a volersi togliere di dosso un insetto fastidioso. "Sono solo un consulente attivo".

"Consulente attivo?".

"Nel senso che do una mano nella pianificazione e poi combatto anche sul campo. A proposito, tu fai parte di questo gruppo di sfigati?".

"Veramente no, io lavoro per la Anaheim, sono qui per fornire assistenza tecnica".

"Ah, capisco. È per i sistemi operativi, vero? Io volevo solo dare un’occhiata ai mobile suit, ma non ci vuole molto per capire che qualcosa non va nei computer".

"Per l’appunto. Mi chiamo Rachel Osborne". Tese la mano.

"Daniel Wymann", rispose lui stringendola senza trasporto. "Quanto ci vorrà per sistemare questi Geara Doga?".

"Come ho già detto al comandante, una settantina di minuti per ciascuno. Comunque, questi sono Desert Doga".

"Eh?".

"Desert Doga. Geara Doga Ground Type ottimizzati per combattere in ambienti tropicali e desertici. I mobile suit a uso localizzato esistono fin dalla Guerra di Un Anno: già l’Esercito Regolare di Zeon aveva prodotto delle varianti per i deserti dei suoi Zack, Gouf e Dom".

"Ah, capisco. Ma, detto tra di noi, questo Desert Doga ha una qualche utilità o è solo un sistema con cui voi della Anaheim spillate altri soldi ai vostri clienti producendo nuovi modelli che a voi costano poco e a loro molto?".

"È un sistema con cui noi della Anaheim spilliamo altri soldi ai nostri clienti producendo modelli che a noi costano poco e a loro molto, però servono. Prova tu a combattere nel deserto senza un impianto di condizionamento adeguato nell’abitacolo, dei filtri decenti per la sabbia e un radiatore efficiente. Non è un caso che chiunque abbia usato mobile suit sulla Terra ne abbia realizzate delle varianti apposta per queste regioni".

Daniel annuì senza rispondere. Con un distratto gesto di saluto, fece per avviarsi verso l’uscita. Sua figlia trotterellò dietro di lui.

Rachel ebbe la vaga impressione di essere ignorata. C’era ancora una cosa che doveva sapere: "Uh… scusa, sai mica se qui dentro c’è il divieto di fumo?".

"Non è necessario", replicò l’uomo fermandosi e girandosi verso di lei.

"Eh? Tutti salutisti convinti?".

"No, è che mancano i soldi per il cibo, figurati se fanno arrivare delle sigarette. Chi fumava ha dovuto smettere. Tanto, se non li ucciderà il fumo, li ucciderà un nemico".

"E tu? Hai detto di non fare parte di questo contingente, no? Non fumi?".

"No. Un po’ per la bambina, un po’ perché è un’eredità di quando giocavo a calcio".

"Ah, facevi il calciatore? Ma professionista?".

"Già. Ho giocato in Serie A prima della Guerra di Un Anno e il fumo fa male a chi lavora nello sport. Più che agli altri, intendo".

"Ma dai, mi prendi in giro?".

"Che me ne verrebbe? Se non vuoi crederci, non mi fa differenza".

"Va bene, d’accordo. Però c’è una cosa che mi lascia perplessa: mancano i soldi per il cibo e assumono te? Voglio dire, ti pagheranno pure per stare qui a fare il… ‘consulente attivo’, no?".

"Certo che mi pagano. Vedi, il problema è che io posso aiutarli a sopravvivere. Ho fatto quattro guerre e ne sono sempre uscito intero. Nell’ultima avevo anche mia figlia a cui badare. Sono bravino in quello che faccio ed è risaputo che Neo Zeon non abbia molti militari esperti".

"Io continuo a non capire esattamente quale sia la tua funzione in questa base… comunque, sai che quando ho visto tua figlia, pensavo che il padre fosse uno dei soldati?".

"Oh, è improbabile che nascano bambini qui. Di preservativi, se ne fanno arrivare parecchi. È un investimento, in fondo: non vogliono avere altre bocche da sfamare, quindi prevengono. Mi pare ragionevole".

"Be’, sì… però è brutto… Voglio dire, qui ci sono dei reduci che combattono nonostante le condizioni avverse e nonostante abbiano già sostanzialmente perso la guerra… Mi chiedo chi glielo faccia fare. Non possono cercare di rifarsi una vita?".

Daniel sogghignò: "Ma di chi credi di parlare? Molta di questa gente è nata su Side 3. Alcuni di loro si sono trasferiti su Axis quando erano ancora troppo giovani per capire cosa stesse succedendo. Non hanno una patria, perché la Repubblica di Zeon non li riconosce più. Non sanno fare altro che combattere per vivere. Dove dovrebbero andare? Non c’è nessuno disposto ad accoglierli".

"E tu? Anche tu uno zeoniano senza più una patria?".

"Io? No, io sono nato su Side 2. Ero nell’Esercito Federale durante la Guerra di Un Anno e poi sono stato nell’AEUG. Dopo la Prima Guerra di Neo Zeon, mi hanno integrato nell’unità speciale Londo Bell, e infine me ne sono andato perché potevo guadagnare di più come mercenario freelance. Voglio dire, nell’Esercito ti pagano veramente una miseria per rischiare la vita, almeno da libero professionista mi faccio ammazzare per qualche soldo in più. Comunque, ho ancora la cittadinanza e potrei tornare su Side 2, se lo volessi".

Rachel si stupì: "E perché non lo fai? Come puoi pensare di continuare la vita da mercenario con una figlia piccola?".

Daniel si infilò le mani in tasca: "C’è gente che sa solo combattere per vivere e c’è gente che non sa vivere senza combattere. Io rientro in quest’ultima categoria, per una serie di motivi. E ora, se vuoi scusarmi".

L’uomo le volse le spalle e fece per uscire dall’hangar.

La bambina lo seguì e si aggrappò a un lembo dei suoi pantaloni.

"Ehi, non vuoi dirmi come ti chiami?", le domandò Rachel facendole un sorriso.

La piccola le lanciò un’altra occhiata truce e non rispose.

"Si chiama Chloe", disse Daniel senza voltarsi.

***

Cinque Desert Doga. Nelle ore per le quali aveva potuto lavorare, Rachel non era riuscita a fare di più.

Era stata abbastanza veloce, principalmente perché aveva avuto l’accortezza di portarsi dietro due dischi con il sistema operativo, quindi aveva potuto operare su più mobile suit contemporaneamente, anche se questo l’aveva costretta a passare di corsa da un ascensore all’altro, il che era stato tutt’altro che rilassante.

Cinque Desert Doga erano pochi per quello che bisognava fare, però.

Gli scout avevano avvistato due squadre di Jegan, da sei mobile suit ciascuna, che si stavano avvicinando al campo base da direzioni diverse. Il tramonto che faceva rosseggiare l’orizzonte sembrava voler essere un preludio a una notte che si sarebbe tinta di sangue.

Sembrava proprio che l’Esercito Federale avesse scoperto dove si nascondessero i reduci di Neo Zeon che avevano causato loro tanti problemi ultimamente.

Nel giugno 0094, nonostante fosse passato più di un anno dal tentato lancio di Axis sulla Terra, c’erano ancora diversi gruppi armati che facevano capo al Neo Zeon di Char Aznable, sia sul pianeta che nello spazio. A parte qualche eccezione, questi assembramenti isolati (dei quali si aveva notizia anche in Siberia, Sud America ed Europa settentrionale) non avevano la forza di fare più che qualche blanda operazione di guerriglia.

Mancavano loro i soldi e i mezzi, nonostante ricevessero segretamente qualche sovvenzione da parte di, a seconda dei casi specifici, governanti locali che miravano a indebolire il potere federale per non dovergli rendere conto, aziende che venivano danneggiate economicamente dalla politica del Parlamento o gruppi di potere che avevano interesse a usare questi soldati randagi per ottenere qualche vantaggio personale.

L’unità di soldati della quale era a capo Shake era una delle più numerose: contava ben quattordici Desert Doga e tre Geara Tank, fondamentalmente il torso di un Geara Doga montato sui cingoli di un carro armato. Un sistema come un altro per riciclare materiale che altrimenti sarebbe stato da buttare.

Al momento, solo cinque Desert Doga e i Geara Tank, il cui sistema operativo non era stato toccato, potevano essere utilizzati. Il che significava, contro dodici mobile suit federali, sconfitta certa. Era qui che subentrava la figura del consulente attivo.

Essendo il pilota più esperto disponibile, Daniel doveva guidare sul campo le squadre. In effetti, per lui questi reduci di Neo Zeon costituivano un businness notevole. Non erano capaci di fare un cazzo e avevano abbastanza soldi da spendere per lui: una pacchia. A dire il vero, anche tra di loro c’era gente che aveva combattuto durante la Guerra di Un Anno; il problema era che avevano sempre pilotato solo i loro vecchi mobile suit, rimanendo confinati in eterno in quella zona sperduta della Terra, mentre altrove cambiavano i modi di dare battaglia e di progettare le macchine antropomorfe.

Alcuni di loro non sapevano nemmeno cosa fosse un movable frame.

Nonostante la loro esperienza, all’atto pratico, sapevano ben poco di come funzionassero dei mobile suit moderni e di quali tattiche di combattimento si potessero sfruttare tramite essi. O almeno, questo era quanto Daniel voleva far credere loro. Era una questione di sopravvivenza, dopo tutto.

Per certi versi, Daniel era contento quando succedevano queste cose. Gli permettevano di guadagnarsi la pagnotta. Se non fosse stato in grado di fare fuori dodici Jegan con cinque Desert Doga e tre Geara Tank, la sua reputazione sarebbe scesa pericolosamente. E aveva fatto troppa fatica a costruirsi un nome, aiutando di volta in volta una diversa unità zeoniana in qualche parte del globo in cambio di soldi. Raramente le sue missioni duravano più di un mese, ma tendevano a risolvere i problemi. Motivo per cui, qualcuno disposto a dargli un po’ di soldi lo si trovava. La parte divertente di tutta questa storia era che nemmeno lui era un grande luminare di strategia, anzi. La sua esperienza di comando prima di diventare mercenario si era limitata alla guida di una squadra di tre mobile suit, compreso il suo. Però era un newtype e questo gli garantiva una vantaggio sul nemico.

Dopo la morte improvvisa di Lynn, Daniel aveva scoperto che le sue percezioni erano in qualche modo cambiate. Continuava a sentire le vite delle persone che stava per uccidere, ma adesso il suo raggio d’azione non era più a soggetto, ma ad area d’effetto. Non percepiva più l’esistenza del singolo individuo, ma quelle di tutte le persone entro qualche decina di metri da sé. Non aveva mai misurato esattamente. Più si avvicinava a qualcuno con l’intento di attaccarlo, più informazioni su questo soggetto gli entravano in testa. A volte succedeva per più individui e lui tendeva a mischiare le caratteristiche di tutti loro. Poteva quindi succedergli di credere di trovarsi davanti un ragazzo di vent’anni che era nato un quarto di secolo prima e che aveva due figli di venticinque e ventitré anni. O un abile nuotatore che aveva paura dell’acqua. O un estimatore di vini che era astemio.

Questo cambiamento aveva avuto un duplice effetto su di lui. Innanzitutto gli permetteva di anticipare con precisione estrema le mosse de nemico: una volta entrato nel raggio d’azione delle sue percezioni, capiva perfettamente la posizione di chiunque volesse uccidere, meglio che con un radar. Questo gli permetteva di dirigere le operazioni con una precisione inaudita, letteralmente sovrumana. Era stato questo che aveva fatto la sua fortuna. In secondo luogo, l’assoluta mancanza di verosimiglianza delle informazioni che riceveva (almeno quando si trovava a fronteggiare più persone) riduceva moltissimo l’angoscia che provava quando percepiva le loro emozioni mortali.

Nel corso degli ultimi anni, aveva cominciato a ritenere che la morte di Lynn non fosse stata poi un male, visto che gli aveva migliorato la vita sotto più punti di vista. Poi si chiedeva come potesse pensare una cosa del genere di una donna che aveva detto di amare e ricordava di quanto fossero stati falsi i suoi sentimenti. Era ancora come Perceval, in fin dei conti: non aveva decisamente trovato il proprio Graal, e tutto per colpa della sua indecisione.

A volte, si chiedeva cosa avesse causato quel cambiamento nella sua sensibilità di newtype. Sospettava che anche Suzanne fosse collegata a questo evento. Forse la morte delle uniche due donne per cui aveva pensato di provare qualcosa di simile all’amore lo aveva distolto dal singolo individuo, inducendolo a considerare ugualmente inutile tutta l’umanità? Non era tipo da passare chissà quanto tempo in considerazioni tanto astratte. Però era un’ipotesi.

E Chloe… Chloe era stata un imprevisto, in tutti i sensi. Non sapeva esattamente perché se la portasse dietro, ma un qualche bizzarro senso di orgoglio personale gli rendeva odiosa l’idea di parcheggiarla in un istituto per bambini. Non desiderava effettivamente ucciderla, quindi non riusciva a penetrare nella sua mente. Né sapeva se anche lei fosse una newtype: era ereditario? Più che altro, voleva tenersela vicina per togliersi questa curiosità.

***

Erano Jegan Ground Type. Quelli che si stavano avvicinando tre le dune del deserto, con il rossore del sole del tramonto che illuminava le loro armature marrone sabbia, erano senza dubbio dei Jegan per il combattimento in presenza di gravità. Il piano di base era semplice: vista l’inferiorità numerica, era fondamentale ottimizzare le forze. I cinque Desert Doga, divisi in due gruppi, avrebbero fatto da esca, attirando entrambe le squadre nemiche in una zona aperta poco lontana.

Una volta lì, i Geara Tank, opportunamente posizionati, avrebbero aperto il fuoco.

Anche così, era una tattica disperata, ma d’altra parte non era certo possibile affrontare i federali frontalmente e alla base avevano bisogno di tempo per prepararsi ad andarsene.

E poi, Daniel aveva sempre il suo asso nella manica. Ma era ancora troppo lontano per usarlo.

Era fondamentale sfruttarlo in congiunzione con i suoi compagni per un gioco di squadra: come era stato solito dire il suo allenatore nella Longobarda, ‘Per vincere, occorre che il portiere pari, che i difensori difendano, che gli attaccanti attacchino e che i centrocampisti centrocampistino’. Era un peccato non poter applicare sul campo di battaglia la rivoluzionaria teoria della bizona.

L’alta concentrazione di particelle Minovsky, però, impediva la comunicazione via radio e usare il codice morse tramite i monoeye dei Doga avrebbe significato segnalare la propria posizione al nemico. Di per sé, quello non era un problema: considerati questi ostacoli, già da tempo era stato convenuto un codice gestuale che permetteva ai mobile suit di comunicare semplici concetti senza fare rumore né generare luci.

Considerato che stavolta dovevano dividersi in due gruppi, però, era più che altro una questione di istinto. Daniel capì che doveva sfruttare il suo sesto senso per uscirne intero.

Il suo gruppo, ovviamente, era il più piccolo: lui e un altro Desert Doga. Camminando davanti, si diresse nella direzione in cui dovevano trovarsi i Jegan. Non si aspettava di vederli comparire sul panoramic monitor: stava guidando il proprio compagno attraverso delle dune, in modo che fosse possibile nascondersi dietro esse e sparare da posizione defilata. Dopotutto, non dovevano necessariamente abbattere i nemici, quanto piuttosto attirarli.

Li percepì ancor prima di vederli. Sei, come da rapporto degli esploratori. Il secondo gruppo di Desert Doga aveva ricevuto l’ordine di non ingaggiare il nemico finché non avessero sentito i suoni della battaglia. In questo modo, i loro avversari sarebbero stati preoccupati di raggiungere i compagni, e quindi più facili da prendere alla sprovvista.

Daniel alzò lo scudo del Desert Doga, e preparò a sparare lo sturm faust. Shake gli aveva detto che ne restavano pochissimi e bisognava farli contare tutti, dal primo all’ultimo. Approfittando del dislivello del terreno, Daniel sparò. La traiettoria del colpo descrisse una parabola nel cielo che rosseggiava delle luci del tramonto e si abbatté dritta sul Jegan al centro della formazione.

Daniel sogghignò: un bel botto al reattore nucleare e avrebbero salutato tutti quanti. Anzi, era improbabile che dei mobile suit si avvicinassero al nemico senza prevedere questa eventualità, quindi probabilmente si erano disposti in modo da evitare un problema simile.

Il Jegan Ground Type fu centrato in piena testa; il suo addome scoppiò fragorosamente, mentre le braccia venivano catapultate via e frammenti metallici volavano tutt’intorno. Daniel strinse i denti e cercò di non pensare al grido mortale del pilota, un abile giocatore di basket che non aveva mai preso un pallone in mano in vita sua. Come previsto, gli altri RGM-89G si erano allontanati con agilità, sfruttando i vettori di spinta sulle gambe per muoversi sul terreno sabbioso. Si dispersero velocemente, mentre puntavano i beam rifle nella direzione dalla quale era stato sparato lo sturm faust.

Poi, un’esplosione in lontananza.

Fu allora che Daniel fece fuoco. Aveva detto all’altra squadra di attaccare subito con uno sturm faust non appena avessero sentito esplodere il loro: in questo modo, il botto avrebbe attirato l’attenzione e distratto il nemico.

La beam machinegun del Desert Doga sibilò delle lingue di fuoco ardenti, che scavarono solchi mortali in un altro Jegan, che crollò al suolo. Il suo pilota era stato un appassionato di giochi di carte di qualsiasi tipo, che però aveva conosciuto nemmeno le regole del rubamazzo. Mentre i quattro rimanenti si avvicinavano rapidamente, Daniel diede il segnale di ripiegare. Coprendosi la fuga sparando, entrambi i mobile suit di Neo Zeon arretrarono, sempre cercando di mantenersi al riparo delle dune.

Adesso arrivava il difficile: per attirare il nemico in una zona aperta, dovevano prima passarci loro. Proprio mentre stavano per entrare nell’ampia piana sabbiosa dove la trappola era stata allestita (tra l’altro, dopo avere abbattuto un terzo Jegan), Daniel vide i suoi compagni dell’altra squadra avvicinarsi a propria volta al punto concordato. Inseguiti, ma sarebbe stato meglio dire schiacciati, dal nemico. Merda! Quegli incapaci si erano limitati a lanciare lo sturm faust e scappare! Non avevano nemmeno provato ad abbattere qualche mobile suit!

Mentre lui e il suo compagno si ritiravano velocemente nella posizione concordata, due Desert Doga dell’altro gruppo caddero a terra in fiamme, devastati dai beam rifle dei Jegan.

Fu allora che i Geara Tank cominciarono a sparare.

Merda! Troppo presto! Avrebbero dovuto aspettare il momento convenuto! I nemici non erano ancora tutti nella zona giusta e qui si stava rivelando loro la presenza di altri avversari. Due dei Jegan del gruppo ancora a piena forza si separarono dai compagni e si diressero verso i Geara Tank, coprendosi l’avanzata sparando. I tre Desert Doga rimasti erano ormai presi tra due fuochi, contro sei mobile suit nemici.

Daniel spinse al massimo il proprio Desert Doga, mentre le esplosioni dei colpi dei Geara Tank risuonavano alle sue spalle. Era il momento di darci dentro.

Lanciò il proprio mobile suit sulla sabbia sottile, mentre le tenebre calavano sulla battaglia e il sole spariva lentamente all’orizzonte. Si avvicinò rapidamente al gruppo dei quattro Jegan che lo avevano inseguito fin lì, facendo segno al proprio compagno di dare una mano al Desert Doga che si era trovato da solo contro gli altri.

Uno degli RGM-89G alzò il beam rifle per sparare.

Daniel capì al volo che stava cercando di prevedere la sua traiettoria di movimento, in modo che il suo colpo non potesse essere schivato. Ma poteva fare ancora qualcosa. Sollevò rapidamente il braccio destro del Desert Doga, da cui schizzò fuori un cavo metallico. L’heat rod si avvolse attorno al polso di un altro Jegan e la forza dell’accelerazione a cui il mobile suit di Neo Zeon era stato lanciato lo trascinò.

Il colpo del beam rifle della macchina federale centrò il proprio compagno con precisione quasi chirurgica. Daniel lo lasciò andare, allontanandosi un attimo prima che esplodesse. Poi, approfittando della posizione favorevole del proprio braccio destro, fece fuoco con la beam machinegun. Un altro Jegan fu trapassato dai raggi purpurei dell’arma, crollando a terra abbattuto.

Mentre tutto questo accadeva, Daniel cercava di tenersi fuori dalla testa i dettagli delle vite di quelle persone. Erano le solite cose.

Vite comuni.

Vite normali.

Vite insulse.

Uno dei due soldati che aveva appena ucciso era stato padre di una bambina di quattro anni.

Chloe…

Merda!

Era sempre così quando affrontava qualcuno che aveva dei figli: pensava a questi bambini a casa che non avrebbero mai visto tornare un genitore e si chiedeva se, un giorno o l’altro, anche Chloe si sarebbe trovata in questa situazione.

No.

Non se lo sarebbe mai permesso… né perdonato…

Fece scattare in avanti il Desert Doga, mentre vedeva uno dei Jegan gettare al suolo il beam rifle ed estrarre rapidamente la beam saber. Prima ancora che potesse completare quel movimento, lo colpì con una spallata, mandandolo a terra. Poi, si girò di scatto e fece fuoco sull’altro mobile suit federale rimanente, mentre alzava un piede e lo scagliava con violenza sull’abitacolo di quello rimasto al suolo.

Niente male, riuscì a connettere dopo che il dolore che gli devastava il cervello fu passato. Era riuscito ad abbattere da solo quattro Jegan in poco tempo. Non aveva perso il suo tocco. Mentre la testa gli martellava, si girò verso i suoi compagni, ancora impegnati a combattere. Era incredibile che non fossero stati già abbattuti.

Bah!

Però, in un modo o nell’altro, doveva fare tutto lui…

***

"Avremmo potuto prenderlo prigioniero", disse Alan Shake sbattendo una mano sul tavolo della propria scrivania. Perché ha dovuto schiacciare l’abitacolo dell’ultimo Jegan?".

"Direi di no, non avremmo potuto prenderlo prigioniero", replicò Daniel, seduto davanti a lui. La piccola torcia che illuminava la stanza permetteva di vedere poco più che la scrivania stessa, gettando ombre inquietanti tutt’intorno. "Adesso che abbiamo la certezza che l’Esercito Federale conosce l’ubicazione di questa base, dovremmo levare le tende al più presto. Potete permettervi di mantenere dei prigionieri con i vostri scarsi mezzi, e per di più mentre siete in viaggio?".

"Era uno solo e sarebbe stato un investimento", replicò il militare alzandosi dalla sedia. "Comunque sia, avremmo potuto ucciderlo dopo averne tratto le informazioni che ci servivano. Adesso sappiamo solo che i federali ci attaccheranno con forze ancora superiori, e tutto perché abbiamo abbattuto questo contingente!".

"Scusi, ma cosa dovevamo fare? Stare lì a farci ammazzare? Io dico che ci è andata bene a uscirne perdendo solo due Geara Doga e due Tank".

"So anch’io che non avevamo altra scelta, ma questo non cambia che la situazione ormai è critica. Cioè, più di prima. Senza contare che abbiamo ancora un sacco di Desert Doga con il sistema operativo da reinstallare".

"Ho paura che dovrete aspettare per questo. Vediamo di farli muovere così come sono e di sistemarli quando ce ne sarà il tempo, per quanto possibile".

"Grazie tante!", si infuriò Shake, "Non avevo bisogno che venisse lei a dirmi l’ovvio! Ho già dato disposizioni per la partenza, comunque. Non lontano da qui dovrebbe esserci…".

La porta dell’ufficio di Shake si spalancò all’improvviso.

Rachel balzò trafelata nella stanza.

Quasi inciampando in Daniel, del quale non si era nemmeno accorta, sbatté le mani sulla scrivania del colonnello: "Come torno indietro?", chiese fissando i suoi occhi su quelli dell’uomo.

Shake fu per un attimo impietrito da quella faccia.

Poi, si sedette al proprio posto: "So che la cosa non le piacerà, ma non ne ho idea".

"Come sarebbe a dire?", domandò la donna, visibilmente seccata. "Mi trovo nel bel mezzo di un attacco federale e non è necessario essere un soldato esperto per prevedere che non è finita qui. Non sono pagata abbastanza per farmi ammazzare. Io voglio tornare indietro".

"Le faccio notare che l’hanno mandata in una zona di guerra sapendo che lo era. Non le hanno detto quali rischi correva? Al momento, non ho modo di rispedirla al mittente, non vedo che mezzi dovrei usare".

Rachel alzò le mani dalla scrivania solo per mettersele tra i capelli.

Perché doveva restare coinvolta in un casino del genere?

Le avevano detto che sarebbe potuto succedere, sì. Ma non aveva avuto molta possibilità di scelta: era una lavoro e doveva fare quello che le veniva ordinato.

"Ma possibile che non possia fare niente?", sbottò, rendendosi improvvisamente conto che il suo comportamento doveva sembrare isterico. "Ha persino pagato questo tizio qui – indicò Daniel – per fare da ‘consulente attivo’, o che altro è, e lui non è capace nemmeno di arrivare a una soluzione per questo casino?".

"Il ruolo di Wymann non è quello di trovarle un aereo", rispose Shake seccato. "Lui è un consulente attivo: per le scelte che riguardano le battaglie, faccia lui, ‘fiat lux’. Per il resto, ‘sine qua non’, siamo qua noi".

Rachel lanciò al militare un’occhiata disgustata. Non sapeva se essere più seccata per la situazione che si era venuta a creare o per quell’impiego del latino come arma impropria.

Senza nemmeno replicare, uscì dalla stanza.

***

"Merda", mormorò Rachel seduta sul piede di un Desert Doga.

Si stava stringendo le gambe al petto, affondando la faccia nella ginocchia. Si era messa un maglione e un paio di jeans per contrastare la bassa temperatura della notte desertica, ma, alla fine, questo non la faceva sentire granché meglio. Non riusciva ancora a farsi una ragione di questa situazione assurda in cui si era cacciata. Se fosse tornata viva, si sarebbe licenziata. Anzi, no, aveva bisogno di lavorare, e tutto sommato la paga non era male… Però doveva trovare assolutamente degli incarichi meno pericolosi.

"Posso?", le chiese una voce.

Rachel si voltò.

Un soldato.

Indossava i pantaloni e gli stivali dell’uniforme e… quasi nient’altro. Aveva solo una canottiera a coprirgli il torso. Il che era strano, e anche piuttosto stupido, considerato il freddo che faceva.

Era un uomo sulla trentina, dai folti capelli biondi che spuntavano da sotto un cappellino con visiera verde militare. Le lanciò un’occhiata complice e indicò il piede del mobile suit su cui lei era seduta.

Rachel si spostò sulla sinistra, per consentire al nuovo arrivato di sedersi a propria volta.

"Ti chiami Rachel, vero?", disse lui con un sorriso. "Io sono Al. Vuoi?". Le porse un pacchetto da cui spuntava una sigaretta.

"Ho sentito dire che qui non arrivano sigarette", disse lei accettando l’offerta. "Comunque grazie". Si avvicinò all’accendino nella mano di lui e se ne allontanò con la sigaretta accesa.

"Infatti non ce ne dovrebbero essere", rispose Al. "Diciamo che ne tengo io da parte un po’ per le occasioni speciali".

OK, ci stava provando. Forse, in un altro momento, Rachel avrebbe anche potuto considerare l’offerta. Si vive una volta sola, no? In quel frangente, però, era troppo occupata a pensare a come salvarsi la pelle. Non aveva proprio voglia di un uomo che le corresse dietro.

"Senti, oggi non è proprio aria", disse scuotendo una mano mentre anche lui si accendeva una sigaretta.

"Eh, lo so che non è aria", replicò lui tirando una profonda boccata. "Come può essere aria quando rischi la vita? Io vivo così tutti i giorni da anni. Ma non preoccuparti, io ti proteggerò durante questo viaggio".

Patetico.

Era veramente patetico. Il suo tentativo era talmente evidente e sfacciato da essere fastidioso.

In fin dei conti, rifletté Rachel, quello non era esattamente il tipo d’uomo che le piaceva.

"Oggi la luna è bellissima", continuò Al alzando la sigaretta verso l’astro argenteo che sembrava enorme nel cielo del deserto. "Ti piace la luna? Io la trovo molto romantica".

"Odio la luna", rispose lei. "Ci vivo, sulla luna, e la detesto. È piena di delinquenti e le strade, appena si esce dalle vie principali, sono uno schifo. A Von Braun City non funziona un cazzo e ogni tanto ci sono dei black out nelle zone periferiche perché gli impianti elettrici vengono danneggiati da qualcosa che non si è ancora bene identificato. La luna fa cagare, inutile girarci intorno. Generazioni di poeti e scrittori ne hanno intessute le lodi solo perché non ci sono mai vissuti".

Al sembrò capire allora quello che la sua interlocutrice gli aveva già detto. Non era decisamene aria. Scese dal piede del Desert Doga: "Scusa se ti ho disturbata", disse con aria evidentemente seccata. "Ci si vede". Si allontanò in direzione dell’hangar senza voltarsi.

"Forse sono stata un po’ stronza", mormorò Rachel tra sé e sé.

Si tolse la sigaretta dalla bocca e la guardò per un po’, mentre si consumava lentamente.

"Ma sì, vaffanculo", si disse spegnendola poi sul piede del mobile suit.

Non le andava di accettare l’offerta di un uomo che aveva trattato così.

Aveva ancora un po’ di orgoglio, dopotutto. E un pacchetto pieno.

Poi, un rumore catturò la sua attenzione.

Si girò verso la propria sinistra.

Daniel era lì, appoggiato alla gamba del Desert Doga, che stava ridendo sommessamente. Poco a poco, il ritmo del riso aumentò, finché lui si piegò fino a tenersi la pancia, lasciandosi completamente andare.

"Trovi quello che è appena successo divertente?", chiese lei lanciandogli un’occhiata di traverso. Poi vide che c’era anche Chloe, aggrappata a un lembo dei pantaloni del padre.

"Be’, sì", replicò l’uomo smettendo di ridere, ma sempre tenendo un sogghigno indecifrabile sulla faccia. "Ho preso tanti due di picche in vita mia, ma questo era davvero clamoroso".

"Dovresti insegnare a tua figlia che non è carino spiare la gente".

"Non ti stavo spiando. Sono arrivato qui molto prima di te, non è che potessi fare a meno di sentire cosa dicevate".

"Eri qui già da prima di me? Adesso capisco da chi Chloe abbia imparato a nascondersi tre le ombre. E perché non mi hai detto niente?".

"Cosa avrei dovuto fare? Salutarti?".

"Sarebbe stato quantomeno educato. E forse mi avresti risparmiato quel seccatore".

"A dire il vero, ero proprio sul punto di salutarti, quando è arrivato quel tale, poi ho preferito non disturbarti. Non sono poi così maleducato, dai".

"Avrei preferito che mi disturbassi. Comunque, apprezzo la buona volontà. Anche se ho l’impressione che tu non sia intervenuto solo per farti quattro risate".

Daniel sogghignò: "Mia madre lo diceva sempre che a volte sono un libro aperto".

"A volte sei anche un po’ stronzo… Ops, scusa, la bambina".

"La bambina sente in continuazione le bestemmie che tiro io, non si scandalizza per uno stronzo".

Rachel si stese sul piede del Desert Doga, mettendosi le mani dietro la testa: "Ma che razza di padre sei… Come ha potuto la madre di Chloe lasciartela sapendo che eri così?".

"Io più o meno lo so, ma è praticamente da quando è nata mia figlia che non la vedo".

La donna balzò nuovamente a sedere: "Cosa? Come sarebbe a dire?".

"Era l’89, se non ricordo male… Sì, perché Chloe è nata nel marzo del ’90… Dicevo, era l’89. All’epoca, avevo una dimora fissa. Vivevo nella base dell’AEUG su Sweetwater e, dopo la guerra, ero in attesa che l’Esercito Federale mi assegnasse alla nuova mansione. L’Anti-Earth Union Group si stava ormai sciogliendo e a quel punto dovevo limitarmi a qualche missione di pattuglia… Una noia mortale… Be’, anche la madre di Chloe viveva su Sweetwater e anche lei faceva parte dell’AEUG, ma non serviva sulla mia stessa nave. Siamo usciti un paio di volte e poi, dopo che non la vedevo da mesi, lei mi ha detto di essere incinta. Quando Chloe è nata, è venuta nel mio alloggio, me l’ha lasciata lì e se n’è andata senza più farsi vedere".

Rachel aggrottò la fronte: "No, dai… Che storia assurda… Sembra uscita da un raccontino di quart’ordine… Dai, non è possibile…".

"Credi un po’ quello che vuoi… Comunque, sarebbe stato molto più banale se la madre fosse morta, no?".

"Mi stai dicendo che tua figlia è nata da una relazione occasionale? E che sua madre se ne è fregata anche più di te?".

"Più o meno. Il fatto è che aveva subito un trauma infantile che aveva rimosso dalla propria coscienza. Sua madre… intendo la nonna materna di Chloe… tendeva a ubriacarsi e a picchiarla. Quando questa persona è morta, la mia ex amante ha rimosso la sua fastidiosa abitudine, perché inconsciamente voleva vederla come la madre perfetta. Però, la cosa le ha lasciato una paura assurda della maternità. Credo sia stato per questo che ha abbandonato Chloe".

"Che mucchio di balle allucinante… Mi stai parlando come se avessi letto nel pensiero di questa persona. Come puoi sapere delle cose che lei stessa aveva rimosso?".

"Diciamo che avrei evitato volentieri di saperle, ma non ho avuto molta scelta. È l’inconveniente del sesso".

"Cosa? Che c’entra il sesso? Non è che fare sesso con una persona ti permetta di vedere cosa pensa!".

Daniel scoppiò a ridere: "Già, certo. Lascia perdere, non capiresti. Ah, ovviamente, quando mi ha detto che il figlio che aspettava era mio, non le ho creduto sulla parola, ho preteso l’esame del DNA".

Rachel scosse il capo: "Secondo me, ti sarebbe bastato aspettare di vederla crescere. Chloe è il tuo ritratto".

"Non ne avevo il tempo. Tirava aria di trasferimento".

"Sei un tipo strano, sai? Non sembri particolarmente affezionato a tua figlia, eppure te ne prendi cura. Cos’è, un qualche senso di responsabilità?".

"Curiosità, più che altro. Diciamo che ci sono delle cose di cui mi voglio accertare".

Rachel alzò lo sguardo verso la luna. Stava provando una pena quasi angosciante per Chloe. Quella bambina era stata davvero sfortunata. Un padre che la cresceva per curiosità e una madre che, a quanto le era parso di capire, non aveva mai nemmeno conosciuto… Una vita da un campo di battaglia all’altro solo per l’egoismo di un uomo che non l’aveva mai voluta… In un certo senso, quella situazione le fece dimenticare per un attimo il pericolo che correva.

Si girò verso Daniel, che era rimasto muto e immobile: "Non hai più provato a contattare la madre di Chloe? Voglio dire, se avesse cambiato idea, sarebbe meglio lasciarla con lei che portarla continuamente in queste zone di guerra".

"Non saprei come rintracciarla, in realtà. Anche lei ha lasciato Sweetwater quando l’AEUG è stato assorbito nell’Esercito Federale e siamo stati integrati in due unità diverse. Non so esattamente dove fosse stanziata la sua. Sulla Terra, credo. Adesso che ci penso, alcuni membri dell’equipaggio della nave su cui militava sono stati mandati in Europa settentrionale. Forse anche lei".

"Be’, è già qualcosa, no? Prova a contattarla. Conoscerai pure gente nell’Esercito".

Daniel tacque. Sembrò che passasse del tempo a riflettere.

"Ci ho già pensato", disse infine. "Se mi ha mollato Chloe, significa che di lei non le importa. Non gliela lascio".

Rachel spalancò gli occhi: "Ma dai! Hai appena detto qualcosa che ti ha reso un po’ più simpatico! Ma allora una qualche preoccupazione per tua figlia ce l’hai! Magari ti sei anche affezionato a lei, ma non lasci trasparire i tuoi sentimenti perché alle ragazze piace quell’aria da duro? Io personalmente preferisco gli uomini di buon cuore, eh! Non sono il tipo di donna che si innamora degli stronzi, ho poca pazienza per certa gente". Non aveva ancora finito di parlare che si rese conto di ritenere degli stronzi praticamente tutti gli uomini con cui era stata. Non erano stati tanti, ma la percentuale di stronzi lì in mezzo era quasi del cento per cento.

"Cos’è, adesso ci provi tu con me?".

"Sai cosa?", il tono sarcastico lasciava pochi dubbi sul senso delle parole. "Alla fin fine, avresti più possibilità tu di quel tizio di prima. Però credo che lascerò passare questa succosa occasione: non ho voglia di rischiare di lasciarti un altro figlio a cui badare".

Ci fu un lungo silenzio. Era come se entrambi avessero esaurito gli argomenti di conversazione.

Ma fu Rachel a riprendere a parlare: "Comunque, a parte le tue paturnie egoistiche, dovresti pensare all’interesse di tua figlia. È possibile che avere una madre possa rivelarsi vantaggioso per lei… e poi… quanti anni ha?".

"Quattro".

"Ecco, appunto. Tra un po’ dovrà cominciare ad andare a scuola".

"Ho pensato anche a questo. Ed è il motivo per cui vorrei fare quanti più soldi possibile. Conto di tornare su Side 2 tra un annetto, quando dovrei avere un buon gruzzolo da parte. Poi cercherò di trovarmi un qualche lavoro del cazzo. Conosco ancora un paio di persone in una società di calcio in cui ho giocato anni fa: vedrò di riuscire a farmi prendere lì per qualche incarico d’ufficio, o magari per pulire gli spogliatoi".

"No, dai… Adesso non devi dirmi così… Prima ti fai passare per stronzo, poi dici cose che ti rivalutano? Cioè, resti comunque uno stronzo, ma alla fine hai una speranza di redenzione. È molto carino che tu voglia trovarti una casa dove vivere con tua figlia e che stia facendo tutto questo per lei. Però, io resto della mia idea: se tu dovessi morire in battaglia, che ne sarebbe della bambina?".

"Ti ho già detto che non so vivere senza combattere, no? Se sono un mercenario, è anche per me stesso, ho i miei motivi. E comunque, io non ho mai detto che di mia figlia non mi importi, eh… Anzi, aspetta un attimo".

Daniel si chinò sulla bambina.

"Sta sbadigliando", disse rivolto a Rachel.

"Papà…". La voce di Chloe era un sussurro.

"Sei stanca?", le chiese lui.

Lei annuì con la testa.

Daniel la prese in braccio e fece per allontanarsi.

Si girò verso Rachel: "Fossi in te, dormirei un po’. Probabilmente, partiremo da un momento all’altro, appena i soldati avranno finito i preparativi. Sarà una notte lunga e insonne, ti conviene approfittare di un momento libero".

Lei scese dal piede del Desert Doga e si avvicinò al suo interlocutore: "E la bambina?". Lanciò un’occhiata a Chloe e la vide mezza addormentata tra le braccia del padre.

"Io probabilmente mi sposterò su uno dei camion. La terrò in braccio durante il viaggio, non è la prima volta che dorme così. Se dovessi pilotare uno dei mobile suit, la porterò con me nell’abitacolo: nemmeno questa è un’esperienza nuova per lei".

"Senti… Se devi pilotare, lasciala a me. Vedrò di trovarle un posto dove possa stare tranquilla".

Daniel fissò lo sguardo su di lei per qualche secondo: "Perché mi chiedi una cosa del genere?".

"Be’, in una base militare in cui onestamente non mi trovo a mio agio, Chloe costituisce l’unica cosa che mi ricordi una realtà un po’ più… ‘normale’, non so se mi spiego. E mi dispiace vedere una bambina che vive così".

"La porto con me, in ogni caso", rispose Daniel voltandosi, apparentemente seccato.

Girò sui tacchi e se ne andò.

Rachel sbuffò. Ma che aveva detto di male? Era questo che si otteneva a cercare di aiutare la gente? In fin dei conti, quel tizio ERA stronzo.

***

I pesanti passi del Desert Doga rimbombavano nell’abitacolo.

La colonna di mobile suit e veicoli, che si stava muovendo in maniera quasi casuale tra le dune del deserto, era ormai una schiera di fuggiaschi in cerca di chissà cosa.

Prima della partenza, Shake aveva detto di avere una meta.

Già dopo due ore di viaggio, nessuno gli credeva più.

Daniel alzò gli occhi per guardare le stelle attraverso gli schermi superiori del panoramic monitor. Almeno la nottata era serena. Si stavano muovendo verso sud-est. C’erano delle unità di Neo Zeon in Medio Oriente, in effetti. Ma era un viaggio troppo lungo per farlo senza tappe. Se davvero Shake voleva unirsi a loro, doveva quantomeno avere preparato un piano per coprire tutta quella strada.

Poi abbassò lo sguardo e vide Chloe che dormiva tra le sue braccia. Daniel stava pilotando usando solo i pedali: finché doveva limitarsi a muovere le gambe del mobile suit, era sufficiente. Si era preso uno dei Desert Doga ai quali era già stato ripristinato il sistema operativo, in modo che la funzionalità di condizionamento desse all’abitacolo la giusta temperatura.

Sospirò. Ma che cazzo gli era preso? Quella proposta da Rachel era stata una buona soluzione. Sicuramente la migliore nell’interesse della bambina. Cazzo. ‘Normale’. Era stata quella parola a dargli fastidio. Forse non lo capiva bene nemmeno lui. Già. Pensò che un uomo di trentasei anni che facesse il mercenario girandosi i campi di battaglia con la figlia di quattro non fosse esattamente il massimo della normalità. Ma, se nella sua vita c’era qualcosa di ‘normale’, quella era Chloe. E non voleva condividerla con nessun altro. Chloe era la SUA normalità.

Si stupì di se stesso. Non era mai stato geloso di sua figlia. Forse perché, quando andava a combattere, la lasciava sempre con gente che non si curava di lei.

Le scostò qualche capello del viso e la guardò.

Già, gli somigliava davvero.

In tutto?

Scosse la testa tristemente: "Sei condannata anche tu?", mormorò. "Anche tu sei stata colpita dalla maledizione che ti costringe a capire il tuo prossimo meglio che se fosse te stessa? I miei geni ti hanno trasmesso questo fardello?".

Ma perché si trovava all’improvviso a pensare a queste cose?

Ripensò alla propria vita.

Il rapporto conflittuale con suo padre fu la prima cosa che gli venne in mente. Ricordò di avere inviato alla propria famiglia dei biglietti per la sua partita d’esordio in Serie A: nessuno di loro si era fatto vedere. E lui non era stato sicuro che gli avrebbe fatto piacere. Ma a quei tempi era stato felice… be’, quantomeno ci si era avvicinato. Allenarsi era dura, ma poi c’erano le serate in discoteca la domenica, dopo la partita. Non che le discoteche gli piacessero particolarmente, ma almeno c’erano delle donne. E le donne tendevano a darla ai calciatori.

Poi l’Operazione British e la sua famiglia che moriva. Tutti, tranne sua sorella. La guerra che scoppiava, il campionato che si interrompeva e lui che veniva arruolato. Il punto di svolta era stato l’Operazione Tristan. Era stato lì che si era risvegliato il suo vero io. E quella era stata la sua rovina.

"Non svegliarti mai, Chloe", sussurrò.

Ma la bambina si svegliò. Si stiracchiò pigramente tra le braccia di suo padre e poi alzò la testa, incontrando il suo sguardo.

"Ti ho svegliata? Torna a dormire, dai. Il viaggio è ancora lungo, pensa a riposarti".

Chloe lo guardò poco convinta, poi si accoccolò di nuovo tra le sue braccia.

"Papà…", disse mentre aveva già gli occhi chiusi, "Non mi lasciare con quella signorina".

"Non ti ho lasciata con lei. Sei qui con me".

"Lei non mi piace".

"Non preoccupartene. È solo una persona che, alla fine di questa missione, non vedremo più".

"Papà… quella signorina ha detto che tu vuoi trovare una casa. Cos’è una casa?".

"È qualcosa che avremo tra un annetto".

"È una bella cosa?".

"Le cose, di per sé, non sono belle o brutte. Dipende dal rapporto che ci hai. Io penso che tu potrai stare bene nella casa che avremo".

"Sì, ma io voglio sapere cos’è una casa…".

"Diciamo che è un posto che non si muove mentre ci dormi".

"Allora non ci sono mai stata. Andiamo nella casa, papà?".

"Te l’ho detto, tra un annetto. Se sarò ancora vivo, avremo la nostra casa, d’accordo?".

Nessuna risposta. Chloe si era già addormentata. Evidentemente, non si era preoccupata per quel ‘se sarò ancora vivo’. D’altra parte, visto il lavoro che faceva, l’aveva abituata a non contare troppo sul fatto che l’avrebbe rivisto il giorno dopo. Sghignazzò, pensando che Rachel l’avrebbe definita una situazione triste.

Poi si appoggiò allo schienale del sedile e gettò indietro il capo. Vide nuovamente il cielo stellato sopra di sé e pensò a quello che aveva appena detto a sua figlia.

Una casa…

La sua casa era su Side 2… O meglio, su quello che si chiamava Side 2 quando lui ci era nato: anni prima, diverse colonie erano state spostate e i numeri non erano più gli stessi di una volta.

Ma il fatto era che da qualche parte, in direzione delle stelle che stava guardando, c’era il posto in cui era vissuto con i suoi genitori, suo fratello e sua sorella. Che era probabilmente distrutto, visto che era rimasto coinvolto nell’Operazione British… Poi c’era Sweetwater. Era stata in Side 2 quando ci aveva abitato lui, ma poi era stata spostata… dove? Side 3? Non ricordava esattamente.

Il fatto era che doveva tornare ad avere una casa. Per Chloe? Ma chi era Chloe, esattamente? forse per il suo cattivo rapporto con la famiglia, aveva sempre pensato che non bisognasse necessariamente amare i propri genitori. In fin dei conti, lui non aveva chiesto che loro lo fossero, né loro avevano chiesto espressamente che lui fosse loro figlio. I genitori, per come la vedeva lui, erano solo due persone che, per puro caso, ti mettevano al mondo. E allora, perché Chloe avrebbe dovuto considerarlo diversamente? Perché ne avevano passate tante insieme? Sì, ne avevano passate proprio tante.

A volte, Daniel si chiedeva se a cambiare le sue percezioni fosse stata davvero la morte di Lynn. Dopo quell’evento, i suoi ricordi erano confusi. In qualche modo, era finito di nuovo sulla Terra, di nuovo nel corso di una battaglia. Forse aveva inconsciamente cercato di ripetere quanto aveva vissuto con Suzanne, ma stavolta era stato solo. La sua permanenza sulla Terra, stavolta, era durata solo pochi giorni: era ripartito subito con lo Z Plus ed era stato rispedito all’AEUG dall’Esercito Federale. Poi, aveva ricominciato a cercarsi le sue solite avventure da una notte. Non aveva combattuto molto in quel periodo. Nel complesso, poteva dire di avere superato abbastanza presto il trauma della morte di Lynn. Era arrivato a chiedersi come gli fosse stato possibile innamorarsi tanto di lei, al punto di cercare il suicidio.

La nascita di Chloe, anche per le circostanze non proprio perfette, era stata un punto di svolta. Quando aveva saputo con certezza che sarebbe diventato padre, aveva avuto paura. Non sarebbe mai voluto essere come il proprio, di padre. Ma… era successo e basta. Aveva una figlia e, in qualche modo, questo lo aveva cambiato.

Non sapeva ancora come, però.

***

"Fuori di testa…", mormorò Rachel mentre guardava i dati che comparivano sullo schermo del computer. "È assolutamente fuori di testa…".

Seduta al tavolo di quello che era stato l’ufficio del comandante di una base federale, osservava avidamente i numeri e le lettere che comparivano sul monitor. La luce filtrava dalle vetrate infrante della finestra alla sua sinistra, attraverso la quale passavano anche dei lunghi cavi di alimentazione, che si collegavano direttamente al computer. Il pavimento sporco e impolverato, su cui giacevano fogli sparsi e oggetti infranti, lasciava ben capire lo stato di incuria in cui si trovava il posto. La stessa Rachel veniva di tanto in tanto ferita dalle molle che spuntavano dalla poltrona su cui era seduta. Che ci fosse un computer ancora funzionante lì dentro, era stato una specie di miracolo. E, frugandovi alla ricerca di mappe del posto, aveva invece trovato qualcosa di imprevisto.

Il contingente di soldati di Neo Zeon aveva trovato un momentaneo rifugio in una vecchia base abbandonata dall’Esercito della Federazione Terrestre qualche anno dopo la Guerra di Un Anno. Apparentemente, era stata una località segreta, un posto dove venivano fatte cose che non potevano essere lasciate sapere ai comuni mortali. I nativi del luogo, però, l’avevano trovata e, previo adeguato compenso, l’avevano indicata alle truppe di Neo Zeon. Era un posto in cui riposare per un po’, ma niente più: con le truppe federali alle costole, era fondamentale oltrepassare un certo punto. Bisognava arrivare alla prossima frontiera. Il governatore del posto era colui che sovvenzionava quel gruppo sovversivo: una volta nel suo territorio, gli zeoniani si sarebbero potuti nascondere abbastanza agevolmente. Il problema era che nessuno sapeva esattamente dove si trovassero. Di conseguenza, una volta appurato che, per un qualche miracolo, lì dentro c’era un computer che poteva funzionare ancora, Shake aveva permesso che fosse collegato al sistema di alimentazione di un Desert Doga per trarne un po’ di energia.

Ma Shake non apprezzava quello che stava succedendo. Era lì, nell’ufficio insieme a Rachel.

"E allora?", chiese. "Cosa ci sarebbe di fuori di testa? Ha trovato qualche mappa?".

"Nessuna", replicò lei scuotendo il capo. "Ma il disco che c’era nel drive di questo computer contiene qualcosa di allucinante…".

Shake aggrottò la fronte: "E sarebbe?".

"Qualcosa che non dovrebbe esistere… È un sistema operativo per mobile suit… Ma è impossibile… Assurdo… Non capisco come diavolo possa funzionare".

"Senta, per favore… se non c’è quello che ci interessa, lasci stare. Non possiamo permetterci di sprecare energia per qualcosa che non ci tocca direttamente".

"Ma sì, non c’è problema… Mi prendo il disco e lo riguardo dopo sul mio portatile. Però è fuori di testa. Come è possibile che esista un sistema operativo del genere?".

Shake scosse il capo e mise le mani sulla scrivania su cui il computer si trovava: "Ma così, per curiosità… Cos’ha di tanto strano questa roba?".

"Ha presente i newtype?".

"I newtype? Come Char Aznable? Certo che li ho presenti, ma non ho mai capito granché come… uhm… ‘funzionassero’. Voglio dire, credo che non si possa capire cosa sia un newtype senza esserlo".

"Gente dotata di superpoteri, come nei fumetti. È dai tempi della Guerra di Un Anno che si cerca di sviluppare armi per newtype. La Anaheim è sempre stata all’avanguardia in questo campo, fin dai tempi dello Z Gundam. Anche il Sazabi che usava Char Aznable era una macchina per newtype uscita dai nostri stabilimenti. E anche il n Gundam di Amuro Ray. Ma questo è diverso da qualsiasi cosa io abbia visto prima".

"E in cosa sarebbe diverso?".

Rachel staccò per un attimo lo sguardo dal computer e fissò il colonnello. Le piaceva dare spiegazioni per fare sfoggio della propria cultura: "Tipicamente, un sistema progettato per dei newtype, come lo psycommu o il bio-sensor, è costituito da una componente hardware e da una software che lo gestisce. L’hardware serve per interagire fisicamente con il newtype, dato che questi equipaggiamenti si basano sulla ricezione delle sue onde cerebrali… Il software, invece, permette la comunicazione tra l’hardware e il computer, trasformando gli input ricevuti in dati che possano essere elaborati per far funzionare la macchina. Questo disco, però, fa qualcosa di senza precedenti… Contiene un sistema operativo che riproduce gli effetti dello psycoframe che avevamo installato sul n Gundam e sul Sazabi, ma lo fa esclusivamente via software. Non ha un hardware di supporto. Salta uno stadio. Il che è impossibile. Come può elaborare i dati senza che ci sia qualcosa che li riceve? Non può, semplicemente. In questo disco deve esserci qualcosa di sbagliato, ma… Se davvero è inutile, perché il comandante di una base segreta che nessuno conosceva lo custodiva personalmente?".

"Se le interessa tanto, si porti via quel disco, ma non perdiamo altro tempo".

"E la cosa più sbalorditiva è un’altra", proseguì Rachel fingendo di non avere sentito. "Questi dati risalgono alla Guerra di Un Anno. Quindici anni fa. Anzi, sui documenti di testo, le annotazioni sono datate addirittura agli anni ’60. Pare sia stato elaborato in seguito dal suo stesso creatore per essere usato su dei mobile suit, ma non riesco a capire quale dovesse essere il suo impiego originario. Quasi trent’anni fa c’era qualcuno che aveva realizzato una versione molto più complessa di quello che oggi è ritenuto il massimo della tecnologia. Tra l’altro, all’epoca nemmeno si sapeva cosa fosse un newtype, a parte che per alcune teorie di Zeon Zum Deikun".

Shake abbassò la faccia fino a metterla direttamente davanti a quella della donna: "Per favore", scandì come se stesse parlando a una completa imbecille, "Le ho detto che potrà studiare quella roba più tardi. Adesso pensi a ripristinare il sistema operativo ad almeno un altro Desert Doga, poi riprenderemo il viaggio".

***

Altri sei mobile suit. In una mezza giornata di lavoro, tanto era riuscita a fare Rachel.

Il numero dei Desert Doga sistemati aumentava, ma quello che ora interessava a lei era altro.

In attesa che fossero ultimati i preparativi, che avrebbero permesso al gruppo di partire al tramonto, si era messa a sedere nella parte posteriore di uno dei camion della carovana.

Teneva il portatile sulle gambe, guardando con interesse i dati del disco che aveva preso dall’ufficio del comandante della base.

Erano stati protetti, ma il sistema risaliva a parecchi anni prima. Aggirarlo non era stato difficile: il modo per farlo era noto da molto tempo.

Ma era tutto il resto a essere talmente assurdo da risultare incredibilmente affascinante. Rachel guardava i dati di quel sistema operativo e ne era stregata. Completamente. Alcuni file erano in un formato diverso da quelli usati attualmente, ma convertirli non doveva essere un problema. Quello che risultava incredibile era il concept dietro al sistema. Come diavolo era possibile che il computer comunicasse con il pilota senza un hardware fatto apposta?

Rachel frugò freneticamente tra i documenti testuali. Erano un delirio. Il termine ‘newtype’ non vi compariva mai, ma era evidente che ci si riferiva proprio a questo. Anime affini. Era questa la sostanza del discorso?

Quando due persone si conoscono, impiegano tempo per sapere tutto l’una dell’altra. Quando due persone si innamorano, lo fanno per trovare conforto o perché vogliono ferirsi più che in qualsiasi altra situazione. Ma entrambe le circostanze sono imperfette e fallaci: nessun essere umano può veramente conoscere il proprio prossimo e, se anche fosse, l’accettazione sarebbe ancora più difficile, perché vedere la realtà è quanto di più doloroso possa esistere. La ricerca della felicità è la ricerca dell’affinità completa con le persone che ci sono care, ma è ovvio che essa possa passare solo attraverso il contatto. Un contatto di cui nessuno è veramente capace, perché non vi sono due individui che si possano amalgamare perfettamente. Rossana realizzerà il contatto. Lei è la persona migliore che esista, quindi sarà la base. Lei può fare quello che nessun altro può. Lei sarà il perno attorno al quale girerà tutto. Perché lei può comprendere il prossimo senza parole. Rossana comprenderà chi si avvicinerà a lei e lo aiuterà, perché lei sa amare in maniera disinteressata.

Rachel aprì un altro documento. Ecco, questo era quasi comprensibile.

La teoria prevede che un essere umano abbia un’esistenza superiore, oltre quella della carne mortale. Sebbene la scienza non abbia ancora dimostrato la presenza di ciò che le religioni chiamano ‘anima’, essa esiste. Fosse anche la semplice coscienza di sé, è inconfutabile che gli esseri viventi sappiano di essere tali, almeno nel caso di quelli superiori, quali gli uomini. È opinione diffusa che tale ‘anima’ sa la coscienza comune delle cellule che compongono il corpo. Alla morte delle cellule, essa non ha dunque motivo né possibilità di continuare a esistere. Isolando questa ‘anima’ dal corpo prima della morte fisica, e ponendola in contatto con una persona dotata di una simile sensibilità, però, potrebbe essere possibile…

Un mucchio di cazzate. Chiacchiere metafisiche che sembravano partorite da un pazzo. Non tutto quel materiale era completamente estraneo a Rachel. Le parti che teorizzavano l’emissione delle onde cerebrali dei newtype (che non venivano chiamati così, ma la cui natura era chiarissima) le erano familiari. Ma erano immerse in un mare di considerazioni assurde, fondamentalmente delle sparate esistenziali, che forse volevano mettere in collegamento un qualche ideale simil-contolista con la ricerca che chi aveva scritto quella roba stava portando avanti.

Gli esseri superiori si riconoscono tra di loro. È per questo che Rossana saprà capire chi si troverà di fronte. È per questo che potrà comunicare con un proprio simile e dovrà invece limitarsi a prendere senza dare da chi non lo è. L’imitazione di un essere umano diventerà una creatura oltre i limiti degli esseri umani stessi. Una vita artificiale e naturale al tempo stesso, eterna e assoluta, dotata della consapevolezza del dolore e della felicità, che trarrà da tutta l’umanità.

Rossana? Era evidente che quello fosse il nome del sistema operativo. Ma perché nello scritto ci si riferiva a esso come se fosse stato un essere vivente?

Rossana cerca di comunicare. Chi riuscirà a capirla, potrà amarla. Ma solo ad alcuni è dato di capire Rossana e non è detto che l’amore di costoro sia corrisposto: lei sa anche odiare. La nascita dell’essere assoluto passa attraverso tutte queste emozioni, quindi Rossana dovrà provarle, nonostante le conosca già. Quando avrà trovato ciò che gli esseri umani cercano, Rossana diventerà qualcosa di impensabile. A seconda della persona che l’avrà portata a questa conclusione, potrà essere un dio oppure un demone. In ogni caso, sarà un’esistenza al di fuori dai parametri della comprensione comune. Quello che mi interessa è vedere come ci arriverà.

Rachel chiuse definitivamente i file di testo. Era ovvio che lì dentro non c’era niente di utile. Ma non si arrendeva: cominciò freneticamente a esplorare il sistema operativo in tutte le sue parti, frugandone ogni singola cartella, spulciandone ogni singolo file, riscrivendone interi pezzi affinché potesse funzionare su di un mobile suit più moderno…

Perdette letteralmente la cognizione del tempo, mentre le sue dita volavano veloci sulla tastiera del portatile. Ormai era diventata un’ossessione: DOVEVA vedere come funzionasse quella roba. Poi, arrivò a un punto che la sorprese. Quel sistema operativo, una volta installato, poteva essere usato solo se il disco veniva comunque tenuto nel drive. Che assurdità era questa? Perché fare una cosa tanto scomoda? Poi le venne un dubbio. L’hardware. Possibile che… espulse velocemente il disco dal drive e cominciò a esaminarlo. Niente. Era un comunissimo disco su cui era possibile registrare dei dati. Lo inserì nuovamente nel portatile: non c’era tempo per le congetture. Adesso doveva pensare solo a sistemare il software.

***

Le esplosioni rimbombavano per tutta la base, mentre il viavai di soldati e personale non faceva che accrescere il caos.

Facendosi strada tra la gente che, nonostante l’addestramento militare, non sembrava ancora completamente padrona di sé, Daniel si diresse verso il Desert Doga che gli era stato assegnato.

I federali li avevano rintracciati prima del previsto e adesso doveva intervenire insieme agli altri piloti per respingere l’attacco. Quantomeno, ora i Doga utilizzabili erano di più, sette… ma i nemici erano dieci e, apparentemente, dei nuovi modelli.

Sarebbe stata dura comunque.

Daniel si mise a correre, tenendo Chloe per mano. Non aveva il tempo per trovare qualcuno a cui lasciarla: l’unica alternativa era portarsela dietro.

Improvvisamente, si sentì afferrare per una spalla.

Era Rachel: "Sali su quel Desert Doga", disse indicando un mobile suit inginocchiato a una ventina di metri.

Daniel si bloccò per un attimo. Era stato sul punto di salire sull’unità che gli era stata assegnata quando era stato fermato da lei.

"Salire su quello?", domandò perplesso. "E perché?".

"Gli ho fatto il Trattamento Rachel. È lì apposta per te".

Daniel pareva sempre più dubbioso: "Cosa significa?".

"Troppo lungo da spiegare, fidati di me. Usa quel mobile suit".

"Ma come puoi pretenderlo, se non so nemmeno cosa abbia di diverso dagli altri?".

Ignorando Chloe, che si stava mettendo fra di loro, Rachel lo afferrò per il colletto della polo con entrambe le mani: "Ti prego, Daniel. Prendilo come un favore personale che ti chiedo. Non ho tempo di spiegarti cosa ho fatto a quel mobile suit, ma usalo. Se abbiamo una speranza, è quella. Il peggio che ci può capitare è morire, no? Quindi può solo andarci meglio, ti pare? Per favore, fai come ti dico".

Daniel restò impassibile per un attimo. Poi, mise una mano sulla testa della figlia: "Potresti dare un’occhiata a Chloe mentre sono via?".

"Certo", rispose lei sorridendo.

Daniel si chinò, in modo da stare alla stessa altezza della bambina: "Pazienta solo per questa volta, ve bene?".

Chloe lo guardò con gli occhioni lucidi: "Avevi detto che…".

"Per favore, Chloe… È un’emergenza. Solo per questa volta, d’accordo? Quando la missione finirà, non la vedremo più, no?".

Lei mugugnò qualcosa, che Daniel decifrò come un "Sì, però sei uno stronzo".

Amen. Se sua figlia era già sboccata a quattro anni, poteva prendersela solo con se stesso.

Corse verso il mobile suit che Rachel gli aveva indicato.

Lei lo guardò allontanarsi. Un dio o un demone… In quel preciso momento, vedere l’esistenza assoluta di cui parlavano gli appunti era la sua priorità.

***

Nuovi modelli…

Ma nessuno si sarebbe aspettato qualcosa di simile.

Nonostante somigliassero a dei Jegan, questi mobile suit avevano qualcosa di molto diverso.

Sembravano pattinare sul terreno grazie a dei cuscini d’aria che emanavano dalle gambe e dalla corazzatura alla cintola.

Daniel pensò che, in questo, somigliassero parecchio ai Dom che aveva visto durante la Guerra di Un Anno, anche se l’aspetto era molto diverso.

Ma non era questo a preoccuparlo.

Sfruttando la propria agilità superiore, questi Jegan stavano abbattendo uno dopo l’altro i Desert Doga. Il Geara Tank era stato il primo a cadere: non aveva fatto in tempo a sparare nemmeno un colpo di fronte alla velocità di questi nemici.

Uno solo degli attaccanti era stato distrutto: forse troppo sicuro di sé, si era spinto in profondità tra le linee nemiche de era stato circondato. Ma gli altri sembravano avere imparato da questo errore: avevano stretto un fronte compatto e incredibilmente più veloce di quello avversario e avanzavano annientando un nemico a ogni passo.

Mentre tutto questo accadeva, Daniel era ancora alle prese con la propria macchina, la decima del gruppo dei difensori.

Che diavolo aveva?
Perché si muoveva così lentamente?

Era quello il ‘Trattamento Rachel’?

Maledisse se stesso per essere stato a sentirla.

Ma ormai era troppo tardi. I nemici erano rimasti in nove, ma le forze di Neo Zeon contavano ormai un totale di quattro mobile suit ancora operativi.

"E muoviti!", sibilò Daniel rabbiosamente.

Fu solo allora che percepì qualcosa.

Un grido.

Anzi, no… era un ringhio… rabbia… frustrazione…

Si mise le mani tra i capelli e si piegò su se stesso: era come se stesse ricevendo un assalto ai suoi sensi e alle sue percezioni: si sentiva letteralmente il cervello esplodere.

In quel turbinare di sensazioni caotiche, riusciva quasi a distinguere delle parole: "Uomo… uomo… Tu sei un uomo… Tu vuoi solo usarmi. Sei un uomo e, come tale, badi solo ai tuoi istinti più bassi… devi morire".

Ma che cazzo…?

Chi diavolo era?

Era una donna, di questo Daniel era sicuro… Anche se non avrebbe saputo dire come.

Per un attimo, ricordò in quale realtà si trovasse e si guardò freneticamente attorno.

Quei Jegan stavano accerchiando la squadra dei Desert Doga sfruttando la propria mobilità, mentre i mobile suit di Neo Zeon sparavano freneticamente verso avversari di cui non riuscivano nemmeno a seguire i movimenti. Quando un raggio partiva da un Doga, si perdeva nel vuoto immenso del deserto. Quando un raggio partiva da un Jegan, colpiva puntualmente il nemico.

Mentre altri due Desert Doga si schiantavano al suolo accanto a lui, Daniel vide un raggio purpureo sibilargli accanto, sfiorando un braccio del suo mobile suit. L’arto non si staccò per puro miracolo, ma la strumentazioni indicava chiaramente che era fuori uso.

E il Desert Doga non accennava a muoversi.

"Muori!", sibilò la voce. "Tu hai una figlia e la odi! Tu hai una figlia e la sacrifichi! Esattamente come hai sacrificato me!".

"Ma che cazzo stai dicendo?", esplose Daniel all’improvviso. "Chi diavolo sei tu?".

"Io ti odio! Io ti odio come tu odi tutto il mondo!".

"Cosa? Ma chi sei?".

Merda… Si metteva male.

Altri due Desert Doga caddero. Il raggio del nemico stavolta centrò la gamba destra, mandando il mobile suit di Daniel seduto a terra. Non capì nemmeno lui come avesse fatto a evitare di schiantarsi frontalmente al suolo.

"Io ti ho amato davvero", riprese la voce. "Quando ho visto dentro di te, però, ho capito che tu mi vedevi solo come una cavia! E mi hai odiato quando hai capito che tua figlia non era come me!"

"Ma chi cazzo sei tu? Cosa c’entra mia figlia?".

Ci fu un attimo di silenzio, come se la voce stesse riflettendo su qualcosa.

Poi riprese: "Tu hai una figlia?".

"Ma sei rincoglionita? Hai passato tutto questo tempo a parlarmene e adesso mi chiedi se ho una figlia? Certo che ce l’ho!".

Daniel era a malapena consapevole dei raggi che sfioravano il suo mobile suit, facendone saltare prima la copertura della spalla destra, poi metà di quella sulla testa, lasciandone la parte sinistra esposta, il monoeye spento e inerte. Se quei soldati stavano mancando dei colpi contro un avversario fermo, significava che stavano ancora cercando di attaccare i suoi compagni, che evidentemente stavano continuando a muoversi.

"Hai una figlia?", chiese di nuovo la voce.

"Io… sì, ho una figlia".

"Però… la odi".

"No. Non la odio. Io… voglio andare a vivere con lei in una casa".

"Casa… Un tempo io avevo una casa. E una figlia. E un marito". A quest’ultima parola, nella voce comparve una nota di amarezza.

"Ma chi sei?".

"Sono… sono una madre. E una moglie".

Daniel Sogghignò: "Be’, io non sarò un marito, ma sono un padre. E non morirò qui. Come ha detto Rachel, se dovessi essere ucciso adesso, tutto quello che ho fatto per Chloe sarebbe inutile, no?".

"Chloe… Tua figlia…".

"Già, mia figlia".

"Tutto quello che hai fatto per lei… Combattere… Non tutte le tue decisioni sono state per il suo bene… sei stato anche egoista".

"Non si può pretendere che gli esseri umani siano perfetti. È assurdo credere che le persone, fossero anche le persone che ami, facciano sempre quello che tu ti aspetti. Ma ora so cosa voglio. Ora so cosa sia la mia normalità. E voglio che lo rimanga".

"Normalità… La mia normalità era la mia famiglia… Ma poi è stata proprio la mia famiglia a farmi soffrire… anzi, mio marito… Ma era la mia famiglia. La rivoglio".

In quel preciso istante, Daniel si rese conto che tutti i suoi compagni erano stati abbattuti. I Jegan si erano fermati. Tre di essi si stavano avvicinando a lui. Uno dei tre calciò la beam machinegun, strappandola di mano al Desert Doga. Un altro sganciò malamente lo scudo dal braccio sinistro della macchina. Pensavano di prenderlo prigioniero, evidentemente. Ecco perché non l’avevano attaccato. Gli altri Jegan, però, si stavano avvicinando alla base…

Fu un attimo. Il caposquadra dei mobile suit federali, che stava conducendo i suoi sei compagni verso le forze nemiche rimanenti, sentì un bizzarro rumore metallico. Si girò, guardando nel panoramic monitor i tre subalterni a cui aveva ordinato di catturare il pilota del Geara Doga caduto.

Per un attimo, sembrò che il tempo attorno ai tre si fosse congelato. Le sagome dei Jegan circondavano il mobile suit di Neo Zeon, impedendo di vederlo con chiarezza.

Poi, qualcosa esplose.

Fu come se un’eruzione vulcanica si fosse improvvisamente scatenata nel bel mezzo dei mobile suit.

Tutti e tre i Jegan vennero scagliati in aria insieme a una gran nube di sabbia, mentre i loro corpi si fracassavano come sotto l’effetto di un tornado che li squartava con una potenza prorompente.

Poi, una luce.

Una singola, piccola, penetrante luce rossa.

Un monoeye acceso, fisso e minaccioso come l’occhio del destino.

Il Desert Doga, con la parte sinistra della corazzatura della testa distrutta, era lì, in piedi, in mezzo alla sabbia che turbinava ancora, mentre attorno a lui piovevano i pezzi di lamiera che erano le carcasse dei tre mobile suit federali.

I piloti federali restarono per un attimo paralizzati.

Che diavolo era successo?

Perché i loro compagni erano stati distrutti?

E poi… come poteva quel Geara Doga restare in piedi?

Erano chiaramente visibili i danni alla sua gamba e al suo braccio… non sarebbe dovuto essere in grado di muovere quegli arti. Eppure, stava camminando lentamente per uscire dalla nube di sabbia che esso stesso aveva sollevato.

Due dei Jegan rimasti alzarono i beam rifle e fecero fuoco. I loro raggi attraversarono il vuoto.

Il Doga era sparito.

Qualcuno sollevò la testa e lo vide.

Come diavolo aveva fatto a saltare così in alto? Non ci sarebbe potuto riuscire nemmeno se fosse stato a piena efficienza, men che meno con una gamba in quelle condizioni.

Raggi purpurei sibilarono attorno alla sagoma del mobile suit di Neo Zeon, senza mai riuscire a trovare il bersaglio. Era come se riuscisse a spostarsi in volo, anticipando di un istante le traiettorie degli attacchi nemici.

Quando il Desert Doga atterrò, si trovava al centro della formazione dei Jegan.

Aprì la mano e la vibrò con forza contro uno dei mobile suit nemici.

Come sospinto da un’ondata invisibile, l’avversario venne sbalzato via, mentre il corpo del suo Jegan crollava in pezzi.

Poi, il Desert Doga si girò rapidamente e fece la stessa cosa con il nemico alle sue spalle. Stavolta, la macchina antropomorfa si andò a schiantare contro un suo compagno, facendogli fare la stessa fine.

Il Desert Doga si spostò di lato, giusto in tempo per evitare il fendente di una beam saber vibrato dal Jegan alle sue spalle.

Approfittando dello sbilanciamento del mobile suit nemico, Daniel lo colpì al petto con un calcio, spendendo la sua carcassa a schiantarsi al suolo.

Poi, il Doga color sabbia si girò verso i due avversari rimasti.

Erano immobili.

Uno dei due sollevò il beam rifle.

Il Desert Doga lo scagliò via colpendolo con una mano e si avvicinò al mobile suit. Alla testa, un Desert Doga era poco più alto di un Jegan. Con quel monoeye scarlatto brillante, sembrava colossale.

Alzò minaccioso una mano.

Poi la calò con forza.

La macchina federale crollò in pezzi, schiacciata come una lattina vuota pressata sotto un piede.

L’ultimo Jegan rimasto si girò velocemente e fece per fuggire.

Con un balzo che sfidava la forza di gravità, Daniel lo raggiunse, afferrandolo per un polso. Con un deciso movimento del braccio, lo scagliò in aria.

Aspettò che ricadesse fino all’altezza giusta. Menando con la mano un fendente impossibile, lo tagliò in due al livello della cintola.

***

Mentre i soldati di Neo Zeon che vedevano avvicinarsi il Desert Doga di Daniel erano letteralmente a bocca aperta.

Alcuni esplosero in grida di gioia, altri erano semplicemente ammutoliti.

Quando il mobile suit fu arrivato nei pressi della base, accadde qualcosa.

Sembrò che le giunture e la parti danneggiate, che erano rimaste insieme fino ad allora per un qualche miracolo, cedessero di schianto.

Il Desert Doga crollò al suolo con un fragore assordante.

"Papà!", gridò Chloe correndo verso il mobile suit facendo lo slalom tra gli adulti attorno a lei, mentre Rachel cercava disperatamente di starle dietro. Arrivarono vicino al piede del Doga, prima di vedere l’abitacolo che si apriva.

La figura di Daniel ne uscì goffamente, saltando a terra con un balzo insicuro.

Chloe gli abbracciò le gambe e scoppiò in lacrime.

Lui ne sembrò a malapena consapevole.

"Tutto a posto?", chiese Rachel, raggiungendolo trafelata.

Il terzo ad arrivare, sempre di corsa, fu Shake: "Comincio a capire perché lei sia tanto richiesto", commentò. "Ma come diavolo è riuscito a fare dei numeri del genere? Un Desert Doga non dovrebbe essere in grado di muoversi a quel modo…".

Non ci fu risposta per alcuna domanda.

Daniel crollò al suolo.

***

Daniel si svegliò con un gran mal di testa.

Si guardò attorno disorientato.

La prima cosa di cui si rese conto fu che era stato adagiato su di una branda immediatamente al di fuori della base dove si erano fermati. Attorno a lui, i soldati sembravano essere intenti a preparare una nuova partenza. Il che era anche prevedibile.

La seconda cosa di cui si accorse fu la presenza di Rachel e Chloe accanto a lui.

"Sono stata brava, eh?", domandò la donna.

Daniel si mise stancamente a sedere: "Nel senso che ti sei presa cura di Chloe mentre io ero via?".

La bambina mugugno qualcosa e afferrò il padre per un lembo della polo. Lui le carezzò lentamente la testa.

"Anche", rispose Rachel. "Però devi ammettere che il mio trattamento personale su quel Desert Doga non è stato niente male, eh?".

"Ma che cazzo era? Quella voce là dentro era opera tua?".

"Eh? Voce? Quale voce?".

"Rossana", replicò Daniel, senza sapere nemmeno lui come facesse a conoscere quel nome.

Rachel spalancò gli occhi. Un newtype. Era andata così… Rossana aveva comunicato con un newtype e quello era stato il risultato.

"Daniel…", chiese avendo quasi paura a farlo, "Tu… sei un newtype?".

"Così dicono", rispose lui scuotendo il capo. "Quel sistema operativo ha a che vedere con questo?".

"Sì. Decisamente sì".

"È qualcosa che mi ha rimestato nel cervello in qualche modo?".

"No… non credo, ma… cosa ti è successo esattamente?".

Cingendo con un braccio le spalle di Chloe (senza nemmeno capire bene perché), Daniel raccontò a Rachel quello che era accaduto durante il combattimento. Le disse di come avesse percepito quel sistema operativo alla stessa maniera che se fosse stato un essere umano e di come, dopo averlo inizialmente rifiutato, Rossana lo aveva accettato sapendo che era padre. Nonostante stesse parlando di cose che non aveva mai raccontato, questo non lo infastidì più di tanto. Forse aveva passato troppo tempo tenendosi dentro qualcosa che avrebbe voluto esprimere. E si ritrovò a pensare che, forse, le difficoltà nel comunicare derivava più dal non volerlo fare che dall’impossibilità di farlo.

Dopo avere ascoltato il racconto, Rachel incrociò le braccia pensosamente. "Sai che io non ho mai studiato direttamente il materiale sviluppato per i newtype? Conosco la teoria, ma di quella roba si occupa un’altra divisione. E, da quanto dicevano i miei colleghi, mi ero fatta un’idea delle cose molto diversa da quella che ho adesso".

"Sì? E cosa ci sarebbe di tanto diverso?".

"Be’… alla Anaheim ti spiegano solo che un newtype è un tizio che ha delle onde cerebrali diverse da quelle di un essere umano". Si morse il labbro, capendo di avere fatto una gaffe. "Volevo dire di un non-newtype".

Daniel sghignazzò: "Non importa. Ho sentito dire cose del genere parecchie volte".

"Uh… be’, scusa lo stesso. Dicevo, alla Anaheim ti spiegano giusto quello che serve fisicamente per far funzionare le armi per newtype. La teoria secondo cui le onde cerebrali non vengono bloccate dalle particelle Minovsky e possono quindi essere usate per muovere a distanza delle derive con le quali effettuare degli attacchi a tutto campo. È un concept derivato direttamente dalle ricerche che l’Istituto Flanagan fece per l’Esercito Regolare di Zeon, che portarono alla nascita di armi come gli INCOM e i bit. Oggi esistono delle strutture che consentono di ricorrere agli INCOM anche ai comuni soldati, ma roba come i bit o i funnel continuano a essere esclusivo appannaggio dei newtype. Però… non avevo mai pensato che questo potesse avere degli effetti così drastici sulla mente di chi ne faceva uso".

"Suppongo che non avessi nemmeno gli strumenti per farlo".

"In effetti, no. Ma, se solo ci avessi pensato un po’ su, forse ci sarei arrivata. Avevo letto una documentazione riguardo uno psycommu system impiegato durante la Guerra di Un Anno, che tendeva a causare forti emicranie ai newtype che lo usavano… Insomma, volendoci riflettere, era chiaro che non fossero tutte rose e fiori".

Daniel prese in braccio Chloe, come a voler cercare sicurezza in quel contatto : "Durante l’ultima guerra, incontrai un ufficiale che mi disse una cosa strana… Era un newtype anche lei… sì, era una donna… Mi raccontò che, tanto tempo fa, le era stato detto che quelli come noi potevano rappresentare la speranza che gli esseri umani si capissero a vicenda semplicemente volendolo. Ma lei era arrivata alla conclusione che nessuno vuole veramente capire il prossimo. Lei stessa era fuggita da questa sua possibilità per anni, per paura di quello che avrebbe visto se avesse cercato di comprendere le persone che le stavano attorno. Forse questo è vero non solo per i newtype. Forse anche chi non lo è potrebbe superare i problemi di comunicazione semplicemente parlando e dicendo quello che pensa, senza farsi condizionare dalla paura. Alla fine, gli esseri umani non sono che animali che badano al proprio interesse immediato, esattamente come tutti gli altri. Non dobbiamo necessariamente vergognarcene… però, se vogliamo, abbiamo una possibilità in più, anche se non siamo newtype".

"Stai dicendo che alla fine i newtype non sono tanto diversi da chi non lo è?".

"Sto dicendo che non sono semplicemente gente che muove funnel con il pensiero. E che non sono necessariamente ciò che vorrebbero essere".

"Io… voglio dire… non è che ritenessi i newtype persone senza emozioni, però li avevo sempre visti come parte del mio lavoro, nient’altro. Cioè, quando vendi qualcosa a un cliente, non ti preoccupi di come si senta, no?".

"Non dico che tu debba farlo. Ognuno ha i suoi problemi ed è assurdo pretendere che gli altri si interessino ai tuoi. A ciascuno i propri guai sembrano sempre i più gravi, so che è banale dirlo. Ma non fraintendere, non è che un newtype sia una persona perennemente sofferente, eh… O almeno, io non lo sono. È semplicemente qualcuno che ha qualche problema, come tutti".

Rachel sorrise: "Sai, dopo averti sentito dire queste cose, immagino che tu sia davvero un newtype. Anche se sembrerebbe un discorso sensato alle orecchie di chiunque, credo che ci siano pochissime persone a metterlo in pratica. Alla fine, chi ha qualcuno a cui tiene preferisce far pesare su di lui i propri problemi e usarlo come una valvola di sfogo per le proprie frustrazioni… anche quando non ne è la causa. Il fatto è che gli esseri umani sono deboli e non sono in grado di vivere senza appigli".

"Come puoi comprendere, per me è piuttosto difficile far capire a qualcuno quali siano i miei problemi, dato che la maggior parte delle persone che ho incontrato non ha lo stesso metro di paragone… Anzi, ne ho incontrata solo una che lo avesse. Ma forse, pensando a lei, in questi anni non ho fatto altro che cercare qualcuno che potesse sostituirla, senza rendermi conto che io stesso avrei potuto fare qualcosa per aiutarmi. Non è necessario che il tuo prossimo sia identico a te perché abbia la sensibilità di capirti. Credo che sia perché mi ero dimenticato di questo che ho avuto certi problemi. Comunque, al momento, li sto mettendo da parte. Mi basta non farli pesare su Chloe, degli altri non mi importa".

"Non pensavo che avrei detto una cosa del genere di chi ha ucciso tanta gente, ma… sei una brava persona, sai?".

"Chi, io? E perché mai? Perché ho ucciso tanta gente e tu sei misantropa?".

"Perché ti sei trovato nel bel mezzo di una guerra e hai fatto ciò che non potevi evitare… forse hai perso qualcosa lungo la strada, ma sento che hai la volontà che serve per recuperarlo, anche grazie a tua figlia".

Daniel scoppiò a ridere: "Sì, forse". Strinse Chloe a sé. "Forse", ripeté. O forse, pensò, stava semplicemente usando la bambina come un appiglio… E questo non cambiava la sua debolezza.

"Per certi versi, io ti invidio. Sono diversa da te. Mi sono iscritta all’Istituto di Ingegneria di Von Braun City perché i miei genitori erano convinti che lì avrei potuto ottenere un’istruzione che mi avrebbe permesso di trovare un lavoro sicuro… Anche se significava allontanarmi da casa, feci quello che mi dissero… Principalmente perché non volevo dare loro un dispiacere, nonostante la cosa dispiacesse a me… Poi, quando la Anaheim Electronics divenne praticamente proprietaria della scuola, feci uno stage su di un incrociatore federale, dove conobbi una persona che svolgeva il lavoro che un giorno sarebbe stato il mio. La presi istintivamente a modello… Forse, al momento, pensavo che, essendo più esperta di me, potesse insegnarmi molte cose… Ma adesso sono arrivata a credere di avere semplicemente cercato un appiglio, proprio come te. Ho fatto quello che mi hanno detto i miei genitori, ho fatto quello che mi ha detto quella persona, ho fatto anche quello che mi hanno detto gli uomini con cui sono stata. Sono sempre stata abituata a fare quello che mi veniva detto, perché, per un qualche strano motivo, mi era stata inculcata la convinzione che fosse l’unico modo per farmi apprezzare. Forse questo mi aveva fatto perdere la capacità di scegliere quello che volevo fosse importante per me, prendendo semplicemente ciò che mi arrivava e definendone il valore sulla base delle persone che mi stavano attorno. Ma è più probabile che fossi troppo occupata a farmi amare dagli altri per amare me stessa. Avrei decisamente dovuto pensare di più a quello che davvero volevo. Credo che adesso questo sarà il mio unico scopo: inseguirò ciò che davvero desidero e farò tutto quanto sarà in mio potere per non farmelo sfuggire".

"E adesso cosa desideri?".

Rachel sembrò pensarci un attimo, poi rispose: "Be’, sono quattro anni che cerco di smettere di fumare, ma non sono mai riuscita a trovare abbastanza forza di volontà, suppongo… Finirò il pacchetto di sigarette che ho adesso e poi ci proverò seriamente".

"Se stare vicino a un newtype ti fa questo effetto, dovresti starci più spesso", disse Daniel sarcastico.

"Ma falla finita!", replicò lei colpendolo alla spalla con un debole pugno.

Bastò a farlo piegare: "Ehi, guarda che sono ancora pieno di lividi!".

Rachel sorrise: "Sai, credo che sia bello dare sfogo alla propria logorrea ogni tanto".

"Sono d’accordo. Non si trova spesso gente disposta ad ascoltare questo mare di cazzate".

Risero entrambi di gusto, senza sapere esattamente perché.

Chloe era l’unica a non divertirsi.

Si rifugiò ancora di più tra le braccia di suo padre.

Non sapeva se quella situazione le piacesse o meno…

***

Rachel spalancò gli occhi. Impossibile. Assolutamente impossibile.

Era tornata a sedersi nel retro del camion sul quale si era già messa in precedenza e aveva aperto nuovamente il proprio portatile. Perché aveva da fare qualcosa di più interessante che reinstallare i sistemi operativi dei Desert Doga.

Quando aveva inserito nuovamente il disco di Rossana nel proprio computer, ciò che era comparso sullo schermo era stato anche più incredibile di quanto aveva visto inizialmente.

I dati all’interno del disco erano cambiati. Come diavolo era successo? In precedenza, lavorando alle modifiche da apportare al sistema operativo per renderlo compatibile con i mobile suit moderni, si era accorta che sarebbe potuto funzionare solo tenendo il disco stesso nel drive della macchina su cui sarebbe girato e che alcuni dei file da convertire interferivano con questa funzione, con il rischio di rendere il programma inutilizzabile. Il che aveva reso sostanzialmente inutile creare un’altra versione del sistema: doveva essere usato quell’esemplare specifico.

Resasi conto di questo, Rachel aveva installato sul computer del Desert Doga su cui aveva già messo Rossana un programma che convertiva i file fastidiosi in tempo reale. Sorprendentemente, questo non aveva nemmeno rallentato le funzioni della macchina; nemmeno lei aveva ben capito perché.

Adesso, però, le cose sembravano essersi complicate.

Era come se qualcuno avesse scritto dei nuovi dati sopra quelli già presenti nel disco. In effetti, il disco in questione era riscrivibile. Ma perché mai Daniel avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Nel bel mezzo della battaglia, per di più. Come era possibile che si fosse riscritto da solo? Doveva esserci qualcosa che attivava questa funzione…

Ma come le era potuto sfuggire al primo esame?

Impiegò qualche secondo a rendersi conto che Al era di fianco a lei. Se non fosse stato che stavolta indossava la giacca dell’uniforme di Neo Zeon, aperta sul davanti e con le maniche arrotolate, sarebbe stato identico a come lo aveva visto la prima volta.

"No, senti…", gli disse muovendo la mano con un gesto stizzito. "Mi dispiace per la mia scortesia, sia per l’altra volta che per adesso… Però in questo ìomento ho veramente delle cose urgenti di cui occuparmi".

"Anch’io", rispose lui. "E comunque, non sono qui per lo stesso motivo per cui ti ho cercata l’altra volta".

Rachel lo guardò un po’ sorpresa: "Ah, no? E perché, allora?".

Al sghignazzò, come a voler dare di sé l’idea di qualcuno che la sapesse lunga: "Ho sentito dire che hai trovato qualcosa di interessante nella base".

"E se così fosse?".
"Oh, vedi, il punto è semplicemente che quella potrebbe essere roba mia. Perché, vedi, Rossana mi appartiene per diritto ereditario".

Quasi a volerlo proteggere, Rachel fece per chiudere il computer. Poi si diede della stupida: questa azione aveva dimostrato che lei sapeva di cosa Al stesse parlando. Ma come poteva saperlo?

Sembrò che lui rispondesse al suo pensiero: "Mio zio era un generale federale che si occupava anche di alcuni progetti segreti. Quello a cui teneva di più era un sistema operativo che potesse permettere di pilotare un mobile suit in maniera estremamente efficiente. Era anche interessato alle ricerche sui newtype, non perché volesse usarle per il bene dell’Esercito, ma perché pensava di venderne i risultati al miglior offerente. Fu per questo che buona parte della sua carriera militare dalla Guerra di Un Anno in poi ebbe a che vedere con certa gente".

Rachel si ritrasse istintivamente. Quell’uomo le sembrava ora tremendamente sinistro.

Al si avvicinò per mantenere inalterata la distanza fra di loro e proseguì: "Quello che tu stai esaminando è ciò che mio zio chiamava OOPART. In realtà, gli diede questo nome molto tempo dopo averlo visto per la prima volta, solo quando si rese conto che era stato un programma in anticipo sui tempi. Perché, vedi, mio zio affidava buona parte delle proprie ricerche sui sistemi operativi a un pazzo geniale, un tale Gerard Kemp. Che io sappia, era in manicomio fino a un paio di anni fa, ma non ho idea di dove sia finito adesso. Rossana è il primo stadio di un sistema operativo rivoluzionario, ma a mio zio non piacque, perché poteva essere usato solo da dei newtype. Fu per questo che si aspettava da Kemp qualcosa che fosse alla portata di piloti qualsiasi. Ma alla fine, nonostante tutti i tentativi, Rossana rimase l’esperimento meglio riuscito. Il gran numero di armi per newtype sviluppate durante la Guerra di Gryps fece capire a mio zio che questo sistema operativo poteva essere una fonte di guadagni enorme… Il problema di mio zio, però, era il suo essere irrimediabilmente stronzo. Quando il suo testamento fu aperto, all’inizio dell’88, nemmeno lui sapeva esattamente dove fosse finito l’OOPART. Anzi, secondo me pensava fosse irrimediabilmente perduto e proprio per questo ha invitato me e gli altri suoi eredi a cercarlo. Una delle sue solite vendette da imbecille… Una ripicca per chissà cosa gli avevano fatto i suoi parenti…".

Rachel deglutì. Quel tizio le stava presentando le cose come se fossero stato troppo facili. Rossana non era così facilmente controllabile e soprattutto… Era replicabile? Poteva essere copiato in qualche modo? Aveva un’effettiva utilità in battaglia? Il sistema operativo di cui stava parlando non era affatto semplice da gestire per il pilota... E se lo zio avesse saputo tutto e questo fosse stato il suo ultimo scherzo?

E poi… Gerard Kemp… Era stato il capo dello staff tecnico dell’Utrecht… Lui… La persona che aveva progettato il sistema operativo del Blossom, secondo quanto le aveva detto le professoressa Raimondi. Quello stesso sistema operativo del quale le era stato rivelato pochissimo, mentre lei aveva lavorato sui computer dei GM. Ricordava che c’erano state delle circostanze strane che avevano determinato la distruzione del GP00… David, con il quale aveva avuto una breve storia all’epoca, gliene aveva parlato, tra mezze parole e racconti estremamente confusi… Il nome di Alice… C’entrava qualcosa con Rossana? Rachel stava cominciando a mettere insieme qualche pezzo di un puzzle molto più grande di quanto si fosse immaginata. Era incredibile quanto beffardamente i fili del destino si stessero intrecciando.

"Tu conosci l’esatta natura di Rossana?", domandò con un fil di voce.

"Più o meno", replicò Al. "Vuoi saperla anche tu? E perché no? Alla fine, sarà sufficiente che tu mi consegni il disco… Sembra che Kemp fosse riuscito a trovare quello che generazioni di filosofi e scienziati hanno cercato. Kemp ha isolato la scintilla vitale. L’anima, se vogliamo. Un’anima chiusa in un supporto ottico. Non era la semplice riproduzione di schemi mentali di un essere vivente, era una vita vera e propria trasferita in un oggetto. Non essendo più nel corpo, questo moriva. Ma non era un’anima qualsiasi. Rossana era la moglie di Kemp e, a quanto ne sono riuscito a capire, era una newtype. Questo significa che nel disco che hai trovato non è presente una semplice esistenza umana, ma una mente capace di comunicare istintivamente con il prossimo, comprendendolo ed entrandovi in contatto".

Rachel si alzò in piedi. Per quanto folle potesse essere, adesso la faccenda sembrava acquisire una qualche logica. Il disco non aveva bisogno di hardware perché comunicava con il pilota attraverso i poteri newtype dell’anima che vi era stata trasferita… Rabbrividì. Non si era mai veramente posta il problema di cosa fosse un newtype. Le era stato detto che questi esseri umani assurdi, che andavano sotto tale fantasiosa denominazione, avevano dei poteri strani. Le era stato detto che potevano controllare a distanza delle armi tramite le proprie onde cerebrali e che, sempre grazie a esse, potevano interfacciarsi con certi sistemi elettronici per pilotare dei macchinari usando solo il pensiero. Questo era quello che insegnavano alla Anaheim Electronics. Niente di più, niente di meno: erano le informazioni necessarie per fare soldi sui freak chiamati ‘newtype’. Ma… dopo avere visto le condizioni di Daniel quando era sceso dal Desert Doga, dopo avere parlato direttamente con lui e dopo avere sentito questi discorsi sul collegamento mentale, si stava chiedendo se davvero questi newtype non fossero niente più che armi da usare in battaglia.

Cosa significava essere un newtype? Come si sentiva un uomo che poteva percepire l’animo dei suoi simili? Lei stessa aveva spesso pensato che le persone fossero cattive e intrattabili. Tutti dicevano ‘Ho un carattere difficile’… E quando mai si incontrava qualcuno con un carattere facile? Un newtype poteva vedere oltre tutto questo? Poi, d’improvviso, le venne in mente quello che Daniel le aveva detto circa la madre di Chloe e il suo trauma infantile. Lui l’aveva visto? Le aveva letto nel pensiero quelle cose terribili di cui nemmeno la diretta interessata era stata consapevole?

"Sei rimasta paralizzata dalla rivelazione?", la canzonò Al con un sorrisetto. "Ora gradirei piuttosto che tu mi consegnassi il disco. Sai com’è, sono soldi e negli ultimi anni ho seriamente pensato che procurarmi quella roba fosse impossibile".

"Impossibile?", Rachel strinse a sé il portatile. "Perché nemmeno tuo zio sapeva dove fosse?".

"Eh, già. Ma ti dirò, è stata una fortuna che il fratello di mio zio, cioè mio padre, si sia sposato su Side 3. Ed è stata una fortuna che i miei genitori si siano trasferiti su Axis dopo la guerra di indipendenza e che noi si sia tornati proprio quando quell’idiota è morto. Ma le indicazioni che il caro zietto aveva lasciato erano frammentarie… Riteneva che una copia di Rossana potesse trovarsi negli alloggi di Kemp su Side 3; purtroppo, commisi l’errore di lasciare in giro le mie annotazioni, con il risultato che il mio diretto superiore se ne impadronì e guidò personalmente una spedizione per cercare di recuperare questa roba, che evidentemente lo interessava. Fortunatamente, la missione fallì a causa dell’intervento di un contingente dell’AEUG e questo mio superiore, che non aveva certo rivelato ai suoi subalterni cosa fosse andato a cercare, fu catturato. Poi seppi che era morto durante la prigionia. Ebbi modo di recarmi a casa di Kemp solo dopo il conflitto e non trovai niente di interessante. Secondo il testamento di mio zio, c’era solo un altro posto dove si sarebbe potuto trovare l’OOPART: la base in cui siamo stati. Pare che Kemp vi abbia passato qualche anno dopo la fine della guerra di indipendenza. Naturalmente, io avevo già abbandonato ogni speranza. Non pensavo certo che in questa base si potesse trovare ancora qualcosa di integro… Eppure, quando mi hanno detto che avevi rinvenuto un programma funzionante, non ho potuto fare a meno di pensare al testamento… Non c’è che dire, sono stato davvero fortunato. E adesso, se vuoi consegnarmi il disco… Ah, naturalmente devi darmi anche il computer, giusto per accertarmi che tu non abbia copiato il materiale da qualche parte...".

Rachel fece un altro passo indietro, solo per sentire la propria schiena contro la parete del camion. "Il computer mi serve per lavorare", disse.

Al scosse il campo: "Mi dispiace, temo che dovrai farne a meno. Se vuoi, spiegherò ai tuoi superiori che te l’ho rotto io e te lo ripagherò. Non preoccuparti, non ho intenzione di farti del male. Voglio solo assicurarmi che i miei potenziali clienti non possano comprare quella merce da altri".

Tese la mani, come a voler ghermire il portatile che la donna stava avvolgendo tra le proprie braccia.

Lo afferrò e tirò con forza verso di sé. La lotta fu breve: Al era decisamente più forte di Rachel. Ma questo non era necessariamente un bene. Nessuno dei due capì esattamente come andarono le cose: Al strappò il portatile dalle braccia di lei, ma, in qualche modo, perdette l’equilibrio. Forse per gli strattoni di Rachel, forse per l’instabilità del camion, il computer gli scivolò di mano. Ad Al parve di vederlo cadere al rallentatore. E, sempre al rallentatore, lo vide rompersi in pezzi. Vide il drive laterale sbalzato al di fuori dell’elaboratore, insieme con il disco che conteneva. E vide anche quello che si frantumava.

Un attimo dopo, l’uomo si gettò a terra, cercando disperatamente di raccogliere i frammenti dei supporto con le mani. Con gli occhi spiritati, frugava freneticamente tra i pezzi del computer, cercando quanto restava del disco, sogghignando disperato ogni volta che ne trovava un minuscolo frammento. "I miei soldi…", mormorò con un fil di voce. "Non è possibile… Io dovevo entrare in possesso dell’OOPART… Ma perché è dovuta andare così? Ma perché si è dovuta risolvere in maniera tanto banale?".

Camminando lentamente, Rachel scese dal camion. Decisamente, Al non aveva tempo per curarsi di lei. Mentre si allontanava dal veicolo, era combattuta. Da una parte, le dispiaceva di avere perso il computer. A parte il fatto che avrebbe dovuto renderne conto ai suoi superiori, non avrebbe più potuto proseguire i suoi studi. Dall’altra, la confortava avere qualcosa che le avrebbe occupato il tempo per un bel po’. Si infilò la mano destra in una delle tasche degli shorts e tastò con soddisfazione il disco che vi aveva messo dentro. Era stato un bene che Al non si intendesse granché di computer. Non aveva capito che i dati che era stata intenta a guardare erano semplicemente una versione testuale estratta dal supporto originario, che non era stato presente nel drive. Né che il disco nel computer era quello che conteneva uno dei programmi necessari ad aggirare la protezione di a una parte del sistema operativo di Kemp. Oh, be’, Al poteva pensare un po’ quello che voleva. L’importante era che non l’avrebbe più disturbata.

***

In un modo o nell’altro, il contingente guidato da Shake erano riusciti ad arrivare alla frontiera.

‘Frontiera’ era una parola grossa quando delimitava in realtà semplicemente una piccola regione nordafricana che un governante intenzionato a nasconderne le risorse alla Federazione Terrestre stava cercando di tenersi per sé.

Niente più che qualche città di medie dimensioni, dopotutto.

Naturalmente, il governante in questione era stato parecchio seccato all’apprendere che quei reduci di Neo Zeon erano entrati nel suo territorio: in fin die conti, almeno ufficialmente, lui era un federale. Ma proprio per questo Shake ebbe modo di volgere la situazione a proprio vantaggio, minacciandolo di rendere pubblici i loro accordi, se non avesse fornito loro assistenza.

Per un paio di giorni, i soldati dovettero muoversi con circospezione, nascondendosi tra gole e rovine, muovendosi solo al calare delle tenebre. Quando fu possibile sistemare i mobile suit, però, poterono avere un attimo di pace. Vennero fatti accedere a una delle città sotto il controllo regionale, dove i loro alloggi furono sparsi tra diversi hotel, perché non dessero troppo nell’occhio.

Fu allora che Rachel decise di partire. In fin dei conti, aveva terminato il proprio lavoro sistemando i Desert Doga rimanenti. Aveva consegnato la fattura a Shake, che, presumibilmente, l’avrebbe fatta avere al suo finanziatore.

Daniel da parte sua, aveva finito il proprio lavoro. Il contingente di Shake era ormai troppo piccolo per costituire un pericolo per la Federazione: probabilmente, i soldati avrebbero cercato di rifarsi una vita lì dov’erano… Anzi, ripensandoci era improbabile: gente come quella stava sicuramente pianificando di raggiungere qualche altro gruppo di guerriglieri in Africa. D’altra parte, con quali documenti si sarebbero potuti stabilire in un qualsiasi posto della Sfera Terrestre? Gli avevano offerto di rimanere ancora un po’, ma lui, subodorando qualche scherzo da parte del governante che li sovvenzionava, aveva preferito incassare quanto gli spettava e levare le tende insieme a Chloe. Preferiva non essere nei paraggi quando il loro datore di lavoro li avesse traditi e consegnati alla Federazione. E aveva la netta impressione che non fosse necessario essere un newtype per capire quanto fosse probabile che le cose andassero così.

Non lontano dall’edificio in cui era stato alloggiato, c’era un noleggio di auto: proprio quello che serviva per arrivare nella città vicina, dove si trovava l’aeroporto più vicino.

***

"Allora, sei pronta?", domandò Daniel mentre Rachel caricava nell’auto la propria valigia.

"Ma sì, ma sì", rispose lei chiudendo il baule e salendo in macchina. "Cos’è tutta questa fretta?".

"Il tempo è denaro per me", replicò lui mettendo in moto.

Dietro di loro, sul sedile posteriore, assicurata al seggiolone per bambini, Chloe si era già addormentata.

Ci fu un lungo silenzio, mentre si avviavano per la strada polverosa. Entrambi dovevano arrivare all’aeroporto per partire, anche se ciascuno di loro aveva una destinazione diversa. Rachel doveva tornare a Von Braun City, mentre Daniel si sarebbe diretto in Europa settentrionale, da dove aveva ricevuto una proposta di lavoro. Avevano però deciso di noleggiare quell’auto insieme per risparmiare, nonostante Chloe non ne fosse stata particolarmente contenta. Mentre il sole tramontava sul deserto, una scena che in quei giorni avevano visto fino alla nausea, sembrava che nessuno di loro avesse una gran voglia di discutere.

Fu Rachel a rompere il silenzio: "Hai qualche suggerimento?", disse estraendosi da un taschino il disco che conteneva Rossana e fissandolo pensosa.

"Non saprei", rispose lui. "Cosa vorresti che ti dicessi? Devi prendere l’ardua decisione di capire se vuoi uccidere Rossana rompendo il disco o se vuoi continuare a lasciarla vivere in quella situazione che ti fa un po’ pena?".

Lei lo guardò con aria seccata… Poi, capendo che forse aveva ragione, sospirò: "Diciamo che probabilmente volevo solo condividere un po’ di responsabilità con te".

"Per me, puoi fare come credi. Non sono mai stato bravo nel dare valore a una vita".

"Sai cosa mi secca di più? Dopo avere saputo tutto, ho pensato anch’io di sfruttare questo disco per farci dei soldi. Il problema è che l’anima è infusa solo in questo specifico supporto… Anche se si trovasse il modo di copiare i dati, il sistema non funzionerebbe. Di conseguenza, per una produzione in serie, è sostanzialmente inutilizzabile. Potrebbe servire per la ricerca, certo… ma qui non c’è niente che lasci intuire il procedimento che Kemp ha usato per il trasferimento dell’anima, e poi voglio vedere chi mai si sottoporrebbe a un trattamento simile".

"In parole povere, è inutile?".

"Quasi. Potrebbe essere usato su di un’unica macchina per volta, quindi, anche avendo molti newtype a disposizione, non cambierebbe granché in uno scontro di dimensioni superiori a quello che hai combattuto tu. Senza contare che la sua gestione è troppo problematica e niente garantisce che chiunque sia in grado di sincronizzarsi con esso".

"Penso che troveresti comunque qualcuno disposto a pagartelo bene. Potresti fare carriera alla Anaheim facendo passare un po’ della roba che c’è lì dentro per farina del tuo sacco".

"Avevo pensato anche a questo…".

"…ma sei il tipo di persona che si fa degli scrupoli a usare per i propri interessi l’esistenza degli altri".

"Come fai a essere così cinico? Non fa bene a tua figlia, sai?".

"Sono un soldato da quando avevo ventun anni e mi sono scoperto newtype poco dopo essere stato arruolato. Ho passato l’ultima parte della mia vita ad ammazzare gente… Così tanta che ne ho persino perso il conto… Penso sia una situazione comune per chi ha vissuto esperienze simili alla mia e che molti altri potrebbero dire lo stesso. Però io sapevo chi stavo uccidendo. Conoscevo le persone che c’erano negli abitacoli dei mobile suit, perché io sono così. Non ho mai trovato divertente uccidere, perché ogni volta morivo anch’io, letteralmente. Eppure, uccidere era l’interruttore che mi permetteva di essere veramente vivo, di avere il mio potenziale sempre disponibile. Alla luce di questo, sarai in grado di capire che io non mi sono mai potuto permettere di dare un alto valore alla vita".

"Non posso dire di capire quello che dici… Ma la sostanza è che non vuoi prendere una posizione su questo argomento?".

"La sostanza è che per me non fa differenza. Che sia in un corpo antropomorfo o discoidale, per me una vita è sempre una vita. E quella di Rossana non era diversa da tante altre che ho conosciuto solo perché stava su di un disco per computer".

Ci fu una lunga pausa. Rachel continuò a fissare il supporto, indecisa sul da farsi. Infine, concluse: "Continuo a non capire perfettamente… ma potresti non avere torto". Restò in silenzio per un attimo, poi spostò lo sguardo su Daniel: "Ma è davvero così difficile essere un newtype?".

Lui si lasciò andare a un amaro sorriso: "Diciamo che ha qualche lato negativo. Comunque sia, devo ringraziarti".

"Eh? E perché?":

"Perché pensavo che solo uccidere gente potesse permettermi di essere sempre al mio massimo. Grazie al sistema operativo che avevi installato su quel Desert Doga, però, ho imparato che adesso mi basta Chloe. Da ragazzo, l’interruttore della mia forza era il calcio. Da soldato, è diventato la morte. Da padre, è divenuto mia figlia. Sembra che sia di volta in volta ciò che mi dà le emozioni più forti. Grazie a te ho capito che non devo più combattere per dare il meglio di me. Credo sia questo il significato dietro il cambiamento delle mie percezioni… La morte degli altri non mi sembra più così precisa e tremenda perché adesso c’è una persona sulla quale mi concentro con tutto me stesso, quindi chiunque non sia lei mi risulta confuso e non più importante di qualsiasi altro individuo… mentre prima mi dicevo semplicemente che le vite avevano poco valore per non pensare a cosa stessi distruggendo".

"Che discorso strano… Mi riporta alla mente un passo del Riccardo III di Shakespeare: ‘Non esiste belva sulla terra che non provi un moto di pietà. Ma io non ne provo alcuno, dunque non sono una belva’. Tu sei una belva? Provi pietà ma sai che non puoi permettertela?".

Daniel sogghignò: "Chissà perché, le donne e le citazioni letterarie con me vanno a braccetto…".

Lei sembrò non comprendere: "Comunque quello che hai detto, mi è piaciuto, anche se non penso di averlo capito appieno. È proprio vero che c’è sempre un motivo per cui le persone si comportano in un certo modo. Non si può valutare un solo aspetto delle cose".

"Ma è anche vero che bisogna imparare a vedere quello che si ha davanti e che non si può giustificare ciò che non si ritiene giusto solo perché chi lo fa ha avuto dei problemi. Io mi sono messo le mani sugli occhi per troppo tempo, e solo per la mia indecisione. Tutto sommato, non sono cambiato rispetto a sei anni fa".

Rachel sorrise: "Ma adesso hai capito come stanno le cose, quindi puoi risolvere i tuoi problemi".

"Già. Ora sono ancor più determinato a sopravvivere per quest’altro anno. Adesso che vedo una via d’uscita, so che posso ricominciare a costruirmi un futuro come lo voglio".

"Però… Tutto sommato, io sono convinta che tu avessi una certa forza d’animo anche prima. Sapevi che smettere di uccidere ti avrebbe tolto quello che chiami ‘il tuo massimo’, eppure avevi già deciso di farlo per tua figlia. Per quanto uccidere sia un’azione deprecabile… onestamente, non so se io avrei fatto lo stesso".

"Non sono così irresponsabile come sembro. Ma ti dico che… nonostante tutto, sono contento di essere il padre di Chloe".

Rachel annuì e poi restò in silenzio per qualche minuto, come se fosse stata in attesa di qualcosa.

Quando si rese conto che questo qualcosa non sarebbe arrivato, fu sul punto di prendere nuovamente la parola.

Ma, con suo stupore, stavolta fu Daniel a rompere il silenzio: "Cosa pensi di fare ora?".

"Io? Oh, ovviamente tornerò a Von Braun City, te l’ho già detto, no? È lì che lavoro, dopotutto". Si fermò per un attimo, poi riprese: "Però non ti nascondo che, dopo questa esperienza, non ho più tanta voglia di lavorare alla Anaheim. O meglio, non ho più voglia di stare sulla luna. Un giorno o l’altro, vorrei provare ad andare a vivere altrove. Magari tornare a casa, su Side 4… Ma, nonostante non mi piaccia viaggiare, non mi dispiacerebbe nemmeno Side 2…".

Senza spostare la testa, Daniel puntò gli occhi su die lei. "Nemmeno a me dispiacerebbe se tu venissi a vivere su Side 2", disse.

"Be’, possiamo pensarci, no?".

"No, Rachel. Non credo sia il caso". Lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore, guardando sua figlia che dormiva sul sedile posteriore.

"È per Chloe?".

"Non le piaci granché. E, in questo momento, la mia priorità è lei".

Rachel sorrise tristemente: "Non è la prima volta che un uomo mi delude… Però è la prima volta che penso faccia bene. Senti…".

"Cosa?".

"No, dai, niente".

"Che palle! Non puoi dirmi ‘senti’ e poi saltare il discorso così".

"No, è che era un’idea del cazzo… Stavo per chiederti di lasciarmi Chloe per quest’anno in cui tu farai ancora il mercenario. Magari potrei riuscire ad andarle a genio in qualche modo… Daniel, io non voglio farmi scappare così un’occasione di essere felice, sarebbe troppo stupido, a prescindere da qualsiasi problema possa sorgere tra di noi… Se dovessi ragionare in questo modo, sarei una persona insulsa e arrendevole, e non me lo meriterei nemmeno, di essere felice. Se ci saranno problemi, li affronterò, ma voglio almeno provarci. Se poi dovesse andare male, potrei dire di non avere niente da rimproverarmi, di avere fatto un tentativo. E per me Chloe non è un intralcio, davvero".

"Mi odierebbe, se lo facessi. E comunque, né io né lei riusciremmo a stare lontani l’uno dall’altra per tutto questo tempo".

"Hai ragione. Non so cosa mi sia preso, ma…".

"Non è necessario che cerchi di spiegarlo. Piuttosto, se… se io…".

"Se tu?".

"Se io riuscissi a sopravvivere per quest’anno. E se tu alla fine di quest’anno fossi ancora disposta… Non ti chiedo di aspettarmi, non fraintendere… Continua a vivere la tua vita senza preoccuparti di me, però… Se io sopravvivessi, magari potrei trasferirmi sulla luna e cercare di farmi assumere come collaudatore alla Anaheim, no?".

"E Chloe? Hai già cambiato idea?".

"No. Ma potrei almeno provare a vedere se tra un anno l’avrà cambiata lei. Se così non fosse… be’, ti ho già detto che non devi aspettarmi, no?".

Lei lo guardò lungamente, mentre le tenebre della sera si allungavano sulla strada. Il ritmico illuminare dei lampioni lanciava delle ombre che sembravano voler creare un contrasto onirico sulla sua faccia.

Poi, Rachel rispose: "Non ti aspetterò. Continuerò a vivere la mia vita e cercherò di trovarmi qualcuno per cui non sarei semplicemente la numero due…".

"Tu non saresti…".

"Alt, zitto. Non credere che mi immagini tutto questo come qualcosa di facile. Tu hai una figlia, e so benissimo che perderò qualsiasi confronto con lei. Quindi, non ti aspetterò e, se dovessi trovarmi un’occasione, la afferrerò al volo. E tu non sentirti obbligato a venirmi a cercare. In fin dei conti, siamo solo due sconosciuti che si sono avvicinati per caso. Però… quando verrai a Von Braun City… Se potrò, se vorrò, se giudicherò che sia giusto… io non mi farò sfuggire questa, di occasione".

***

Chloe aprì l’occhio destro, giusto per guardarsi un po’ in giro. Non si mosse. Suo padre e quella signorina dovevano continuare a credere che stesse dormendo.

Avevano fatto un discorso strano, che lei non aveva capito per bene.

Però c’era qualcosa che invece aveva capito perfettamente.

C’era qualcosa tra suo padre e la signorina.

Si attraevano.

Era una strana situazione, in cui volevano stare insieme (e questo a Chloe non piaceva), ma al tempo stesso non volevano. Perché c’era di mezzo lei.

Non le importava granché: quello che voleva era semplicemente che suo padre restasse con lei. Ma le dava fastidio l’idea che dovesse rinunciare a qualcosa per farlo. In qualche modo, sentiva che lui non ci stava bene, pur essendo convinto della propria scelta.

E la signorina… in questo momento, le sue sensazioni erano simili a quelle di Daniel. Anche lei voleva qualcosa a cui sapeva di dover rinunciare. Per Chloe. Stava facendo qualcosa per lei. Forse, pensò la bambina, non era poi così male… ma non le avrebbe permesso di portarle via suo padre. Ma voleva portarglielo via? Era veramente questo che desiderava? Chloe non lo capì bene. La signorina provava emozioni che per lei erano nuove, non riusciva a decifrarle. Oh, be’, sempre meglio andare sul sicuro. Anche se…

***

"Ti piace?", chiese Daniel, mentre Chloe guardava con gli occhi sbarrati fuori dal finestrino dell’aereo. Le nuvole sembravano immobili anche da quella prospettiva, mentre il sole pareva ancor più luminoso.

"Sì!", rispose lei con un sorriso.

Daniel annuì con il capo, mentre la bambina continuava a guardare fuori, come stregata da quello spettacolo. Non era la prima volta che lo vedeva, ma, in qualche modo, la entusiasmava sempre.

Poi, lei si girò verso il padre: "Papà, allora tra un anno andiamo alla casa?".

"Già", replicò lui, "Tra un annetto credo che potremo averne una. Sei contenta?".

"Tu vivrai sicuramente", rispose Chloe facendosi seria.

"Ma certo che vivrò. Adesso ho un motivo in più per riuscirci".

"La signorina?".

"Eh?". Daniel fu quasi sul punto di saltare sulla poltrona. "Ma come ti viene in mente?".

Chloe si fece improvvisamente seria: "Io voglio stare sempre con te".

"Anch’io", disse lui. Si stupì della propria sincerità. Non era mai stato particolarmente affettuoso, nemmeno con sua figlia. Era stata Rachel a fargli quell’effetto? "Noi staremo sempre insieme", ribadì. Si stupì anche di questo.

"Io sono la cosa più importante per te?".

Daniel si limitò ad annuire con la testa.

"Anche tu sei la cosa più importante per me", rispose la bambina. "Però… perché io non ho la mamma?".

Cazzo. Era evidente che prima o poi gliel’avrebbe chiesto. Le aveva già parlato di sua madre, ma sapeva di non avere esaurito l’argomento. E adesso cosa le avrebbe raccontato? Avrebbe dovuto dirle che non aveva idea di dove fosse sua madre e che, se anche ce l’avesse avuta, non sarebbe cambiato granché? Gliel’aveva già detto, in realtà, ma non poteva aspettarsi che una bambina capisse appieno queste situazioni.

"Tu hai una mamma, te ne ho già parlato", le rispose sinceramente.

"Però non la conosco. Chi è?".

"È una persona che non è qui. Forse potrebbe essere nel posto in cui stiamo andando".

"Davvero?".

"Non saprei, è una possibilità".

La bambina si fermò un attimo per pensare. Poi chiese: "Com’è avere una mamma? Cosa fa una mamma?".

Daniel si grattò la testa non trovando le parole: "Be’, direi che… è un po’ come avere un secondo papà. Di solito, una mamma è qualcuno che si prende cura dei propri figli… Tua madre non è stata esattamente così, ma idealmente…".

"E perché la mia mamma non è stata così?".
"Aveva dei problemi seri. Le cose non sono mai facili come possono sembrare a parole".

"E la signorina? Io pensavo che tu volessi far diventare lei la mia mamma".

"Figurati. Tua madre dev’essere qualcuno che ti piaccia, no?".

Chloe scosse il capo indecisa. "Sì", sentenziò infine. Poi, aggiunse dopo una pausa: "Però tu hai detto che forse tra un anno cambierò idea".

Cosa? Aveva sentito quella conversazione? Non era stata addormentata?

"E pensi che cambierai idea?".

"Non lo so. So solo che non voglio che la signorina si metta tra di noi, nemmeno per diventare la mia mamma".

"Un mamma non si metterebbe tra noi due. Starebbe con noi, non tra di noi".

Chloe aggrottò la fronte in quello sguardo ‘truce’ che aveva imparato da suo padre: "Allora, forse voglio una mamma. Però non lo so".

"Be’, vedremo tra un anno", rispose Daniel riprendendosi dallo stupore. "Se veramente avrai cambiato idea, allora ci penseremo, d’accordo? Però, non preoccuparti: io non la preferirò mai a te".

La bambina si lasciò sprofondare nel sedile. Era matura per la sua età. Non aveva avuto molta scelta, del resto. Forse un giorno questo le avrebbe giovato: sarebbe cresciuta come una persona forte, capace di badare a se stessa. Il che tranquillizzava Daniel. Ma chi volesse diventare forte doveva imparare a superare la tristezza, e presto Chloe ne avrebbe dovuta sopportare molta. Come si sarebbe rapportata ai suoi compagni di scuola che fossero vissuti in una famiglia con entrambi i genitori? La cosa le avrebbe creato dei problemi? Daniel non riusciva a pensare di non avere responsabilità in questo: dopotutto, se la madre della bambina avesse voluto trovarla, non avrebbe potuto farlo proprio perché si spostavano in continuazione… Ma scusarsi non sarebbe servito: in fin dei conti, lui non sapeva né poteva fare altro.

Sospirò e fissò lo sguardo fuori dal finestrino. Aveva sentito un detto ottimistico secondo cui, per quanto le nuvole potessero addensarsi, oltre di esse il cielo era sempre blu. Eppure, lui era stato nello spazio e sapeva che, oltre il blu del cielo, c’era un nero vuoto, gelido e infinito. Sarebbe riuscito a riscaldarlo, almeno per la persona a cui voleva bene?

Impossibile dirlo.

Ma almeno, adesso aveva un motivo per provarci.

***

Note dell’autore

Eh, sì, dai non rompete le palle, so bene che in questo capitolo non c’è traccia di Yue Hoshino. Avevo già scritto di volere aspettare a pubblicare la sua storia, sia perché mi premeva avere qualcosa che coprisse la Seconda Guerra di Neo Zeon, sia perché ho intenzione di vedere come si evolverà Gundam Unicorn. Quindi, SE scriverò un quinto capitolo, probabilmente Yue sarà lì. Anzi, lo sto già scrivendo e ho buttato giù la parte in cui Yue e Julius si incontrano. Ho anche scritto un pezzo in cui compare Kamille, ma ancora niente su Dolores. Naturalmente, non vi è alcuna certezza che porti effettivamente a compimento la mia opera, dipende da come mi girerà. Ragion per cui, come al solito, fate conto che Gundam D sia definitivamente concluso. Avevo anche detto che non avrei più ripreso il personaggio di Rachel. Be’, avevo mentito.

C’è una cosa che mi disturba di questa storia. In qualche modo, tocca la tematica della famiglia. In qualche modo, eh… Fatto sta che, per affinità di contenuti, avrei preferito trattare un argomento del genere in un ipotetico capitolo ambientato all’epoca di V Gundam. Amen. Se mai scriverò qualcosa del genere, mi inventerò qualche altra puttanata.

Parliamo un po’ dell’esperienza dei militari di Neo Zeon. A giudicare dai dialoghi di Gundam ZZ, il problema principale di Axis era proprio il non avere molti soldati esperti. Apparentemente, i veterani della Guerra di Un Anno che potessero vantare un curriculum significativo NON si sono trasferiti sull’asteroide. CDA sembrerebbe lasciare intendere diversamente… ma è risaputo che i soldati più esperti del Principato abbiano cominciato a morire in gran numero già dai tempi della battaglia di Loum, tant’è che la maggior parte dei Gelgoog fu assegnata a dei novellini. Parrebbe che gente come Andy/Apolly e Riccardo/Roberto (non ditemi che non vi eravate accorti che sono loro…), nonché lo stesso Char, siano delle eccezioni. È anche vero che i soldati federali, tra il conflitto contro la Flotta Delaz e la Guerra di Gryps (che, contrariamente ad Axis, si sono fatti per intero) hanno senz’altro potuto fare più pratica sul campo. D’altronde, i piloti di Zeon che si vedono operare in Africa in Gundam ZZ sono dei guerriglieri di una certa esperienza… limitata però ai loro Dowadge e Desert Zack. Dato che il Neo Zeon di Char Aznable attinge in buona misura a questa gente, e che non ci sono stati grossi conflitti tra lo 0088 e lo 0093, ho pensato che l’esperienza globale degli individui fosse comunque molto inferiore a quella di uno come Daniel, che si è fatto quattro guerre in prima linea.

Che vi devo dire di Rossana? A me sembra già tutto evidente. È il prototipo di Alice, ma è venuto meglio (Kemp è pazzo, ricordate?). Sostanzialmente, è una vera anima trasmessa in un disco, ma il procedimento è molto diverso a quello che ha infuso lo spirito di Marion Welch nell’EXAM. Voglio dire, Marion era solo in coma e l’EXAM non era certo una specie di psycoframe. Le convinzioni pseudofilosofiche di Kemp e le implicazioni reali delle stesse non riflettono necessariamente il mio pensiero. Nell’universo di Gundam, è evidente che qualcosa dopo la morte c’è e che l’anima esiste (più volte si vedono dei newtype parlare con gli spiriti dei morti, dalla prima serie fino a V Gundam). Ragion per cui, potevo basare una teoria pseudoscientifca su questo fatto. Il passo delle annotazioni in cui si dice che Rossana potrebbe diventare un dio o un demone riprende una battuta del primo episodio di Mazinger Z. Quando Juzo Kabuto consegna il robottone a Koji, gli dice qualcosa del tipo: "A bordo di Mazinger, potrai essere un dio oppure un demone; in ogni caso, sarai il superuomo Koji Kabuto". Per quanto riguarda la riscrittura automatica di Rossana, ho assunto che un mobile suit avesse un drive in grado di masterizzare dischi e che qualsiasi sistema operativo dell’UC avesse una funzione di masterizzazione di default. Motivo per cui, Rachel non si fa problemi a pensare che sarebbe tecnicamente possibile riscrivere un disco semplicemente con il computer di bordo del Desert Doga. Ora, io lo so che qualcuno avrà fatto una faccia strana leggendo del combattimento di Daniel contro i nove Jegan (trovate la descrizione del nuovo modello tra le D-MSV), magari ritenendolo una cosa assolutamente inverosimile ed esagerata. Che sia esagerato, lo so: l’ho fatto così apposta. Inverosimile? Non secondo la logica di Gundam. Basti vedere cosa riesce a fare lo Z Gundam con un semplice bio-sensor. Inoltre, Rossana dovrebbe mimare gli effetti dello psycoframe, quell’affare che è persino riuscito a generare un’energia sufficiente a spostare Axis dalla sua rotta di collisione con la Terra (OK, lì si era caricato con la volontà di tutti i soldati, ma d’altra parte nove Jegan non sono Axis). A pensarci bene, considerato questo fatto, la performance di Daniel (o meglio, del sistema operativo) che abbiamo visto non è stata niente di eccezionale…

Comunque sì, sapevo già che Daniel era vivo quando ho scritto il finale del terzo capitolo e già pensavo di fargli saltare fuori una figlia. Anzi, avevo già immaginato tutta la menata attraverso cui passa in questo capitolo. Be’, quasi… in realtà, per certi sviluppi, sono stato influenzato da alcune cose che mi sono state dette… Ma, nel complesso, ho fatto comunque quello che volevo. Continuo però a credere che la storia che riguarda la madre di Chloe sia tremendamente banale, ma, sul momento, non mi è venuto in mente niente di meglio. Anzi, direi che ripensare alla questione mi fa ridere, perché, mentre scrivevo quel pezzo, mi sono state suggerite delle soluzioni alternative veramente fuori di testa. Alcune più banali della mia, altre inapplicabili perché entravano in conflitto con certi punti fermi che mi ero posto (mi era stato chiesto, tra l’altro, di rendere Chloe non la vera figlia di Daniel, ma una trovatella, oppure di far saltare fuori che sua madre era Rachel, ma sia lei che il padre avevano rimosso tutto per qualche trauma… insomma, un delirio… Poi mi è stato detto che queste trovate erano state maturate seguendo delle soap opera e lì ho capito tutto). Va anche detto che chi mi ha presentato queste soluzioni ha fatto pressione in qualche occasione affinché Daniel e Rachel si mettessero insieme, cosa di cui io non ero molto convinto. Ci avevo pensato fin dall’inizio, per la verità, ma mi chiedevo come si sarebbero potuti innamorare (e non è che per me fosse obbligatorio che succedesse, potevano anche restare perfetti estranei, di base). Inoltre, man mano che scrivevo, in maniera praticamente indipendente dal mio controllo, l’antipatia di Chloe per Rachel aumentava sempre più, il che rendeva la cosa ulteriormente problematica, perché non vedevo proprio Daniel a cominciare una relazione con una donna che la figlia odiasse. Comunque, devo dire che Daniel ha cominciato a piacermi come persona in questo capitolo. Mentre lo scrivevo, pensavo che, se avessi incontrato un tipo del genere, mi sarebbe stato sulle palle. In effetti, il mio giudizio sul suo conto coincideva con quello che lui dà di se stesso nel capitolo precedente: lo ritenevo un pusillanime indeciso che non riusciva a dare una direzione alla propria vita e si crogiolava nel proprio dolore senza pensare a come risolversi effettivamente i problemi. Però mi piaceva lavoraci sopra, perché tutte le sue contraddizioni e i suoi scazzi lo rendevano un personaggio molto umano. Adesso ha acquisito quella responsabilità che gli permette di essere davvero una persona migliore. Ha guardato dentro se stesso e ha saputo riconoscere il proprio problema: da un certo punto di vista, si può dire si sia comportato come avrebbe fatto Lynn. È cambiato molto, anche se nemmeno io ho capito bene come questo sia successo… Fatto sta che... se lo incontrasse ora qualcuno dei suoi ex commilitoni dell’AEUG, probabilmente lo troverebbe irriconoscibile. Per quanto riguarda la massima ‘Per vincere, occorre che il portiere pari, che i difensori difendano, che gli attaccanti attacchino e che i centrocampisti centrocampistino’, non è di Oronzo Canà, ma di Arrigo Sacchi.

Rachel è un personaggio di cui, per certi versi, mi sono stupito io stesso. Nel capitolo 1.5 mi serviva più che altro per una funzione specifica, mentre qui è protagonista. In realtà, avrei potuto metterci anche un personaggio inventato per l’occasione, ma mi piaceva l’idea di creare questo collegamento. Alla sua prima apparizione, non l’avevo descritta granché, ma qui, nonostante qualche comportamento un po’ sopra le righe, dà l’impressione di una persona matura. Rispetto a quasi undici anni fa, ha guadagnato in sicurezza, forse per quella relazione andata male (non mi riferisco a quella con David, ma a quella in cui è stata cornificata) … Ha preso Patrizia a modello e quindi cerca di essere sempre razionale in ogni situazione. Ma è caratterialmente diversa da Patrizia, non ha la stessa capacità di dedicarsi completamente a qualcosa e tende a essere più frivola. Però, forse proprio per questo, riesce a essere una persona più vicina al prossimo. Diciamo che non è una newtype, ma ci prova. Non so bene nemmeno io come è saltata fuori la sua semi-love story con Daniel, che tanto non si è concretizzata. Non escluderei che abbia semplicemente paura della solitudine, ma è anche possibile che stia prendendo una decisione più consapevole. Ah, ovviamente Rachel non arriverà a Von Braun City direttamente con l’aereo che prenderà dall’aeroporto dove va con la macchina noleggiata insieme a Daniel, questo mi pare chiaro. Ho assunto che l’aereo le serva per arrivare dove si trovi qualche mass driver (quello di Gibilterra non c’è ancora, quindi è possibile che debba andare fino in Irlanda… non ci sono molte informazioni in merito nell’ambientazione ufficiale).

Si potrebbe dire che il capitolo 3 fosse semplicemente un preludio a questo… che, ovviamente, non sapevo se avrei mai scritto. Mmmh… se ripenso al terzo capitolo in quest’ottica, mi fa un po’ meno schifo. In compenso, mi fa abbastanza schifo questo quarto. Mi è piaciuto il fatto di collegarlo a certi eventi precedenti (la missione a cui si riferisce Al è quella durante la quale Daniel cattura DeMarchand), ma ho l’impressione che un paio di coincidenze siano un po’ troppo forzate. Oh, pazienza: Gundam – The Origin è anche più artificioso da questo punto di vista (Casval trova un tizio che, guarda caso, è identico a lui e, guarda caso, vuole iscriversi all’accademia di Zeon? Un po’ troppo clamorosa come botta di culo. E poi Sayla non pensa al Char che conosceva lei quando sente parlare del misterioso ufficiale zeoniano dopo la fuga da Side 7? Puzza tanto di decisione presa in corso d’opera. E, guarda caso, il padre di Mirai conosceva Teablo? E, guarda caso, Sayla e Amuro si sono incrociati da bambini?).

Mmmh… per caso pensate che il nome di Alan Shake abbia un’inquietante assonanza con quello di Alan Shearer? Eh, lo penso anch’io, ma mi è venuto in mente solo molto dopo che l’avevo scelto. Non c’è volontà di citazione. Conscia, per lo meno. Le sue bizzarre citazioni latine furono originariamente proferite dal compianto Renato Dall’Ara, più o meno così come le ho riportate… solo che lui si riferiva a un ambito calcistico.

Guardate un po’, per questa volta vi risparmio anche le schede sui personaggi (anche perché non è che ci fosse molto da analizzare in questo capitolo: Daniel e Rachel li conoscete già, mentre Chloe… forse la riprenderò in futuro).

Sarò sincero: ho pensato SERIAMENTE di scrivere un happy end per questa storia. Bacio finale sullo sfondo di un romantico tramonto, felicità che sprizzava da ogni parola, zucchero e canditi che uscivano copiosi dalle mani dei protagonisti, ‘na roba tipo Tony Binarelli quando fa comparire le carte dal nulla. Voglio dire, dopo tre capitoli e mezzo in cui non c’è un finale veramente positivo, qui potevo anche mettercelo. Però io sono un po’ stronzo nel profondo, quindi tendo a non apprezzare le conclusioni che non abbiano almeno un retrogusto amarognolo. Avevo considerato anche l’idea di far morire Chloe, ma sarebbe stata troppo banale… E poi i personaggi devono morire per un motivo, non così tanto per fare; un motivo per la morte di Chloe non mi era venuto in mente. Credo comunque che questa conclusione sia stata mediamente più positiva delle altre. Alla fin fine, anche Daniel ha trovato, almeno sulla corta distanza, una soluzione ai suoi problemi. Ci sarà da vedere quanto durerà. Credo che questo sia il massimo dell’happy end che sono capace di scrivere.

Magari qualcuno sarà curioso di sapere cosa succederà dopo quest’ultimo anno di mercenario che il nostro eroe (ahahah, ho usato questo termine solo perché non volevo ripetere il suo nome) passerà, se lui e Rachel si metteranno insieme. Ma chi vi garantisce che sopravvivrà? Potrei anche decidere che morirà in battaglia nel frattempo, eh… Magari sale sul suo mobile suit al primo scontro, trova un altro newtype più forte di lui e tac!, tanti saluti signor Wymann… Non escludo di poter sciogliere questi dubbi in un eventuale prossimo capitolo, ma, per ora, fate conto che tutte le possibilità siano aperte (se avete imparato a conoscermi, però, saprete che io ho già una risposta a tutto, solo che non voglio darvela, khhhkhkhkhkh, risatina alla Kururu, quello originale, non quello dell’allucinante doppiaggio italiano).

Volete che vi parli un po’ del futuro di Gundam D? E perché mai dovrei parlarvi di qualcosa che probabilmente non ci sarà? Decisamente mi piacerebbe scrivere qualcosa ambientato nell’UC 0123 e poi nell’UC 0153. Ma chissà…

***

Cronologia di Gundam D

15-3-0089

Ricomincia il servizio della Jupiter Energy Fleet, che lancia il Jupitris II.

1-5-0089

L’Esercito della Federazione Terrestre si organizza per meglio gestire gli spostamenti di grandi asteroidi.

25-8-0089

La Federazione inasprisce le sanzioni contro le colonie che supportano movimenti di spacenoid.

2-0090

La colonia di Sweetwater di Side 2 viene adibita a centro di accoglienza di rifugiati e spostata a Side 3.

3-0090

L’Esercito della Federazione Terrestre organizza una nuova unità ausiliaria, Londo Bell.

19-3-0090

Nasce Chloe Wymann.

6-3-0091

Julius Parker esce di prigione e gli viene offerto un lavoro come collaudatore nell’Esercito della Federazione Terrestre.

8-0092

L’Esercito della Federazione Terrestre sposta il proprio quartier generale a Lhasa, Tibet.

7-9-0092

Uno squadrone di Jegan di vari modelli attacca dei reduci di Neo Zeon che si rifugiano in Norvegia.

22-12-0092

Vascelli navali comandati da Char Aznable dichiarano la presa di Sweetwater a Side 3.

25-12-0092

L’Esercito della Federazione Terrestre rafforza Londo Bell trasferendovi la prima corazzata di classe Ra Cailum, il cui capitano è Bright Noa.

27-2-0093

Il leader di Neo Zeon Char Aznable dichiara guerra alla Federazione Terrestre in un’intervista televisiva.

3-3-0093

La flotta di Neo Zeon parte da Sweetwater e prende il controllo dell’asteroide 5th Luna.

4-3-0093

5th Luna si schianta sul QG federale di Lhasa, Tibet.

6-3-0093

La Federazione Terrestre e Neo Zeon tengono negoziati di pace segreti nella colonia di Londenion, Side 1.

12-3-0093

Fingendo la resa, la flotta di Neo Zeon ricattura Axis e tenta di farlo cadere sulla Terra. Ne segue una battaglia tra Londo Bell, di cui fa parte anche Amuro Ray sul suo nuovo RX-93 n Gundam, e Neo Zeon, con cui è schierato Char Aznable sul suo MSN-04 Sazabi. In qualche modo, la caduta di Axis viene fermata, anche se la dinamica dei fatti non è chiara; sia Amuro Ray che Char Aznable risultano MIA.

9-0093

Agenzie di servizi segreti e istituti di ricerca in seno all’Esercito della Federazione Terrestre vengono riuniti nello Strategic Naval Reserach Institute (SNRI), un’organizzazione sotto il controllo militare, nella quale lavorano però molti civili.

5-0094

Lo Spear of Destiny, nave di Londo Bell di classe Ra Cailum comandata da Dolores Martin, conduce un’operazione di soppressione di alcuni reduci di Neo Zeon nell’area di Side 2. Sulla nave è imbarcato anche il nuovo RX-93-n-2 Hi-n Gundam.

8-6-0094

Daniel Wymann si unisce al gruppo di reduci di Neo Zeon comandato dal colonnello Alan Shake in nord Africa.

9-6-0094

Rachel Osborne arriva alla base dei reduci di Neo Zeon comandati da Alan Shake.

In serata, un contingente federale composto di RGM-89G Jegan Ground Type raggiunge la zona, ma viene respinto. Il gruppo decide di partire alla volta dela regione governata dal suo finanziatore.

10-6-0094

Il gruppo di Alan Shake raggiunge una vecchia base federale abbandonata; Rachel Osborne trova Rossana.

12-6-0094

Il gruppo di Alan Shake viene attaccato da uno squadrone di RGM-89HM Jegan High Mobility Ground Type; grazie a Rossana, installato sul suo AMS-119D Desert Doga, Daniel Wymann li respinge.

15-6-0094

Il gruppo di Alan Shake raggiunge la regione prefissata.

18-6-0094

Daniel e Chloe Wymann e Rachel Osborne lasciano il gruppo di Alan Shake.

  
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