VARIAZIONI SUL TEMA DEL LUPO
MANNARO
Campo
d’internamento di Mathausen, baracca numero 116, Aprile 1945.
La voce del
vento frantumò il silenzio e s’insinuò fra le commessure delle pareti, portandosi
appresso il profumo della primavera e di una vita nuova. Era finita, pensava
Abraham Zweig, finita per davvero.
Molto diversamente da come aveva immaginato potesse finire. E come non aveva osato sperare, in quei due anni
d’inferno.
Si guardò
le mani, pelle secca, incartapecorita e gialla sopra piccole ossa sporgenti, di
cui conosceva il nome ad una ad una, carpo, metacarpo, scafoide, e appuntite
come schegge di legno, forse altrettanto fragili, mani lentigginose e macchiate
di scuro, come quelle dei vecchi. Quanti anni ho? Se l’era domandato spesso,
quando credeva d’aver perduto la cognizione del tempo: cinquantaquattro?
Cinquantasette? Cento? Che importava, tanto non ne sarebbe venuto fuori, come
David, come Rachel. E invece era finita, come non aveva osato sperare e come
molti altri avevano sperato invano. Anche David. Anche Rachel. Che erano cenere
nel vento, adesso.
Quante
volte si era nascosto nei sogni per non soffrire, e li aveva rivisti come al
cinematografo, il vecchio quartiere ebraico di Budapest, la sinagoga impregnata
d’odore di muffa e d’incenso, i bioccoli lanuti e unti attaccati sulle tempie
dei vecchi. La festa del suo Bar Mizvah, a tredici anni. E i
candelabri di Hannukkah, tirati a lucido, risplendenti come fossero stati
d’oro, mentre fuori la neve veniva giù a larghi fiocchi. Gli anni
dell’Università, le nottate d’ansia prima degli esami, la laurea, il matrimonio
con Rachel, la nascita di David... Un mondo che era stato e non esisteva più,
un limbo dove i ricordi e i desideri si rapprendevano in una fredda angoscia,
per dissolversi poi nel vento, come il fumo nero e puzzolente del crematorio.
Non li
aveva mai più rivisti, sua moglie e suo figlio. Dovevano averli uccisi subito.
Rachel, malata di cuore, non era in condizioni di lavorare come una schiava per
i futuri padroni del mondo. E David,
che a diciotto anni aveva smesso di studiare perché voleva diventare pittore.
Gli avesse dato retta e non avesse preteso di fare di testa sua, forse si
sarebbe salvato, almeno lui. I tedeschi non ammazzavano i medici, i
chimici, i dentisti e neppure gli
studenti che si preparavano a diventarlo. Almeno, non li ammazzavano subito.
Gli servivano. Per rasare capelli e medicare piccole ferite. Per lavorare come
dannati dell’inferno quei laboratori misteriosi di cui si farneticava, e da
dove sarebbe uscita l’Arma Segreta che avrebbe consentito agli Dei di stringere
il mondo in pugno. Per estirpare le protesi d’oro e d’acciaio dalle bocche dei cadaveri, prima di bruciarli nel
crematorio.
Ci
guadagnavi qualche mese di vita che non era vita, e l’odio degli altri, per
qualche buccia di patata, qualche crosta di pane secco in più. E ti uccidevano
dentro, prima di farti morire per davvero, nelle camere a gas, o perché la fame ti rodeva le budella e il cuore
scoppiava, quando dovevi cavare il granito dalle colline e caricarti quei massi
sulle spalle, dal momento che era arrivato qualcun altro in grado di pulire
ferite e di cavare denti, e non gli servivi più, e dovevi morire perché eri un
verme della terra, perché col tuo sangue avevi contaminato la purezza degli
Dei, perché non eri degno di vivere.
Era
andato avanti così per due anni, Abraham Zweig, che prima che il mondo
scoppiasse aveva fatto il dentista, mantenuto decorosamente una moglie e un
figlio, rispettato le leggi del paese in cui era nato e vissuto. Era andato
avanti per due anni cavando i denti d’oro ai cadaveri e prendendo calci nelle
costole dalle guardie del campo, la testa sempre più china, il pigiama sempre
più largo, la faccia sempre più grigia, gli urli dei carcerieri e i latrati dei
cani nelle orecchie, i lamenti degli schiavi nel cervello, i ricordi dileguati
di un’altra vita relegati nel ricettacolo segreto dei sogni. Gli ebrei ci
contaminano. Gli ebrei ci odiano. Gli ebrei hanno provocato la sconfitta della
Germania, il suo tracollo finanziario e tramano perché il comunismo dilaghi
dappertutto. Lui non era nemmeno tedesco e i comunisti li aveva sempre detestati. Era un uomo che
si era sempre fatto gli affari suoi e non aveva mai dato fastidio a nessuno,
come, del resto, tutti quelli che trasportavano massi di granito lungo il Sentiero
di Sangue e che i tedeschi si divertivano a veder cadere giù dal Muro
dei Paracadutisti quando crollavano stremati dalla fatica. Come quelli che
venivano finiti nelle camere a gas o che rimanevano attaccati ai cavi dell’alta
tensione quando impazzivano e tentavano di scappare. Era un uomo che di giorno
subiva in silenzio e di notte sognava, come tutti quelli che, lì dentro, conservavano
ancora la capacità di sopportare e il coraggio di sognare.
Il Golem.
Non creerai un altro uomo...Un uomo che non era un uomo, un gigante dalla forza
incommensurabile, argilla impastata con l’acqua e animata dal vigore del fuoco,
il demone della vendetta. Ma quelle erano leggende, la realtà un’altra.
Era
arrivato un pomeriggio di fine aprile con la sua divisione corazzata, Herschele.
Aveva la pelle di velluto scuro,i capelli neri e ricci, e il grado di tenente
dell’esercito americano cucito sopra la manica dell’uniforme. Giovane e bello,
un angelo vendicatore di cui lui non conosceva il nome. Herschele:
cerbiatto. Occhi dolci come i sogni che lui aveva sognato, in quei due anni
interminabili, niente a che vedere con il Golem delle leggende. Aveva
portato la libertà a chi era riuscito a sopravvivere all’inferno e la giustizia
della ragione. Lui e i suoi compagni
distribuivano zuppe in scatola e tavolette di glucosio ai prigionieri stremati,
parole di conforto che quegli scheletri viventi senza età, senza nome e senza
futuro disperavano di poter sentire ancora. I responsabili del campo erano
stati catturati, solo Krueger era riuscito a fuggire. Herman Krueger, la
Bestia. Fuggito via come i cani da guardia del campo che, di notte, si
sentivano latrare feroci alla luna.
-Zeyde...
Un negro
americano che parlava yddish. Strano, ma bello, e confortante come le
mani fresche della propria madre sulla fronte che scotta. Come il pensiero di
sapere che gli aguzzini erano prigionieri e che non sarebbero potuti fuggire, nel momento in cui la
giustizia avesse presentato loro il conto. Anche Krueger, quando l’avessero
preso. Krueger, la Bestia.
-Zeyde...
Non c’era
più nessuna dolcezza negli occhi scuri
che brillavano al riflesso della luna, obliqui e accesi di pagliuzze d’oro. Herschele...No,
non più cerbiatto. Wilk: il Lupo.
Quando la luna si nasconderà, inghiottita dalla notte, allora avrai la
tua vendetta, zeyde.
Quella
notte sognò i campi intorno al lager inargentati dalla luce della luna, e le
voci dei cani che gridavano alle stelle. Poi la luna si era nascosta, ed era
regnato il silenzio, un silenzio di morte che un lungo urlo aveva lacerato come
carta.
L’indomani, il corpo di Krueger era stato ritrovato nei paraggi delle
cave, sbranato, irriconoscibile. La luna si era nascosta, inghiottita dal buio
della notte e il dottor Zweig aveva avuto la sua vendetta.
GLOSSARIO
Bar
Mitzvah : cerimonia religiosa ebraica
che segna per i ragazzi l’ingresso nell’età adulta.
Muro
dei Paracadutisti: nel lager di
Mathausen,dirupo costeggiante il sentiero di Sangue, così chiamato dalle
guardie per l’alto numero di prigionieri che, stremati dalla fatica o spinti
dai loro stessi aguzzini, precipitavano nel vuoto.
Golem: nelle leggende ebraiche, gigantesca statua
d’argilla che, in seguito a pratiche magiche, può prendere vita e diventare
strumento di vendetta nelle mani del suo creatore.
Yddish:
lingua parlata dalle comunità ebraiche dell’Europa Orientale.
Herschele:cerbiatto.
Wilk. Lupo
Zeyde.in
yddish, titolo che si dà, in segno di deferenza, agli uomini anziani ed
autorevoli.