Padroni
Del Destino
Tremante
e del tutto sconvolto Domenico si voltò, appoggiò
la schiena al televisore e
diede le spalle a Claudia. La donna più importante per
entrambi. Rosy si
affrettò ad asciugarsi una delle tante lacrime che le
scesero impertinenti sul
volto, incapace di trovare le parole giuste da dire a lui, allo sbirro. Provava compassione, strano
a dirsi per una mafiosa
come lei, eppure era così. Aveva visto Calcaterra quella
stessa giornata
addolorato, orgoglioso e commosso, mentre le confidò che sua
figlia sarebbe stata
la sorella perfetta di Leonardo. Rosy fece un impercettibile passo in
avanti,
sentiva inspiegabilmente il bisogno di consolarlo.
“Mi
dispiace” biascicò infine.
“Non
ho bisogno della tua pietà” disse lui, serrando le
mascelle.
Rosy
lo guardò attentamente e comprese che nel profondo lo
ammirava.
Calcaterra
non era il semplice poliziotto difensore della legge, lui era un
giustiziere.
Credeva
nei proprio ideali e sarebbe morto per essi.
Come
Claudia.
Come
lei.
“Andiamo”
mormorò Domenico, oltrepassandola.
“Dall’altro
sbirro?” chiese, provando a sdrammatizzare.
“Dall’altro
sbirro” ripeté l’altro con voce assente,
immerso in pensieri che Rosy poteva
ben immaginare.
***
Erano
passati mesi da quando sua cugina, Ilaria Abate, era sparita nel nulla.
Erano
passati 100 giorni da quando era richiusa in quel dannato garage.
Rosy
annoiata, si avvicinò ai dipinti dello sbirro dai capelli
bianchi.
La
divertiva immensamente chiamarlo in quel modo.
Sollevò
una tela e vi trovò il ritratto dell’altra sbirra,
la Leoni.
Emise
un sorriso beffardo involontario.
“E
così che trascorri le tue ore oziose?”
domandò una voce a lei familiare.
“Domenico
Calcaterra” riuscì soltanto a dire.
Era
da più di un mese che non aveva sua notizie e doveva dirsi
contenta di vederlo.
Un
altro sorriso involontario le apparve sul volto.
“Sei…
felice di vedermi?”
“Soltanto
perché sono ammanettata qui da 30 giorni”
commentò.
“Mi
vedi come l’unico sbirro idiota che ti sta ad ascoltare, non
è vero?” le chiese
lui con un amaro sorriso sul volto.
“Vero”
ammise, marcando il suo accento siciliano.
“Com’è
vero che sei l’unico di cui mi fido” aggiunse con
lo sguardo su di lui.
Calcaterra
abbassò il capo, incapace di reggere quegli occhi vivaci
immersi nei suoi,
spenti e disorientati.
“Ho
sentito che non ci sono alcune novità su tua
cugina”
Domenico
cambiò argomento e Rosy gli fu grata per quello.
La
imbarazzava stare in
sua compagnia in
silenzio, senza parole che potessero ostacolare i loro sguardi.
“A
quanto pare” disse soltanto.
Nonostante
l’imbarazzo, Rosy desiderava ardentemente condividere quel
silenzio con lui.
Calcaterra
le osservò i polsi e parve rendersene conto soltanto in quel
momento della
catena che li teneva legati.
Lui
le si avvicinò lentamente e con cura le tolse le manette.
Rosy
notò la loro stretta vicinanza solo in seguito.
Erano
a pochi centimetri di distanza e lei era totalmente magnetizzata da lui.
Domenico
non abbassò lo sguardo, ma rimase lì, fra
l’indecisione e gli occhi nocciola di
lei.
“Grazie”
sussurrò Rosy, dopo una decina di secondi che sembrarono ad
entrambi un’eternità.
Lui
non rispose, totalmente perso in pensieri che solo lei poteva
immaginare e comprendere.
Nessuno
dei due aveva il coraggio di diminuire quella distanza, pochi
centimetri rivestiti
dal ricordo di Claudia e da ruoli opposti che erano tenuti ad avere per
qualche
strano caso divino.
Domenico
nel mese passato di vacanza, fra una camminata con sua madre e la sua
vecchia
stanza, in testa aveva soltanto il pensiero di Rosy e di quanto si
fosse
innegabilmente legato a lei in quella loro collaborazione.
Lei,
invece, osservava spesso quel vecchio portone arrugginito del garage,
desiderosa di rivedere quegli occhi verdi, quegli occhi che si erano
guadagnati
la sua fiducia giorno dopo giorno.
“Non
possiamo, Rosy” le confidò d’un tratto
Calcaterra, cercando di convincere più
se stesso che lei.
“Lo
so”
“Per
Claudia, per chi sono io e chi sei tu” continuò
lui. Gli occhi lucidi puntati
su di lei.
Rosy
gli voltò le spalle, rassegnata dal fatto che
quell’affetto e attrazione non
sarebbero potuti divenire altro.
Domenico
provò un peso insopprimibile, invece di avere la tipica
sensazione di quando si
fa la cosa giusta.
Non
riusciva a stare lontano da lei, non poteva perderla, anche se non
l’aveva mai
avuta.
Ed
in un secondo gli si fece tutto più chiaro.
Afferrò
il braccio di Rosy e accorciò quella distanza, quei
centimetri, pronto a
contrastare il destino, quel destino che gli aveva tolto sua moglie,
Claudia, i
suoi uomini, e che aveva disegnato in Rosy una criminale e in lui un
poliziotto.
Quel
bacio era inaspettato, dolce, amaro e salato come le gocce che
scendevano sul
volto di entrambi.
“E’
una pazzia” lo avvertì Rosy, quando ebbe la forza
di staccarsi da lui.
“Voglio
essere padrone del mio destino per almeno una volta”
constatò.
Rosy
scosse la testa. “Io porto male. Tutte le persone a cui
tenevo sono morte”
“Per
me vale lo stesso” ribatté lui.
“E
tu saresti la mia eccezione?” domandò sarcastica
lei.
“Direi
di si, sono uno sbirro, ricordi?” Accennò un
sorriso a cui Rosy rispose facendo
altrettanto.
“Ti
porto in un posto” aggiunse Domenico, prendendole la mano.
Rosy
sorrise nuovamente, finalmente felice dopo la prima volta che
tornò a Palermo.
Sapeva
dove sarebbero andati, e difatti prima di uscire da quel vecchio
portone, fece
in tempo a prendere il pupazzo preferito di Leonardo.
Sia
Domenico che Rosy erano certi che avrebbero avuto la loro rivincita,
insieme.
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Amo
Squadra Antimafia. Amo Rosy Abate. Amo
Domenico Calcaterra.
Premetto che non sono siciliana e quindi
piuttosto che scrivere un dialetto scorretto, ho evitato di utilizzarlo.
Immaginatevi l’accento siciliano di Rosy però :)
Questa fanfiction nasce dall’affetto che nutro
per questi due personaggi, due eroi differenti, ma pur sempre eroi.
Non sono certa al 100% che diventi una coppia
reale nella fiction, però ne sono abbastanza sicura.
Concludo il mio monologo, ringraziando coloro che
hanno perso una parte del loro tempo per leggere queste righe.
Spero vi sia piaciuta.
Alla prossima!