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Autore: GurenSuzuki    28/10/2012    1 recensioni
Kozi aveva molti fetish, troppi per una sola persona.
(KozixGackt)
Genere: Erotico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gackt, Közi
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Fetish.

Kozi aveva molti fetish, troppi per una sola persona.
Anzitutto vi era l'ossessione per le palle degli occhi. La prima volta che quell'espressione gli era uscita di bocca s'era scatenata l'ilarità generale; a Mana era persino andato di traverso il caffè. Lui aveva stornato gli occhi e proclamato un secco "Pervertiti!", per poi prendere parte alle risate.
Ciò che lo affascinava era la perfetta rotondità del bulbo, solcato dalle timide vene tinte d'un pallido rosso e l'iride che poteva riflettere qualsiasi colore volesse. 
La pupilla perfettamente nera, con il luccichio che conteneva, aveva un ché di ipnotizzante. Inoltre le ciglia spesse come un pizzo e le espressioni delle palpebre risultavano perfette cornici.
Gli occhi erano loquaci più della lingua, conoscevano parole cui la mente non sapeva trovare una forma adatta, cui il raziocinio non sapeva dare dei contorni; lo sguardo invece poteva contenere tutto senza dover per forza porre vincoli, senza dover delineare confini. Era per tutto ciò che non doveva avere limiti concreti.
Gackt aveva occhi particolari, per essere Giapponese. Il sangue edokko comandava un'iride scura, quasi complementare alla pupilla. Le sue invece contenevano ogni sfumatura di castano, dal mogano che cerchiava i bordi esterni fino al pallido beige che sfumava il centro, arricchito di pagliuzze dorate che si allungavano pigramente come raggi di sole mal contenuto.
I primi tempi, quando scopavano, voleva categoricamente che li tenesse aperti e fissi nei suoi e, se solo si azzardava a calare le palpebre, gli strattonava i capelli, all'epoca ancora lunghi fino alle scapole, giustificando quel gesto con spinte poderose che lo facevano gemere al proprio orecchio dimenticandosi delle inibizioni.
Kozi cercava quegli occhi soprattutto quando litigavano, non così spesso come si poteva credere dai piccoli e scherzosi bisticci quotidiani. Voleva leggervi dentro le parole non dette, ma non vi riusciva mai perché Gackt li oscurava. Come facesse gli risultava tutt'ora un mistero, quasi riuscisse a spegnerli. Faceva impressione.

Vi era poi la totale e sopraffacente mania per il rosso. Il rosso che gli richiamava il sangue, quindi la vita.
Fin da quando era bambino se un piccolo rametto lo graffiava, o se cadendo sull'asfalto si scorticava un ginocchio, nel qual caso una goccia di sangue solcava la pelle lui ne osservava rapito la caduta per poi raccoglierla sul polpastrello e succhiarla come il più prelibato dei nettari. In realtà il sapore ferroso lo disgustava ma l'attesa che trascorreva da quando sgorgava a quando l'assaggiava era dolce come miele, grazie all'aspettativa di quel gusto orrendo, all'idea che se ne faceva. 
L'unica volta che aveva tratto disgusto dal suo amato rosso era quando da ubriaco non aveva pensato a lubrificare Gackt e l'aveva preso così, senza pensarci. Al mattino si era alzato con una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco, vedendo una piccola scia di sangue secco sul lenzuolo, colato lungo la coscia dell'altro. Aveva preferito cambiare le coperte prima che si svegliasse, senza dare un nome a ciò che provava.

Poi vi era qualcosa che forse non poteva venir classificato come feticcio, quanto come preferenza. Da ragazzino accortosi prematuramente della propria natura sessuale (checché non sapesse propriamente che nome dare alla cosa) aveva anche capito che nella moltitudine del sesso maschile preferiva i due opposti: o l'efebo, effeminato, delicato, dalle curve acerbe di giovinetto femmineo o al contrario un uomo virile, maschile, prestante. Come mettere a confronto Mana e Kami, per intenderci.
Infatti quando aveva conosciuto Gackt non aveva ben capito da dove scaturisse il desiderio impellente che quel ragazzetto gli scatenava.
Aveva movenze delicate e femminee, come il viso, e un fisico sebbene non propriamente prestante decisamente maschile, con muscoli lievemente definiti, spalle larghe e fianchi stretti. Eppure lo eccitava e lo attraeva e lo pensava bello.

Nel mazzo delle proprie perversioni, come se quelle già elencate non fossero sufficienti per movimentare una vita intera, figurava anche una certa preponderanza all'edonismo. E non solo una semplice attrattiva per tutto ciò che di bello esisteva: si comportava alla stregua di una bambina viziata nello scegliere i propri partner, che dovevano essere sempre al pari con le sue aspettative, per non deluderlo o annoiarlo. Ammetteva candidamente che cercare di avere una relazione con lui fosse più impegnativo di un lavoro in miniera, ma non se ne preoccupava molto.
S'era interrogato per anni e anni della sua vita sull'accezione da dare al termine bellezza: mero appagamento dei sensi? Emozioni trascendentali? Una comunanza tra i due?
Ogni aspettativa filosofica si era in realtà sbriciolata sotto il peso della realtà, quando si era reso conto che, nonostante tutti i suoi ragionamenti, in realtà bello era qualcosa di più materiale e immediato, caduco. La bellezza risiedeva in cento diverse situazioni, belle perché manifestatesi in quel preciso istante sotto quella data forma. Una virgola cambiata di posto e tutto sarebbe crollato.
Uno di quegli istanti, fissi nella sua mente come istantanee, era avvenuto in un torrido pomeriggio inoltrato di agosto, nel '97, quando il loro vocalist era uscito dal camerino di prova con addosso il costume per l'imminente photoshot. Un costume da geisha. E scarpacce che lo distanziavano da terra di trenta centimetri abbondanti.
L'istantanea del proprio ricordo ritraeva Gackt sulla soglia del camerino, con le ginocchia appena piegate per passare dall'infisso, una mano morbida premuta sull'impalcatura rossa dei capelli acconciati a regola d'arte e la gemella a tener su l'orlo del kimono e un ventaglio di carta di riso.

In quel momento l'unica parola con cui avrebbe potuto descriverlo sarebbe stata bello
Intuibilmente, avendo addosso circa cinque strati di vestiario, Gackt aveva sofferto un caldo atroce e per la fine delle riprese qualche goccia di sudore gli colava lungo il collo, inumidendo appena la linea del trucco bianco; Kozi non ci aveva pensato su due volte e arrivato in camerino l'aveva baciato con urgenza, chiudendo a chiave la porta alle loro spalle. Gackt aveva cercato di spogliarsi, ma lui l'aveva fermato, facendolo piegare sul tavolo da trucco, il viso a pochi centimetri dallo specchio. Aveva sollevato uno ad uno tutti gli strati del kimono, scoprendo la pelle bianca e soda e l'aveva preso lì dov'erano, guardandolo negli occhi allo specchio. Aveva goduto di un piacere sottilmente bastardo osservando come le gote gli si imporporassero sempre di più ad ogni spinta, invergognito dall'avere la piena visuale del loro amplesso riflesso a una spanna dagli occhi. Approfondendo i colpi si era chinato sulla sua schiena vestita, leccando via quella goccia impudica di sudore. Il gusto acre del cerone gli era riuscito dolce. Ma la cosa migliore di quella volta era forse stata la morbidezza che aveva colto Gackt una volta finito l'amplesso: per tutto il giorno era stato rilassato e docile come un gatto pigro. 

 

La sua vita, checché potesse sembrare il contrario, non ruotava tutta attorno al sesso.

Sapeva apprezzare un numero illimitato di cose.

Per esempio da adolescente, quando pioveva e le strade diventavano pozze d'acqua, si sedeva sulla cassapanca dello studio di sua madre, quella morbida davanti alla finestra. Poi rubava dai cassetti un pezzo di carta e un carboncino e disegnava. Disegnava soprattutto le gocce sul vetro, dentro cui vedeva gli astrattismi dei pittori che tanto lo impressionavano e gli atti poetici di quel pazzo di Jodorowky.

Quando non pioveva ritraeva persone. Che fossero conoscenti o estranei poco importava. 

Avrebbe voluto disegnare il bel corpo tonico di Gackt, soprattutto quando dormiva avvolto nel lenzuolo del suo letto, prono, la luna morbida della schiena che sfumava sotto il lenzuolo nelle natiche tonde. Ma ogni volta si frenava, seduto nella girevole, il blocco e la matita in grembo. Si fermava per indecisione e, perché no, anche per timore. Come lo doveva disegnare? Come rendere giustizia sia ai pregi che ai difetti? Temeva d'altro canto che ne scaturisse una figura troppo idealizzata, troppo "sua". Così avrebbe pure dovuto ammettere a chiunque avesse visto il disegno che quella bellezza non era propriamente reale.

Per di più sapeva che avrebbe consumato una matita intera solo per i dettagli degli occhi.

In ultima analisi probabilmente in minima parte era spaventato e imbarazzato all'idea che Gackt si svegliasse, perché impiccione com'era avrebbe certamente voluto vedere cosa stesse combinando per poi produrre un disgustoso verso garrulo e uno sguardo al miele tanto nauseante da farlo pentire di avergli mai rivolto la parola.

 

Detto questo, il riassunto delle sue perversioni era racchiuso in un unico nome. E non aveva certo bisogno di dirlo per ammetterlo a sé stesso.



Elucubrazioni.
I fetish del sangue e degli occhi come anche quello di Gackt sono veri, Kozi li ha ammessi ripetutamente, e risulta anche alquanto ovvio xD
Detto questo, non ho particolari note da fare, forse solo che 'edokko' significa 'abitanti di Edo', ed Edo è il nome antico di Tokyo, i giapponesi sono soliti appellarsi in questo modo. L'ho scoperto perché mi chiedevo come si dicesse 'abitanti di Tokyo', Tokyani? Tokyesi? No! Edokko! :D




 

   
 
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