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Autore: jaybird    31/10/2012    2 recensioni
« Idiota. »
« I love you too.~ »
« No. »
« Si. »
« Hai intenzione di dire il contrario di tutto quello che dico io? »
« ... Non so fare il contrario di questa frase. »
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Avete presente quella sensazione, quell’esuberanza, quell’agitazione mista a gioia nel ricevere un regalo per la prima volta nella vostra vita?

« Ti amo, Arthur. »

Quell’attimo, quelle parole dette in un veloce istante, per l’agitazione o per l’imbarazzo, avevano scosso tutto. Tutto dentro di me, anche quello che credevo morto da tempo, ormai. Il cuore, quell’organo che l’inglese scorbutico, pensava di aver imprigionato, chiuso in una gabbia senza chiave, ormai, prese a galoppare, prendendo il suono di un tamburo, quasi—le guance, pallide e lentigginose,  andarono a pizzicare: andando a colorarsi di un lieve color porpora, mentre gli occhi restarono puntati sulla figura, un po’ troppo grande, davanti a se: capelli che rispecchiavano i raggi del sole, dai riflessi color miele e il cielo al posto degli occhi; come anche a lui, le guance mostravano il suo stesso imbarazzo nell’aver confessato quelle parole e  l’espressione tra il serio e l’imbronciata, al contrario di quella di Arthur, che pareva del tutto sorpresa—o sconvolta?

« … C-Che?         
Sai almeno quel che stai dicendo, ah? »

Non si conosceva mai America per poterlo prendere davvero sul serio o meno, senza contare che l’inglese era un tipo scettico di natura, e non credeva molto alle parole, ma ben si, ai fatti, come con tutti, giusto? Era un cosa normale, alla fine,  aver perso la fiducia nelle parole altrui. Solo parole, nient’altro. In un attimo, nell’attesa di una risposta a quella che, teoricamente, doveva essere una domanda retorica, Arthur, non perse tempo nell’andare ad assumere quella sua solita espressione bisbetica e burbera, nonostante dentro di se, si mostrava ancora parecchio scosso—ma doveva mostrarsi intoccato o, quanto meno, indifferente. Dopo tutto, l’americano era un tipo dalla bocca larga e parlava, parlava e parlava ancora… dopo un po’, uno poteva tranquillamente pensare che fosse un tipo alla ‘’tutto fumo ma niente arrosto.’’

« Io…
Io, si, sono l’Eroe, e so quel che ti dico! E io ti amo, Arthur! »

Ahhh, credergli o meno? Con quell’espressione, poi, pareva essere davvero convinto di quello che stesse provando al momento, e pareva anche abbastanza determinato. Scocciante.

« Siamo due uomini, America. »
« E allora? Sei talmente vecchio nel non riuscire aprire la tua mente, eh, old man? ~ »
« Siamo due Nazioni. L’amore, o certi privilegi, non ci sono concessi. »
« … Lo so, pensi che non lo sappia? »
« E allora per quale diamine di motivo vai a dire cose senza pensarci due volte, eh!? Ragiona per una volta, non fare il bambino e—dimentichiamo quel che è appena successo. »

Come se Alfred lo avesse ascoltato. Come se Arthur ascoltasse se stesso.
Tutta via, era meglio così, no? Per entrambi. L’inglese non aveva intenzione di cedere a quell’organo microscopico che chiamava ‘’cuore’’, seguendo, ovviamente il cervello e la sua morale da Nazione, qual’era. Era buffo, però: poteva vivere per tutta una vita, con il dispetto, però, di non  poter provare nulla. E Francia aveva osato, alla fine, con quella Jeanne: com’è finita, poi? Gli amori sono solo temporanei, inutili distrazioni e sensazioni sgradevoli che andavano a renderti come—un’idiota, ecco. Gli occhi color smeraldo verde del maggiore, continuavano a stare fermi su quelli azzurri del minore, quasi come se fosse in attesa di qualcosa, di una qualsiasi parola—anche se sperava di non sentir nulla, forse. Manciate di secondi di un’interminabile silenzio; silenzio che, in quel momento, Arthur non tollerava.
Dunque, erano solo parole, eh, America?

« Basta così. Me ne vado. »

Sentenzia, udibilmente scocciato, andando a voltarsi di schiena, pronto a sparire… a scappare da quella situazione che andava a mettere a dura prova la fiducia ( quella poca fiducia rimasta ) dello stesso inglese, andando a fare quei primi passi che, spera, lo avrebbero portato lontano, lontano, lontano da quelle sensazioni che provò svariati secoli fa; sensazioni stupende—che augurava di non provare mai più.

« … Scappi ancora, allora? »

Scappare? No, non stava facendo così, giusto? Stava solo… proteggendo se stesso, nulla più. Non stava scappando, non si stava nascondendo, per nulla! Ma, a quella domanda, i passi dell’inglese, si fermarono, improvvisamente, quasi come se fosse stato bloccato da un ‘’qualcosa’’, difficile da spiegare. Quello che provava in quel momento, fu solo il fatto di far comparire un’improvvisa rabbia, tant’è da costringerlo a voltarsi, nuovamente verso il minore, con quell’aria scocciata e corrugata, pronto a mandarlo al diavolo—ma sbottare in quella maniera, sarebbe stato come dargliela vinta, come fargli sapere, indirettamente, che aveva ragione. Un’occhiata, quindi, fulminea, va a scontarsi contro lo sguardo azzurro dell’altro.

« Hmph.
America, vedi di convincerti all'idea che senza di me starai bene, come hai fatto fino adesso, perché sarà così per sempre. Due colleghi, due Nazioni, nulla più. »

Sentenzia, per l’ennesima volta, con pugni stretti e tono fermo, freddo; riprendendo, poi, a camminare per la propria strada, senza aggiungere altro. Arthur era una persona razionale, che, da come lo si poteva notare, preferiva seguire la propria testa anziché il proprio cuore: organo che non lo faceva pensare, effettivamente—anzi, tutt’altro: lo avrebbe condotto ad una malattia, una tremenda malattia, si. L’amore è una specie di malattia. Ti ammali quando meno te lo aspetti e non ci sono cure. A volte può addirittura essere fatale. Non voleva diventare come quelle persone che, per colpa di questa ‘’malattia’’,  poteva spingere le persone più razionali a fare cose tanto folli e insensate. Eppure—quella voglia di essere fermato, quel desiderio di diventare speciale, importante per qualcuno, si fece sentire, così, all’improvviso e… tutto per colpa di quell’idiota, di quello stupido, dannazione!
E ora? Ora che avrebbe fatto? Se ne sarebbe tornato a casa, vi pare? Con la sola compagnia di quell’indesiderato ospite, chiamatosi: ricordo, passato. Il passato, bei ricordi, dai quali continuava a scappare, in un modo o nell’altro. 

« Arthur! »

Alfred non poteva che stupirsi di se stesso: parlare con Arthur era come parlare con un mulo che continuava a sbattere la testa contro un muro di cemento, urlandogli di smetterla ma, davvero, pareva una cosa impossibile. I piedi, decisero di muoversi da soli, tanto da andare a raggiungere di corsa quel bisbetico inglese, con il quale, non aveva intenzione di arrendersi, afferrandogli, poi, il polso, costringendolo a voltarsi verso di se, per l’ennesima volta.

« Dannazione, perché devi essere così egoista? Sembra quasi che tu mi stia dando la colpa di una cosa che hai fatto causare tu stesso! »

Effettivamente, Alfred, non aveva mai capito il concetto di ‘amare’, non erano cose per lui; non vi si era mai interessato, dopo tutto. Ma non riusciva a spiegarsi quell’estremo fastidio che, ogni volta, provava quando vedeva il maggiore con qualcuno che non fosse lui. Ogni volta che lo vedeva ridere ed non era lui la causa di quella risata. Ogni volta che lo vedeva parlare, e che non era un discorso fatto insieme. Tutte le volte che lo vedeva sorridere, diamine, e non era lui la causa di quella smorfia. Un groppo in gola, improvviso, come se avesse ingoiato un’enorme pillolona senz’acqua, ed un vomito di parole che avevano deciso di salire su per la gola, in quel preciso istante.

« Io… No, non mi do nessuna convinzione di un bel niente.
Tu—non sai il fastidio che provo quando qualcuno ti tocca. Quando qualcuno ti parla e tu ridi o sorridi. E nemmeno te ne accorgi. »

Da un tono alto, la voce, le parole, poco a poco, iniziarono a diventare appena fiacche e, la mancina, la quale stringeva il polso destro dell’altro, non fece che stringersi, quasi per paura che scappasse, che lo lasciasse li, come un’idiota—come si sentiva in quel preciso istante, effettivamente. Quel che stava dicendo, erano cose che pensava, che aveva sempre pensato e che così penserà. Al costo di apparire infantile, stupido, e quant’altro, avrebbe tirato fuori tutto. Tutto.

« Smettila di guardarmi come se fossi ancora un bambino. Smettila di pensare che tutto quel che dica, che quel che faccio, sia stupido! Non… dire mai più di dimenticare quel è appena successo. Dannazione, non capisco questa valanga di sentimenti, ma… non sorridere più a nessuno che non sia io… »

Altre parole, le sue, che sperava solo che venissero ascoltate e comprese. Era frustante sapere che, per una persona importante, non si era nient’altro che una cosa, una semplice persone, che ricordava in passato e non in questo momento, in quello che ha fatto /ora/, da Nazione, da uomo. Non da bambino. Non da colonia. Non da, quello che si riteneva, fratello.  Lo sguardo azzurro, nel frattempo, nel parlare, andò a scivolare, distratto, verso un punto vuoto, verso il basso, mentre la mano, andò a lasciare pian piano il polso del maggiore, quasi stanco. Ma, almeno, aveva detto quel che sentiva, no? Avrebbe dovuto sentirsi più leggero, quasi—eppure, ora, temeva una chissà quale reazione di Arthur: che magari gli desse dell’idiota, o dell’infantile, che avrebbe dovuto starsene in silenzio.
Nel frattempo, Arthur, pareva essersi completamente paralizzato, senza contare del fatto che si sentiva come se un qualcosa veloce e pesante lo avesse appena travolto, senza poter dare una spiegazione sensata a quel che ora lo stava lentamente mettendo a dura prova. Le iridi verdi, fissi sulla figura, immensa e cresciuta, ormai, davanti a se, con le guance appena arrossate, senza contare del fatto che non sapeva che dire, ne tanto meno che dover fare.

« A-Ameri— »
 
Un mormorio appena sussurrato uscì da quella labbra improvvisamente secche e impacciate, che non riuscivano a dare un’espressione ben precisa al viso dell’inglese, indecifrabile. Il nome altrui che venne, allora, interrotto da quella smorfia apparsa improvvisamente su quel viso da idiota: un sorriso. Che fosse stato solo per spavalderia? Poteva essere sincero, perché no?

« I won't give up, old man. »

Sbruffone, insolente ed arrogante. Insomma, pensate veramente che Arthur potesse andare ad accettare certi tratti di una persona del genere, ah?
… Perché no? Alfred pareva aver accettato tutto di Arthur: dalla sua incoerenza, ai suoi attimi di fragilità. La sua pessima cucina, le sue sfuriate improvvise. Anche quando sclerava senza dare una spiegazione logica.

« Idiota. »
« I love you too.~ »
« No. »
« Si. »
« Hai intenzione di dire il contrario di tutto quello che dico io? »
« ... Non so fare il contrario di questa frase. »

Il fatto che il patrimonio culturale di Alfred fosse così povero, poteva dare un certo ego, invece, al nostro londinese, il quale, ne aveva da vendere. Ma a quanto di coraggio e di scelte… era decisamente in netto svantaggio dell’americano. Ma più che dire un ‘’no’’, Arthur non sapeva che fare, dato che ogni gesto di rifiuto che provava a fare, sembravano dare solamente l’effetto contrario al minore che, per qualche ragione, lo facevano smuovere sempre più, tanto da andare a far aggrottare nuovamente lo sguardo al nostro simpatico britannico. Un ringhio e un’imprecazione vennero smorzati in gola, mentre uno strano nodo alla bocca dello stomaco, quasi lo strinse, sperando solo che fosse nervosismo.

« Non sai nemmeno tapparti quella boccaccia, se è per questo. »
« … Io so tapparmi perfettamente la bocca. Ma a patto che lo faccia anche tu! Dato che dici cose sempre troppo cattive. Non fanno bene, sai? Se scleri ti vengono ancora più rughe. ~ »

Era quasi come se lo stesse facendo apposta, non vi pare? Tentare di rendere la situazione ancor più peggiore di quello che non possa sembrare. Tutta via, le  parole dette in un tono scherzoso da parte dell’americano, non potevano far altro che far irritare maggiormente l’inglese, che andò a mostrare una piccola venuzza, che quasi non andava a pulsare, proprio sulla fronte, nascosta tra la frangetta scombinata, con tanto di tic nervoso all’occhio destro, che si mostrava solo quando era sul punto di scoppiare. E, credetemi, quello, era uno di quei momenti. ‘’Parole poco carine? Più rughe?’’ La vedi quella faccia, Alfred? Eh no, non sorridere, non è divertente! Anzi, è snervante e non poco. Quasi non era sul punto di sbottare e lasciare che quelle imprecazioni, quegli insulti repressi da prima, andassero ad uscire dalle proprie labbra, come una liberazione.

« What?! You… Bastar— »

Ennesimo blocco. Ennesima sorpresa. Ennesima sensazione. Era come se il tempo si fosse fermato,  improvvisamente, anche se irreale, e i muscoli che avevano deciso di non muoversi. La mente che aveva smesso di capire il tutto. C’era solo quel calore, quel tocco di labbra, quella leggera pressione e quel profumo dolce, fresco, che emanava la stessa pelle dell’americano. Era un bacio, quello? Un ottimo modo per poter sopprimere il veleno che Arthur aveva deciso di lanciargli addosso, tramite parole troppo carine, no? Eppure, il maggiore sperava di essere stato chiaro con l’altro; aveva detto no—ma, come detto da prima: parlare con America e tentare di farlo ragionare, era come impedire ad un bambino di mangiare dei dolci. Era insopportabile quanto piacevole, era come il venticello fresco, durante la primavera. Era come se le proprie labbra fossero state fatte apposta per Alfred—era come se loro aspettassero solo quelle gemelle. Arthur poteva aver baciato molta gente, d’accordo: ma mai aveva potuto provare tante sensazioni messe insieme. Il cuore aveva ripreso a battere forte, quasi come se fosse andato in tilt, mentre quel bacio, così casto quanto dolce, aveva riempito svariati secondi, dopo di che, America, come aveva iniziato quel contatto, lo terminò, andando a scostarsi ( anche perché temeva una qualche reazione un po’ troppo violenta dell’altro ), mentre Arthur non poteva che restarsene imbambolato, quasi come se fosse stato baciato per la prima volta. Il silenzio calò tra i due, e l’ansia, questa volto, insieme a qualche piccola paranoia, andò a colpire il minore. Che non avesse dovuto baciarlo senza avvertirlo? Conoscendo Arthur avrebbe potuto scatenare una guerra—ma non  lo avrebbe fatto se non ne sarebbe valsa la pena; eh bè, se quel bacio avrebbe fatto scatenare una guerra, diamine, ne sarebbe valsa la pena, davvero.

« … Allora? Com’è stato? »

Che domanda stupida da fare in un momento del genere, dannazione! E Arthur quasi non avrebbe la tentazione di urlargli di andare al diavolo, sia per il fato di averlo baciato ‘’di sorpresa’’ sia per il fatto di porre domande così sciocche—certe cose era bene non chiederle, anche perché nemmeno volendo, l’inglese, non sarebbe capace di rispondere ad una domanda del genere. Come poteva descriverlo? Sentire il tepore sulle sue labbra secche e fredde. Sentire quel dolce profumo, di vaniglia, a pervadergli l’olfatto, la voglia di stringersi… e, soprattutto fu—

« … orribile. E’ stato inappropriato, dannazione! C-Che diavolo salta per quella testaccia, eh!? »

Come volevasi dimostrare. Ma dopo tutto, in che maniera avrebbe dovuto reagire? Non poteva nemmeno permettersi di affermare a se stesso che era stato piacevole. Molto piacevole. Lo sguardo, contornato da un’espressione burbera, con tanto di rossore sulle gote, restò puntato su quello azzurro, tranquillo, del minore, non sapendo nemmeno che cosa diavolo dovesse fare; andare via o restare e prenderlo a parole?

« Uh? Orribile? Secondo me, invece, ti è piaciuto. E anche tanto, ahah~ »

Come poteva anche solo permettersi di affermare quelle parole nonostante il britannico avesse confermato il contrario? Moccioso, sfrontato e impertinente. Fece che trattenere un ringhio, Arthur, mentre andò a far scappare un rantolo e un insulto poco percettibile, mentre il biondo ebbe la strafottenza di avvicinarsi ancora a lui, con quel sorriso stampato in faccia—come se fosse stato uno che avesse appena vinto alla lotteria.

« Stammi lontano. »
« Vuoi che ti baci ancora? »
« … Sei stupido? Ti ho detto di starmi lontano! »
« Dammi una ragione del perché debba starti lontano, Arthur. »
« Perché sei fastidioso. »
« Prima potevi spostarmi, quando ti ho baciato, perché no lo hai fatto? ~  »

Ouch. Domanda pungente per Arthur che aveva appena fatto una faccia di uno che sembrava essere stato scoperto con le mani nel sacco. Inutile dire che l’istinto di ucciderlo in una morte lenta e dolorosa, stava poco a poco crescendo sempre più. Ma per ora dovevamo pensare a cosa rispondere, giusto per evitare di fare la fine di una persona incoerente. O, per lo meno: più incoerente del solito. Gli occhi vanno a strabuzzare un paio di volte, mentre si stava mettendo alle spalle al muro da solo.

« … Perché sei un’idiota. »

Signori e signore: Arthur! Il maestro nel negare l’evidenza di quello che gli stava realmente capitando al momento. Ma ovviamente ci doveva essere di mezzo l’orgoglio, no? Cosa che aveva la priorità per poter tenere quelle ‘’distanze di sicurezza’’ che lo avrebbero permesso di sfuggire in una situazione come questa—se solo Alfred glielo permettesse, ovvio. Senza nemmeno volerlo, ad ogni passo che l’americano faceva per avvicinarsi allo scricciolo dell’inglese, quest’ultimo andava ad indietreggiare, quasi istintivamente: finendo per davvero alle spalle al muro, circondato da quelle che erano le braccia possenti del minore, che lo tenevano bloccato, impedendogli ogni via di fuga. Come se Arthur volesse realmente scappare.

« Uh? Io non sono un’idiota! Ti è così difficile ammettere che ti è piaciuto? »

Gongolare. Questa era la parola adatta nel sentirlo chiedere nuovamente la conferma se gli fosse piaciuto o meno quel bacio, come se anche quel sorriso non fosse già abbastanza evidente—ma ora, piaciuto o meno,  era diventata una questione di principio e mai, Arthur, avrebbe detto il vero. Un altro tic, improvviso, all’occhio e il ringhio, questa volta, va a sformare i tratti del viso, pallido, colorato ancora da quel lieve porpora sulle guance.

«  Non montarti la testa, moccioso. »
« Allora lo ammetti che ti è piaciuto. ~   »

Perché Alfred aveva intenzione di capire solo quello che gli faceva più comodo e che, in qualche modo, gli aumentasse l’ego.

«  ... No. »
«  Allora permettimi di far pratica finchè i miei baci non saranno di tuo gradimento. »

Questa volta, anche le guance dello spavaldo americano andarono a colorarsi, andando ad accentuare l’imbarazzo nell’andare a pronunciare quella che sembrava essere una specie di richiesta involontaria. E, senza nemmeno farci troppo caso il viso decise di avvicinarsi a quello del maggiore che, nel frattempo, aveva preso a sbarrare gli occhi, non sapendo se essere sorpreso, spaventato o agitato—e non sapeva nemmeno se andare a scostarsi dal cielo che si stava specchiando sul suo prato, sentendo solo il cuore riprendere a battere, svelto e il fiato che quasi non aveva deciso di venir a mancare in quell’istante, non riuscendo nemmeno a dare un qualche segnale di rifiuto.

«  E-EH?! W-W-Wait— »

Vedere Arthur sclerare, era la cosa più bella e divertente ( se non adorabile ) che qualcuno poteva permettersi di vedere. Peccato solo che quelle parole balbettate potevano mostrarsi ben poco forti, tant’è che andò ad aiutarsi con la mano destra, fredda,  coprendo le labbra troppo vicine del minore, quasi come fare un muro. Un muro tra quelle labbra invitanti e le proprie, gemelle, che fremevano nell’essere  unite nuovamente della altre. Un rantolo andò a sfuggire dalla gola dell’altro che non aveva intenzione di rinunciare ad un latro bacio, così da andare a scostarsi da quella mano fastidiosa, bloccandola al muro, così che non ci fossero altri impicci—e se la mancina dovesse fare la stessa cosa, bhe, non esiterebbe a bloccare anche quella.

«  Che c’è ancora? »
« Non è evidente!? »
«  Perché vuoi scappare? Non ti sto mica per uccidere! »
« Non sto scappando, piantala! »
« E allora di cosa hai paura? »
« … Di niente— »
 
Una risposta dopo l’altra che vanno a concludersi con un tono titubante, mentre Arthur tentava, invano, di andare a liberare il proprio polso, non avendo alcuna intenzione di voler rispondere ad altre domande sciocche.

« A me non sembra proprio. »
« Senti, hai intenzione di tenermi qua per tutto il giorno? Io ho altri impegni. Quindi lasciami, maledizione! »
« No, non ti lascio—! »

Il tono di voce, quasi non va ad alzarsi più di quel che normalmente è, riuscendo a far zittire, per una qualche ragione, il maggiore; facendogli serrare le labbra in un’ennesima espressione corrucciata, smettendo anche di andare a sforzare in un vano tentativo di liberazione, mentre gli occhi verdi fecero che andare a scostarsi di lato, volendo scappare anche da quello sguardo fisso su di se.

« Non lo farò. Non… di nuovo. »
« … Mh- »
« Arthur… in passato l’ho fatto per il semplice fatto che /dovevo/ crescere. Per il semplice fatto che non volevo essere più una tua colonia, ne tanto meno volevo rimanere un bambino ai tuoi occhi. Sono diventato abbastanza forte da poterti proteggere e da poterti promettere queste cose. »

Altre piccole confessioni andavano via via a scivolare dalle labbra dell’americano, nel mentre andò anche a liberare il polso del maggiore, facendo che far ricadere le mani sui propri fianchi. Ricostruire quel rapporto rotto involontariamente, riconciliare nuovamente il loro rapporto… era questo che voleva semplicemente Alfred. E Dio solo sa quante volte ha tentato fare il tutto senza concludere con una qualche litigata. Senza contare che più il tempo passava, più l’americano riusciva a capire quell’ondata di sentimenti che, con il corso dei secoli, non era andato a mutare; mostrandosi sempre più attaccato al maggiore, pretendeva riconquistare il suo sorriso e che mai e poi mai, quell’ondata di sensazioni e di sentimenti sarebbero mai cambiati per lui. Mai.

« … La vuoi piantare? Io non ricambio quel che provi tu, America. »

Mentire a se stessi? Arthur poteva considerarsi un mago in questo genere di cose, una delle sue specialità più formidabili si poteva affermare. Lo sguardo ritorna a puntarsi su quello altrui, quasi con la speranza di dare sicurezza alle balle che aveva deciso di continuare a dire.

« Se non mi ami, allora, ti farò innamorare di me. »

Strabiliante era la semplicità con la quale aveva deciso di confessare una tale cosa, mh? Ma se non sapesse che Arthur stava /decisamente/ mentendo a tutto, l’americano non avrebbe nemmeno perso tempo a dire una simile cosa. Lui si aspettava i fatti, ebbene, li avrebbe fatti. Questa era sfida—no, una promessa a se stesso. Avrebbe raggiunto l’amore altrui, lo avrebbe conquistato, usando ogni mezzo che gli sarebbe stato d’aiuto e mai si sarebbe arreso. Che poi, essendo un testone, avrebbe ottenuto quel che voleva: e quello che voleva era proprio Arthur. Si, proprio lui… quello che al momento sembrava essere arrossito per l’ennesima volta in quella giornata.
Gli occhi verdi, strabuzzarono a quelle parole, non sapendo nemmeno in che altro modo poter ribattere per terminare quella seccante situazione che aveva deciso di far consumare l’intero pomeriggio al povero inglese. Il silenzio, il tempo di un grugnito indecifrabile e riecco che l’espressione corrucciata va a sformare quel viso lentigginoso.

« … Hmph. Fai come ti pare. »

Un movimento fatto con la mano destra,  con fare scocciato, mentre non perse tempo nell’andare a scostarsi, finalmente da quella figura quasi immensa che andava a  bloccargli la strada, lasciando solo che la discussione del tutto  gli facesse restare l’imbarazzo sulle gote—senza contare di aver lasciato, involontariamente, il ‘’via libera’’ all’americano nel continuare quella che sarebbe stata /davvero/ un’interminabile sfida a se stesso.

« L’Eroe riuscirà anche in quest’ardua impresa! ... E come premio avrò un bacio. ~ »
« Shut up. »

  
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