Libri > Sherlock Holmes
Ricorda la storia  |      
Autore: Igvonain_Z    01/11/2012    1 recensioni
Sherlock Holmes, ancora giovanotto, deve andare a fare un colloquio per entrare in un College. Sarà proprio sul treno che lo porterà a destinazione che inizierà la sua brillante carriera. Rettifico: non inizierà solo la carriera del detective londinese, ma anche di un certo ladro gentiluomo!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sherlock Holmes e il mistero dell’uomo dai due orologi

Il sole doveva ancora sorgere. Escluso qualche ubriaco che tornava a casa dopo una notte di bagordi, magari scortato da un paio di poliziotti sbadiglianti ansiosi di finire il turno: Londra dormiva. Sherlock no. Era già sveglio da un’ora e stava suonando il suo violino, leggendo lo spartito alla debole luce di una luna piena prossima alla morte sull’orizzonte. La casa era inondata da quelle note buttate lì senza ragione, secondo un brano assurdo inventato, scritto e, infine, sempre improvvisato da quel ragazzo; non un adolescente come tanti, che navigano in un mare di contraddizioni, di amori, di delusioni, di amicizie e di pianti. No, lui no. Aveva qualche amico, si. Ma non faceva le cose che facevano tutti i suoi coetanei. Non si interessava affatto di ragazze. Frequentava posti rispettabili, università e biblioteche di giorno. La notte girava in lupanari e luoghi malfamati, apparentemente, solo per sedersi ad un tavolo e osservare le persone, borbottando fra se e sé frasi del tipo “Quest’uomo viene mantenuto da sua moglie e se venisse scoperto penso che finirebbe in mezzo alla strada” oppure “Guarda un po’ …  Chissà cosa ci fa un avvocato in questo posto…?”. Doveva essere uno spettacolo veramente inquietante osservarlo e vedere uscire dalle sue labbra deduzioni sulla vita, professione, famiglia e stato di salute di sconosciuti partendo da elementi come una toppa nell’abito, l’espressione,  le mani e certe volte persino dallo sguardo.

Quella mattina il giovane Sherlock Holmes avrebbe dovuto prendere il treno dalla stazione di Sancta Victoria per Birmingham, dove avrebbe avuto un colloquio col rettore dell’Università. Non era mai stato interessato a proseguire i suoi studi, ma i suoi genitori desideravano ardentemente che lui diventasse un chimico. Era sicuro solo di una cosa: non avrebbe mai fatto l’avvocato nella vita. Non sapeva che cosa sarebbe diventato, ma di certo non un avvocato. Se ci fosse stato qualcuno a questo mondo disposto a pagare un'altra persona affinché questa osservasse la gente e gli dicesse vita, morte e miracoli di ogni individuo incontrato per strada, bè, inutile dire che Sherlock sarebbe stato il miglior candidato. Anche suo fratello maggiore, Mycroft avrebbe i requisiti adatti a ricoprire quel ruolo, gliene mancava solo uno: non aveva mai mostrato ambizione maggiore che quella di alzarsi dalla sua poltrona per andare a comparsi un nuovo libro o per le cicliche riunione dei suoi club culturali elitari della Londra bene.
Le sette e un quarto: ora di avviarsi verso la stazione. Ripose il violino nella scatola, prese una piccola valigia di fibre, la aprì, diede una rapida controllata per accertarsi che non mancasse nulla e la afferrò saldamente con la mano sinistra, mentre con la destra indossò la sua particolare bombetta beige, il suo impermeabile e si guardò allo specchio:
era un ragazzo di sedici anni, ma la sua barba già ben sviluppata e i suoi lineamenti squadrati e duri lo facevano sembrare un uomo fatto, che insieme a quel naso aquilino e prominente gli davano un’aria severa e corrucciata anche nei momenti di allegria.
Finita la auto contemplazione, con passo deciso si diresse verso l’uscita, quando una voce assonnata lo interruppe:
-Ciao fratellino… Valigia in fibre, vestito formale con quella ridicola mantella come tocco personale, l’orologio mal riposto nella tasca, come se l’avessi già consultato più volte e come se fossi certo di doverlo consultare ancora. Fammi indovinare: ti prepari ad un viaggio in treno?.
-Ottime deduzioni Mycroft, darebbero prova di intelligenza e sagacia, se solo la mia partenza non fosse oggetto di discussioni in questa casa da almeno… Vediamo… Un paio di mesi.
Concluse Sherlock con fare scocciato e sarcastico, come se fosse stato interrotto nel bel mezzo di un rito solenne.
-Sai, eri molto più simpatico quando avevi un mese. Almeno quella volta frignavi di tanto in tanto per magiare, ma almeno non sapevi ancora parlare…
Disse il fratello, ancora assonnato. Nessuna risposta, ad esclusione di uno sguardo torvo.
-Bè comunque ciao.
Disse in uno sbadigliò Mycroft, andando a ripescare una pentola, un po’ di uova e bacon.
-Ciao.
Rispose glaciale Sherlock. Aprì la porta e uscì in strada. Faceva piuttosto freddo, l’autunno era ormai alle porte. Per raggiungere la stazione avrebbe dovuto fare una lunga passeggiata a fianco del Tamigi. Le strade non erano ancora inquinate dal vocio confuso che dava tanto alla testa a Sherlock. Le piazze erano ancora impregnate di quell’odore di cibi, di spezie, profumi e puzze che si mischiavano fino a creare un odore ripugnante.  
Entrò nella stazione: era veramente ampia. Dava questa impressione anche perché era semideserta. Oltre al personale, c’erano solo tre persone: una giovane coppia e un altro uomo.
I due giovanotti erano in piedi e si tenevano per mano, entrambi non avevano più di venticinque anni. Lei era alta un metro e settanta circa. Capelli rossi e occhi verdi, tipiche fattezze britanniche. Era vestita con abiti da viaggio pesanti, addirittura un capello di pelliccia sul capo. Sicuramente quei due si stavano dirigendo a Nord, molto più a Nord si Holmes, almeno. Lui era alto almeno una decina di centimetri più della compagna. Occhi azzurri e capelli quasi platino. Teneva in mano una valigia voluminosa e trascinava anche un grosso baule. Era vestito molto più leggero rispetto alla fidanzata. Probabilmente, pensò Sherlock, lui è russo, o comunque scandinavo e i due stavano andando a casa della famiglia di lui, dove l’inverno è rigido e arriva non dopo metà Ottobre. Per lui, quindi, quella mattina era estremamente calda.    
L’uomo anziano che aspettava doveva essere sulla sessantina più che abbondante. All’apparenza sembrava un uomo come tanti altri, ma osservandolo bene si poteva notare che era un uomo distinto: sotto una giacca spiegazzata portava un panciotto rosso di seta, come i pantaloni. Un paio di occhiali in metallo portati sulla punta del naso incorniciavano due occhietti azzurrini languidi. La faccia era tonda. I pochi capelli bianchi gli spuntavano qua e là. Un uomo distinto, forse un dottore o un avvocato, ma dalle scottature sulla sua lucida capa pelata sembrava che passasse molto tempo al sole il mattino e il primo pomeriggio, come se lavorasse all’aperto ma non sembra un uomo di fatica: cambiava spesso braccio, come se si fosse sforzato molto, per tenere quella piccola valigetta dall’aspetto tutt’altro che pesante, osservo Holmes.
 
 
Osservati i pochi avventori del momento, si diresse spedito verso la biglietteria.
-Salve.
-Salve, vuole prendere un treno?.
Domandò l’impiegata.
-No- Rispose Sherlock molto serio- Vorrei andare fino Birmingham in crociera.
-Mi dispiace signore, ma a Birmingham non c’è il mare e non abbiamo navi da crociera.
Rispose confusa la bigliettaia.
-Davvero? Peccato. Mi dovrò accontentare di un treno.
-Temo di si. Solo andata?.
-Non sono un grande atleta… no, forse è meglio anche ritorno.
-Hem, perfetto – Disse un po’ impacciata l’addetta- Il treno parte alle 8:10.
-Eccellente, signora. Da quale molo salperà?
-Hem… Cosa intende?
-Intendo dire che lei ha meno senso dell’umorismo di un’ascia smussata sul collo di un innocente, signora mia.
Si congedò un sarcastico Sherlock Holmes, leggendo sul biglietto il binario dal quale il treno sarebbe partito.
Si sedette sulla panchina ad aspettare. Puntuale, alle 8:10 spaccate salì su quelle che allora erano vetture quasi rivoluzionarie: enormi macchine che sembravano serpenti mitologici, che rapide divoravano le pianure inarrestabili, che filavano dritte, veloci e spedite per le città e che bucavano i monti. Motori che ruggendo si lasciavano indietro distanze che sembravano infinite. Con quel loro fumo denso e nero che saliva al cielo sembravano voler lanciare con faccia arrogante e arrabbiata un grido, una monito, un informazione a quel cielo indifferente, bellissimo, cieco e pieno di stelle e di nulla.
Dopo aver cercato invano uno scompartimento vuoto dove poter osservare in santa pace il paesaggio, decise di accontentarsi di uno non troppo affollato e che non fosse invaso da vecchi tisici o bambini strillanti. Fortunatamente lo trovò senza difficoltà.  Nel suo scompartimento c’erano solo altri quattro passeggeri:
uno era il vecchietto che aveva visto alla stazione. Oltre a lui c’era un uomo di mezz’età, una giovane donna e un ragazzo sulla trentina.
L’uomo sulla quarantina era seduto vicino alla porta che dava sul corridoio.
Indossava una giacca e una camicia trasandata. Le occhiaie sotto gli occhi e il resto del volto pallido e stropicciato non mascheravano efficacemente recenti notti insonni. I capelli grigi stropicciati e la folta barba incolta davano l’impressione di un uomo che non si è potuto dare una rassettata da almeno due o tre giorni. A Holmes sembrava molto sospetto: muoveva sempre qua e là lo sguardo, come se temesse l’arrivo di qualcuno e volesse tenersi pronto alla fuga. Senza calcolare poi il fatto che si tastava ogni minuto, quasi convulsamente, una tasca interna della giacca come se tenesse qualcosa di grande valore e temesse che gli fosse sottratta. Una cosa preziosa, pericolosa, illegale o tutte e tre le cose? Si chiedeva di tanto in tanto Sherlock.
Il ragazzo sulla ventina, seduto di fronte a Holmes, aveva i capelli scuri e mossi. Dallo sguardo sognante, dai vestiti di seta e dagli sbadigli si poteva immaginare che fosse un ricco figlio di papà non abituato ad essere in piedi prima delle nove. In effetti, sarebbe un po’ insolito per un uomo abituato a svegliarsi alle sei per lavorare, avere sonno alle otto e dieci. Probabilmente uno di quegli studenti sfaccendati che passano le notti a ubriacarsi e il giorno a predicare le loro strampalate idee rivoluzionare nei corridoi dei college, pensando di cambiare il mondo chiacchierandosene fra loro e sognando di mettere al muro i signori e i ricchi (categoria di cui fanno parte, ma non lo vogliono ammettere) standosene comodamente seduti in biblioteca a leggere i loro libri sull’uguaglianza e la lotta di classe. Pensò sprezzante Sherlock.
La donna, invece, era perfettamente sveglia, sebbene non sembrava nutrire alcun interesse ad esclusione della campagna che sfilava veloce fuori dal finestrino. Osservando il suo abbigliamento si poteva credere che fosse la moglie di un semplice operaio: comodi abiti da viaggio, di bassa qualità e in certi punti rammendati. Ma lo sguardo altero e i movimenti aggraziati conferivano a quella donna un aria di passata grandeur. Forse  la discendente di qualche antica e nobile casata caduta in disgrazia, annotò il giovane Holmes.
In treno lentamente e sferragliando si mise in moto. A poco a poco la vettura prese velocità. Il movimento della macchina fece sparire prima la stazione e poi la città, lasciando il posto alla campagna che sfioriva con l’arrivo dell’autunno. Vicino alle rotaie si vedevano i primi mucchietti di foglie secche cadute dagli alberi. Alle volte bastava un alito di vento. Un po’ come le nostre vite, pensava Sherlock, a volte basta un nonnulla e con la stessa difficoltà di una foglia, una vita scivola lentamente via sospinta dalla brezza dell’altro mondo.
In quel periodo viaggiando in treno, anche alle altissime velocità di 60 miglia orarie, si potevano vedere contadini affaticati, impegnati nella vendemmia. Fatica sprecata, pensavano molti. La Gran Bretagna non era il luogo adatto a quelle coltivazioni. L’uva della Corona non avrebbe mai potuto eguagliare quella di alcuni paesi d’oltre manica, come la Francia o l’Italia. La Francia non piaceva a Holmes. Popolo di presuntuosi, pensava. Credevano di essere quelli più progrediti per la loro rivoluzione. Una volta un amico francese del padre era venuto a prendere un tè a casa loro. Iniziò a sostenere che il suo paese era un faro culturale per la democrazia e la libertà, che il resto d’Europa era indietro di cent’anni. Sherlock non riuscì a sopportare oltre e lo interruppe secco, sbattendogli in faccia cosa fosse la Magna Charta Libertatum del XIII secoloe la Gloriosa Rivoluzione del XVII. Doveva essere stato tanto aggressivo che, dopo quel pomeriggio, l’amico francese non si fece più vivo che per corrispondenza
L’Italia invece gli piaceva. La sua passione per quel paese era iniziata grazie al violino: Vivaldi, Paganini e Corelli. Un trio geniale. Non c’era mai stato, ma non fra i suoi progetti per il futuro c’era certamente una visita al Bel Paese, da poco paese…
Il viaggio di quello scompartimento si stava rivelando sempre più noioso: il ragazzo sulla ventina continuava a rimanere nel dormiveglia e non aveva ancora fatto nulla di più interessante di uno sbadiglio di quelli che ti fan fare conoscenza con le tonsille, la donna rimaneva appoggiata al finestrino a guardare la campagna, l’uomo di mezz’età da quasi mezz’ora si controllava la tasca a intervalli regolari guardandosi intorno con aria circospetta e l’uomo anziano non faceva altro che fissare il vuoto con la schiena rigida sullo schienale e la testa reclinata verso il basso.
All’improvviso qualcosa scosse la monotonia di quel viaggio. La donna si alzò tornando pochi minuti dopo. In realtà si trattava semplicemente di una persona andata alla toilette per sbrigare i suoi bisogni, ma almeno qualcosa si era mosso in quel noioso scompartimento. Qualche minuto dopo entrarono in galleria. Tutto era buio. Il rumore delle rotaie rimbombava nel buio rendendosi insopportabile. Sembrava di essere in un girone infernale. Il fumo nero emesso dal treno offuscava i finestrini. Quando uscirono dalla galleria era tutto identico ad esclusione della faccia del vecchio, che appariva estremamente sbalordita:
teneva due orologi da taschino in mano. Uno che ticchettava e segnava le dieci e tre quarti. L’ora esatta. L’altro, identico, le 11.11.
Sherlock, incuriosito, gli domandò:
-Scusi, signore. Temo di essere indiscreto, ma se mi è concesso vorrei farle una domanda
L’uomo non rispose, quindi, Holmes proseguì:
-Vorrei domandarle, sir, il motivo per cui sta consultando due orologi identici, uno dei quali per di più guasto.
-Non lo so, figliuolo. Me lo sono ritrovato in mano appena usciti dalla galleria. Io non ho mai avuto quello guasto; riconosco quello sano, ma non il suo gemello difettoso.
-Capisco.
In realtà non era vero, ma i suoi ingranaggi si erano messi già in moto: non era cosa da poco.
Qualcuno gli aveva dato a quell’anziano signore un orologio gemello a quello già in suo possesso, ma guasto. Come? Non deve essere stato difficile avvicinarsi di soppiatto all’uomo nell’oscurità e nel caos della galleria. Chi? Una delle persone sedute in quello scompartimento, senza ombra di dubbio. La domanda era perché. Che senso ha? E poi, perché proprio le 11:11? Un orario casuale? Cosa vogliono significare? Potrebbe voler essere, invece di un orario, anche una data, l’11/11, cioè, L’undici Novembre. Mentre le domande ronzavano nella sua testa, il treno iniziò lentamente a perdere velocità e la donna si rialzò per andare alla toilette.
L’uomo sulla quarantina  stava continuando il suo furioso circolo: mano alla tasca e testa che lanciava in giro occhiate sospettose, all’infinito. Lo studente sfaccendato stava russando piano piano.
Il treno riprese velocità. La donna rientrò nello scompartimento. Sherlock le fece lo sgambetto e, con tante scuse, la aiutò a rialzarsi. Si guardò il polsino della camicia e vide che era sporco di fuliggine.
Holmes controllò l’orologio: le 11.10. Il treno entrò nella galleria successiva, Sherlock si appostò all’uscita dello scompartimento: era il momento della verità. Aspettò qualche istante e… Due mani gli cinsero la gola:
-Sarebbe stato più saggio appostarsi alla fine del corridoio, William.
Disse una voce profonda.
-Hai ragione Arsene. Ma ero così ansioso di incontrarti che non volevo aspettare oltre. Comunque sei in anticipo di un minuto, amico mio.
-E’ vero, ma lui se non se ne accorgerà prima delle 11.11
-Sempre molto stile…
-La classe non è acqua.
-Giusto. Ma è d’oro?
-24 carati e anche un piccolo diamante al centro, vedi?
Disse Arsene mostrando l’orologio non guasto, fino a poco tempo fa in mano all’anziano signore seduto a fianco di Sherlock Holmes.
-Vedo… Quello guasto suppongo sia di ferro…
-Esatto, con le lancette disegnate!
-L’hai fatto tu?
-Assolutamente, amico mio. Posso chiederti come hai fatto a riconoscermi?
-Certo. Il sospetto l’ho avuto sin dal momento in cui ho visto una donna che stava zitta per più di mezz’ora di fila, non mi hai ringraziato neppure quando ti ho aiutato a rialzarti. La conferma la ebbi dallo stile del furto e dalla fuliggine: scommetto che tu, oltre a una piccola e graziosa passeggera sei anche il fuochista, e, per quel che ne so io, c’è solo un uomo tanto abile nei travestimenti:               Arsene Lupin
-Veramente brillante Holmes.
-Grazie.
-Bè, arrivederci, mon amì!. Devo tornare in sala macchine!.
Il treno uscì dalla galleria e la luce del sole che entrò dai finestrini, illuminò una donna salutare Sherlock Holmes e dirigersi verso la sala macchine, dove entrerà un grosso omone con una tuta da lavoro blu.
Sherlock rientrò nello scompartimento. Il signore si era accorto della sparizione. Alla stazione di Birmingham il furto venne denunciato e la polizia iniziò a dare la caccia ad una donna con comodi vestiti da viaggio.

GMZ

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: Igvonain_Z