In senso
europeo
«Quando hai qualcosa che non va, te lo si legge in faccia, bambina
mia. Me lo ripeteva sempre mia madre…»
Sally
Thompson stava tenendo banco qualche metro più in là, in viso l’espressione decisa
di chi sta intrattenendo un audience di un certo livello. I capelli giallastri
ondeggiavano al ritmo del suo panegirico autopromozionale
mentre faceva ciondolare le tozze gambe giù dallo sgabello in cima al quale era
appollaiata.
In ufficio
la conoscevano tutti e lei, per parte sua, si teneva premurosamente informata
sugli affari privati di ciascun collega, cosa che non riscuoteva la grata
ammirazione degli stessi, come lei si sarebbe giustamente aspettata.
Si direbbe che qualcosa che non andava, in faccia, l’avesse
sempre.
«Quell’insopportabile
espressione di pettegola sempre in cerca di particolari scabrosi. Gliela
cancellerei con piacere se potessi!» esclamò, come da rito, Fanny Long agitando
il cancelletto smunto che C.J. custodiva di solito
nel primo cassetto della sua scrivania. C.J. la
guardò in tralice ma non fece obiezioni. Fanny, un discutibile caschetto moro e
un crogiolo di rughe intorno agli occhi, era forse l’unica persona che potesse
definirsi sua amica. Aveva da sempre un posto libero in macchina, un senso
dell’umorismo volubile, ma capace, e soprattutto un odio profondo e radicato
per Sally Thompson.
Se credete
che queste cose non riescano a fondare un’amicizia, non avete mai conosciuto
gente come Sally.
Era
grassoccia e piuttosto volgare, un barile di malignità pronto ad esplodere. Era
anche eccezionalmente dotata di quella finta umiltà che tanto disgustava Fanny
e che le aveva permesso di raggiungere il ruolo di segretaria in quell’ufficio.
C.J. era addetto agli acquisti. Di cosa, non aveva poi molta
importanza. Cosa facesse Fanny era infine un mistero. Per lo più, assolveva
all’importante compito di tonificare i glutei, contraendo i muscoli del sedere
mentre era alla scrivania.
«…che poi è morto, poveretto. Mi è molto
dispiaciuto per lui, anche se non lo conoscevo. Ma d’altronde, io sono così
sensibile che riesco a dispiacermi anche per gente che non conosco, come Piotr appunto. E che – detto tra noi – mi avevano riferito
essere un vero alcolizzato.»
Fanny inarcò
pericolosamente le sopracciglia.
«Insomma,
non mi stupisco che sia schiattato… dopo tutti i suoi
vizietti.» Sally s’interruppe per esibirsi in una risatina gutturale, una
specie di frivolo singulto, che nelle sue intenzioni doveva avere un tono
delicatamente allusivo.
Poi riprese
con espressione impietosita: «E non potevo mancare al funerale, sapete. Ho
fatto le condoglianze alla famiglia. Sono sicura che mi siano molto grati per
esserci andata anche se non lo conoscevo affatto.»
Fanny fece
schioccare la lingua. C.J. guardò il suo bianchetto
con apprensione.
«Se non per
sentito dire, ecco!» Di nuovo quel garrulo ridacchiare, mentre sollevava la
mano per mimare una bottiglia che viene portata alle labbra.
Fanny scattò in piedi: «Tu sei… tu sei una−»
«Una gran
brava persona. Dovremmo tutti seguire il tuo esempio» si affrettò a completare C.J. Sally destinò loro un’occhiata sospettosa, poi l’idea
di dedicarvi più attenzione del dovuto sembrò attraversarla e riprese a
proclamare l’infinito elenco delle sue virtù, ahimè, ogni tre per due smentite
dalle cattiverie che riusciva a infilargli in mezzo.
Mentre lui
la tirava per un gomito, Fanny sbottò: «Ma perché lo hai fatto? Prendere
esempio da lei? Sì, se volessimo avere la certezza di finire all’inferno!»
«Per favore,
hai intenzione di entrare nella sua lista nera?» replicò lui pacatamente,
mentre la guidava fuori dall’ufficio e poi giù per le strette scale che
conducevano fuori dall’edificio.
«Ma ci siamo
già entrambi! Si sarà già appuntata le calunnie da dire ai nostri funerali!»
Lui grugnì
qualcosa di ben poca importanza in risposta. Qualcosa riguardante il sudore che
gli faceva scivolare gli occhiali giù per il naso.
«Perché si
presenterà ai nostri, ci puoi scommettere. Va a quelli degli sconosciuti…»
Entrarono
nel bar dietro l’angolo.
«Ma poi
perché lo fa?» chiese con ingenua curiosità lui.
«Perché
cerca di racimolare gente che venga al suo. Spera che i congiunti delle persone
che va ad oltraggiare si presentino quando toccherà a lei.»
Prima che una folata di vento spazzasse le foglie sul marciapiede
dal quale erano appena spariti, fu udibile l’ultimo commento sulla questione:
«Se continua così, saranno i congiunti a darle una ragione per fare un
funerale.»
* * *
Fanny amava combattere battaglie perse. Si può dire che avesse a
cuore una sfilza di problemi senza soluzione, di questioni senza via d’uscita e
di gente in stato davvero irrecuperabile.
Chiaro che C.J. faceva parte di questa categoria.
Così, a tradimento,
gli rivolgeva domande con cui sperava di coglierlo di sorpresa.
«Visto
qualche buon film di recente?»
La domanda
rimbombò, col suo tono di modulata disinvoltura, nel locale semi-vuoto.
Potsdamer Café Deluxe, fondato una ventina
d’anni prima da una coppia di patriottici berlinesi, era balzato agli onori
della cronaca quando, negli anni ’90, Francis Ford Coppola vi aveva girato una
piccola scena di un suo film. Di fatto, protagonista della scena era stato il
muro di mattoni, quello sul retro, sul quale un piacente giovanottone
di ventinove anni, che interpretava un adolescente squilibrato, aveva fatto pipì
come segno di protesta contro la società.
«E anche kontro l’iciene forse… io non rikorda bene»
aggiungeva, senza un filo di sarcasmo, l’ottantenne Herr
Schnitzler,
quando raccontava la vicenda ai clienti.
Dopo essere passato di proprietà diverse volte e avere sopportato, per
un breve periodo, la trasformazione in Potsdamer Lavasecco Express, adesso non era che un poco frequentato bar, in mano a un John Smith
qualunque. La clientela era poca e tranquilla (tranquilla perché poca) e C.J. pensava semplicemente che non esistesse di meglio per
passare un po’ di tempo fuori casa.
Riservò a Fanny un mite sguardo
interrogativo, mentre rispose: «No.»
C’era del candore quasi commovente nella sua sincerità.
Fanny poggiò un gomito sul bancone, con aria sconfitta.
«Come hai passato il weekend?»
«Niente di speciale, io..»
Ho dormito, ho mangiato, ho letto le
informazioni nutrizionali stampate sulle confezioni di tutto quello che ho
mangiato e ho dormito di nuovo.
Era questo
che avrebbe voluto dire, ma qualcosa nello sguardo fiammeggiante dell’amica lo
indusse a tacere sulla verità.
«Ma perché non sei uscito? O non hai guardato un film? O letto un
libro? Sveglia C.J.! Ci sono un mucchio di cose che
possiamo− puoi fare!»
La brusca correzione non fece suonare nessun campanello in lui, che si
limitò a fare spallucce.
Fanny si preparò a cominciare di nuovo. In quello, un biondino acneico
sbucò da sotto il bancone.
«Salve,
gente!»
Domata la
sorpresa, i due ricambiarono il saluto.
«Ciao, Pat…»
Pat era il barista. Lavorava lì da diversi anni. Non era
particolarmente intelligente, ma sapeva esattamente quanto ghiaccio mettere
nello scotch di Fanny. E anche quanto cacao in polvere spargere sul caffellatte
di C.J.
Quest’ultimo
era astemio, nel caso fosse necessario specificarlo. Ma il suo barista di
fiducia glielo perdonava. Anche se giovane, non aveva grilli per la testa ed
era sempre molto comprensivo con i suoi clienti.
Ma tutti
abbiamo almeno una pecca e quella di Pat era la sua
passione per il bar in cui lavorava e, in particolare, per il Fantastico Muro
di Francis Ford Coppola.
Era stato
proprio Pat a porre un’etichetta placcata in oro sul
muro in questione che ricordasse ad ogni passante – e in quel vicolo è
legittimo supporre che al massimo passasse qualche gatto randagio – che lì il
famoso regista aveva messo la sua firma. L’urina aveva funto da inchiostro, certo,
ma era un dettaglio su cui era facile sorvolare. Un ragazzino dalle aspirazioni
vandaliche aveva completato l’opera armato di bomboletta spray, così adesso l’etichetta
celebrativa era totalmente oscurata dalla scritta “MURO DELLA FAMOSA PISCIATA”,
che campeggiava, a lettere cubitali sbavate di rosso, sulla stessa parete.
Ciò non
smorzò mai l’entusiasmo di Pat. Entusiasmo che
trovava ogni volta la sua
manifestazione nelle logorroiche, spumeggianti conversazioni che intratteneva
con se stesso.
«Un muro
celebre. Come a Berlino! E questo si trova in un bar berlinese! Oh, il destino!»,
per poi aggiungere, completamente affascinato dalla vicenda: «I cicli e i
ricicli storici…»
«Pat, tu cos’hai fatto nel weekend?» Fanny interruppe quelle
affabulazioni insensate.
«Non posso
dirtelo» fece quello, serio serio.
«E perché?»
gli chiese, inarcando un sopracciglio.
«Perché poi
dovrei ucciderti…» sghignazzò lui.
«Oh, molto
originale» Fanny sembrò fare un enorme sforzo per non alzare gli occhi al
cielo.
Se lo avesse fatto, avrebbe notato il malriuscito abbozzo di Crêpe che pendeva dalle travi con fare mollemente
minatorio e che rappresentava l’ultimo, penoso tentativo di Pat
di arricchire le proprie capacità culinarie in senso europeo. Sarebbe
bastato alzare lo sguardo, solo quello, per evitare la catastrofe, ma in un
moto di considerevole indulgenza, Fanny preferì mostrarsi più delicata e non lo
fece.
Così, nell’attimo stesso in cui schiuse la bocca per chiedere a C.J. di accompagnarla al cinema quella sera, la Crêpe si staccò e, dopo un grazioso librarsi in aria,
atterrò con fatale precisione sulla sua testa.
Fanny urlò. Pat urlò. C.J.
la fissò costernato e questo è tutto quanto possiamo aspettarci da un tipo
mansueto come lui.
«Cos’è?! Cos’è?!»
«La Crêpe! È solo la pastella della Crêpe!»
«Perché?!» Fanny, scattata in piedi, si dimenava.
«Ma perché cosa?!»
Nel trambusto generale, non ci si capiva più niente. Più volte Pat cercò di allungare uno straccio malconcio a Fanny, che,
fra un saltello e un singhiozzo isterico, lo respingeva via con un gesto
stizzito della mano.
«Devo andare!» disse infine, e si catapultò fuori, lasciandosi alle
spalle le scuse forsennate di Pat.
C.J. si affrettò a seguirla, dopo uno sguardo contrito a Pat, come se sentisse di doversi fare perdonare per il
fastidio procurato.
Ci fu un secondo di requie. La porta
del bar non si era ancora chiusa, che una donna accalorata fece il suo ingresso
sbraitando al telefono.
«Che cosa significa che ho l’obbligo morale, in quanto sorella, di
mantenerti?! Per quanto mi riguarda, puoi anche prostituirti!»
Era, com’è chiaro, Paula Winters.
Il mio blabla:
Grazie,
grazie e grazie alle recensitrici e al recensore del
precedente capitolo.
Grazie,
grazie e grazie ai seguitori, al preferitore
e alla ricordatrice.
E visto che,
per la maggior parte, chi ha recensito ha anche seguito/preferito/ricordato,
allora vi toccano sei Grazie a testa.
L’ultimo l’aggiungo
qui, così fan sette, che come numero mi piace di più: grazie!
Come sempre,
chi mi vuole fare sapere che ne pensa, può farlo senza timore di ottenere uno
scappellotto in risposta. Piuttosto un dolcetto.
Buonanotte, Signor Goryunov.
WS