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Autore: Marguerite Tyreen    04/11/2012    2 recensioni
[Deep Purple]
-Qualunque essa sia, io vorrei essere come quella stella, Cov.
-Lontana, Tommy? - lo guardò perplesso, attraverso le lenti degli occhiali.
-No, luminosa. Tranquilla. Capace di brillare di luce propria, senza temere l'oscurità.

***
Nel 1976 i Deep Purple si sciolgono. Il chitarrista Tommy Bolin muore pochi mesi dopo in una stanza d'albergo, il cantante David Coverdale intraprende la propria avventura personale con i Whitesnake, mentre il bassista Glenn Hughes comincia un periodo errante tra viaggi, straniamento e ricerche di qualcosa che non trova.
Ma la nostra storia prende il via nel 1989, quando Coverdale, per mettere fine al peregrinare sofferto di Hughes, ormai rimasto senza lavoro nel panorama musicale, gli offre una collaborazione nel suo ultimo disco. E si sa, la memoria è un vento impetuoso, pronto a travolgere qualunque cosa...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonsalve, gente del fandom Purpleiano *-*
Marg è tornata con un altro delirio dei suoi... No, seriamente, ho come l'impressione che questa storia mi sia effettivamente sfuggita di mano ^^” Principalmente perchè  qui dentro non succede davvero nulla: nel senso, se cercate azione e colpi di scena, vi garantisco che non ce ne sono ^^" Eppoi perchè, rispetto a quando è stata progettata, i personaggi hanno fatto quello che pareva loro e da otto pagine che dovevano essere, sono diventate ventotto ^^” Ad ogni modo è già tutto scritto: lo dividerò in cinque (?) capitoli per comodità dei miei occhi di talpa durante la revisione, ma bene o male i giochi sono fatti.
E niente, vi ringrazio di cuore se vorrete imbarcarvi con me in quest'avventura.
Un bacio,
la vostra disastrosa Marguerite <3


Desclaimer: I personaggi di questa ff non mi appartengono e tanto meno le canzoni citate, di cui i credits sono riportati di volta in volta. La storia è scritta con puro intento intrattenitivo, senza scopo di lucro né di dare immagine veritiera delle persone rappresentate.
 

***

Alla mia figlioletta adottiva Helena, compagna di fangirlosi deliri Purpleiani, che attendeva con ansia di leggere questa affollatissima ff.
Alla mia splendida Moglie e Musa, che spero mi perdonerà per averla stressata con la discografia di Hughes, in questi giorni.
Ad E, mio fondamentale vento del Nord: per tante cose che sa, troppe da elencare qui. Love ya, girls! <3

E a Tommy, of course.
 

***

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Premessa: 

Nel 1976 i Deep Purple si sciolgono. Il chitarrista Tommy Bolin muore pochi mesi dopo in una stanza d'albergo, il cantante David Coverdale intraprende la propria avventura personale con i Whitesnake, mentre il bassista Glenn Hughes comincia un periodo errante tra viaggi, straniamento e ricerche di qualcosa che non trova. 
Ma la nostra storia prende il via nel 1989, quando Coverdale, per mettere fine al peregrinare sofferto di Hughes, ormai rimasto senza lavoro nel panorama musicale, gli offre una collaborazione nel suo ultimo disco. E si sa, la memoria è un vento impetuoso, pronto a travolgere qualunque cosa...

***

 

Northwind

 


Call on the northwinds when any clouds gets in my way
Nothin’ ever changes, the song remains the same
Feel I got a one way ticket,
Oh I’m sittin’, sittin’ on an empty train.

(David Coverdale, Northwinds)

 

 


 


 

God knows I've tried
so please don't ask for more.
Can't you see it in my eyes
this might be our last goodbye.
(Europe, Carrie)

It took so long to realize
And I can still hear her last goodbyes
Now all my days are filled with tears
Wish I could go back and change these years.
(Black Sabbath, Changes)

 

 

 

I. Things they change, my friend

 


Lake Tahoe (Nevada), 1989. Marzo.

Quando David se lo trovò davanti, non seppe dire chi dei due si sentisse più in imbarazzo: se lui, per essersi presentato ben vestito come un uomo d'affari londinese, o l'altro, per essere arruffato, in disordine, fradicio di pioggia. Tremava sulla soglia. Tremava e lo guardava con quei suoi occhi piccoli, infossati, un poco lucidi.
-Glenn... - la frase gli morì sulle labbra. Si era preparato al peggio, nei giorni precedenti, nell'attesa che arrivasse: non credeva certo di avere di nuovo a che fare con la splendida, vivace, irrequieta creatura dei tempi dei Purple, ma nemmeno con l'ombra dell'uomo che aveva conosciuto.
-Glenn! Buon Dio, quanto tempo! - lo abbracciò di slancio, sfregando la gota contro la sua: era scavata e ruvida per la barba non rasata – Ehi, ma non mi riconosci? Sono così invecchiato?
Hughes se ne era rimasto in silenzio, immobile nel suo abbraccio, la fronte abbandonata sulla sua spalla.
-Beh, che hai? È questo l'affetto che si dimostra a un vecchio amico, dopo anni? - istintivamente gli stampò un bacio sulla guancia, cercando di metterlo a suo agio.
Hughes rispose all'improvviso, stringendolo forte, convulsamente, fino a fargli mancare il fiato. Credette di sentirlo singhiozzare, ma non riuscì ad accertarsene, perchè lui aveva nascosto il viso tra i suoi capelli. Sembrava avere una gran voglia di essere abbracciato, accarezzato, di trovare rifugio e pace dopo avere vagato per troppo tempo senza meta.
Si accorse in un istante che la sua vita, al confronto alla propria, doveva avere mille dolorose sfumature, essere impregnata dell'odore di mille luoghi, di mille viaggi. Probabilmente, per quanto anche lui avesse visto il mondo, non l'aveva davvero vissuto, perchè i suoi occhi non erano mai mutati e forse nemmeno la disposizione d'animo che, alla fine, era quello che contava. Mentre passava la mano sulla nuca di Hughes, tra i suoi capelli, si chiese se mai fosse riuscito ad essere qualcosa di diverso da quel ragazzo dello Yorkshire che era stato.
-Mi sei mancato, lo sai? - gli sussurrò senza trovare il coraggio di lasciarlo andare – Fottuto bastardo che non sei altro, ma una cavolo di telefonata potevi pure farla.
Il bassista non rispose, continuando a respirare profondamente e sciogliendosi a poco a poco sotto le sue mani.
David non disse nulla, tormentandogli una ciocca tra le dita, aspettando che le parole gli tornassero, finchè l'altro non prese a parlare con la voce che gli tremava: - Ho provato a scriverti, a Monaco, ma le lettere mi sono sempre tornate indietro.
-Non sto più in Germania da un po'.
-Devo proprio aver perso la cognizione del tempo. Sei cambiato, Davey.-Eh, gli anni passano per tutti.
-No, non intendevo quello. È che sembri un rispettabile broker di Wallstreet, adesso. Hai persino un altro profumo. Non che mi aspettassi di trovare davvero odore di casa qui o in te. Quanto è passato?
-Tredici anni, ormai. Dio mio! Dove sei stato per tutto questo tempo, Glenn?
Gli rivolse un'occhiata stanca, rassegnata: - Una sola regola, Davey, eppoi possiamo parlare di quello che vuoi: nessuna domanda, ti prego.
-Come preferisci. Posso almeno evitare di tenerti in piedi nell'ingresso e farti sedere da qualche parte?
-Sei solo? - si guardò attorno, mentre David lo conduceva attraverso il corridoio fino ad uno dei salotti.
-E' un caso che lo sia: sai che mi è sempre piaciuta la compagnia.
-Non c'è tua moglie?
-Mia moglie? Dipende quale intendi: non è più la stessa che ho sposato ai tempi dei Purple.
-Beh, quella che sta con te adesso, ovvio.
-Ah, è ad Hollywood a girare un film, dice lei.
-Non va molto bene tra di voi, vero?
Scrollò le spalle: - Sono cose che capitano.
-Ah, smetti di fingere indifferenza, lo so che per queste cose ci hai sempre sofferto come un cane.
-Mi conosci bene, eh? Beh, almeno mi dà una buona ragione per scrivere.
-Ed una ancora più buona per bere.
-Non ho più l'età per certi eccessi. - si sedette sul sofà, battendo la mano sul posto a fianco – Vieni qui.
-Ti sei sistemato bene, vedo.
-Già.- era a disagio: sapeva che per Glenn gli affari erano stati tutt'altro che prosperi, negli ultimi tempi. Gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo vicino, cercando di scaldarlo col proprio corpo, ma sembrava che il suo freddo arrivasse da molto più lontano.
-L'ho sempre saputo che tu eri forte, David, che ne saresti uscito e che avresti proseguito dritto per la tua strada. Sei nato per il successo, era chiaro fin da quando eri ragazzo. Ma io e, soprattutto, Tommy... - si prese il viso tra le mani – Povero piccolo Tommy! Che cosa terribile è stata leggere della sua morte. Ci penso sempre. Penso sempre che forse non abbiamo davvero capito quanto fosse grave il suo malessere, perchè c'eravamo dentro tutti fino al collo.
-Lo so, lo so: il pensiero mi tormenta ancora. Credo che avremmo dovuto stargli più vicino, anche se non voleva essere aiutato. Me lo ricordo, premeva sempre l'acceleratore della sua vita a tavoletta: era troppo grande il gioco in cui era entrato, per una creatura come lui. Me lo aspettavo, dopotutto. E la cosa brutta è che non ho fatto altro che attendere la notizia, seduto sul letto a comporre canzoni, perchè mi ripetevo che le persone si possono salvare soltanto da sole.
-E' per questo che mi hai chiamato qui? Hai cambiato idea? - Hughes scattò in piedi, guardandolo fisso, attraverso le lenti gialle degli occhiali.
-Cosa vuoi dire?
-E' perchè non hai salvato lui, che adesso ti sei messo in testa di salvare me?
-Dio mio, Glenn, no: ma che ti viene in mente? Io proprio non... siediti, per favore.
-Io non ho bisogno di aiuto. Né del tuo né di nessun altro.
-Se è così che la vedi, potevi anche risparmiarti il viaggio fin qui.
-Avevo voglia di riabbracciarti. Sei uno dei pochi che ancora si ricorda di me.
-Glenn. - si alzò per raggiungerlo – Ma credi che ci stia bene a vederti ridotto così? Li leggo anch'io i giornali e so che non hai più composto niente di...
-Buono?
-No, di sereno, di ispirato, da anni. Lo so che non ne sei ancora uscito, Hughesy. Ma io davvero credo che se smettessi con quella roba, il mondo della musica ti spalancherebbe le porte di nuovo. Sei un talento straordinario e stai gettando tutto per...
-Per cosa? Dillo, Dave! Per i miei demoni. Ma tu non puoi capire cosa ho dentro, cosa mi sta divorando. Vorrei esserci io al posto di Tommy, adesso: almeno troverei un po' di pace. E invece mi chiedo perchè sia ancora qui. Forse perchè vivere è una condanna peggiore.
-Che cazzo stai dicendo? Dimmelo: cosa ti sta uccidendo, Glenn? - lo afferrò con forza alle spalle – Dimmi cosa posso fare per te!
-Come speri di capire, tu, con la tua bella casa, la tua vita perfetta, il tuo successo?
-Se non parli, non spero lontanamente di capire. Io voglio aiutarti, è vero, ma tu non vuoi essere aiutato. Cos'hai intenzione di fare, Glenn? Di arrivare fino all'orlo del baratro, eppoi? Gettarti di sotto o scegliere di tornare indietro? E sarai sicuro di farcela, a tornare indietro?
Abbassò gli occhi: - Non lo so, non mi importa, Coverdale.
-Dio mio, Dio mio! - prese a coprirgli le gote di baci lievi e fitti – Non puoi andartene anche tu.
-Stringimi. - sussurrò in un soffio – Stringimi forte.
Si abbandonò tra le sue braccia e scivolarono entrambi in ginocchio sul pavimento, sopra al tappeto che guardava il camino.
Rimasero allacciati per alcuni istanti, prima che Glenn si sedesse, appoggiando la testa al divano, stancamente: - Scusami.
-E di cosa? Sei qui, adesso: avrò cura io di te.
-Parlami dei tuoi progetti, Davey.
Il cantante si prese un lungo momento, prima di rispondere, facendo precipitare la stanza nel silenzio.
-Ma come fai a vivere in questa quiete, Cov?
-Amo questo posto. Non potrei vivere da nessun'altra parte. Che c'è che non va?
-C'è poco rumore. Ma non hai paura di sentire il frastuono dei tuoi pensieri?
-I miei pensieri non mi spaventano. Non quanto i tuoi spaventano te, almeno. - ci riflettè – Sono abituato a me stesso, alla mia presenza, ai sentimenti che devo mettere sulla carta.
-Stai mentendo. - sorrise, voltandosi a guardarlo.
Lui arrossì vistosamente, togliendo una sigaretta dalla tasca della giacca e accendendosela per nascondere l'imbarazzo: – A dire il vero questa pace non c'è quasi mai. Sì, sì, hai ragione, anch'io ho paura, a volte. È per questo che mi piace avere attorno le persone. Ci sono alcuni momenti in cui vorrei tutti quelli che amo riuniti in una sola stanza, a parlare con me, in modo da non sentire la voce dei miei pensieri.
-Lo immaginavo.
-Ma non cerco più di distruggermi, per distruggere loro. Scrivo, è un buon modo per fare della catarsi. Sai, se fossi arrivato un paio di giorni fa, probabilmente avresti trovato un bel trambusto. I ragazzi... intendo, i ragazzi della band sono ripartiti che è poco. Ma Adje, voglio dire, Adrian Vandenberg sarà di ritorno tra tre o quattro giorni: ha finito di aggiustare le ultime cose. Ma i brani che ho scritto pensando alla tua voce nei cori sono già pronti. Anzi, se vuoi – si alzò, spolverandosi i pantaloni – vado a prendere i testi, così puoi darci un'occhiata, dirmi cosa te ne pare: mi sono sempre fidato del tuo orecchio.
-Se non ti dispiace, lo farei domani, Davey. Ho avuto un lungo viaggio. Me la posso fare una doccia e andare a letto?
-Naturalmente.- gli tese le mani, aiutandolo a mettersi in piedi e approfittandone per trattenerle un poco nelle proprie – Ti ho fatto preparare una stanza di sopra, cerca di dormire, Glenn.
-Ormai faccio sempre più fatica.
-Hai bisogno di rimetterti in sesto, ma vedrai che qui ci riuscirai. Sai che puoi rimanere quanto vuoi, non è vero?
-David, non riesco più a restare nello stesso posto troppo a lungo.
-Qui è diverso. Qui ci sono io. - si morse le labbra.
-Le cose sono cambiate, Davey. Non siamo più quelli di un tempo. Io non sono più quello di un tempo. E forse nemmeno tu.
-Io ti ho sempre aspettato, in qualche modo. Non ho mai perso le speranze che, un giorno o l'altro, saresti tornato da uno dei tuoi folli viaggi e ti avrei trovato davanti alla mia porta. Ma non ti aspettavo così. Ti ricordi quando...
Gli posò la punta delle dita sulle labbra: - Non facciamoci altro male, Davey. Salgo le scale?
-Sì, la terza porta sulla destra. Vuoi che ti accompagni?
-No, penso di farcela.
-La stanza prima è la mia, nel caso avessi bisogno di qualcosa.
-Ok. - si tormentò le mani – Ok.
Il cantante si accorse di essere tornato a respirare regolarmente solo quando non udì più i suoi passi. Dal momento in cui Glenn era entrato in quella casa, David aveva trattenuto il respiro, cercando di ascoltare il suo, di capire, dietro i suoi silenzi, le esperienze attraverso cui fosse passato, di trattenere una lacrima di delusione o soltanto di nostalgia. Ora, seduto al tavolo, davanti ad una coppa di cognac, si chiedeva anche il perchè l'avesse invitato a venire. Forse perchè si aspettava che il loro incontro fosse diverso: un bicchiere, qualche chiacchiere, troppi ricordi. Forse perchè fino all'ultimo aveva sperato di rivedere in lui quello che aveva perso, finendo invece per ritrovare una creatura più smarrita di quanto egli non fosse. Forse perchè avrebbe avuto bisogno di essere abbracciato e salvato ma, non potendolo fare, aveva deciso di abbracciare e salvare Glenn.
Il silenzio era davvero insopportabile: riusciva a sentire lo sciabordio dell'acqua nella stanza degli ospiti. Accese la radio, restando a fissarla con aria stanca e distratta. C'era sempre quello strano scherzo del destino che associava alla situazione una canzone troppo triste per riuscire a farlo sentire davvero meglio. O, più semplicemente, tendeva soltanto a notarla con più attenzione. Passavano Carrie degli Europe, con le sue note malinconiche e la voce appassionata di Joey Tempest. Girò la manopola del volume, affinchè restasse solo un sottofondo lieve, capace di rompere l'immobile quiete dell'aria.
Le cose possono cambiare. Sembrava che anche il testo glielo volesse ricordare. Le cose sono cambiate.
Si versò un altro goccio di cognac, scaldandolo tra i palmi, attraverso il vetro, e perdendosi ad osservarne il colore ambrato dentro il quale si infrangeva la luce dorata del camino.

 

California, 1974. Aprile.

-“C'è pieno di mosche in California”? Questa è buona, Davey. - rise Glenn, accompagnandolo nel camerino – Adesso ti ricorderanno come quello del pessimo deodorante, anziché come il glorioso cantante dei Purple.
-Tu credi che sia stato così sconveniente dirlo? - l'altro era arrossito fino alla punta del naso.
-Ma va': è stata una trovata simpatica.
-La verità è che non so mai cosa dire, sul palco. - si strinse nelle spalle – Mica l'ho mai vista così tanta gente, io.
-Non serve che lo giuri, si vede lontano un miglio. - rise il bassista, sfilandosi la camicia bianca e passandosi un asciugamano sul collo – Fai troppa tenerezza, Dave.
-Che? - non aveva fatto in tempo a sedersi che subito scattò in piedi – Sono una rockstar, cazzo, non devo ispirarti tenerezza!
-Sono impazziti tutti stasera: vedrai che riuscirai a tenere perfettamente il palco prima di quanto tu creda.
-Sono felice, Glenn. - ammise con un sospiro – Sono così felice che vorrei abbracciare tutti. Anche te.
Si strinse a lui con slancio, con una spontaneità che non lasciò ad Hughes nessun'altra scelta se non rispondere all'abbraccio, carezzandogli la schiena.
-Fai progressi, amico. Non sembri nemmeno più il ragazzino arruffato e infagottato in un maglione fuori moda che mi hanno presentato qualche mese fa. Lo sai? Non avrei puntato una sterlina, su di te. - gli passò le mani sotto il tessuto della maglietta, sfiorandogli i fianchi.
David chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un borbottio basso ed estatico, come le fusa di un gatto.
-Che hai?
-Bastardo, è il mio punto debole.
-Davvero? - rise, disegnando piccoli cerchi con i polpastrelli sulla sua pelle – Diventi di giorno in giorno sempre più bello. Eri radioso, sul palco, non riuscivo a toglierti gli occhi di dosso. C'eri tu, solo tu. Tu e quella tua dannata asta del microfono.
-Che hai contro il mio microfono?- si ritrovò a fissargli quelle labbra un po' troppo vicine.
-Ma possibile che non ti accorgi l'effetto che fai?
-L'effetto che faccio? A chi?
-Oddio, David, ma certe cose non ve le insegnano, nello Yorkshire? L'effetto che fai con quell'accidenti di microfono.
-Non so, è una specie di mia estensione. Io sento solo la musica. La sento addosso. - avvampò.
Glenn accostò la bocca al suo orecchio: - Io mi sento addosso molto altro che non sia la musica. Dimmi la verità: te la fai con Blackmore?
-Ma cosa ti viene in mente?- respinse dolcemente le sue mani.
-Meglio così. Blackmore finirebbe per distruggerti, lo sento, come ha distrutto la sua storia con Ian. Io e te siamo il nuovo slancio positivo, qui dentro. Tu sei destinato a brillare. - gli tormentò il lobo con la punta dei denti.
-Glenn, togli le mani, dai.
-Fatti coccolare un po', poi ti lascio andare. - gli affondò le dita tra i capelli, incurante che Blackmore avesse aperto la porta.
Il chitarrista si schiarì la voce, entrando. Cacciò a entrambi un'occhiata delle sue, fulminea e diretta, prima di riporre la Stratocaster nella custodia.
-Hughes, aspetta di arrivare in albergo, almeno. - lo freddò, senza più rivolgere a nessuno un solo sguardo – Poi puoi sbattertelo, dove e come vuoi. Quanto a te, ragazzo, vedi di risparmiare la voce, nel caso.
-Non è come sembra, Blackers. - Coverdale lo rincorse sulla soglia, agitando le mani, con innocenza – Voglio dire...
-Sono affari che non mi riguardano. Tu, piuttosto, cerca di ricordarti come finiscono queste cose, quando si lavora insieme. Quello che ti ho raccontato... - prese una lunga pausa amara, oscurandosi in volto – Quello che ti ho raccontato di Ian e di me non è servito a molto, mi pare.
-Ma noi non...
-Non mi interessa. Lo dicevo per te.

 

Non ricordava esattamente come fosse andata, dopo. Probabilmente era rimasto qualche minuto buono a guardare la sagoma nera di Blackmore sparire nel corridoio, qualche altro tra le braccia di Hughes che aveva continuato ad accarezzarlo e il resto della nottata tra le lenzuola con una delle tante groupies che ruotavano attorno alla band e che si trovava puntualmente tra i piedi. Non che la cosa gli dispiacesse davvero, in fondo: si trattava solo di farci l'abitudine. Come si trattava di fare l'abitudine a tutti gli sfarzi restanti, per lo più sconosciuti per un ragazzo dello Yorkshire.
Un rumore improvviso, come di qualcosa che si schiantava sul pavimento del piano di sopra, lo fece trasalire a tal punto che il bicchiere gli scivolò di mano, frantumandosi sul tavolo in grosse schegge di cristallo. Non vi badò, imboccando le scale di corsa.
 


(Continua)

   
 
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