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Autore: Miss I    05/11/2012    6 recensioni
Per una società che non rispetta i giovani,
una società che conosce solo il guadagno e non il valore,
una società piena di alti e bassi;
Purtroppo ci sono pochi alti,
e molti bassi, fin troppi.

Miss I.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Nonsense, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
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«Non pensare che un libro dalla brutta copertina,
nasconda qualcosa di ancora più brutto;
potresti sbagliarti e pentirtene.
»


Un grave incidente sulla A14.
Riusciva a ricordare solo questo o più semplicemente voleva dimenticare tutto il resto.
Voleva che fosse solo una di quelle notizie che danno per sbaglio alla persona giusta.
Il ragazzo sapeva. Sapeva che quello che faceva era sbagliato.
Sapeva che quello che faceva non andava bene ai suoi defunti genitori.
Ma il dolore lo portava a questo, la sua parte oscura l'aveva pervaso e camminare nel buio lo aiutava.
L'unica luce che gli illuminava i suoi banali occhi erano quelle dei lampioni.
La luna, ancora sul punto del nascere, era come se non esistesse.
«Per favore.» lo raggiunse, sua zia, sulla sedia a rotelle.
Le sue parole, lo fermarono in un primo momento.
«Non andare in quel posto.» gli ordinò.
Quest'ultime parole gli fecero accellare il passo.
Le parole di sua zia finirono nell'aria fredda di quell'ora, senza fargli cambiare idea.
Lei, era sopravvissuta a quell'incidente riportando, però, diverse fratture.
Ne era uscita illesa, con il solo dispiacere di non poter più camminare.
Lui non si spiegava il perché, il fato, l'avesse risparmiata. 
Se dovevano morire tutti, allora anche lei sarebbe dovuta morire.
In realtà era solo che trovava ingiusto il fatto che i suoi genitori non fossero stati risparmiati.
Mattia trovava che uscire la notte fonda gli faceva bene. Trovava sfogo nel sesso.
«La solita stanza.» sorrise, il ragazzo, all'uomo dietro la reception nell'hotel. 
In verità non era un hotel ma un bordello camuffato in esso.
In ogni stanza trovavi una ragazza diversa.
Lui sceglieva sempre la solita stanza: la numero 47. 
Salì l'ascensore e una volta uscito da esso, procedette per il corridoio che portava alla sua solita stanza.
Una ragazza iniziò a correre, spaventata, lasciando una stanza.
Si scontrò con il ragazzo, per quanto lei stesse correndo senza attenzione.
«Scusami.» sussurrò osservando l'interessante forma dei suoi piedi. 
«Tutto bene?» le chiese, anche se in realtà non gli interessava più di tanto.
Lei riuscì solamente ad annuire andando a osservare gli occhi del ragazzo, o quasi a cercargli. 
Passarono minuti, la scena rimase immutata e il ragazzo poteva giurare che fosse passata una magica eternità.
L'unico rumore erano quelli ansimanti delle persone nelle varie stanze intente a godere col sesso.
«Torna dentro, puttana!» aprì la stessa porta aperta precendetemente dall'altra, un uomo.
La ragazza affondò il viso nel petto del ragazzo, di cui nemmeno conosceva il nome.
Ma quello sguardo a lungo ricambiato, le diceva il contrario.
«Vattene, l'ho pagata, ora è mia.» mentì il ragazzo, con un certo senso di protezione, stringendola di più a se.
«E la tua dov'è?» sorrise con malizia. «Te la passo.» finse un sorriso altrettanto malizioso, il ragazzo.
Sempre tenendo quella misteriosa ragazza stretta sè, andò davanti alla porta che divideva il corridoio dalla sua solita stanza.
Bussò due volte alla porta prima di aver risposta.
«Facciamo una cosa a tre, oggi?» chiese con un tono di voce sensuale, osservando la ragazza.
«Oggi vai da un mio amico.. - indicò con il mento l'uomo sulla porta dell'altra stanza - Ho bisogno di cambiare!» si giustificò, infine.
Il volto della sua solita prostituta si rabbuiò per quanto quell'uomo fosse disgutoso ma poi decise di stare agli ordini del ragazzo.
«Per-perché l'hai fatto?» sussurrò con voce spezzata la ragazza ancora impaurita da qualcosa, che l'altro non riusciva ad assimilare.

«Non lo so.» chiuse la porta. «Stai, davvero, bene?» chiese insicuro, con interesse. «No.» disse scuotendo il capo.
Il silenzio pervase la stanza e anche se le altre persone continuavano ad ansimare, loro non sarebbero finiti in questa situazione.
«Hai un nome?» chiese cercando di parlare e di interrompere quel silenzio che iniziava ad ucciderlo.
«Non penso ti serva conoscere il mio nome.» sospirò, fissando un punto impreciso, la ragazza.
«Mmh..» mugugnò, il ragazzo, confuso stendendosi sul letto. 
«E come sei finita a fare la puttana?» chiese, ancora, incrociando le braccia dietro la nuca.
Nemmeno lui sapeva il perché di questa domande curiose a quella, che in un contesto diverso, sarebbe stata una perfetta sconosciuta.
«Perché mi fai queste domande?» chiese, lei, rivolgendo lo sguardo, per la seconda volta, verso il ragazzo.
«Ho pagato per qualcosa.» disse il ragazzo. Pensava di aver trovato la causa delle sue continue domande nei soldi.
Ma il realtà non era così. Sospirò. La ragazza sospirò, come per riaffiorare alla mente i suoi ricordi.
«Una serie di circostanze legate ad eventi della mia vita, - si portò due ciocche di capelli dietro l'orecchio - sono qui.» finì.
«La morte dei miei genitori;» e il ragazzo la sentiva più vicina, più amica. Condividevano lo stesso dolore di quella perdita così difficile. 
«la mancanza di soldi;» di certo a lui non mancavano ma presto i soldi dell'eredità sarebbero finiti e doveva trovarsi un nuovo lavoro.
«E la voglia di accudire qualcuno a me caro, l'unico rimasto!» sentì nella sua mente delinearsi l'immagine della zia che tanto disprezzava.
La ragazza non si rendeva conto che aveva fatto ragionare quel ragazzo.
Lo aveva fatto ragionare per la prima volta, dopo tanto tempo, dopo tanto buio.
«Io, - guardò il volto della ragazza farsi cupo perché ricordava - io, ti ringrazio.» la fece, comunque, sorridere.
«Di cosa?» chiese con confusione. 
«Mi hai fatto capire cos'è giusto e cosa, invece, è sbagliato.» disse quello che esattamente pensava, per filo e per segno.
Lei capì ma con confusione perché del ragazzo non conosceva niente. 
«Devo andare.» sorrise lasciando la stanza, prima che potesse essere troppo tardi.
Prima che quello che batteva dentro di lui non si trasfrormasse in un sentimento grande e incompreso.

Qualche hanno dopo si era già trasformato. Era diventato quello di cui lui aveva paura.
Non aveva paura di fare a botte o di un ladro, aveva bensì paura di quel sentimento.
Era stato negato a lui, l'accesso a quella totale felicità. Lui si soffermava sull'essere platonico.
Il suo sentimento si cibava dell'immagine. Dell'immagine, offuscata dal tempo, di lei seduta vicino a lui nel letto, quella notte.
Nient'altro. Solo quell'immagine e questo, ogni giorno passato, lo lacerava di più nel cuore.
Voleva di più, voleva qualcos'altro: un contatto che non avrebbe mai avuto.
Non trovò più la ragazza, dopo quella notte che considerava meravigliosa. 
A meno che il fato avesse deciso di farli un dono, in un giorno impreciso della sua vita in cui aveva perso le speranze.
«Figliolo, portami il giornale di oggi.» arrivò la voce di sua zia, dall'altra stanza. Ormai si era abituata a chiamarlo figliolo.
Appoggiò il mestolo sul piano cottura con cui, prima, stava mescolando un brodo di verdure, di cui ne spense temporaneamente la cottura.
«Vado in edicola.» prese le scarpe. Siccome era estate, non ebbe la preoccupazione di mettere la giacca.
Lasciò il condominio dove lui e sua zia avevano preso appartamento.
Sua zia diceva che doveva trovarsi una ragazza invece che pensare a quella che disprezzava come semplice prostituta.
Ma lui conosceva, anche se poco, la sua storia ed era sicuro che erano simili, che erano fatti per stare insieme.
L'edicola era a qualche metro di distanza dalla casa, quindi dovette camminare poco prima di arrivarci.
Entrò al suo interno, e prese il giornale che sua zia riteneva il più accurato con le notizie giornaliere.
«Il sole 24 ore.» dichiarò dando il giusto compenso al proprietario dell'edicola.
Dato che aveva datto l'esatto prezzo, quest'ultimo lo congedò con un ripetuto: «Grazie e buona giornata.» finse un sorriso.
Finse perché il grazie non era dovuto alla presenza del ragazzo ma solo dai suoi soldi.
Il ragazzo aveva imparato diversi aspetti dei comportamenti delle persone,
che prima non aveva mai intraveduto pur essendo così quotidiani e banali.
«Anche a lei.» rispose prima di chiudere la porta in vetro dell'edicola.
Iniziò a camminare con gli occhi puntati sul sole mattutino, di cui il colore gli ricordava tanto i capelli della ragazza.
Teneva il giornale stretto tra il suo avambraccio sinistro e le costole.
Tornò a casa e dopo aver dato il giornale a sua zia, le portò gli occhiali da vista. La vecchiaia si faceva sentire.
Andò, successivamente, a cucinare. Continuò a cucinare, come prima. Dopiché pranzò con sua zia e lavò i piatti, come sempre.
«Zia, io esco a fare un giro.»
 la avvisò prima di chiudersi la porta alle spalle. Lei, addormentata, non l'aveva sentito.
In realtà non sapeva dove andare ma sapeva camminare, così, spinto dal suo istinto girò diverse vie.
Decise, infine, di andare a rilassarsi al parco.
Lì, visto l'orario del pomeriggio in cui i bambini dormivano, avrebbe trovato la giusta calma.
Quando varcò il cancello, per entrare nel parco, non poté fare a meno di notare una chioma bionda,
raccolta in una disordinata acconciatura. Gli ricordava qualcosa o qualcuno ma doveva ancora collegare i fatti ai ricordi.
Si avvicinò lentamente, quasi impaurito da quello che avrebbe trovato una volta che avrebbe riconosciuto la ragazza nel volto.
Lei non si accorgeva della vicinanza del ragazzo, se non quando quest'ultimo si sarebbe avvicinato abbastanza.
Quando la vide. Oh, quando la vide sentì il mondo spegnersi per misurare quel momento.
Lei lo stava cercando e lo aveva trovato. Si erano cercati e si erano trovati.
Finalmente, qui, con me rimbombava nelle loro menti codesto pensiero, fantasticato per parecchio tempo.
Lei, era felice. Lui, era al settimo cielo. 
«Non voglio più perderti.» la strinse nel suo abbraccio, il ragazzo.

Dal cupo, dal buoi più assoluto, si erano ritrovati a convivere con la felicità.






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