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Autore: Guardian1    09/11/2012    1 recensioni
“C’era una volta una ragazza di nome Yuffie, ma questa storia fa schifo, perché lo sanno tutti che le principesse delle fiabe sono bellissime, hanno gli occhi dolci e splendidi nomi fiabeschi come Aeris.”
Non funziona. Io non sono una principessa.
Sono solo una viaggiatrice.
… Sì, così può andare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: FFVII
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Sunshine in Winter


l’ultimo giorno






Era verde. È stato questo il primo impatto che ho avuto: verde. Tiepido, tenue e chiaro, brillante, tempestato come da lucine nel buio, che tingevano quel buio delle più profonde tonalità della foresta.

Ed era caldo. Tutto era caldo. Il mio cuore era caldo. Era come stare sdraiati in una vasca con l’acqua calda come il tè – ero sdraiata nell’acqua. Mi lambiva i polsi come olio e galleggiavo, senza peso, lo sguardo meravigliato perso nel verde.

Allora era così essere morti. Era quasi un sollievo, in realtà, essere morta, anche se a dirla tutta mi aspettavo… di più. Era come incontrare qualcuno di famoso e rimanerne delusi. Ehi, Lifestream, pensavo fossi più alto di persona.

Pigra, mi sono rigirata nell’acqua, e mi sono accorta di una serie di cose:

Era verde. Era caldo. Ero nuda.

I miei occhi si sono concentrati finalmente sul tetto della caverna, che baluginava di piccole luci verdi che parevano stelle, tristi e strane… Non saprei dire. Stupende. Accoglienti. Odio le caverne; le odio le odio le odio, ma questa aveva qualcosa di diverso.

Una luce proveniente dal lato opposto a me mi ha ferito gli occhi, costringendomi a sbattere le ciglia dalle quali è sgocciolata un po’ d’acqua. Mi sentivo pesante, stordita, mi sentivo pulsare a un qualche ritmo interno, che non era quello del mio cuore.

Somigliava tremendamente, curiosamente, all’essere vivi.

Vivi…

Non potevo essere viva. Il ritmo dentro di me ha accelerato. No. Sarebbe stato troppo il colmo. Dopo quella caduta – dopo essermi sentita morire – non potevo essere viva. No. Non mi sentivo viva.

« Non lo sei » ha confermato qualcuno, « ma neanche sei propriamente morta. »

Con un mezzo squittio e uno schizzo mi sono immersa sotto l’acqua, calpestandola goffamente con un piede, voltandomi e rotolando maldestramente su e giù come una mela esposta al calore. Lì, su una riva rocciosa nella penombra, tra luce verde e pietre fumanti, c’era un uomo.

E c’erano dei serpenti.

Dozzine di serpenti. Centinaia di serpenti. Serpenti. Io odio i serpenti. Erano stranamente silenziosi, le spire cozzavano sulle squame senza nemmeno un fruscio, attorcigliati in semicerchio intorno a… intorno a un uomo. Faceva male guardarlo, percepirlo, perfino; indossava una lunga veste bianca, insanguinata sul davanti, e aveva i capelli radi e brizzolati. Aveva un volto senza età, senza tempo, raggrinzito e giovane, che non era esattamente un viso. Solo… della pelle, un involucro, che rivestiva qualcosa d’altro; come un uovo e il tuorlo.

Di colpo mi ha preso un certo terrore. L’unica cosa che mi ha impedito di perdere il controllo della mia vescica era che non ne avevo una, il che è coerente essendo io me ed essendo io un po’ morta.

« Aesculapius » ho realizzato, e ho alzato il capo.

Nel tetto della caverna c’era una crepa, un’apertura, da dove dei massi di roccia erano precipitati nell’acqua. Uno strato di neve e ghiaccio aleggiava sul buco, smorzando i raggi di sole, ma sforzandomi riuscivo a vederci attraverso.

Ero caduta da .

Mentre morivo.

« Non è che un nome » ha replicato in tono asciutto, « ma è un nome al quale sono avvezzo. »

Lo fissavo, cercando di venirne a capo. « Tu non sei uno spirito, di’ la verità. In realtà sei Dio o qualcosa di simile. Hm, sono sempre stata devota agli spiriti di Wutai, ma sono sinceramente aperta a nuove idee, perciò se stai pensando di spedirmi nelle eterne cavità più profonde e ardenti dell’inferno, vorrei solo dire che tanto quel cavolo di Da-Chao non mi è mai piaciuto, ti fa una sega, tu sembri molto- »

« Sono certo che gli dei piangono lacrime amare e cristalline alla tua pietà. » Aesculapius ha sospirato e si è seduto su una roccia, stringendo un’asta in una mano e soppesandomi mentre pestavo l’acqua. « Sai, non ho mai un attimo di pace, qualche perfetto imbecille deve sempre venire a morire alla mia porta ogni migliaio di anni. »

Mi sono offesa. « Ero occupata a tirare le cuoia, grazie tante. Non era mia intenzione finire nella tua stupida caverna. »

« Sì, invece » ha ribattuto stancamente. « O almeno, lo voleva il tuo amico laggiù. »

Mi sono girata. Sotto l’apertura che il ghiaccio stava industriosamente coprendo si annidava una figura cenciosa che avevo scambiato per una pietra; era Chaos, era Vincent, ingobbito e sospeso in aria, rigido e silente come un cadavere. Non era morto, lo capivo dal battito cardiaco che risuonava nei muri, a differenza di me, ma Vincent-

Mi ha preso quando la luce dietro i miei occhi si stava spegnendo tremolando e ha spalancato le ali e ha gridato nelle vallate e non sei mai stato bravo a lasciar andare le cose mai Vinnie non potevi nemmeno quando te l’avevo detto io e i tuoi artigli mi hanno attraversato le mani quando hai raccolto il mio cadavere come un floscio sacchetto di piume-

Mi sono tirata in piedi, malferma, su una gamba sola, sopra una roccia nel lago sotterraneo. Il mio corpo era aggrovigliato dal vapore, mi sono fissata le mani: erano squarciate al centro, tanto che due buchi irregolari scoprivano la carne e le ossa. Del sangue mi insudiciava le mani e i polsi, ma non scorreva; era bloccato, come se fossi bloccata perpetuamente nell’attimo della rottura.

« Mi ha salvato la vita? »

« No, wutaiana. Stavi solcando la soglia della morte quando sei caduta dal mio soffitto. Tuttavia, non hai esattamente superato il punto di non ritorno. Ti muovi puramente grazie alla magia, e non puoi rimanere a lungo in questo stato. »

L’ho guardato dai buchi nelle mani, dato che era un’esperienza che di sicuro non avrei rivissuto mai più. « Ma che schifo. È la cosa più schifosa che abbia mai visto. » Titubante, ho allungato un dito e ho pungolato alcune delle ossa spezzate. Non ho sentito niente di che; solo quella sensazione intorpidita e non veramente dolorosa di quando si muove un dente prossimo alla caduta. « Non mangerò mai più. Oh, ora come ora vomiterei troppo se avessi uno stomaco. Ma dappertutto. Un festival del vomito. »

« … Non ti sei ancora capacitata pienamente della situazione, non è così. »

« Guarda, ti posso vedere dai buchi. Oh, Dei, non potrò mai più giocare a cucù settete. Guarda, ci passa pure la lingua. Ynnrraaaaarr. Ehi, ci passa pure l’acqua. »

« Yuff… ie? »

Mi sono voltata. Il Chaos precedentemente privo di sensi si stava rintanando nella forma normale del mio bello e consunto Vincent, gli occhi annebbiati; perdeva sangue, ma le ferite aperte si stavano richiudendo davanti ai miei occhi come se nulla fosse. Un uomo più debole sarebbe morto. Aveva i capelli appiattiti sulla testa, e la camicia e la giacca erano ormai un ricordo – avevamo tutti imparato che trasformarsi in un enorme demone-dei-dentini con la bava alla bocca nuoceva ai suoi vestiti – ed erano stracci decorativi appesi al suo petto. I pantaloni gli erano un po’ esplosi, ma nel complesso aveva ancora una parvenza di decoro. Stava inoltre fissando il mio corpo nudo e bagnato come se fossi una specie di dea rinata.

Non esiste nulla di più caldo, meraviglioso e bello dell’espressione con cui mi ha guardata.

« Vincent! » Sono slittata giù dalla roccia e ho riso, tracciando una scia di bolle, la gamba putrida rigida, legnosa e misericordiosamente insensibile mentre mi sbracciavo nel verde. Mi ha raggiunto con qualche forte bracciata e mi ha stretto come se non volesse più lasciarmi andare, nascondendo il viso tra i miei capelli.

« Yuffie » ha mormorato. « Sono appena morto mille volte. »

« Io solo una. Pensa te. »

La faccia gli si è prosciugata di ogni traccia di vita e mi ha afferrato le spalle spingendomi un po’ indietro, esaminandomi da capo a piedi, le dita che vagavano immediatamente dalla spalla esile al collo. Ha corrugato la fronte, poi si è morso un labbro; un tic nervoso. Stava cercando un battito, ma non riusciva a trovarlo; ha visto le mie mani e ha sgranato gli occhi, ricordando, tirandole fuori dall’acqua per fissare i grossi buchi congelati poco prima che il sangue zampillasse.

« Che figata, eh? » ho commentato con spirito. Me le sono portate agli occhi e l’ho sbirciato dai tagli. « Cucù. »

Mi ha rivolto il più glaciale dei glaciali Sguardi di Vincent, raggelandomi fin dentro le ossa. Nel suo viso c’era dolore vero, e quel qualcosa di vicino alla disperazione che era perpetuamente stampato sui suoi lineamenti ai tempi del mantello rosso, delle pistole e dell’AVALANCHE, mentre cercavamo Jenova.

« Scusa » ho biascicato, vergognandomi improvvisamente, assalita di nuovo dai sensi di colpa e dalla tristezza. « Scusa, Vincent. »

« No. » La sua voce era pietrificata dal dolore. « No, no, no, no. Non lo permetterò. Non fallirò con te. »

« Non hai fallito. » Anche la mia voce era un po’ scossa. « Vincent, sei stato così meraviglioso con me, è stato più di quanto potessi sopportare- »

« Scusate? »

Ci siamo voltati entrambi verso un corrucciato Aesculapius. A Vincent si è mozzato il fiato; io ho fatto un cenno brutto con la testa e l’ho zittito con un dito. La sua mano si è intrecciata bisognosa alla mia, che ho lasciato cadere giù, e ci siamo avvinghiati l’uno all’altro come bambini. « Siete tutti e due assai commoventi, ma mi tocca fermarvi adesso per paura di perdere la testa e sentire l’impulso di farmi esplodere. Santo Bahamut, succede più di quanto si pensi. »

« Perché non sono ancora passata dall’altra parte? »

« Perché io ti ho fermato. »

Mi è salito il cuore in gola. Non osavo guardare Vincent, che aveva serrato la mano sulla mia; sapevo si sarebbe ritrasformato da un momento all’altro in una delle sue forme demoniache, scagliandosi sullo spirito a minacciare la sua vita o la morte.

Ho deglutito. Non mi sembrava una buona idea. « C’è una buona ragione? »

Aesculapius mi ha lanciato un’occhiata molto penetrante, calcolatrice. « Sono in pochi a poter veramente riportare in vita i morti, wutaiana. La rianimazione è una cosa; la resurrezione ne è un’altra. »

Io non sono riuscita a ritrovare la voce, ma Vincent sì. « E tu, allora? »

« Io sono uno di quelli che può veramente riportare in vita i morti. »

Chiudendo lentamente gli occhi, ho nascosto la testa sotto il mento di Vincent e ho contato fino a dieci senza respirare. Poi l’ho alzata di nuovo e ho fissato dritto negli occhi lo spirito, con quel suo viso chiaro come la carta e i tratti orgogliosi cesellati nella pietra. « Puoi riportarmi in vita? »

« No. »

« Perché no? » Riuscivo a sentire la rabbia montare dentro Vincent, pericolosa. « Perché? »

« Credi che non morirebbe di nuovo? Il suo apparato è intasato dal veleno e dall’infezione; il suo corpo è deturpato, è menomata e fuori uso. »

« Tu sei uno spirito di guarigione e non puoi farci niente?! »

« … Beh, sì, posso » ha ammesso lo spirito antico. « Vi stavo solo prendendo in giro. Non immaginate la noia, a starsene sigillati qui senza nessuno con cui parlare oltre a un branco di serpenti. Metà di questi serpenti non esiste neanche, sapete, ho creato un’illusione per dare l’impressione che ce ne siano un sacco. Che poi che razza di serpente sano di mente vivrebbe in una caverna di montagna circondata dalla neve? »

Se fossi stata uno spirito, avrei voluto essere Aesculapius.

« Noi non siamo in vena di scherzi » ha sbraitato Vincent, ostile. Ho saputo d’istinto di non essere compresa in quel noi. Noi aveva una motosega, la schiuma alla bocca e viveva nella testa di Vincent.

« Siete in vena di qualunque cosa decida di fare, sbaglio? » ha osservato con semplicità. « Non sono magnanimo. Vengo sempre ricompensato per i miei servizi. Dammi poi una buona ragione per guarire la ragazza. »

« Perché sarei molto contenta se lo facessi? » ho suggerito, ignorando la gomitata di Vincent nelle costole.

« No. »

« Perché vengo lì e ti prendo a calci se non lo fai? Perché hai una veste da donna? »

« No. »

« È la prima volta che incontro uno spirito con un problema di identità sessuale. A parte forse Ramuh. »

« No. Anche se mi trovi d’accordo su Ramuh. »

« Per favore? »

Aesculapius ha disteso la schiena contro una roccia, guardandoci. « Dipende » ha risposto con tono mellifluo, « da cosa sei disposta a pagare. Voglio qualcosa di prezioso da te. »

« Materia? Gil? » ho chiesto speranzosa. « Puoi averle tutte e tutti se vuoi. Giuro, ne ho a vagonate, potrestici rotolartici sopra tutto il giorno- »

« Qualcosa di prezioso. » I suoi occhi mi hanno trafitto. « Materia e gil non li hai qui né ci tieni davvero. Ho preso molte cose in passato. Voci; grazie; primogeniti appena nati; gioielli, bigiotteria. Ho preso la bellezza. Ho preso l’anima. Il mio prezzo è alto, Yuffie Kisaragi. »

« Come fai a sapere il mio – lasciamo perdere. »

Aesculapius si è avvicinato al laghetto e ci si è inginocchiato dentro, le mani poggiate sul pelo dell’acqua, continuando a studiare l’infelice duo composto da me e dall’ex-Turk dai capelli scuri. Che gran quadretto che dovevamo fare: io un cadavere, le costole che sporgevano dalla pelle e il colorito blu-grigio-biancastro, le labbra probabilmente grigie e giganteschi buchi nelle mani, aggrappata a un Vincent sporco di sangue, che si stava mordendo a morte il labbro inferiore e aveva la mano d’oro scaldata dall’acqua, intento a stritolare uno dei miei polsi nel tentativo di avvolgermi in un abbraccio protettivo. Le sue dita ancora percorrevano esitanti il mio braccio in cerca delle vene, dei battiti, di qualunque cosa. Oh, Vinnie, Vinnie, non potevo morire adesso, perché adesso aveva il cuore spezzato, ma dopo si sarebbe polverizzato e lui mi avrebbe seguito immediatamente nelle tenebre. Per amore, stavolta, e lealtà, non per meri sensi di colpa.

Avevo la sensazione, nel profondo dell’abisso delle acque, che avesse finito di espiare.

« Sai » ha ripreso Aesculapius, sommessamente, « forse sarebbe meglio se ti lasciassi morire. La vita, per gli esseri umani, non ha alcun senso, è sadica e dolorosa. Non appena uscita da qui ti verrà qualcos’altro. Prima o poi tornerai a essere una con il Pianeta. La morte è sollievo, pace, calore. Non si soffre mai. Non ci si ferisce mai. La vita è come un coltello che taglia la lingua. Una volta hai scelto la morte. Qual era il senso della tua vita, prima, Yuffie Kisaragi? »

« Una volta ho scelto la morte e l’ho rimpianto come non ho mai rimpianto qualcosa. Mai. »

Si è rivolto a Vincent. « Tu puzzi di immortalità, Chaos. Puoi dire sinceramente che la vita è dolce? Che la vita è meglio del lasciarsi andare, che il mondo non è pieno di infelicità, odio e panico? »

« Sì » ha detto Vincent con voce fievole. « Perché nonostante quello che dici sia vero, il mondo è anche bellissimo. »

« Un tempo volevi morire e farla finita con tutto. »

« … »

« Ipocrita. »

« … »

« Se la lasciassi morire, non soffrirebbe mai più. Si prenderebbero cura di lei. Se tu la lasciassi andare, non dovresti più preoccuparti più di lei, o temere il suo dolore. Potrà avere ciò che non può essere tuo. »

La sua mano buona si è stretta di più sul mio polso. « Il mondo è cupo e crudele, spirito. Sono pronto a convenire in questo. »

« Però? »

« … Lei mi ha dato un senso. » Ha serrato la mascella. « E ha bisogno di essere viva per poterne trovare uno a sua volta. »

Come ho già detto, Vincent Valentine è una persona affascinante. Può farti compagnia per mesi di fila, mentre tu gli vomiti, gli muori, gli piangi, gli strilli e gli gridi addosso, ma riesce comunque a sostenere che così facendo gli hai dato la grazia.

« Allora cosa sei disposta a pagare, Kisaragi? Qual è la cosa che ti è più preziosa di ogni altra? »

Ho guardato Vincent e ho visto il pensiero prendere corpo nella sua testa mentre gli usciva dalle labbra.

« Me. » Vincent lo ha fissato dritto negli occhi senza esitare. « Prendi me. Usa la mia vita come pagamento per la sua. »

« No! » l’ho aggredito immediatamente. « Vincent, è stupido! Io ti amo! Tu sei il mio senso! Tu sei il mio tutto! Non voglio vivere senza di te, non posso e non lo farò e- »

« Molto nobile » ha concesso Aesculapius; poi, facendomi praticamente liquefare di sollievo, ha aggiunto: « ma impossibile. Non può dare te, che non sei suo. Non sei nato dalla sua carne e lei non ti possiede. »

Ah, si vede quanto poco ne sapesse lui. Un legame eterno e reciproco. Cominciavo a capire perché Vincent fosse saltato dietro di me.

La mia mente correva. Che altro avevo di prezioso con me? Niente. Niente mi era stato prezioso nell’ultimo anno o giù di lì se non Vincent, e la vita, e non potevo pagare con la mia vita perché sarebbe stato da coglioni. Avrei offerto il mio primogenito, ma sarebbe stata una proposta vuota e priva di significato; al momento non me ne fregava molto dei figli. Il mio corpo. Non ero bella in nessun modo, forma e maniera, quindi questo non potevo darlo; non avevo mai fatto tesoro di nulla eccetto le mie doti come ninja-

-Non glielo proporrei mai se non ne sentissi il bisogno, ma credo che per la salvezza della sua vita dovremo ampu-

« Sì » ha detto Aesculapius, profondamente soddisfatto. « Adesso ci siamo. »

« La mia gamba » ho detto lentamente. « Tu vuoi la mia gamba. »

« Dammela. »

« Non so, vuoi venirtela a prendere? » Sono rimasta un attimo in silenzio. « Cioè, che te ne fai? A parte che ne verrebbe fuori proprio un bel fantoccio. »

« Toglila. » I suoi occhi scintillavano. « Toglila e dammela. »

Vincent si è guardato l’artiglio, poi è tornato a me.

« Che stronzone perverso » ho borbottato. « Scommetto che gli altri spiriti ridono di te alle tue spalle e dicono che sei inquietante. Scommetto che ti ubriachi alle feste e ci provi con Shiva. Grazie che poi ti rinchiudono in questa caverna quaggiù. Scommetto che è perché puzzi. »

« La sua gamba » è intervenuto Vincent piano, « per la guarigione. »

« E sia. »

« Può sentire dolore? »

« Adesso sì. »

Tutti i miei centri del dolore si sono aperti in una gloriosa sinfonia di agonia e mi sono artigliata a Vincent, gli occhi che mi roteavano fin dentro la testa, gorgogliando mentre il fuoco mi si riversava nelle vene dentro cui ribolliva sangue che non si muoveva. Il mio cuore non poteva pompare; il mio corpo era fermo in una stasi, salvo il dolore, perciò ero rannicchiata al sicuro nello stato di morte.

Oh, Dei, avrei dovuto morire, avrei dovuto morire, volevo morire, faceva male male male male male. Volevo svenire ma non potevo; non potevo far altro che sentire, la pelle sensibile e sofferente mentre Vincent mi raccoglieva tra le braccia, guadando la sponda oltre Aesculapius, mormorando dolci versetti di conforto e frasi senza senso mentre, tenero come una madre con il figlio appena nato, mi adagiava sulla roccia.

« Quasi tutto finito, Yuffie, andrà tutto bene, resta immobile – resta immobile… sarà tutto finito. Tutto finito. » Mugolii. « Non posso tranciarla con questo. Merda. Yuffie – devo partire da sopra il ginocchio, altrimenti ti spaccherei la pelle. Puoi fare sì con la testa? Va bene? Sì? »

Le sue dita si sono curvate sulle mie, e mi ha fatto male, e appena prima che iniziasse gli ho sentito mormorare: « Merda, Lucrecia, ti prego, aiutami. »

Il dolore, dopo un po’, si è tramutato in sollievo. Visto che mi faceva male dappertutto, dalle mani che non sanguinavano al corpo che non moriva agli organi che volevano spegnersi ma erano congelati in un istante, tutto si è dissolto in un qualcosa di cui a stento mi rendevo conto quando Vincent si è accovacciato davanti a me e ha lacerato l’osso con l’artiglio affilato come un rasoio mentre io gridavo e gridavo e gridavo.

Sembrava, sostanzialmente, che qualcuno mi stesse strappando la gamba con attrezzi imperfetti.

Dopo un po’ è finita. La ferita non perdeva sangue. Il povero Vinnie aveva fatto il meglio che poteva, ma il suo viso era comunque adombrato dai sensi di colpa quando ha dato il brutto arto allo spirito, passandoglielo, rifiutandosi di allontanarsi troppo da me.

Sorridendo, Aesculapius ha buttato la gamba in acqua. È diventata rosso intenso come il sangue e l’arto è sparito. « Fatto e finito. Portala nelle acque, Valentine. »

Vincent mi ha preso tra le sue braccia, mentre mi contorcevo, e ho guardato il suo viso per quella che mi è parsa un’eternità. Ne avevamo fatta, di strada, io e lui. Mi aveva dato la sua forza, la sua debolezza e le sue lacrime, un qualcosa che fino a due anni prima neanche sapevo che avesse fisicamente. Mi è venuto il fiatone, anche se non respiravo, solo per l’abitudine di reagire così agli stridori del mio sistema nervoso. Lui ha ricambiato lo sguardo, gli occhi cremisi incommensurabili, e mi sono accucciata di più contro il suo petto quando ha raggiunto l’acqua.

« … Meglio che funzioni » ha avvertito cupamente.

« Abbi fiducia, Chaos. »

Quando le acque mi hanno finalmente toccato, quando Vincent ha sollevato i piedi dal fondale basso e mi ha lasciato galleggiare con gli occhi chiusi, tutto si è illuminato. Era mia madre al mattino, che mi sfiorava la fronte e la spalla per svegliarmi e poi mi raccoglieva tra le mie braccia, facendomi volteggiare per aria mentre io davo voce assonnata al mio scontento. Era mio padre, che mi arrotolava lentamente le prime fasce attorno alle mani nei miei primi passi sulla strada per diventare una ninja. Era Aeris, la mano sulla bocca che cercava di soffocare delle risatine mentre mi sorrideva, calda e radiosa. Era tutto ciò di bello che abbia mai provato, e la pressione nel petto ha iniziato a crescere finché non sono scoppiata in una risata spezzata-

Il primo battito del mio cuore ha risuonato forte come una campana, e le acque erano calde come dei raggi di sole e un grembo materno, e sono rinata davanti agli occhi stupefatti di Vincent.

E l’ultima cosa che ho sentito è stato un borbottio: « Io non puzzo. »

So che morirò, un giorno. Solo che quel giorno non sarà oggi.




Quando mi sono svegliata, faceva molto freddo.

« Dai, Yuffie » mi stava chiamando qualcuno gentilmente, una voce familiare come un tè caldo in una notte fredda. « Svegliati. »

« Lasciami dormire 'n altro po’, Vinnie » mi sono lamentata stancamente. « Non è giusto. »

C’era – qualcosa – nella sua voce. « Svegliati. »

Mi sono svegliata, e il ricordo di ciò che era successo mi ha percorso la schiena in un brivido-

L’aria era gelida ed ero un po’ indolenzita, come quando ci si sveglia, un pizzicore diffuso in tutto il corpo che lo manteneva stranamente caldo. Ho sbattuto lentamente le palpebre, il bianco abbacinante che mi feriva gli occhi.

Non avevo più dolore.

Ho dato un’occhiata a Vincent, e poi alla neve attorno. Eravamo nel mezzo di un campo di neve qualsiasi, e mi teneva stretta a sé più vicino che poteva – non ero più nuda; avevo la fatiscente maglia di cotone macchiata di sudore e i pantaloni larghi di prima, di quando ero volata giù dalla montagna. Una delle gambe dei pantaloni sventolava all’aria, libera e vuota, e mi sono sentita di colpo goffa e inerme come un neonato.

« La mia gamba » ho detto, e non so perché ma delle lacrime mi hanno punto gli occhi.

« Guarda. » Anche se il vento ci frustava, si è voltato per provare a diminuirne la potenza contro di me. Era anche lui mezzo svestito, esposto alla neve, al ghiaccio e al gelo polare; ciononostante, era stranamente caldo come me.

Il dono di Aesculapius. Non saremmo morti lì. Rimboccandomi la gamba dei pantaloni, abbiamo esaminato il moncone alla mia coscia: era liscio e pulito come se avessi ricevuto la ferita dieci anni prima. « Starà bene. »

« Ma… » Mi sono guardata le braccia e ho sbarrato gli occhi. Prima, sembravano due stecchi; adesso avevano riacquistato la vecchia forma sicura pugno-pugno-para, dai muscoli snelli e forti. Ho controllato convulsamente il resto del mio corpo. Non c’era più traccia del veleno. La mia pancia non era più il risvolto gonfiato dalla fame: era piatto e tonico, e la gamba buona – l’unica gamba – era nettamente definita come prima dell’incidente. E il mio petto…

« Guarda! » ho strillato. « Alleluia! Ho le tette! »

Vincent ha declinato l’invito, cercando solo di tenermi ferma mentre mi dimenavo, mi tendevo e gorgogliavo tra le sue braccia come un torrente, tanta era la gioia. Si limitava a guardarmi in faccia, gli occhi di sangue intensi, mentre il mio intero corpo esplodeva momentaneamente in un’espressione di felicità. Mi sono bloccata, di nuovo pensierosa e preoccupata, fissando il moncone sgraziato.

« Vincent, Vinnie, non camminerò mai più. »

« Sì che camminerai » ha controbattuto, e la semplicità e la fiducia delle sue parole mi hanno fatto credere. « Proprio come io ho imparato a impugnare di nuovo una pistola, e a sparare. »

« Eri mancino » ho realizzato.

Mi ha spostato su un fianco, sollevando l’artiglio d’oro, i raggi di sole che si riflettevano sulla sua superficie. « Non è così male. E ho imparato, anche se è stato molto, molto difficile. Mi dicevo che era calzante. Un artiglio per un mostro. »

« Secondo me è sexy. Attraente. Tra l’altro, l’oro va con tutto. »

A quel commento ha riso, una risata improvvisa e divertita.

« Pensi che ne facciano di verdi? » Ho sbatacchiato le ciglia, sconsiderata, lui che voltava il viso verso il mio con un sorriso che ancora gli si scioglieva sulle labbra. Ho dovuto deglutire, la gola improvvisamente secca: lui era di una bellezza che fermava il cuore. Vincent Kisaragi; mio. Credo fosse mio. « L’oro proprio non si addice ai miei vestiti. »

« Te ne prenderemo una verde. »

« Anche se saremo costretti a verniciarla? »

« Anche se saremo costretti a verniciarla. »

Mi sono stretta a lui, precaria, la guancia che si rinfilava nell’incavo familiare tra il suo collo e la sua spalla, mentre respiravo il suo profumo. Molto lontano, ma in avvicinamento, c’era il rombo di un aeronave.

« … Ecco che arrivano Strife e Highwind » ha osservato Vincent, mezzo rassegnato. « Ci avranno cercato tutta la notte. »

« Ehi! » Gli ho lasciato andare il collo per sventolare le braccia in alto; ha dovuto tenermi dritta per non farmi rovesciare nella neve. « Quaggiù, stronzi! »

Anche la mia vista era migliorata. Era tutto in rilievo: le montagne, il leale azzurro del cielo, l’Highwind che sbuffava lentamente nella nostra direzione e i capelli di Vincent agitati dal vento. Quando mi sono voltata verso di lui, mi stava guardando, divorando di nuovo il mio viso con gli occhi come quando mi ero gettata dalla montagna. Ho sentito, d’istinto, che mi avrebbe fatto patire le pene dell’inferno per quell’acrobazia.

O forse no. « Che guardi? » ho chiesto, con un pizzico di timidezza.

« Te. »

« Sono tanto brutta? »

« Yuffie. » E la sua voce era profonda, con una nota roca, di quelle che mi arricciavano le dita dei piedi e mi annodavano lo stomaco mentre il cuore palpitava – e stavolta, non per agonie riconducibili alla medicina. « Tu sei la cosa più bella che abbia mai visto in vita mia. »

Ci hanno trovato che ci baciavamo, scambiandoci vita con la bocca, più e più e più volte come se non avessimo mai dovuto fermarci.
   
 
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