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Autore: AlbertoLupo    11/11/2012    4 recensioni
[Daitarn 3]
Luca ha 30 anni, è cresciuto a pane e robot giapponesi, tra cui il Daitarn III. Una sera, a una festa, incontra il suo vecchio pupazzo che usava da bambino che lo mette in guardia: tutti gli invitati sono meganoidi
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
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Luca si accese una sigaretta e fissò il tipo che sedeva sul divano. Era un ciccione enorme. Sembrava una mongolfiera sul punto di scoppiare. Aveva una voce trillante che gorgheggiava cazzate a tutto spiano. In quel preciso istante stava parlando di una barca che aveva appena comprato e che teneva ancorata al porto di Sestri Levante. L'ormeggio gli costava una cifra.
   - Ma prendere il largo è una sensazione che non ha prezzo. Sciogli le cime, vai di bolina e molli tutto, ti lasci la terra alle spalle con i suoi problemi.
   Luca avrebbe voluto chiedere a quel ciccione come faceva a comandare una barca a vela senza rischiare di affondarla, ma lasciò perdere, non erano fatti suoi. E poi un po' invidiava il ciccione. Lo invidiava perché era ricco e aveva una barca a vela. Una barca a vela di cui poteva discorrere polarizzando l'attenzione di chi gli stava intorno. Luca, invece, non aveva niente.
   Una volta, però, ci era stato in barca a vela. Era successo un'estate. Era salpato con degli amici e dopo nemmeno dieci minuti di navigazione aveva cominciato a provare nausea e a vomitare. Era stato imbarazzante, anche perché a bordo c'era una ragazza che gli piaceva. Una tipa carina, con i capelli rossi e un sacco di lentiggini in faccia.
  Luca non ci aveva fatto una bella figura a vomitare davanti a lei.
   Tornando alla festa: Luca stava bevendo da quando era arrivato. Bere era l'unico modo per non sentirsi solo. L'alcol era per lui come il mantello invisibile per Harry Potter, gli permetteva di sentirsi non notato in un mondo che, altrimenti, avrebbe sentito ostile.
   Sì, il mondo era un luogo nemico, un territorio estraneo dove aggirarsi con la massima cautela e mantenendo un profilo bassissimo. Luca aveva avuto questa sensazione fin da piccolo. Sensazione confermata da quella festa bazzicata da ragazzi col sorriso da squalo e ragazze dallo sguardo perfido e altezzoso.
   "Cristo", pensò, ad un certo punto, "mi sento male, ho bevuto troppo", ed esplorò nervosamente l'appartamento alla ricerca di un bagno. Lo trovò, si chiuse dentro a chiave e vomitò nella tazza come aveva fatto in mare, quella volta.
   Vomitò a spruzzi, come se la sua testa fosse un pene e la bocca una fessura che eiaculava tutto quello che aveva ingurgitato nelle ultime ore.
   Svuotato di tutto l'alcol, Luca rimase qualche secondo intontito, abbracciato alla tazza del cesso, finché non udì una voce alle sue spalle.
   - Ehy, Lucabello.
   Si voltò e allora vide, in piedi, davanti a lui, un enorme pupazzo di peluche. Il pupazzo era bianco. Sopra le gambe tozze e a tubo portava una maglietta a righe gialle e rosse, oltre il collo della maglietta sbucava una faccia da gatto. Luca aveva già visto quel peluche. Era stato il suo pupazzo preferito quando era bambino. Certo, all'epoca era molto più piccolo e, soprattutto, non stava in piedi sulle proprie gambe, né sapeva parlare.
   Il pupazzo piegò il capo di lato e disse: - Come stai Lucabello?
   - Tu... co... cosa sei? - balbettò Luca.
   - Come cosa sono? Gattomatto, il tuo pupazzo preferito. Non ti ricordi di me? Eravamo amici per la pelle. Lucabello e Gattomatto. Dai, cazzo, non puoi esserti dimenticato tutto!
   - Sto avendo un'allucinazione!
   Gattomatto ridacchiò. - Può darsi, Lucabello. Sei sempre stato uno un po' fuori di testa. Per questo mi piacevi. Per questo eravamo amici. Abbiamo fatto un sacco di giochi assieme.
   - Tu... tu... non puoi esistere...
   - Esisto eccome. Sei tu che mi hai inventato. Tuo padre e tua madre mi comprarono e mi regalarono a te per il tuo quinto compleanno, ricordi? Tu mi scartasti dal pacco in cui ero avvolto e guardandomi negli occhi, pensasti: "Io e te diventeremo grandi amici, Gattomatto". E così è stato. La nostra amicizia è durata anni. Anni di giochi stupendi, di profonde conversazioni telepatiche, anni incredibili, poi ad un certo punto le cose cambiarono tra di noi, una sera decidesti di violentarmi.
   - Io cosa?
   Gattomatto ripeté: - Decidesti di violentarmi. Avevi già una certa età, dodici anni, se non ricordo male. Avevi passato il pomeriggio con quel tuo amico con l'apparecchio ai denti e la faccia massacrata dall'acne, Enrico mi sembra che si chiamava. Enrico ti aveva fatto vedere un fumetto porno. Il fumetto mostrava come uomini e donne fanno sesso. I disegni di quelle cosce spalancate, di quei seni disponibili, di quelle fessure umide e pronte a essere penetrare ti avevano eccitato. Così a casa avevi deciso di provare cosa si sente quando si penetra una donna e per farlo avevi usato me. Mi avevi fatto un foro tra le gambe, ricordi? Scucendo il tessuto con delle forbici, mi avevi tagliato per creare qualcosa il più possibile simile alla figa, guarda -, il pupazzo aveva indicato il mezzo delle sue gambe, segnato da un piccolo sbrego della fodera di peluche attraverso il quale s'indovinava la presenza della gommapiuma interna. - Poi mi avevi portato in bagno e avevi chiavato me, Gattomatto, il tuo migliore amico, come fossi una puttana, una troia qualunque disponibile alle tue voglie. Avevi sborrato dentro di me e nello sfilare ul cazzo avevi imbrattato un po' anche il peluche fuori, ricordi?
   Luca ricordava, sì. Era vero, da bambino aveva avuto un pupazzo bianco, di peluche, con la faccia da gatto e che indossava una maglietta a righe gialle e rosse. Era stato il suo gioco preferito per diversi anni, poi lo aveva abbandonato, chissà dove, forse in soffitta.
   - Comunque non me la prendo, tranquillo -, riprese Gattomatto. - Non me la prendo se mi hai imbrattato col tuo seme. Se mi hai usato un paio d'altre volte per masturbarti, fino a quando, grazie a dio, non hai capito che usando la mano destra sarebbe stato tutto più semplice e piacevole. Non me la prendo se dopo avermi scucito e schizzato mi hai abbandonato. La vita è fatta così. Il mondo gira, le stagioni passano e i bambini crescono. I peli spuntano sulle palle, prima piccoli e diritti poi più lunghi e ricciuti. E' nell'ordine delle cose che un bambino si disfi dei suoi vecchi giochi, però, come dice il titolo di quel film, a volte ritornano, i giochi voglio dire, e io sono ritornato e dunque eccomi qua.
   Luca si prese la testa tra le mani. - Io... io... sto diventando pazzo... mi sento male...
   Gattomatto ridacchiò. - Tranquillo, stai bene, invece. Cioè, non sei al massimo della forma, ma ti sei solo sbronzato, tutto qua. E dato che non reggi l'alcol hai vomitato. Niente di eccezionale. Sul fatto che tu stia diventando pazzo, beh, sei sulla buona strada. Lo sai qual è il tuo problema, Lucabello?
   Luca sedette sulla tazza del cesso fissando quel gigantesco pupazzo bianco che gli parlava senza muovere le labbra, ma gli parlava, non c'erano dubbi.
   - No, qual è? -, disse.
   - Il tuo problema è che non sei mai cresciuto -, rispose Gattomatto. - E' un probelma comune a quelli della tua generazione. Bamboccioni nati tra gli anni Settanta e Ottanta. Ragazzi e ragazze cresciuti a pane, nutella e cartoni animati. Avete avuto tutto dalla vita, tranne quel senso di privazione, quell'appetito sociale che è alla base di ogni ambizione e impresa. Vi siete rincoglioniti di programmi tv e giochi in scatola. Avete galleggiato come stronzi al liceo e all'università facendovi bocciare e laureandovi fuoricorso e al momento di trovare un vostro posto nel mondo, non ci siete riusciti. Continuate a vedere puntate di vecchi cartoni e telefilm su YouTube e organizzate raduni tra amici per giocare a Monopoli, Risiko o altre stronzate. Siete patetici.
   Luca chinò lo sguardo. Quello che stava dicendo Gattomatto era vero.
   - Però, devo rivelarti una cosa importante -, disse il pupazzo.
   - Che cosa? -, domandò Luca.
   - Riguardo a questa festa... non hai tutti i torti a sentirti a disagio, a bere pur di non avere a che fare con gli altri.
   - Ah, no?
   - No perché devi sapere che tutti quelli che vedi a questa festa, tutti i ragazzi e le ragazze che bazzicano in salone e nelle altre stanze, quei ragazzi vestiti eleganti e sicuri di sé e quelle ragazze ultrafighe, non sono quello che sembrano.
   - Cioè? Non capisco... 
   Prima di continuare nelle proprie spiegazioni, Gattomatto si accese una sigaretta. Parrà impossibile che un pupazzo di peluche si mettesse a fumare, ma così andarono le cose. Gattomatto s'infilò una Marlboro in quella linea nera che aveva al posto della bocca, se l'accese e cominciò ad aspirare e a soffiare fumo. 
   - Ora ti spiego, Lucabello. In verità è tutto molto semplice. Tutte le persone che vedi, incluso quel ciccione che se la tira perché ha la barca a vela, non sono esseri umani.
   - Ah, no?
   - No, che non lo sono. Sono meganoidi.
   - Mega-che?
   - Cazzo, meganoidi! Minchia, Lucabello, non dirmi che in tutti questi anni ti sei così rincoglionito che ti sei scordato dei meganoidi!
   Luca pensò che la parola "meganoidi" suonava decisamente familiare, ma non riusciva a ricordare quando l'aveva sentita. Ci pensò Gattonatto a rinfrescargli la memoria.
   - I meganoidi sono i nemici di Daitarn III!
   - E' vero! -, disse Luca, battendo le mani.
   Gattomatto sorrise soddisfatto. - Daitarn III era il tuo cartone animato preferito, ricordi? Il padre del giovane Haran Banjo, su Marte, aveva creato i meganoidi, degli ibridi tra uomo e macchina, che volevano conquistare la Terra e Banjo li combatteva con il Daitarn III, un robottone che funzionava a energia solare. A capo dei meganoidi c'era Don Zauker, una specie di Dart Vader col cervello chiuso in un'ampolla e gli occhi da mosca che quando parlava faceva dei versi tipo catena del cesso tirata. Un vero capo, Don Zauker. Massimo rispetto per lui. Il suo braccio destro era la perfida Koros, il Comandante Supremo dei Meganoidi, ti ricordi di Koros? Ti ricordi quant'era figa con quella pelle bianca e perfetta come porcellana e quei capelli rosso sangue raccolti a treccia?
   Sì, ora Luca ricordava. Ricordava tutto. I pomeriggi, dopo pranzo, a guardare l'ennesima puntata di Daitarn III alla tele, seduto sul divano con accanto Gattomatto; i meganoidi comandati da Don Zauker, quel pauroso frankestein meccanico avvolto in un mantello rosso e col cervello chiuso in una boccia trasparente e Koros, l'amica di Don Zauker, pallida e perfida, una vera mistress sadomaso su cui lui si era anche masturbato, ricordava ogni cosa!
   - I meganoidi sono tornati sulla Terra -, riprese Gattomatto con tono improvvisamente serio. - Vogliono concquistarla. Don Zauker è morto. Haran Banjo lo ha fatto fuori, ma Koros è risorta.
   - Com'è possibile? -, chiede Luca, - nell'ultima puntata, veniva fatta fuori anche lei dal Daitarn III.
   - Tu dici il giusto, Lucabello, ma i meganoidi rimasti, prelevando campioni di dna dal suo cadavere, l'hanno ricreata in laboratorio. E ora Koros è qui, sulla Terra, per organizzare la grande invasione. Si trova a questa festa!
   - Si trova alla festa?
   Gattomatto annuì.
   - E' la padrona di casa, la festeggiata. Silvia Marelli in realtà è Koros.
   - Mi stai prendendo per il culo?
   Gatto matto si mise una mano sul petto e alzò l'altra. - No, bello, te lo giuro. Magari ti stessi prendendo per il culo. La Marelli è Koros al cubo. Se la guardi lo capisci anche te. Stesso sguardo da stronza algida, stessi capelli rosso sangue, stesse labbra piccole e morbide. Non si scappa. Questa festa è un ritrovo di fottuti meganoidi. Prima che tu arrivassi stavano brindando tutti alla memoria di Don Zauker.
   - Dici sul serio?
   - Mai stato più serio in vita mia, fratellino. Se esci da questo bagno e ti guardi intorno, lo capirai anche tu. Ti accorgerai al volo che tutti quelli che ti circondano non sono umani, ma dei fottuti meganoidi. Anzi, perché non lo fai? Esci, fai un giro per l'appartamento. Osserva gli invitati, ma senza farti notare, mantenendo quell'aria da sfigato che ti porti appresso da quando sei nato, poi torna qui.
   - Ok, farò come dici tu, uscirò.
   - Ti aspetto, non mi muovo. Appuntamento in questo stesso cesso tra 5 minuti.
   Dunque, Luca aprì la porta del cesso e uscì in perlustrazione.
 
Percorse il lungo corridoio dopodiché sbucò in salone.
   Il ciccione era sempre seduto sul divano che pontificava, circondato da quattro o cinque individui.
   A un angolo stavano sei ragazze che chiacchieravano a voce bassa come se stessero tramando qualcosa. Due ragazzi, al tavolo del buffet, si versavano da bere e parlavano di calcio.
   Luca li osservò e capì che era tutto vero: erano meganoidi. Meganoidi che fingevano di essere uomini e donne normali e in realtà meditavano di invadere la Terra. I loro sorrisi erano così... metallici... sembravano tagliole... e i loro occhi, dei congegni infilati nelle orbite per vedere, registrare, monitorare, scannerizzare...
   Luca provò un senso di soffocamento. Il cuore prese a battergli all'impazzata. Un meganoide, guardandolo in faccia, gli chiese con voce fintamente preoccupata: - Ti senti bene? Hai bisogni d'aiuto?
   Luca balbettò: - Sto bene, sto bene, grazie -, poi, rapidamente, attraversò il salone e raggiunse il balcone.
   Fuori, all'aria fresca, riprese a respirare. 
   Si deterse il sudore dalla fronte col dorso della mano e si appoggiò a un vaso da cui spuntavano fiori bianchi. Sollevò lo sguardo e osservò la luna, le stelle. Per la prima volta considerò la notte non come una prerogativa dei terrestri, un grazioso involucro che avvolgeva la Terra come la carta stagnola un cioccolatino, ma per quello che era, una parte dello spazio. Un frammento di infinito, lo stesso infinito dalle cui amene profondità erano giunti i meganoidi.
   D'un tratto una voce domandò: - Hai da accendere?
   Luca si voltò e vide una ragazza minuta, alle sue spalle, il corpo esile, il viso perfetto e bianco come un ovale entro cui erano iscritte labbra morbide e rosee, gli occhi neri e di una fissità quasi catatonica. Era la padrona di casa, Silvia Marelli. O meglio, Koros. Sì, non c'erano dubbi, quella donna pallida ed esangue come una bambina spettrale era il comandante dei meganoidi.
   - Sì, ecco... -, disse Luca, estraendo l'accendino.
   Koros chinò il capo sulla fiamma, poi, sollevandolo, fissò Luca negli occhi.
   - Chi sei? -, domandò, soffiandogli il fumo in faccia.
   - Luca -, rispose lui, tossendo.
   - Luca chi?
   - Luca Carrisi.
   Koros scrollò le spalle. - Non ti conosco. Chi ti ha invitato alla mia festa?
   - Martina.
   - Martina Lorelli?
   Luca annuì. In realtà non era stato invitato. Si era imbucato da solo a quella festa dove non conosceva nessuno se non una ragazza brutta e antipatica che si chiamava Martina Lorelli.
   Per diversi secondi lui e Koros non dissero altro.   
   Terminata la sigaretta, il capo dei meganoidi la spense in un posacenere di cristallo. - Ci vediamo -. E rientrò in salone. 
   Dopo alcuni secondi, Luca la seguì e, dal salone, imboccando il corridoio, tornò in bagno. 
  
Gattomatto era lì ad aspettarlo, seduto sulla tavoletta del cesso con le gambe a tubo accavallate.
   - Allora? -, domandò.
   - Avevi ragione, questa casa è piena di meganoidi -, disse Luca. - E c'è anche Koros, l'ho appena vista in balcone.
   Gattomatto rimase alcuni secondi in silenzio. - Bisogna agire -, disse poi, in tono risoluto.
   - E cioè?
   - Devi ucciderli tutti.
   - Tutti chi?
   Gattomatto allargò le braccia. - Ma come chi, i meganoidi! Li devi fare fuori. Anche Koros.
   Luca era disorientato. - Ma come farò ad ammazzarli tutti? Loro sono in tanti e io uno solo. E poi non so se ho il coraggio di fare una cosa simile, mi stai chiedendo di commettere omicidio.
   - Lucabello, io non ti sto chiedendo di commettere omicidio, ma di salvare la specie umana. Non scordare mai cosa sono realmente i meganoidi:  un esperimento di laboratorio del dottor Haran Sozo, più robot che uomini.
   - Anche ammesso che trovi il coraggio di uccidere, come ci riuscirò? Non sono armato...
   Gattomatto si alzò dalla tavoletta del cesso e cominciò a camminare in cerchio. Stava riflettendo.
   - In effetti questo è un probloema non da poco, che va considerato... Secondo me, però una qualche arma dovresti trovarla...
   - Tipo?
   - Un coltello da cucina dalla lama grossa, di quelli che si usano per tagliare la carne, o un bastone di legno particolarmente robusto che il padre o la madre della Marelli si è portato dall'ultima camminata in montagna... in una casa, qualcosa che si possa usare come arma, la si trova sempre... esci, perlustra le camere, trova ciò che fa al caso tuo e poi agisci.
   - E tu... tu... che farai?
   Gattomatto sorrise. - Io sarò al tuo fianco, Lucabello. Non ti abbandonerò come tu hai fatto con me. Sarò la tua ombra. Siamo amici noi due, ricordi? Due fratelli che nessuno potrà mai separare.
   - Gesù! -, sospirò Luca, portandosi le mani al volto.
   Gattomatto gli si avvicinò. - Ffratello, tranquillizzati, noi siamo dalla parte dei buoni, capito?
   Luca scostò le mani, fissò il suo pupazzo negli occhi e annuì.
   - Ora vai -, disse Gattomatto. E aggiunse: - E come direbbe il vecchio Haran Banjo, che l'aiuto del sole sia con te! Attacco solare! ENERGIA!
 
Luca uscì dal bagno. Si ritrovò nel corridoio di prima, lungo, buio, spianato da un tappeto di velluto rosso. 
   "Devor trovare un'arma", pensò, e cominciò ad aprire porte e a perlustrare stanze alla ricerca di qualcosa che facesse al caso suo. Non ci mise molto a scovarla.
   Entrò in una stanza dal soffitto a cassettoni, occupata da una scrivania in mogano e da un'enorme libreria piena di testi antichi. Era lo studio di Gualtiero Marelli, padre di Koros, stimato avvocato dalla élite milanese. A un angolo tra due muri era appesa una bacheca di vetro e dentro la bacheca si trovava un fucile col caricatore a tamburo. 
   Usando un pesante portacenere di cristallo, Luca spaccò il vetro e prelevò il fucile. Era lucido, pulito e, probabilmente, funzionante. Aveva il calcio in legno e la canna in carbonio.
   Luca uscì dalla stanza e, lungo il corridoio, incrociò un tipo, il ciccione che diceva di possedere una barca a vela.
   I due si osservarono alcuni secondi, poi il ciccione abbozzò un sorriso e disse: - Che ci fai con quel fucile?
   D'istinto, Luca sollevò la canna e premette il grilletto.
   La detonazione fu secca e potente. 
   Il ciccione si guardò la pancia: un alone rosso si stava allargando al centro della sua camicia.
   - Cazzo... mi hai sparato!
   Lo sparo aveva attirato l'attenzione degli altri invitati.
   - Ma che cos'è successo?
   - Chi è stato a sparare?
   - Da dove proveniva?
   - Mi hai sparato! -, ripeté urlando, il ciccione, - mi hai sparato! Questo stronzo mi ha sparato! Tu mi hai...
   Prima che potesse pronunciare per l'ennesima volta la parola "sparato", Luca premette il grilletto, centrandolo in fronte. Il ciccione stramazzò a terra per non rialzarsi più.
   Una ragazza che aveva assistito alla scena si mise a urlare. Luca sparò anche a lei, strappandole via una guancia. Altre teste sporsero dal fondo del corridoio per vedere cosa stava succedendo.
   Luca, sentendosi come Terminator, scavalcò la montagna di lardo e puntò il fucile verso gli altri. Premette il grilletto diverse volte, senza concentrarsi troppo sui singoli bersagli. Un paio di meganoidi li ammazzò al primo colpo, altri li ferì più o meno gravemente. I più svegli si chiusero a chiave nella prima stanza che incontrarono.
   Quando arrivò in salone, Luca sparò i colpi che gli rimanevano sui pochi rimasti.
   Finite le munizioni, gettò il fucile a terra, andò in cucina e prese da un ceppo di legno un lunghissimo coltello. Tornò in salone e, affondando la lama nelle loro carni, terminò gli invitati che aveva solo ferito e si trascinavano disperatamente sul pavimento.
   - Aspetta, non mi uccidere, ti prego! -, implorò una ragazza bionda, piuttosto carina, che era stata messa ko da un proiettile alla clavicola.
   Luca le sollevò il capo per i capelli raccolti a treccia e passò la lama sulla gola. La bionda non implorò più.
   Luca si alzò e si guardò intorno: il salone era un mattatoio. Il sangue macchiava le pareti. I corpi giacevano un po' ovunque.
   "Bene", pensò, "li ho ammazzati tutti, rimane solo Koros?". E cominciò a urlare: - Koros, dove sei? Vieni fuori, lurida cagna! Mostrati! Cos'è, ora che Don Zauker non ti protegge più, te la fai sotto? Avanti, perdio! Fatti vedere, affrontami a viso aperto! Koros! Maledetta!
   Per cinque minuti, vagò per la casa urlando come un folle il nome della sua nemica, poi udì una voce, da dietro una porta, una voce resa rauca dal pianto, ma comunque decifrabile. 
   - Vattene, ho chiamato la polizia, stanno arrivando! Vai via!
   Era lei, Silvia Marelli, cioè Koros.
   Luca cominciò a tempestare di calci e pugni la porta.
   - Apri, maledetta! Apri questa porta! Puttana! Ti ammazzo! Ti trancio come un pollo, bastarda troia, vacca mignotta! Ti arrostisco con l'energia solare! Uso la fimma ossidrica!
   Sotto l'ennesimo colpo, la porta cedette. Con un ultimo calcio, Luca la spalancò.
   Era completamente stravolto, la maglietta bianca sporca di sangue, i capelli scomposti e il coltello della cucina stretto nella mano destra.
   - Squartala -, sentì la voce di Gattomatto sussurrare alle sue spalle. - Squarta quella puttana e salva l'umanità!
   Luca varcò la soglia. Si ritrovò in una grande stanza con un enorme letto matrimoniale a ridosso di una parete. Schiacciata a un angolo, ripiegata in se stessa, c'era Koros. Il comandante dei meganoidi. Tremava e delirava. 
   Diceva: - Ti prego... ti prego... non mi uccidere... ti prego... che t'ho fatto io? Ti scongiuro, vattene via...
   A Luca, quasi fece pena, ma poi si ricordò di quant'era perfida quella donna e allora sollevò la lama su di lei. 
   Stava per calarla quando udì una voce: - Fermo là!
   Luca si voltò in direzione della porta e allora vide un meganoide travestito da poliziotto che gli puntava contro una pistola. 
   Calò la lama rapidamente, ma non abbastanza. Prima che potesse affondare nella testa di Koros, il poliziotto premette il grilletto. Il proiettile, viaggiando alla velocità di 1400 metri al secondo, attraversò il cranio del bersaglio da tempia a tempia, trascinandosi, in uscita, un fiotto di sangue misto a materia cerebrale.
   Luca cadde a terra con la testa spappolata.
   Koros si mise a urlare.
 
Un'ora dopo, la scientifica caricava il corpo dell'assassino, chiuso in un telo, nel retro di un furgone.
   - Ma che è successo? -, domandò l'agente al volante.
   - Una strage -, rispose un altro, salendo a bordo. - Un tizio, a una festa, così, senza un motivo apparente, si è messo a sparare con un fucile.
   - Un fucile?
   - Già. Una vecchia arma da caccia che il padre della festeggiata teneva nel suo studio. Terminati i proiettili, lo psicopatico ha usato un coltello da cucina per sgozzare chi era rimasto a terra ferito.
   - Pazzesco!
   - Eccome! Ne parleranno i giornali di questo stronzo, puoi scommetterci, e anche la tv. Faranno fior di programmi con lo psicologo di turno che spiega come mai le giovani generazioni sono allo sbando. Prepariamoci. Dai, ingrana la prima che sono stanco.
   Il mezzo si mise in moto.
   Gattomatto, appoggiato a un muro, lo vide sparire, svoltato un angolo.
   - Così impari a sporcarmi il pelo -, disse.
   Poi, buttò la sigaretta per terra e se ne andò nella notte che già impallidiva.
   
   
  
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