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Autore: Serith    11/11/2012    3 recensioni
Prima di abbandonare definitivamente la Shinra, il professor Gast ha la buona idea di portare con sé il piccolo Sephiroth.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Aeris Gainsborough, Gast, Sephiroth
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sfumature.





Il corridoio bianco era completamente vuoto, fatta eccezione per la donna delle pulizie che stancamente si trascinava dietro carrello e scopa. Gast sapeva che stressata com'era non avrebbe fatto caso a lui, ma decise comunque di attendere che svoltasse l'angolo. Non appena il suo gigantesco sedere scomparve alla vista l'uomo cercò di tergersi la fronte con il dorso della mano, fallendo. L'ansia lo stava uccidendo. Voleva fare quella cosa il prima possibile, ma sapeva che se non avesse rispettato perfettamente i tempi, anche a costo di attendere, il suo piano sarebbe fallito e non avrebbe potuto salvare chi doveva salvare. Ifalna l'avrebbe odiato per aver abbandonato un bambino. Una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, ma pur sempre un bambino.


Gast attese alcuni minuti, il tempo di permettere ai Soldier del piano superiore di finire il turno. Le lancette del suo orologio erano decisamente lente, ma dopo un tempo non eccessivo decise di muoversi.

Le porte dell'ascensore si aprirono con un rumore attutito ed accogliente. Le pareti fatte completamente di vetro permettevano ai lavoratori della Shinra una splendida vista a 360° della città, ma il Professore non indugiò sul paesaggio. Essere rinchiuso in un spazio così ristretto lo faceva sentire in trappola, e sebbene il tempo di arrivare al piano superiore non fosse lungo l'attesa gli sembrava eterna. Era snervante dover restare lì e non poter agire.


Finalmente le porte si riaprirono. Faremis ne uscì immediatamente, quasi con un sospiro di sollievo. C'era ancora molto da fare.


Non era mai stato un uomo d'avventura. Non ne aveva certamente il fisico ne tanto meno lo spirito. La scintilla che permette ad un uomo di gettarsi nel pericolo gli mancava completamente. Aveva una mente brillante però, questo sì. In particolare in campo scientifico: il suo sogno, sin da giovane, era stato quello di diventare un ricercatore.

Per quanto ironico se pensando a quanto la materia richiedesse freddezza e precisione, Gast era un sognatore. Lo era sempre stato.


Ma a cosa lo avevano portato le sue aspirazioni? Quante vite aveva distrutto? Il sogno di realizzare qualcosa che lo rendesse famoso ai posteri, l'ambizione non troppo segreta di sfidare le leggi della natura, valevano forse la pena di tutto ciò?

Ma ora poteva rimediare, sebbene in piccolissima parte. Doveva farlo.


Il laboratorio era completamente silenzioso. Fiale e becker contenenti liquidi dai colori strani riflettevano la tenue luce proveniente dalle finestre, le tapparelle in parte abbassate. Estraendo un piccolo mazzo di chiavi dal camice candido Gast si avvicinò ad un armadietto metallico. Lì c'erano tutti i suoi rapporti su Jenova e gli Ancient, frutto di anni di ricerca. Quel materiale non doveva restare nelle mani della Shinra. Una volta che se ne fosse andato il più lontano possibile da quel luogo maledetto avrebbe distrutto tutto. A quel punto seppellendo il proprio rimorso avrebbe cominciato una nuova vita con Ifalna, lontano da Migdar.


L'archivio si svuotò rapidamente, grazie alle sue mani esperte che sapevano cosa prendere e cosa lasciare. Era quasi divertente constatare come anni di ricerche fossero racchiusi in quei pochi pezzi di carta.

Mentre scartabellava i documenti l'occhio gli cadde su una cartella clinica a lui fin troppo familiare, dall'aspetto apparentemente innocente, del cui contenuto non avrebbe però detto lo stesso. Prendendola tra le braccia la sfogliò con efficienza e velocità, leggendone rapidamente i contenuti. In prima pagina, la foto del volto di un bambino lo guardava freddamente, forse troppo per la sua età. Tuttavia non gli avrebbe dato torto.

Il resto della cartella conteneva ogni singolo dato che fosse possibile trarre da un essere umano, dalle analisi del sangue (le sue braccia sono piene di lividi, pensò Gast reprimendo il pensiero alla stessa velocità con cui era apparso), alle osservazioni sul comportamento, al rendimento nei test d'intelligenza -sempre altissimi e fuori dal range massimo per un bambino di sette anni-, all'alimentazione. E poi ulteriori analisi di ogni tipo, che riguardavano aspetti della sua vita intimi se non addirittura imbarazzanti. In fondo alla cartella decine di foto avevano immortalato il bambino in ogni suo lato, davanti, dietro, di profilo, con addosso una camicia ospedaliera o addirittura nudo.

Senza indugiare un momento di più Faremis infilò il reperto in una delle tasche interne del suo camice. Cominciava ad essere pesante.

L'ultimo documento che prelevò era un consistente blocco di fogli rilegato in una copertina plastificata, sul cui frontespizio tiranneggiava il titolo “Progetto J”. La maggior parte del suo contenuto era stato scritto/visionato da lui stesso. Gast non perse nemmeno tempo a sfogliarlo, e non avendo più spazio nel camice lo infilò dentro la maglietta, appena sopra la cintura.

Appena finito il lavoro sporco chiuse a chiave il cassetto. Se la fortuna avesse continuato a restare dalla sua parte Hojo e gli altri ricercatori si sarebbero accorti della scomparsa di documenti importantissimi soltanto la mattina seguente, subito dopo aver constatato la scomparsa del loro ben più importante esperimento.


Tendendo le orecchie in cerca di qualsiasi rumore sospetto s'incamminò verso una stanza a lui molto nota. Riusciva a fare dei passi felpati pur con le scarpe di gomma sopra il pavimento di linoleum, ma il suo cuore batteva disperato. Controllò l'orologio: gli erano rimasti pochi minuti. Era arrivata la parte più delicata di quella difficile missione.

La sua strana passeggiata terminò davanti a una porta nera d'acciaio. Sul muro stava un piccolo quadro metallico con sopra dei numeri e la fessura su cui passare la carta magnetica. Solo chi lavorava al Progetto J la possedeva, permetteva l'accesso a tutti i laboratori impiegati in esso. Solo pochi eletti però conoscevano la password d'accesso a quella piccola stanza, prigione del frutto riuscitissimo di anni di ricerca e milioni di gil spesi da Mister Shinra. Faremis era uno di questi eletti.

Senza indugiare passò la carta e cominciò a pigiare i tasti. Questi emisero un bip di conferma, lieve ma abbastanza forte da far rizzare i peli sulle braccia dell'uomo. Doveva restare calmo e lucido, ora più che mai.

-Ti prego...- mormorò appena finì di digitare la password. Sapeva che quella che aveva lui era corretta, ma il dubbio gli attanagliava comunque le viscere.

Fu con orrore quindi che vide apparire in cima al quadro la seguente scritta:

Password errata. Tentativi rimasti: 2.

-Ma che diamine...

Non c'era altra spiegazione: Hojo doveva aver intuito qualcosa, e per sicurezza nelle ultime notti prima di chiudere il piano doveva aver cambiato il codice più volte, per poi resettarlo le mattine successive. Gast constatò con immenso abbattimento che l'uomo era stato davvero astuto.

Ed ora cos'avrebbe fatto? Se avesse sprecato gli ultimi due tentativi sarebbe scattato subito l'allarme. Con circa 50 piani che lo superavano dalla città non avrebbe avuto alcuna possibilità di fuga. Che cosa avrebbe detto Ifalna?

Controllò di nuovo l'orologio, poi cominciò a pensare freneticamente.

In tutti gli anni in cui avevano lavorato insieme Faremis si era fatto un'idea abbastanza chiara di Hojo, uomo dalle brillanti doti intellettive, un po' meno delle abilità sociali. Le sue capacità analitiche e la straordinaria precisione e dedizione erano perfette nel mondo dei becker e dei camici bianchi, ma il suo intuito non era molto sviluppato, ed era assolutamente privo di fantasia.

Per un momento l'uomo ebbe un'illuminazione, che però vacillò quasi subito. Non poteva essere, ma...

Le sue dita si mossero agili sul quadro, componendo le cifre 10-5-14-15-23-1. Jenova.


Dopo pochi secondi lo schermino del quadro s'illuminò di verde. Password corretta. Ci mancò poco che Faremis facesse i salti di gioia.

La porta si aprì con un clangore metallico. La stanza era completamente immersa nella penombra, l'unica fonte d'illuminazione una piccola finestra sul muro, troppo in alto per essere alla portata di un infante. I tenui raggi della luna piena cadevano sul pavimento ed in parte sul letto, dove Gast non si stupì d'incrociare gli occhi del bambino che era stato obbiettivo di quella burrascosa serata. Erano fosforescenti e dal taglio un po' obliquo, come quelli dei gatti.

Gast si guardò velocemente attorno. La stanza era assolutamente spartana: priva di giochi, quaderni da colorare, o qualsiasi altra cosa legata all'infanzia. Su una piccola libreria erano stati ordinati alcuni libri che trattavano materie come matematica, scienze, chimica, biologia. Unica nota stonata rispetto al resto un volume che trattava in tono interattivi la storia delle guerra, dalle tecniche di combattimento alle armi, fino alle strategie militari. Accanto ad essi stava una scacchiera comprata da lui stesso, usata per stimolare ed al tempo stesso far svagare un po' il piccolo.

-Professore...

Gast si girò per guardare il bambino. Sapeva che aveva fiducia in lui, l'uomo si era sempre comportato con gentilezza e le partite a scacchi insieme erano un momento che aspettava con ansia. D'altronde però il professore si era introdotto lì nel cuore della notte e la sua stanza era l'unico luogo dove si sentisse davvero sicuro, l'unico posto dove sentiva d'avere un po' di privacy.

Amaramente ironico, considerato che una telecamera lo sorvegliava 24 ore su 24.

Senza perdere tempo aprì l'armadietto, prendendo un paio di pantaloni neri ed una t-shirt -il guardaroba era tristemente scarno di abiti civili- e quasi ci mancò che glieli lanciasse addosso.

-Sephiroth, devi prepararti. Stiamo andando via da qui.

Gli occhi del bambino s'illuminarono di un lieve bagliore, ma fu solo per un momento.

Gast sapeva di essere uno dei pochi, se non addirittura l'unico, a conoscere davvero Sephiroth. Agli occhi di un inesperto sarebbe apparso come un bambino apatico, freddo, capace di mettere a disagio persino gli assistenti del laboratorio. Ma era intelligente e rispondeva con prontezza ai comandi. Anche senza vederlo crescere però l'uomo sapeva che non era difficile intuire quanto si sentisse solo ed infelice. Nessun bambino, per quanto speciale ed unico, meritava un'esistenza del genere.

D'un tratto si fermò a riflettere su quel pensiero, formulato d'istinto. Possibile che la compagnia d'Ifalna l'avesse cambiato a tal punto?

Sentendosi osservato si voltò di nuovo. Sephiroth aveva finito di vestirsi e lo fissava silenziosamente, in attesa di ordini. A Gast bastò guardarlo negli occhi per capire quanto forte fosse la sua trepidazione.

Dando un'ultima occhiata alla stanza l'uomo constatò che non ci fosse nulla che fosse assolutamente essenziale da prendere.

Da una tasca dei pantaloni tirò fuori un cappelletto con visiera e lo porse al piccolo.

-Cerca di nascondere i capelli qua dentro- disse, -finché siamo qua dentro è inutile, ma quando saremo la fuori non ci dovranno notare.

Senza annuire Sephiroth prese l'accessorio, e con poche semplici mosse riuscì a mimetizzare la sua folta capigliatura sotto di esso. Di certo una chioma argentea a Midgar non sarebbe passata inosservata.

Per l'ennesima volta in quella lunghissima serata, Gast guardò l'orologio. Non era sicuro di quanto tempo gli rimanesse, forse era addirittura troppo tardi. Il Soldier che era di turno per quell'ora alla sala di videosorveglianza, tale Dag Rooney, era solito prima di cominciare a fare incetta di caffè e ciambelle al bar, lasciando quindi un buco di circa di 10 minuti. Se però per quel giorno avesse deciso di dare una piega più salutare alla sua dieta, erano entrambi spacciati.

Prese dall'armadio tutti i vestiti presenti - camici, sopratutto -, e l'infilò nel letto, creando un rigonfiamento sotto le coperte. Finché era buio e con il contributo di una scarsa attenzione, Rooney non avrebbe trovato il bluff.

Senza che ce ne fosse realmente bisogno fece segno al bambino di non fare rumore. Controllò che il corridoio fosse deserto, dopodiché uscirono entrambi dalla stanza. La chiuse, resettando la password con una assolutamente nuova, frutto di un casuale pigiamento di tasti. Con un po' di fortuna questo gli avrebbe fatto guadagnare tempo la mattina seguente.


Faremis rifletté per un momento sul da farsi. Con l'ascensore avrebbero impiegato pochi minuti a raggiungere il pianoterra, ma da lì sarebbero stati costretti ad uscire dall'entrata principale, super sorvegliata. La scala antincendio sembrava un'opzione decisamente più allettante, ma avrebbero impiegato molto più tempo per raggiungere l'uscita, un'entrata secondaria comunque sorvegliata, sebbene con una certa superficialità da parte dei Soldier di turno. Detergendosi la fronte con la manica del camice e sospirando decise di optare per la seconda opzione, non meno rischiosa della prima. Ormai era troppo dentro per ritirarsi.


La discesa per le scale antincendio fu penosamente lenta, per quanto egli tentasse di essere veloce -dopotutto aveva 38 anni, non era più così giovane-. Il piccolo Sephiroth l'aveva seguito diligentemente passo dopo passo, senza superarlo. Se avesse voluto, nel tempo che il professore impiegava per arrivare al pianoterra, avrebbe potuto tornare in cima e scendere di nuovo. Diverse volte.


La visione dell'uscita fu per Gast un miraggio. La vista del Soldier di guardia un po' meno.

All'improvviso si rese conto che stavano facendo un rumore tremendo. Con il sangue che gli gelava nelle vene cercò riparo nell'anfratto sotto la scala, con Sephiroth subito dietro di lui. Il Soldier non sembrava averli sentiti, ma rimaneva comunque il problema di come sarebbero usciti.

Il suo sguardo incrociò quello del bambino accanto a lui. Era apparentemente tranquillo, ma il professore riusciva a percepire tutta la sua inquietudine. Con l'indice gli fece di nuovo cenno di fare silenzio, poi si mise a pensare velocemente sul da farsi.

-Vecchiaccio, come stai??

Gast non poteva crederci. Osando sporgere di qualche centimetro la testa dal loro nascondiglio osservò il Soldier di guardia levarsi il casco in dotazione, per sorridere cameratescamente ad un altro Soldier in avvicinamento:-Lumar, brutto coglione. Mah, è un orario indecente e m'annoio a morte, e come se non bastasse quei maiali grassi ai piani alti hanno deciso che mi devono pagare una miseria. Solita routine...

-Sì, ma pensa al lato positivo: se stai di guardia qua fuori non dovrai mai pulire i cessi. Senti, perché non ci andiamo a prendere un caffè dentro?

-Mi tenti...

-Tanto da qua non entra mai nessuno, non se ne accorgeranno se t'assenti per un quarto d'ora.

Il “vecchiaccio” fece finta di pensarci, poi annuì:-Ma sì, perché no. Gli sta bene, a quei bastardi.

I due Soldier s'allontanarono, parlando d'argomenti non esattamente conformi alla presenza di un bambino di sette anni. Un sollievo indescrivibile invase il professore, che senza perdere tempo imboccò l'uscita. Da lì attraverso viette secondarie sarebbero arrivati negli Slums, e da lì ad una delle tante porte che permettevano di uscire da Migdar. La fuori un'aeronave l'avrebbero scortati in cambio di tanti gil fumanti fino ad Iclicle, dove Ifalna aspettava entrambi a braccia aperte.


Per la prima volta in quella serata Faremis si permise di sorridere. Forse, la strada per la sua redenzione non era poi tanto ardua da percorrere.




**


Quel figlio di buonadonna di Gast. Perché diciamocelo, uno che abbandona così un bambino piccolo, lasciandolo pieno di domande e di sfiducia verso l'umanità, non è un così grand'uomo.

Sarò poco romantica, ma penso che nella versione originale, il professore abbandoni il Progetto Jenova perché in un certo senso lo ritenga un fallimento. Quindi, anche Sephiroth è un fallimento. Altrimenti perché non portarlo con sé ad Iclicle e formare l'allegra famigliola felice con Ifalna ed Aeris?

Diciamo che questa è la mia visione delle cose se fossero andate in modo diverso. Purtroppo però i momenti felici non dureranno a lungo per nessuno, suppongo. Hojo vorrà indietro il suo esperimento più caro.

   
 
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