I’m better than
you
{ But we’re the best if we’re
together }
Erano lì
a fronteggiare il nemico, spalla contro spalla, le armi strette saldamente tra
le dita e un sorriso beffardo a dipingere le labbra di entrambi. Sicuri, spavaldi,
pronti.
«Questa la vinco in tre minuti» soffiò lui, quasi un sussurro.
«Non ti starai sopravvalutando?» rispose lei, pacata, una punta d’ironia nella
voce. Non si lasciava distrarre; era pronta a difendere il paese come sempre,
ma allo stesso tempo non disdegnava un confronto diretto col compagno, in fede
alla loro innata rivalità.
«Se pensi di poter fare meglio... allora prova a vincere in ancora meno» la
canzonò lo spadaccino, lanciandole l’ennesima proposta di sfida; e poi bastò un
ultimo sguardo, un’occhiata di complicità, le labbra curve all’insù ma le
sopracciglia aggrottate nello scambiarsi reciproche raccomandazioni. Fa attenzione, dai il meglio di tè, non
essere incauto. Cose già sentite, già note ad entrambi, eppure rilevanti in
quell’attimo di comunicazione silenzosa. Ad un tratto non vi fu più tempo per le
parole, per i pensieri o per le chiacchiere, ed entrambi schizzarono, fulminei,
verso il proprio avversario.
Lei in cielo, lui a terra: la combinazione perfetta tra opposto e
complementare. Entrambi affrontavano la propria battaglia con ostentata sicurezza
e maestria, volgendo tutta la propria attenzione al nemico. Brandendo lui la
spada e lei il bastone, erano inarrestabili; l’uno il doppio dell’altra, due
facce differenti di una stessa medaglia. Entrambi capaci e valorosi, ma insieme
praticamente invincibili.
A guidarli, era la certezza. La certezza
di potersi concentrare totalmente sul combattimento, senza lanciare occhiate
rapide e frequenti al compagno, per verificarne le condizioni. La certezza di
potersi fidare, di poter andare avanti
da soli, di farcela attraverso le proprie forze. La certezza di non aver
bisogno di preoccuparsi, chè tanto quell’idiota non morirà.
Ma non l’avrebbero mai ammesso, che ciò non gli evitava di restare col
fiato sospeso fino alla fine del combattimento. Non avrebbero mai ammesso che
al di là di ogni rivalità, di ogni vittoria o sconfitta, importava unicamente
che l’altro stesse bene. Che se la
cavasse, in qualsiasi situazione. Che uno dei due non restasse da solo, – perché cos’era Yamuraiha se non poteva schernire Sharrkan
com’era solita fare? E che senso avrebbe avuto svegliarsi la mattina se non ci
fosse stato lui ad infastidirla col suo inutile pavoneggiarsi? La presenza dell’altro
era, per entrambi, irrinunciabile. Quel loro rapporto conflittuale era come il
pilastro delle loro giornate, il fulcro di una relazione totalmente fuori degli
schemi.
Seppero entrambi di potersi rilassare quando il fragore del combattimento
cessò del tutto, e i corpi esanimi degli avversari crollarono al suolo privi di
forze. Fu allora, e solo in quel momento, che finalmente si rivolsero l’uno all’altra
e si guardarono intensamente negli occhi, sollevati. C’era il mondo in quello
sguardo e sarebbero potuti restare così all’infinito, invece ci rimasero
unicamente per pochi istanti; immediatamente ruppero il contatto e, visivamente
imbarazzato, Sharrkan borbottò «ho vinto io,
stregaccia».
Con uno scatto, lei si affrettò a ribattere «Eh? Il mio incantesimo l’ha
colpito per primo!».
«Ma il mio avversario è caduto prima» sottolineò Sharrkan,
incrociando le braccia al petto con fare superiore.
«Non cercare di cambiare le cose» lo accusò lei, incrociando le braccia a sua
volta. «Ti ho visto che eri in difficoltà».
Al che lui alzò le sopracciglia, con aria incuriosita e, sfoggiando un ghigno
beffardo, domandò «E perché mai mi stavi guardando? Preoccupata per me?».
Avrebbe voluto rispondergli nella maniera più minacciosa e violenta possibile,
magari sferrandogli un bel pugno, ma quelle parole l’avevano come fossilizzata.
Un insulto le morì sulle labbra, aperte ed immobili, e la sua fermezza parve
cedere per un istante.
Non lo ero ma grazie al cielo stai bene.
«N-no che non ero preoccupata» affermò con meno
sicurezza di quanta avrebbe voluto. «Beh, non che non ci fosse la probabilità
che tu perdessi... dopotutto, sei molto più debole di me».
«Eh? Stai dicendo che i tuoi spettacolini di magia sono più efficaci di me?! Di
certo se c’è qualcuno per cui essere preoccupato, quella sei tu!».
Una volta iniziato, avrebbero potuto
continuare all’infinito con quella loro continua conflittualità. E così presero
ad accusarsi e battibeccarsi, tanto orgogliosi d’aver
vinto quanto felici della salvezza di entrambi, senza rendersi conto di quanto
le loro affermazioni stessero, l’una dopo l’altra, andando ad incrementare nei
loro cuori una consapevolezza raggiunta senza neanche accorgersene tempo
addietro.
Quasi come se litigare fosse un’abitudine, un rituale, una necessità.
Ci odiamo.
Era molto più facile spiegarlo così.
Questo cuore testardo ci ucciderà.
C’era tra di loro qualcosa di molto più tagliente di una spada e più intenso
della magia, ed entrambi lo sapevano.
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{ La mia prima Magi-FF
ç3ç mi viene da piangere ahahah xD
in realtà ne avevo scritta un’altra, ma l’ho accorpata a questa perché non mi
piaceva granché. Sono sicura che avrei potuto scrivere molto molto di meglio di questa se mi ci fossi messa! Ma non
avevo voglia di rileggerla milioni di volte, trovavo unicamente errori ed
errori. Questa fanfiction ha un valore particolare per me, perché l’ho scritta
per un motivo particolare, che comunque non esporrò qui u_u.
Che dire, spero vi piaccia x3 Ah, la dedico a Federica, che come al solito è sempre lì a betarmi e supportarmi! Grazie cara, dopo tanti anni resti la mia unica beta di fiducia <3
(So che mi odiate perché non aggiorno la fanfiction su Zoro e Robin ma... ecco,
un giorno aggiornerò (?).