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Autore: Lilim Sophie    14/11/2012    0 recensioni
«Mi hai rivolto questa domanda un milione di volte, ma non puoi ricordarlo. Non lo fai mai».
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I


Una pessima giornata, non c’era altro modo per definire quella domenica di aprile, non un raggio di sole aveva illuminato lo studio quella mattina e la pioggia aveva picchiettato con insistenza contro le vetrate per tutto il pomeriggio. Ormai era entrata in simbiosi col suono dei clacson e le sirene delle ambulanze che avevano creato un’interminabile coda sulla quattordicesima. Sulla scrivania la sveglia segnava le diciannove in punto, mentre accanto ad essa giaceva una pila di riviste di moda e una tazza di tè al mirtillo ormai tiepida. Con la guancia appoggiata al dorso sella mano destra, Abbie fissava fuori dalla finestra con sguardo perso e in cerca d’ispirazione, mentre l‘altra mano faceva roteare una matita. Era più di una settimana che lavora a quell’articolo e ancora non era riuscita a capire il motivo del suo blocco. Giulia delle pubbliche relazioni diceva che c’era del potenziale in quei primi abbozzi, ma Abbie sentiva che poteva fare di meglio, ma anche che c’era qualcosa che le impediva di andare avanti, qualcosa capace di risucchiarle via tutta la concentrazione. 

Si morse un labbro, poi, uno spiffero d’aria la fece trasalire destandola e riportandola con i piedi per terra. L’appartamento era insolitamente silenzioso quel pomeriggio, Joe non era ancora rientrato e Sasha dormiva tranquilla nella sua morbida cuccia. 

Si rimise composta e si sgranchì la schiena, doveva esserci stato un grosso tamponamento da qualche parte, sulla quarta. Controllò nuovamente le lancette della sveglia e finalmente decise di rimettersi a lavoro. Doveva finire l’articolo, il suo primo vero lavoro importante. Merito questa promozione, «sì, me la merito!». Ripetè ancora a se stessa.

Tuttavia, per quanto si possa mantenere un pensiero positivo e sperare che le cose vadano per il verso giusto una volta tanto, quelle cose, non seguono mai un percorso facile, ma scelgono sempre di complicarsi e ficcarsi in vicoli bui. 

Al che sorge spontanea la domanda: siamo davvero sicuri di essere noi gli artefici del nostro destino?

 

Erano da poco passate le diciannove e trentacinque quando il telefono prese a squillare con insistenza facendo scattare sull’attenti Sasha. Abbie sussultò e la matita le cadde giù dal tavolo. Fuori intanto, un venticello feroce agitava gli alberi e faceva vibrare i tendaggi degl’immensi condomini. «Calma, sta buona su!», si rivolse alla cucciola di labrador retriever insolitamente irrequieta. Si alzò tuttavia dalla sua postazione, per dirigersi in fine nella stanza accanto per rispondere alla telefonata.  

-Si, sono io Abigail Harper-. 

La voce calda e palesemente dispiaciuta di una giovane centralinista del Roosevelt Hospital, attraversò l’apparecchio telefonico fino a riempire, con un eco leggermente metallico quasi l’intero appartamento. Le mani, quelle che Abbie aveva avvinghiate alla cornetta, iniziarono a tremarle e i battiti del cuore a rallentare. 

-Cosa? No, dev’esserci uno sbaglio, mio fratello non può…-, tentò di dire prima di rendersi conto di quanto la circondava. 

-Mi rincresce-. Quelle parole risuonarono con prepotenza nelle sue orecchie e nel suo cuore. 

Abbie chiuse gli occhi e delle lacrime, calde e amare le rigarono il viso. -Joe…-, sussurrò appoggiandosi contro il muro tremante come una foglia. 

Le lancette dell'orologio sembrarono essersi fermate, come le sembrò che si fosse fermato anche tutto il resto. Respirava a fatica, aveva ancora la cornetta tra le mani, premuta contro il petto e le gambe ormai non la sostenevano più. 

Non riusciva a capacitarsene, e non riusciva credere a quelle parole tanto dolorose. Trattenne un singhiozzo e si fece forza, suo fratello Joe aveva bisogno di lei. 

La telefonata arrivava dal reparto di terapia intensiva, dove Joe, ahimè, riversava in condizioni molto più che gravi. Vittima di un incidente incredibilmente stupido e quasi fatale. 

La ragazza riaprì gli occhi e si guardò intorno, lasciò cadere la cornetta del telefono e lentamente avanzò verso il tavolo della cucina. 

Il casco di Joe era ancora lì, abbandonato su quel maledetto tavolo, dimenticato accanto alla tazza di caffè ancora piena.


 … le cose purtroppo, accadono quando meno te lo aspetti.


Suo fratello Joe era un marines, era stato in Afghanistan, aveva combattuto quella guerra per ben due volte ed era tornato a casa. Tutte le volte. Stavolta congedato una settimana prima, per onore al merito. Voleva quindi fare una sorpresa alla sua ragazza, Rosie che quel giorno tornava da Boston dopo una visita alla madre. 

Le mani esitarono un istante, poi ancora tremanti, sollevarono il casco.


-Vedrai…-, le sorrise. -Sarà una sorpresa. Non si aspetta di trovarmi già qui, non le ho detto nulla-.


Quelle parole, le ultime che gli aveva sentito pronunciare quella mattina, risuonarono nella sua mente.

Dove avrebbe trovato il coraggio di andare da lei e raccontarle la verità? Farle forza e consolarla, senza sapere se Joe avrebbe superato o meno la notte. Aveva il cuore a pezzi. Gettò quello stupido casco contro il divano e si rannicchiò a terra. Chi avrebbe consolato lei? 



Due anni dopo…


-Sarà una cosa momentanea Lewis, i miei genitori hanno bisogno dl me in questo momento. Sì, tranquillo, al catering ci penso io, dirò a Michelle che sei allergico al salmone. Ora però ti devo lasciare, il mio capo mi sta facendo segno di piantarla. Ti amo!-. 

Erano trascorsi due anni da quando suo fratello era morto a seguito di quel fatale incidente, ed anche se il dolore non era mai andato via, lei aveva deciso di farsi forza e andare avanti con la sua vita, perché lui avrebbe voluto così. 

Joe era sempre stato molto più forte di lei e aveva una tale fiducia nell’umanità, che un po’ lo invidiava. Voleva rendere il mondo un posto migliore, ciò nonostante si era ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, perché la sua vita era stata stroncata da un pirata della strada ed ironia della sorte, per quanto amante e osservante del codice della strada, quel giorno era salito in sella alla sua moto talmente in fretta, da dimenticare addirittura il suo casco.  

Avrebbe dovuto essere lui il suo testimone di nozze, e non il cugino di secondo grado del suo fidanzato. Neanche un mese ed Abbie sarebbe diventata la signora Burton. Ma poi il matrimonio fu rimandato e l’abito, riposto nel guardaroba. 

Lo aveva scelto Joe, dall’ultima collezione di Vera Wang. Diceva che sembrava essere stato confezionato per lei, quasi fosse destino che lo provasse tra tutti quelli del mucchio che la commessa stava portando via. 

Joe credeva al destino, il suo primo incontro con Rosie era stato destino, e lo raccontava ogni volta come un evento straordinario. 

Lui, uno studente all’ultimo anno dell’NYU e lei appena trasferitasi a New York. Si erano incontrati per caso, avevano preso lo stesso taxi.  

A distanza di due anni però, quasi non se la sentiva più di sposarsi, ma Lewis, il suo affascinante avvocato di New York che aveva proposto di rimandare tutto, quasi non ce la faceva più ad aspettare.  

-Abbs, vieni nel mio ufficio ti devo parlare-, le rivolse Marcus, il suo capo redattore, facendole segno di seguirlo. 

Lei annuì e afferrando la sua cartellina lo raggiunse. L’ufficio di Marcus era il più grande di quel piano e regalava una vista mozzafiato su tutto il Midtown. Abigail era entrata in quell’ufficio rarissime volte e le faceva sempre lo stesso effetto. No, non erano vertigini, ma tutto quello spazio intorno a lei e le immense vetrate le davano la sensazione che tutto potesse precipitare da un momento all’altro. 

Marcus le fece segno di accomodarsi e lo stesso fece lui. -So che non è un buon momento per te ora-, si girò verso di lei e cominciò a gesticolare. -Con i preparativi delle nozze e l’anniversario della scomparsa di tuo fratello…-. 

Abbie strinse la cartellina contro il petto affondandovi le unghie, sapeva di essersi già giocata una promozione in passato e sapeva anche che dopo quella volta non era più  riuscita a dare il meglio di se, cosa che più di una volta l’aveva portata ad interrogarsi sulle sue reali capacità.  

-E sai quanto ami questa posizione di potere e quanto mi diverta a fare la parte del cattivo. Tranquilla, so cosa pensate di me e cosa vi dite quando non ci sono…-, guardò le postazioni di lavoro al di là delle pareti di vetro, e tutti quelli che fino a quel momento avevano guardato la scena con curiosità e sospetto, si rimisero a lavoro. 

Abigail arrossì tentando di smentire, ma ne venne fuori solamente un timido balbettio.  

Marcus aggrottò la fronte. -Figurati se m’importa. Ciò nonostante, ci tenevo ad avvisarti che ci sono cose che vanno oltre la mia giurisdizione e che… molto presto ci sarà un taglio del personale. Mi hanno chiesto di fare fuori un intero reparto, ma io sono riuscito a chiedere la rivalutazione di alcuni elementi. Quindi mi spiace dirlo così, ma tu, ahimè, non sei fra questi-, ora la stava guardando dritta negli occhi. 

-Cosa?-, esclamò sconvolta la ragazza. -Il prossimo numero uscirà solamente fra due settimane, pensavo che i miei pezzi andassero bene. Voglio dire, posso ancora modificare tutto per allora e mandarli in stampa-. Si fece forza e aggiunse, -Ho bisogno di questo lavoro, Mark, ne ho bisogno per davvero. È sempre stato il mio sogno lavorare per questa rivista e senza questo posto io non sono…-

Marcus fece roteare gli occhi, segno che stava diventando pietosa. Stava implorando di restare. -…niente-, proferì scoraggiata. 

-Mi spiace fragolina, non sai quanto mi dispiace. Per quanto possa valere, credo che tu sia l'unica con del vero potenziale fra tutti questi scimpanzé ammaestrati, ma come ormai avrai capito, stavolta non ho alcuna voce in capitolo-. Abbie si morse un labbro, stava mentendo. Che stronzo! 

-Mark, andiamo, ho bisogno di questo lavoro. Pensavo che… pensavo che magari potresti assegnarmi qualcosa tu, ti prego dammi un’ultima opportunità. Qualsiasi cosa… non ti deluderò!-.

Marcus rimase in silenzio per qualche istante, la squadrò per bene e poi fece una smorfia. -E va bene, vedrò di inserirti nella lista delle valutazioni, ma mi aspetto che tu dia il meglio di te. L’unica cosa che posso assegnarti è la pagina delle curiosità e…-.

-e..?-, Abbie inclinò il capo e tenendosi al bracciolo della poltrona su cui era seduta si fece più avanti.

-E non dovresti entusiasmarti troppo, già tre persone l’hanno rifiutata e il tempo stringe-. 

-Fantastico, allora la prendo!-, fu la sua risposta repentina. 

Sul viso dell’uomo comparve l’ennesima smorfia, poi squadrandola ancora sbottò: -D’accordo, allora passa da Jane, ti darà tutto quello che ti serve. L'articolo è tuo, fammelo trovare sulla scrivania entro lunedì-. Fece un gesto con la mano come per scacciarla via.

-Grazie capo!-, Abbie uscì dall'ufficio con la forza di un uragano sentendosi sollevata e, incurante degli sguardi di tutti puntati addosso, si diresse agli ascensori. Ancora una volta era riuscita a tirarsi fuori dai guai.  

Al piano di sotto, quello delle risorse umane, Jane era già lì ad attenderla. Un’alta stronza naturale. Lavorare per il World Trend non era affatto facile e per nulla il suo sogno, doveva essere solamente la sua rampa di lancio, eppure vi lavorava già da tre anni, ora poi rischiava addirittura il posto. Aveva davvero toccato il fondo. 

Senza perdere tempo in stupidi convenevoli, si diresse con grandi falcate alla scrivania di Jane. -Buon pomeriggio ragazze, Giulia… Jane-, finse un sorriso. 

-Dio, cazzo sei… Biancaneve?-, domandò la donna con sarcasmo e quasi disgustata dalla sua presenza. 

Ecco, come non detto. Smontata dalla donna, Abigail prese il fascicolo e trattenendosi su due piedi cominciò a leggere la direttiva. 

-Sai vero che quell’articolo è stato rifiutato praticamente da tutti?-, commentò Giulia togliendosi un paio di auricolari e riponendoli sulla scrivania. 

Abbie sospirò e andò ad appoggiarsi al bancone sconsolata. -E non li biasimo-, agitò il plico davanti ai suoi occhi stringendosi nelle spalle. -Però, è la mia ultima possibilità-. 

-Già, l’ho appena saputo da Taylor, qua giù le notizie viaggiano veloci. Ma sta tranquilla, sono sicura che te la caverai-. 

Abbie annuì rincuorata, poi, sollecitata dall’ennesima occhiataccia di Jane, salutò l’amica e tornò alla sua postazione. 

Un ora, era un ora che ci girava intorno ed Abbie ancora non aveva idea di come argomentare il suo preziosissimo articolo. Guardò lo schermo del suo computer ed in preda ad una crisi si appoggiò con testa e braccia alla scrivania. Chiuse gli occhi per un istante, cercando di raccogliere tutte le idee possibili, finché improvvisamente non udì uno scoppio di bolla. Immediatamente alzò il capo e diede un occhiata al suo portatile. 

Aveva ricevuto un e-mail, ma non c’era il mittente. Si guardò intorno con circospezione e in fine l’aprì.

-Che strano…-, cominciò a leggere il contenuto della lettera la quale aveva tutta l’aria di essere solamente un messaggio di spam. Uno di quelli che parlano d’amore, del destino e delle speranze delle persone. Tutte cose in cui lei non credeva più da un pezzo ormai. 

L’amore ad esempio, l’amore fa male e non è mai come te lo immagini. 

Lei aveva fatto penare Lewis per mesi prima di accettare il suo invito a cena, e questo perché nell’amore a prima vista, lei, non ci aveva creduto mai. Sin da bambina Abigail aveva imparato a riconoscere la durezza della vita, ad affrontare le difficoltà e a credere solamente nel potere della volontà. Il futuro, si diceva, è quello che ti crei, fai una scelta sbagliata e ne paghi le conseguenze

Alla fine dell’e-mail, Abigail si ritrovò davanti una serie di link, il primo dei quali conduceva ad un blog. Nulla di eccezionale, se non fosse stato per un piccolo dettaglio, quel piccolo dettaglio che la convinse a saperne di più.   

-Iris?-. Era così che la chiamava suo fratello, ed era così che si chiamava quel blog. Di conseguenza le si aprì davanti un intero mondo, una pagina completamente blu e doveva ammetterlo, la grafica di quel sito non era affatto male. 

C’era una frase, lì, a fare da introduzione, qualcosa che le riportò alla mente momenti del suo passato: 


-Ci sono orizzonti sui quali pensiamo di aver già posato gli occhi, mattoni che ci sembrano familiari, strade e sentieri che si inerpicano su alture forse già battute…-.


Il sito parlava di deja vu, nonché la sensazione di aver già visto un'immagine, o di aver già vissuto precedentemente un avvenimento o una situazione che si sta verificando. Quella sensazione che ti fa riconoscere persone estranee e sentire familiare un luogo mai visto prima.  

Abbie inarcò un sopracciglio e armandosi subito di carta e penna, iniziò a prendere appunti. Un idea folle le balenò in testa, magari avrebbe potuto prendere spunto per per il suo articolo, in fondo era proprio quello che Marcus le chiedeva, qualcosa che non avesse nulla a che fare con i soliti argomenti della rivista. 

-Sì, questo è perfetto-, annuì annotando qualche frase. -le persone adorano questo genere di storie e se saprò giocarmela nel modo giusto, anche Marcus l’adorerà-. In fondo al post c’era poi una nota con l’indirizzo dell’autore di quel blog, conosceva quella città, distava poche miglia da Charleston, nel Sud della Carolina e guarda caso era proprio lì che si sarebbe diretta quel fine settimana. Una capatina lì per intervistare l’autore e raccogliere testimonianze era un sacrificio più che ragionevole. Senza accorgersene la giornata in ufficio volò, e presa dai suoi mille pensieri, Abigail dimenticò persino di dover ancora preparare la sua valigia. 

Raccolse quindi il soprabito, l'ombrello rosso e salutando Taylor, l’assistente di Marcus. Scese al pian terreno, fuori pioveva a dirotto, ma ciò non la turbava affatto perché presto avrebbe raggiunto Charleston, avrebbe riabbracciato la sua famiglia e tutte le sue preoccupazioni sarebbero sparite. Almeno così sperava. 

Si fermò sul ciglio del marciapiede appena fuori l’edificio e si sporse quanto basta per rendersi visibile. Agitò una mano in aria e gridò: -Taxi!-. Subito dopo un tipico taxi newyorkese, giallo e malconcio, le si fermò davanti. -quattordicesima e-, proferì all'autista, prima di sprofondare nei suoi pensieri più profondi.


   
 
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