Disclaimer: Mh.
.: Let Me Die In Solitude :.
Raffaele diceva di venire dall’Italia, ma lo
sapevano tutti che non era vero.
Anche perché che uno venisse dall’Italia o dall’Islanda
o dalla Patagonia, a nessuno fregava più: era già tanto riuscire a capire dove
fossero i bunker delle Riserve, figuriamoci tenere il naso incollato alle
cartine per trovare rancidi riferimenti geografici.
Ma Raffaele diceva a tutti divenire dall’Italia e
tutti gli dicevano che era solo un disperato bisognoso di radici cui fare
riferimento. Raffaele era il bastardo di qualche comunità che viveva alla
spicciola e alla giornata, si muoveva un po’ di qua e un po’ di là,
mangiucchiava qualche radice gommosa e poi tornava a rinchiudersi in
bugigattoli sgangherati senza finestre e con acqua fangosa. Era normale che gli
servisse un punto di riferimento da chiamare se non casa, quanto meno posto
semi-plausibile da cui forse veniva qualche antenato con la colite cronica.
Non una bella vita, eh. Anche chi se ne stava peggio
era messo meglio degli Erranti della Polvere, che arrancavano tra i rimasugli
posticci delle città alla ricerca di cure e altre robe misteriche al limite del
fanatismo: si trascinavano tra i grumi di asfalto, cantilenando e strofinandosi
le mani nodose, gli occhi striminziti che si arrampicavano su resti scheletrici di
cabine telefoniche e bagni pubblici.
Raffaele il Finto Italiano era Polvere solo per
metà, così diceva, e quindi non gli piacevano più di tanto i ripari di fortuna
sotto le travi marcescenti di vecchi palazzi. Amava spostarsi, però. Quello era
qualcosa che non potevi toglierti dal sangue, diceva sempre, perché è qualcosa
che ti rimane appiccicato addosso, proprio come la polvere e lo sporco.
Così Raffaele se ne partiva di tanto in tanto, senza
Erranti, senza nessuno. Era una figuretta nerastra e rachitica contro l’orizzonte
lercio di fumi, un animaletto spelacchiato che saltellava sull’orlo di qualche
voragine o si attorcigliava tutto per passare sotto qualche cartello stradale arrugginito.
Arkadiy lo aveva visto una volta che cianciava coi
bambinetti della Famiglia dei Samovar, raccontando loro del vecchiume tanto stantio che avrebbe potuto
benissimo puzzare di polvere.
Zombie li
chiamavano una volta
gesticolava e masticava robaccia indefinita dentro la bocca gonfiata dagli
ascessi Morti viventi che venivano a
mangiare il cervello delle persone e cominciavano sempre dalle bionde con le
tette grosse.
Arkadiy lo aveva preso per una spalla e l’aveva
cacciato con la faccia nel fango, a mangiarsi qualche lombrico bianchiccio –Sempre
se ce n’erano ancora lombrichi, sotto la terra.
Ecco perché non ci si doveva fidare degli Erranti
della Polvere, mentivano sempre e sparavano una marea di vaccate.
Morti viventi. Che assurdità. Non erano zombie
quelli che claudicavano nel buio e nel lercio, non mangiavano cervelli e
neppure avevano qualche strano feticismo per le bionde sproporzionate.
Non puzzavano neanche, dicevano in giro.
Solo rantolavano, barcollavano, mordevano e
banchettavano con il povero sfortunato di turno che aveva avuto l’insana idea
di mettersi sulla loro strada. Non facevano nemmeno più così paura come ai
primi tempi della Pestilenza, quando apparivano nel buio della notte con i
denti lucidi di saliva, rantolando, gemendo, schioccando le lingue molli contro
il palato putrido.
Ora a far tremare le caviglie erano i Ladri di
Conserve, che si portavano via il cibo dai bunker e poi bruciavano tutto quando
andavano via, anche i bambini.
Bisognava stare lontani dagli Occhi Neri, ma di
certo era da un bel po’ di tempo che la sopravvivenza era legata alle riserve
sempre più magre che a qualcuno infettato dal morbo.
Gli Occhi Neri erano usciti fuori per una stramba
forma di tetano, anni e anni prima che Arkadiy schiacciasse la faccia di
Raffaele nel fango: c’erano state alcune guerre, due o tre bombe, un pizzico di
radiazioni ed una bambina si era spellata il ginocchio cadendo su del filo metallico.
Il giorno dopo aveva gli occhi neri e cisposi. Il giorno dopo ancora si era
mangiata mamma e papà, mentre il fratellino, morso alla gola, aveva contratto
quella stramberia e l’aveva passata al migliore amico e al padre del migliore
amico e così via, così via fino a quando la gente non aveva capito che farsi
mordere non era consigliabile.
Agli Occhi Neri ci si faceva all’abitudine, ma senza
cibo non si campava a lungo.
Raffaele il Finto Italiano diceva che avrebbe
trovato una cura, che avrebbe percorso il mondo solo per far vedere che si
poteva fuggire al flagello degli Occhi Neri. Al che Arkadiy gli ricordava che
la malattia non colpiva la roba da mangiare ed era quella la cosa più importante da trovare.
-Non ti fa paura l’idea di diventare un Occhio Nero,
‘Kadiy?- gli chiedeva Raffaele, grattandosi via le crosticine dietro la nuca e
poi guardando schifato il rimasuglio sotto le unghie mangiucchiate.
-Nyet. Avrei
qualcosa da mettere sotto i denti-
Alla fine si erano messi a viaggiare insieme, anche
se Arkadiy mica sapeva come. Raffaele una sera gli aveva chiesto se aveva una
sigaretta, di quelle buone che impastano la bocca di tabacco bollente, e lui
gliene aveva data una. All’alba l’Italiano lo aveva scosso per la spalla,
dicendo che partiva.
E ‘Kadiy gli era andato dietro per ricordargli
quanto fosse stupido e quanto fosse inutile la ricerca di una fantomatica cura
che era solo un’invenzione degli Erranti, che dovevano trovare del cibo, che
altrimenti avrebbero pregato pur diventare degli Occhi Neri e avere degli
essere umani con cui riempire la pancia cava.
Anche se, ad Arkadiy dava fastidio ammetterlo,
Raffaele stupido stupido non era poi così tanto. Era strano, quello sì, e camminava
sempre, non si fermava se non per dormicchiare tra l’erbaccia contorta,
stringendosi una pistola graffiata al petto magro. Una volta, Arkadiy gli aveva
chiesto che ci facesse con una pistola in mano, che bastava correre veloci che
gli Occhi Neri manco ne avevano l’idea di venirti ad inseguire, a meno che non
fossero tanto, ma tanto affamati.
Raffaele l’aveva guardato appena, facendo traballare
l’estremità ciancicante della sigaretta.
-E’ un regalo dei miei genitori- aveva risposto, dopo
un po’.
-Sono degli Erranti della Polvere?-
-No. Ho sparato- un attimo di silenzio -Ora sono
polvere e basta-
Perché avesse sparato, Arkadiy non voleva saperlo.
Ma finì col scoprirlo comunque. Lo scoprì senza bisogno che l’Italiano dicesse
una parola, nel silenzio di quella esperienza diretta con cui ‘Kadiy non
avrebbe mai voluto fare davvero i conti.
Avrebbe preferito continuare come andava da qualche
mese a quella parte, seguendo Raffaele per vie che non aveva mai visto,
ascoltare suoni che non aveva mai udito, credere ad una che l’Italiano diceva e
le altre due no, pisciare sopra i resti fumanti del loro piccolo bivacco
unicamente per sentire lo sfrigolio scoppiettante della cenere.
Finì addirittura per vedere il suo primo Occhio Nero
e la cricca sbavante che si portava al seguito, tutta cigolante e sbrindellata.
Uno spettacolo osceno, che sapeva di putridume lercio e sangue secco: Raffaele
ci aveva messo un po’ per fare fuori tutti, mentre teneva Kadiy’ al sicuro
dietro di sé.
Un gran bel gesto, considerò Arkadiy, visto che se
ne rimane sempre solo e dice di non aver mai avuto compagnia per troppo tempo. Sembra
che non abbia fatto altro che proteggere gente da tutta una vita.
Ora, l’Italiano diceva tante cose, come che aveva
avuto dei bellissimi riccioli biondi, lo sguardo azzurro e vestiti sempre
puliti, quando invece aveva una ispida zazzera grigiastra, occhietti pallidi e
una roba di juta pescata chissà dove che gli cadeva floscia dalle spalle.
Erranti della Polvere, valli a capire.
-Ehi- ‘Kadiy lo chiamò, piano, puntellandosi sui
gomiti per poggiare la schiena contro una lastra di cemento semi sbriciolato -In
quanto fa effetto?-
Pensare che il sole, quella mattina, era sorto meno
sbilenco del solito e l’aria non puzzava così tanto di roba marcia. Forse aveva
pure sentito il cinguettio di un uccello da qualche parte fra la sterpaglia
annerita, ma l’Italiano aveva ribattuto immediatamente che era solo il cigolio
metallico dell’acqua che stagnava fra qualche pietra rovesciata. Peccato.
Sarebbe anche potuta essere una bella mattina, quella.
Raffaele, sempre con la sigaretta appallottolata tra
i denti, mise due o tre pallottole nel tamburo: lo faceva senza guardare
Arkadiy negli occhi, completamente assorbito dal lavoro e dal grattare metallico
dei proiettili che prendevano posto come tanti soldatini disciplinati.
-Dai cinque ai dieci secondi, di solito. Con loro è andata così-
Arkadiy grugnì.
Ah, il braccio gli faceva un male cane, diavolo. Era
stato il più scemo tra gli idioti: quando l’Occhio Nero gli si era avventato
contro invece di usare una sottospecie di lamiera contorta trovata per strada,
si era fatto scudo con l’avambraccio. Meno male che Raffaele era arrivato a
sparare alla nuca dell’affare bavoso prima che questi lo sbranasse da cima a
fondo con tale perizia da non lasciarsi dietro neanche qualche ossicino
spolpato.
-Di’, Raffaele, ma non ti sentirai solo?-
-No-
Erranti della Polvere, pensò.
Mentivano sempre.
Note
Finali
In verità non ha senso. Dettagli.