Fanfic su artisti musicali > Nightwish
Segui la storia  |       
Autore: Infected Heart    16/11/2012    5 recensioni
Dopo il concerto al Mediolanum Forum di Milano (25-04-2012), mi è venuta l'ispirazione per questa fanfiction. Il protagonista maschile è Tuomas, e premetto che non intendo in nessun modo pretendere di sapere o interpretare per certo ciò che lui ha provato o prova. Le sue canzoni mi ispirano e fanno da sottofondo, a questa FF, e alla mia vita. Tutto qui. Inoltre, essendo io una pianista e una pseudo-cantautrice, ho preso anche un pò spunto dalla mia vita reale. Per inventare questa FF ho messo un pò dei miei sogni e della mia fantasia. Grazie di cuore a chi la leggerà.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
TUOMAS POV
Sull’aereo verso l’Egitto. Strinsi la manina di Walt, mentre stavamo decollando. Aveva sempre un po’ paura, in queste circostanze. Proprio come me, da bambino. Poi, per quanto mi riguarda, volare era diventato quasi un momento atteso, che liberava la mia immaginazione. Speravo che si evolvesse in questo anche per lui. Ma c’era un’altra cosa che ora catturava totalmente la mia attenzione: il pensiero che tra poche ore avrei visto Giulia. Appena assimilati i contenuti della sua lettera, non mi ero perso in indugi. Di dubbi neanche l’ombra. Lei mi aveva preso a piene mani, e io avevo intenzione di fare altrettanto. Mi sarei dissetato alla fonte della felicità, vivo, senza avere più paura. Ero in possesso, ora, di un coraggio che nessuno mi avrebbe più potuto rubare. Avevo avvisato Lea che io e la mia piccola peste saremmo arrivati entro pomeriggio ad Al Ghardaqah, dove si trovava il suo sito archeologico. Ovviamente le avevo intimato di non dire una parola a Giulia: volevo farle una sorpresa. Dopo il volo e un paio di ore di macchina, mi trovai a destinazione. L’auto  lasciò noi avventurieri davanti all’hotel dove la mia donna alloggiava. Ovviamente tutte informazioni amabilmente condivise in combutta con la sua migliore amica, prode complice per il mio agguato. Pagai, e io e Walt entrammo nell’hotel. Ci facemmo annunciare nella stanza, dove Lea mi aveva detto sarebbe stata Giulia per buona parte del pomeriggio, visto che lei doveva lavorare. L’archeologa in erba mi aveva anche specificato che verso sera avrebbe portato il mio angelo a fare una sorta di visita guidata negli scavi accessibili. In sostanza, oggi me la sarei goduta poco, ma non importava: avremmo avuto tutto il tempo del mondo di fronte a noi. L’atroce sensazione di poterla  perdere in qualunque momento, era come svanita; polverizzata dalle mani dell’amore, che rende tutto inferiore a sé. Non ebbi neppure il tempo di pensare a cosa dirle, che me la ritrovai tra le braccia, addirittura ancora in camicia da notte e capelli tutti arruffati. Ecco, sembrava proprio uno dei miei gatti: tenera e coccolosa. Ma più bella, con il cielo negli occhi, screziati grazie ai riflessi dei miei. – Vedo che ti sei presa una vacanza, piccola pianista fuggitiva.- Giulia ignorò le mie parole, e mi strinse più forte. – Sei qui davvero. – le sue guance incollate al mio petto. – Ho avuto quasi quarant’anni per pensare. Mi sa che è l’ora di smetterla con questi dubbi e falsi moralismi verso me stesso. Carpe Diem, giusto? E non voglio che questo giorno così colto con prontezza finisca.- Poco dopo, all’abbraccio si unì anche Walt, entusiasta quanto e quasi più di me nel rivedere quella che lui considerava una madre. –Deduco che il tuo sia un sì.- Disse Giulia, semplicemente. Alzò lo sguardo, e rivolse il suo sorriso al mio volto, mentre quelle sapienti mani accarezzavano il volto di nostro figlio. Lei. Mia. Nostra. – Che bella coppia, da quanto siete sposati? Siete in viaggio di nozze?- Presente alla nostra intima scenetta, il simpatico receptionist sulla sessantina, che si intromise, con voce squillante. – No, non siamo sposati. Ma chissà, in futuro…-
GIULIA’S POV
Non ci potevo credere. I nostri cuori e le nostre menti andavano a tempo sincronizzato, per una volta. I rispettivi stati d’animo, le condizioni spirituali e di necessità si erano incrociati al momento e al punto giusto delle nostre esistenze, finalmente. Quanto è raro che questo accada, tra due persone. Pensavo che tra me e il mio compositore non sarebbe mai successo. Invece eccoci qua, in una stanza d’albergo, a guardare Walt che faceva il suo pisolino pomeridiano. A sceglierci un’altra volta. La definitiva. E di questo eravamo sicuri entrambi. – Aspetta che io veda Lea, gliela farò pagare per questo vostro complotto alle mie spalle!- dissi scherzosamente a Tuomas, sottovoce. Non volevo svegliare il nostro piccolino, stremato dalle, seppur poche, ore di volo. – Dai, che ti ha fatto piacere.- mi smascherò lui, con un sorriso giocoso e sereno. –Sì, ma poteva dirmelo, almeno mi sarei preparata a morire di crepacuore nel vederti!- -Sono così brutto?-  ci guardammo negli occhi e scoppiammo in una risata sommessa e soffocata. Alzai gli occhi al cielo. Beata quella creatura che aveva il sonno così profondo. E invece noi, da bravi genitori, ci premuravamo di non svegliarlo, quando una bomba non sarebbe bastata. Sorrisi, tra me e me. – No, diciamo che sei passabile. Lui è più bello.- presi in giro il mio adorabile tastierista, e indicai nostro figlio. Feci spallucce a mò di scusa. – Su questo non c’è dubbio.- rispose lui, sconfitto, e mi lasciò un dolce bacio sulla fronte. Mi appoggiai al suo petto con la schiena, e il mio sguardo cadde sull’orologio d’argento appeso alla parete di fronte a me. –Cavolo, devo andare. Lea mi ha detto di trovarmi agli scavi verso le 5 e trenta. Sai, mi vuole fare vedere alcuni ritrovamenti nelle stanze appena esplorate da lei in persona. Era molto entusiasta! Mi dispiace che tu non possa venire, ma sarò di ritorno per cena.- Lui accennò un sorriso, comprensivo. –Tanto sarei rimasto qui con Walt comunque. Ai bambini non fa bene stare troppo tempo sotto il sole.- - Hai ragione, amore. Allora fate i bravi mentre non ci sono, ok?- dissi, e gli feci l’occhiolino. Dopo di che mi preparai in gran fretta, e mi precipitai sul sito archeologico. Mi aggirai tra scavatori, martelli, scalpelli, e misteriose entrate che portavano a chissà quale affascinante scoperta. Chiesi ai lavoratori dove fosse la mia amica. Mi aveva detto che mi avrebbe aspettata all’entrata sud, ma di lei non c’era ancora traccia. Ad un certo punto vidi un gruppetto di persone in un angolo, chine e concentrate su una specie di stele ornata con idiomi sconosciuti. – Scusate il disturbo, per caso sapete dove posso trovare l’archeologa Soleri? Sono una sua amica, Giulia  Corvi. Mi aveva detto che finito il lavoro mi avrebbe aspettata qui…- domandai ancora a questi ultimi, con gentilezza, mentre mostravo loro i documenti e il pass che Lea mi aveva dato la mattina presto, quando ci eravamo viste. Appena gli esperti socchiusero le labbra per parlare, ecco che, non molto lontano, scorgemmo un uomo avvicinarsi, mentre si sbracciava e urlava – Signorina, signorina!-  Mi guardai attorno, e mi accorsi, con mio grande imbarazzo, di essere l’unica donna presente. Grazie a questo brillante sillogismo, dedussi che si dovesse per forza riferire a me. -Ehm, sì, mi dica…- rivolsi la parola a quell’omino giovane, dai lineamenti orientali e capelli scompigliati. Un insieme molto buffo, considerai. –Lei è l’amica della signorina Soleri, vero? Mi ha detto di condurla da lei all’interno dello scavo. Ha fatto un po’ tardi con il lavoro nelle camere che danno sulla parte puntellata e sicura del corridoio. Ma ora dovrebbe avere finito. Ah, dimenticavo, io sono uno degli assistenti. Studente del primo anno all’università del Cairo. Abdelrahman Subah Ud Din. Piacere.- Io non potei che confermare, ed essere anche un po’ divertita da tutta quella formalità. Ma lo capivo, in fondo. Doveva dare prova ai suoi superiori e a se stesso di professionalità e serietà sul campo. – Sì, sono io, grazie mille dell’accoglienza. Beh, il mio nome già lo sa. Piacere mio.-  Ultimati i convenevoli, ci addentrammo in uno stretto cunicolo che si snodava nelle viscere della tomba che stavano studiando i vari archeologi. Dovevano essere circa 50 metri di profondità, mi aveva detto Lea. Alla luce delle torce elettriche il tutto appariva ancora più suggestivo, man mano che scendevamo. Io sbirciavo nelle stanze ai lati, curiosa, in cerca di qualche particolare interessante. Sì, forse avevo letto troppi libri sull’argomento, e visto troppe volte “La Mummia” o “Tomb Raider”, ed ero più suscettibile al fascino di quei posti. Lo ero sempre stata, fin da piccola. Ma la mia vera guida turistica l’avrei incontrata tra poco. Infatti da una delle stanze più inoltrate ecco trapelare un lieve bagliore, sicuramente della torcia della mia abile neoarcheologa. Il mio gentile accompagnatore accellerò il passo, ed entrò nel minuscolo anfratto da dove proveniva la luce. Io per il momento rimasi nel corridoio, ad aspettare che mi dessero qualche direttiva. Insomma, si trattava di cose delicate, e non avrei mai voluto combinare qualche disastro dei miei. Una ricerca archeologica andava trattata coi guanti, e qualunque reperto non doveva essere danneggiato. All’improvviso sentii un urlo spaventato trasformarsi in irritato provenire dall’interno. – Ud Din! Per tutti gli dèi dell’Olimpo!!! Mi hai fatto prendere un colpo! Ma poi che ci fai, qui?? E’ pericolante, non puntellato!!! – La voce di Lea esclamò, chiara e forte tra quelle antiche mura. –I…io…ho fatto quello che hai detto tu...ho portato fin qui la tua amica. S…scusa.- Incredibile notare come siano scomparse le note seriose nel parlato del tirocinante. –La parole “Zona di sicurezza” non ti dicono nulla?? Porca miseria.- Sbottò infine la mia amica, e poi sbuffò. Dalla parte del ragazzo rimproverato, il silenzio. – Vieni, Giulia. Scusa, avrei dovuto essere nella zona sicura, e invece mi sono lasciata attrarre da meraviglie ancora inesplorate . Qualcuno-  enfatizzò poi quest’ultima parola –avrebbe dovuto avere l’intelligenza di aspettare nel reparto accessibile.- Disse, facendo capolino dall’entrata laterale. – Ma già che ci siamo entra pure. Però fai piano: è molto piccolo, e il minimo movimento sbagliato può costare molto, anche in termini economici. – mi consigliò, moderando, questa volta, il tono di voce. Mentre Lea mi mostrava le scoperte e stemperava la tensione causata dalla negligenza altrui; toccò al suddetto assistente attendere nel cunicolo, a fianco della stanzetta in cui eravamo noi ragazze. –Perché vedi, questo segno, secondo i linguisti, dovrebbe significare…- La sua frase fu interrotta da un boato lontano. Poi ci fu un silenzio agghiacciante. E tutto iniziò a tremare. La polvere del soffitto che si sgretolava si infittiva sempre di più, e ormai sentivamo la terra spaccarsi, atomo dopo atomo. Il rumore delle crepe che si smantellavano, si avvicinava ad ogni secondo. Guardai la mia amica di una vita, paralizzata. E i suoi occhi sbarrati che fissavano l’orologio da polso, mi dissero tutto. – Cazzo, l’apertura dello scavo adiacente era alle sei. Dinamite ed esplosione compresa. Correte!- Ordinò, con voce decisa, ma traballante. Come tutto attorno a noi. Sentii solo più Lea prendermi per mano, e trascinarmi via. Da quel momento non capii più nulla. Cercavamo di farci strada tra le macerie, con gli occhi impastati di lacrime e terra. Con foga scavalcammo uno dei massi che ostruiva il passaggio. Eppure il tempo sembrava scorrere troppo veloce. O troppo lento. Come in un incubo, da cui temevo non mi sarei svegliata. Non ce la facevo più ad andare avanti: il respiro affannato, i polmoni pieni di pulviscolo e gusto ferroso; la mente intontita, annebbiata. Lea mi rivolse uno sguardo spaventato, fra gli ostacoli che rendevano questa corsa così a rilento, e cercò di dirmi qualcosa. Ma io non la capivo. Mi sforzavo, ma non la sentivo, era impossibile per me. Poi si portò la mano libera alla testa, e io la imitai. La mia si riempì di sangue. Probabilmente era crollata una parte di soffitto e mentre procedevamo a tentoni, mi aveva colpita. Barcollai, e caddi. La velocità, seppur non molto elevata, mi fece strisciare violentemente contro una parete, e non vidi più nulla. Ma le mie gambe continuavano imperterrite, un passo dopo l’altro, nel cammino per la vita. Per la vita che volevo, e che non volevo finisse così presto. Per Tuomas, per Walt. Per la mia famiglia. Non riuscivo nemmeno a respirare, ma la forza veniva per inerzia. Quanti passi avevo fatto? Quanti metri? Non lo sapevo. Non me ne rendevo conto. Le gambe non esistevano più. Caldo improvviso al collo. E caldo alla testa. Una stretta forte alla mano. Lea. La mia Lea. L’unica persona costantemente presente lungo ogni tappa della mia esistenza terrena. Tra alti e bassi, litigi e affetto. Ma lei doveva sopravvivere. Doveva farcela, raggiungere la superficie. Dentro, ebbi la sensazione di piangere. La citta, come dicevano gli indiani; il senso interno, la mente era l’unico organo di percezione che mi era rimasto. Il corpo non rispondeva ai miei comandi, e un altro fiume di lacrime inondò la mia coscienza. Insieme ad una musica, che scorreva,  scorreva, e scorreva…come le note che senza sosta si alternavano sul pianoforte, animato dall’aria invisibile attorno ad esso. E di nuovo mi apparve quel viso, quello che mi aveva fatto decidere per l’amore. Quell’unione dei due volti a me più cari. Tuomas e Walt, in un tutt’uno, sorridenti, un muto saluto. E di nuovo quello strumento, l’unico confidente delle mie pene più oscure. Mi avvicinai a lui, piano, e sapevo esattamente cosa fare. Premetti il tasto del si naturale. Quell’ultima nota grave sulla tastiera. Quella che suonavo sempre per concludere le mie sessioni musicali, con vendicativo gaudio verso le disfatte della mia anima. La suonai, consapevole del SI definitivo che stavo dicendo alla mia essenza. Per sempre in pace. Giurai di vegliare su di Loro per l’eternità, che sarei rimasta unita inscindibilmente al loro spirito, e mi lasciai andare all’oblio che tutto muove e tutto puote.
NOTE AUTRICE: Sto piangendo sul serio, e non solo perché il prossimo capitolo sarà l’ultimo di questa storia. Sono davvero a corto di commenti, ma penso che il capitolo si commenti da solo. Mi scuso, inoltre, di averci messo così tanto a pubblicare, ma questi ultimi capitoli sono stati molto travagliati, e poi mi dispiaceva tantissimo mettere la parola “fine” a questa fan fiction. Un grazie speciale alla mia Lee che ha contribuito a spiegarmi i dettagli archeologici, da studiosa ed esperta del settore (ho scritto il chap con la tua cartina sottomano, e con in mente quella tridimensionale scritta sul mobile del nostro monolocale XD), e un grande grazie a tutti voi che avete seguito Giulia e Tuomas fin qui. Vi aspetto nella lettura del prossimo capitolo, che, come ho anticipato, sarà quello che chiuderà questa avventura. Ovviamente tutte le critiche sono ben accette. Kiitos a tutti, un abbraccio. 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Nightwish / Vai alla pagina dell'autore: Infected Heart