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Autore: AnnabelleTheGhost    18/11/2012    3 recensioni
Shawn è un ragazzo diciottenne impulsivo e violento.
Quando la sua fidanzata viene brutalmente assassinata, la sua vita viene sconvolta e decide di fare giustizia da solo.
Ma lei non sarà l'unica a morire.
Il killer colpirà di nuovo...
Genere: Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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1. Curiosità
 

Il retro della palestra era buio ed erano soli.
La campanella della fine delle lezioni era suonata cinque minuti prima e gli studenti si apprestavano ad abbandonare l’edificio.
Presto solo i bidelli e pochi professori sarebbero rimasti a girovagare tra le aule ma nessuno si sarebbe azzardato ad entrare in quel magazzino abbandonato.
«Shawn» sussurrò Katia.
Vecchi attrezzi ginnici riempivano il pavimento impolverato: una cavallina strappata, cerchi integri e non, coni impilati l’uno sull’altro, racchette di badmington forate, lunghi bastoni accavallati sugli angoli delle pareti e palloni da basket e calcio sgonfi.
In risposta, la mano di Shawn le accarezzò i capelli, ciocca dopo ciocca e scese sulla schiena, passando per il collo scoperto e toccando quasi con affetto le pieghe del cardigan.
Katia avvicinò le labbra. I nasi si schiacciarono l’uno contro l’altro mentre i loro visi erano sempre più vicini. Le dita di lei toccarono il colletto della camicia, stuzzicando l’estremità dei suoi capelli.
L’abbraccio si fece più forte e le dita di Shawn scesero sotto i suoi vestiti. La schiena di Katia venne percorsa da un brivido quando la sua pelle bollente venne sfiorata dalle dita ghiacciate.
Sospirò di piacere e si fece togliere il cardigan da lui con movimenti attenti e sensuali. Lei mosse la mano sui bottoni della camicia. Sollevò gli occhi, come per chiedergli il consenso, e una scintilla scattò tra quei pozzi cerulei e nocciola.
Presto si ritrovarono entrambi senza indumenti  su un materassino consumato dall’umidità.
Il campanile della chiesa lì vicino rintoccò tre volte. Il suono si propagò per le vie e attraversò le pareti della scuola fino ad arrivare allo stanzino.
Katia si stava riabbottonando il cardigan mentre lui armeggiava con la cerniera dei jeans, a petto nudo.
Lo sguardo di lei si fermò sui pettorali scolpiti dal quale non aveva potuto staccare gli occhi per tutto quel tempo: per lei Shawn era la perfezione fatta persona e quello le era parso un sogno senza precedenti.
Katia ritornò al suo abbigliamento. Si inginocchiò e si allacciò le scarpe.
Lui prese la camicia da terra e la pulì con cenni sbrigativi, senza curarsi di quanta polvere stesse realmente rimuovendo e alle pieghe che accentuava nella camicia stropicciata.
Katia tossì e si rimise in piedi. «Odio la polvere».
Shawn si infilò le maniche e girò la testa verso di lei, con aria indifferente. «Sei stata tu a scegliere questo posto».
«A casa mia stanno festeggiando il compleanno di mia nonna. Lo sai» rispose sbuffando e dandosi una sistemata veloce ai capelli.
Shawn si avvicinò di un po’. «E perché non sei andata?»
Katia, di spalle, si girò e gli rise in faccia. «Andiamo! Non vedo l’ora che quella rimbambita tiri le cuoia e si levi dalle palle. Figurati se festeggio il suo ulteriore anno di vita!»
«Non dovresti dire queste cose» mormorò.
Lei alzò un sopracciglio. «Ma cosa dici? Mia nonna, al suo stato attuale, serve solo come soprammobile».
«Quando morirà, ti dispiacerai per quello che stai dicendo adesso».
Katia sbuffò e si diede un’ultima sistemata alla gonna perché non si vedesse niente. «Senti, non mi piace parlare della mia famiglia e, da quanto ho capito in questi due mesi con te, neanche a te. Quindi finiamola qui». Cercò i suoi occhi e gli domandò: «Ora devo andare a casa. Mi accompagni?»
Shawn parve pensarci su.
«Ti prego. Una mia vicina di casa stava per essere violentata, ieri, mentre tornava da scuola. Non voglio che mi accada niente!» lo supplicò.
Shawn sospirò e le prese la mano. «Va bene, andiamo!»
Katia sorrise, allegra più che mai, e sincronizzò i propri passi con quelli di lui per uscire simultaneamente dallo stanzino. Si poteva accedere ad esso solo attraverso il cortile ma l’esterno si ritrovava in un tale stato di degrado, che nessuno aveva voglia di entrarci. Anzi, per dir la verità, ben pochi erano a conoscenza di quel ripostiglio e chiunque lo conoscesse non aveva idea di come entrarci.
Katia, per errore con un’amica, aveva trovato un’asse che cedeva e che ne permetteva l’accesso. Appena l’aveva scoperto, aveva rinominato il posto il suo luogo segreto. L’aveva subito detto a Shawn e ne aveva approfittato per perdere la verginità con il suo ragazzo.
Lei sollevò il capo e, appena lui incrociò lo sguardo, arrossì e abbassò la testa.
«Che ti succede?» chiese lui. Katia non era mai stata timida con lui e non si era mai fatta scrupoli come altre ragazze di mostrare le sue nudità.
Lei scosse la testa e riprese a camminare. Il battito cardiaco aumentò di rapidità, così come il suo passo. Shawn non si dovette sforzare per adeguarsi.
«Sei un’idiota, lo sai?»
«Cosa?!» Lei avvampò immediatamente e lo guardò scioccata.
«Hai paura di dirmi quello che pensi? Non mordo mica...» si lamentò.
«Non è questo». Abbassò la testa e sospirò. «Io... io mi chiedevo...»
Shawn alzò la testa al cielo e sbuffò, mettendo l’altra mano nella tasca dei pantaloni. «Su, spara».
«Tu mi ami?»
Lui abbassò la testa e alzò un sopracciglio nella sua direzione. «Sei seria?»
«Sì». I suoi occhi erano fermi mentre lo guardava, fisso, in attesa di una risposta. Ma le labbra erano attraversate da un leggero tremore.
Shawn scosse la testa. Katia ebbe un tuffo al cuore, prima che lui potesse parlare. «Che domanda! Ovvio, se stiamo insieme da due mesi!»
«Dici a tutte così?» borbottò, mentre il cuore riprese a battere ancora più forte di prima.
«Non è questa la cosa importante, no? Io ti amo, altrimenti perché credi che l’abbiamo fatto?»
Lei scosse le spalle. «Non lo so. Perché ho delle belle tette?»
«Sei un’idiota» replicò lui. Si fermò e la strattonò al braccio perché non proseguisse a camminare. Lei stava quasi per cadere ma lui la resse tra le braccia e la baciò con passione. Al termine del bacio, lei era divenuta rossa come un peperone e lui la guardava con un misto di fastidio e soddisfazione.
«Contenta, adesso? Non dire più queste cazzate e andiamo a casa tua».
Katia trotterellò a fianco di Shawn, ancora emozionata per quel bacio improvviso e lasciando a briglie sciolte la sua fantasia: l’ultima ora passata insieme si ripeté per centinaia di volte nella sua mente con colonne sonore tratte da film per accompagnarla.
Inavvertitamente, strinse più forte la mano di lui e se ne accorse solo davanti al cancello di casa sua quando fu costretta a separare le dita e guardarlo come se quello fosse un addio.
Lui le scompigliò i capelli. «Ci vediamo a scuola, okay?»
Katia annuì e gli sorrise. «A domani!»
Shawn guardò la sua schiena allontanarsi finché non scomparve dietro la porta di casa. Si mise le mani in tasca e proseguì verso casa sua.
Secondo lui la paura di Katia era insensata: quella era una delle giornate più soleggiate che avesse mai visto e non si sarebbe riuscito a trovare uno stupratore neanche a pagarlo.
Ma cosa ci poteva fare? Katia a volte era davvero paranoica e lui doveva accondiscere ai suoi desideri. In fondo, però, non gli dispiaceva: non era una di quelle ragazze eccessivamente timide che si vergognano solo a pronunciare la parola sesso. Lei era capace anche di dirlo venti volte al giorno e non si era fatta pregare troppo per rimanere soli in quello stanzino. L’unica condizione che aveva posto era che sarebbe dovuta essere lei a scegliere il luogo, il giorno e l’ora e lui, di certo, non si creava problemi per questo.
Arrivato a casa, si diresse subito in camera sua, ignorando la porta aperta del salone dal quale provenivano dialoghi della TV. Sua madre si stava vedendo una di quelle stupide telenovelas.
«Shawn, sei tu?» urlò lei dal divano.
Lui trattenne il più grosso sbuffo della storia dell’umanità e le gridò “sì!” in risposta. Non appena avesse superato la maturità avrebbe detto addio a quella casa piccola, alle telenovelas spagnole, alle occhiate contrariate della madre e alla sorella che gli rubava i preservativi.
Avrebbe dato un taglio a quella noia e sarebbe andato dove voleva.
«Cassidy è passata: voleva vederti!»
Cassidy: la sua amica d’infanzia e l’esatto opposto di Katia. «Dov’è adesso?»
La madre non si degnò di girare la testa per guardarlo in volto.  Puntò l’indice verso il soffitto, con gli occhi incollati allo schermo, e rispose: «In camera tua».
Shawn si diresse verso le scale e le salì due gradini alla volta per arrivare nella sua stanza. Un ghiro dai lunghi capelli castano scuro era accoccolato sul suo letto incassato nella parete.
Shawn si avvicinò e la scrollò per svegliarla. «Ehi, Cassidy!»
Lei mugugnò e spalancò gli enormi occhi d’ametista. Quel colore vibrante e così carico disorientò Shawn per un attimo ma in fondo lui vi era abituato.
«Shawn?» domandò lei con un tono impastato dal sonno.
«Che cosa ci fai qui?»
Cassidy si alzò piano piano e si sedette sul letto, stiracchiando le braccia e sbadigliando. Il naso, cosparso di lentiggini che si mimetizzavano perfettamente con l’incarnato chiaro, si arricciò per dar spazio alla bocca.
Quando finì, si afflosciò con la schiena curva e le guance sui pugni chiusi.
«Perché hai scelto la mia stanza come luogo per il tuo pisolino?» insistette Shawn mentre cercava qualcosa in un cassetto della scrivania.
«Dovevo restituirti una cosa» borbottò e si alzò in piedi per raggiungerlo. Si frugò le tasche dei pantaloni col cavallo basso, seminascosti da una felpa extralarge arancione col cappuccio.
Il suo sguardo era confuso, perciò intrufolò le mani nella tasca a marsupio della felpa.
Shawn non la stava guardando: era ancora intento a cercare qualcosa nel cassetto.
Il volto di Cassidy si illuminò non appena trovò il foglio di carta appollottolato. Si avvicinò all’amico e gli battè sulla spalla. Lui si sollevò dalla scrivania per osservarla.
Cassidy gli prese la mano dentro il cassetto e la aprì. Delle dita si fecero spazio tra le maniche del felpone e gli depositarono sul palmo aperto una pallina di carta.
Shawn chiuse la mano e guardò Cassidy. «Ce l’hai avuto tu per tutto questo tempo?»
Lei deviò lo sguardo verso un portacolori sul tavolo e replicò con tono neutro: «Ti era caduto per terra. Pensavo fosse importante...»
«E lo era. Grazie».
Cassidy stirò gli angoli delle labbra in un debole sorriso e uscì dalla stanza. Fece ciao con la mano a Shawn e saltellò sui gradini delle scale per andarsene.


 
Nota dell’autrice: ciao caro lettore che stai leggendo! Questa storia è nata per caso, leggermente ispirata da un anime che ho appena finito di vedere. Non sapevo in che sezione pubblicarla, incerta tra giallo, horror e thriller. Per ora ho preferito horror ma, in caso non vada bene, accetto consigli.
Come un po' in tutte le mie storie, prima di arrivare al momento "clou" preferisco girarci intorno e presentare prima i protagonisti piuttosto che far morire gente fin dal primo capitolo! 
Non so quando verrà pubblicato il prossimo capitolo, ma se siete amanti del genere dark e sovrannaturale potete seguirmi anche qui, dove aggiorno abbastanza spesso:
L'altra faccia della notte 
Avrei tanto voluto pubblicare la storia nel rating rosso ma, impossibilitata dalla mia età, ho scelto l'arancione e in caso metterò qualche avvertenza.
Le recensioni sono più che gradite. Ricordate: una recensione al giorno toglie il medico di torno!
  
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