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Autore: Nika L Majere    08/06/2007    15 recensioni
“Ryuuzaki”
“…?”
“L’abbiamo trovata”
Un cadavere viene ritrovato. Il ricordo di una persona che forse era meglio dimenticare. Tutti partono dal presupposto che L non si sia mai innamorato.
E se invece non fosse così?
Probabilmente OOC ^^"
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Estate

Estate.

Una di quelle giornate calde e afose, in cui preghi solo che il cielo sia magnanimo e ti mandi un po’ di pioggia fresca. In cui anche il gelato più grande non riesce a darti sollievo e nemmeno quel dannato condizionatore, che tu stesso ti sei premurato di installare, vuole partire.

In più quel sordo presentimento. Un tintinnio nella tua testa, a cui non sai dare un nome specifico. Ma sai che c’è. E che non porterà niente di buono.


Ryuuzaki era lì. Immobile come una statua di cera, nella sua posizione rannicchiata, ad osservare con non curanza i monitor. Non gli importava quello che passava davanti ai suoi occhi. Forse era il caldo, forse la sua “depressione”. Non aveva voglia di lavorare e quello l’avevano capito tutti ormai. Ma il suo sguardo, che in genere era attento ad ogni particolare, quel giorno non c’era, proiettato da qualche altra parte.

Forse al passato. Forse troppo lontano.


Ryuuzaki

“…?”

“L’abbiamo trovata”


***


Sdraiata serena su quel letto di freddo metallo.

Coperta da un lenzuolo leggero, fin sopra la testa.

Un lenzuolo che avrebbe dovuto muoversi al ritmo del suo respiro.


“Buongiorno, Ryuuzaki. Ti ho portato dei pasticcini”


Ma non si muoveva.

Non avrebbe mai più mosso nemmeno gli occhi.


“Allora, lo vogliamo portare avanti questo caso, sì o no?”

“Finisco la torta e ne parliamo…”

“Sei incredibile…”


Si ricordava ogni cosa di lei.

I suoi occhi fieri. Il suo sorriso alla mattina. I suoi rimproveri da madre afflitta.

Anche se sua madre non era.


“No, non ci vado! Dobbiamo continuare il caso!”
“Ah, adesso lo continuiamo
! Durante la torta no, ma per evitare il bagno sì!”

“No!”

Watari, mi dia una mano a trascinarlo di là!”


Si ricordava anche i sogni che gli aveva sussurrato all’orecchio, durante un triste momento di sconforto.

Ricordava la sua voce.

Allegra e vitale. Al bisogno dura e impassibile.


[si ricordava di averla vista salire le scale del suo Hotel con un fascio di fogli sotto un braccio

e la confezione di una torta nell’altra mano.

Di aver ammirato il suo trucco leggero, che le dava un’aria adulta dal volto ancora bambino.

Di averla sentita bestemmiare per aver mancato il killer per un soffio.

Di averla vista impugnare una pistola.

Di averla vista sparare.

Di averla vista uccidere]


Si ricordava la foto del fidanzato, che l’aspettava a New York.

Si ricordava di non aver rispettato quella foto.

E si ricordava tante altre cose.


***


Si fermò sul limite della porta, osservando Watari farsi strada tra i tavoli di quella stanza proibita. L’obitorio che aveva fatto costruire, ma che aveva sperato di non dover mai usare.

“Eccola, è qui”

Uno strattone al braccio destro gli ricordò il silenzioso e scomodo vincolo che lui stesso aveva imposto. Si voltò a guardarlo negli occhi.

“No, Light… tu non entri…”

Perché?”

Perché no e basta”

Estrasse una piccola chiave dalla tasca dei pantaloni.

Nel corridoio risuonò un sonoro clack. Poi la manetta scivolò leggera, come non sembrava essere, dalla mano di Light.

Ma io…”

Ma quando vide gli occhi dell’investigatore capì che quello non era il momento delle repliche.

Ryuuzaki stava soffrendo. E non si stava curando di nasconderlo.











[ciao Naomi]












***

Si era sempre chiesto perché lei fosse entrata a far parte dell’FBI.

Non perché fosse una donna: lei valeva molto più di molti altri agenti, esponenti del sesso forte.

Ma non riusciva a capire perché una come lei, che sognava tutt’altro tipo di vita, avesse scelto proprio quella strada. Eppure non le chiese mai niente. Anche se avrebbe potuto.

Avrebbe potuto portare avanti una doppia indagine: una su quel dannato killer di Los Angeles; una su quella donna forte, ma che a volte sembrava così fragile da dare a lui il tormento nel vederla.

Non era mai stato sicuro dei limiti che avrebbe dovuto rispettare con lei.

Varcare quel muro di intimità che una persona cela con cura intorno a se o onorarlo e fare finta di niente.

O più semplicemente abbatterlo.

Come aveva fatto.


***


Light camminava incerto per i corridoi.

Non aveva mai visto Ryuuzaki con quegli occhi così afflitti.

Ora che ci pensava, non si era mai realmente chiesto cosa provava Ryuuzaki nel profondo dell’anima.

Di lui non sapeva niente. Solo menzogne.

Chissà cosa sentiva quando vedeva un nuovo cadavere aggiungersi a quella macabra lista?

Chissà cosa voleva quando andava a sbattere contro un muro che lo riportava al punto di partenza?

Di cosa aveva bisogno Ryuuzaki per vivere?

Di colpo, Light sentì che essere considerato da lui un amico, non erano solo parole gettate all’aria per ingannare e intimorire. Erano il cieco bisogno che quel ragazzo solitario continuava disperatamente a nascondere.


Senza accorgersene era tornato davanti alla porta dove si erano lasciati. Dove Ryuuzaki per la prima volta lo aveva liberato dalle manette, senza preoccuparsi che lui potesse correre ad ammazzare gente.

La porta di metallo, grigia come tutto il resto in quel detestabile edificio, era appena socchiusa.

Dentro la luce spenta. Anche Watari se n’era andato, tornato davanti ad uno schermo dove era il suo posto.

Sapeva che non avrebbe dovuto farlo. Sapeva che era sbagliato, non solo perché stava per turbare ulteriormente il sonno di un morto, ma che stava andando oltre a quel confine sottile che divideva Ryuuzaki dal resto del mondo.

Tuttavia la curiosità è una nemica potente.

La porta non fece rumore, sui cardini oliati di fresco. Fu come entrare in un cimitero senza bare.

Alle pareti vi erano scaffali, ma non di fascicoli. Sarebbero serviti nel caso in cui il ritrovamento di un cadavere fosse risultato utile alla scientifica che Ryuuzaki stesso portava avanti. Quelli erano loculi di freddo metallo. Non mensole per libri di fiabe.

Light rabbrividì.

Come faceva Ryuuzaki a vivere in mezzo a tutto quello senza sorbirne un minimo effetto?

Era tutto così lontano, così fuori dal comune. Così macabro per un certo verso.

Light nella sua vita aveva visto solo un cadavere da vicino. Era quello di suo nonno paterno, morto nel silenzio del suo sonno, senza troppo dolore. Se lo ricordava ben vestito, con la giacca bianca che risaltava sul nero dell’imbottitura interna della bara. Aveva un volto disteso, senza segni di sofferenza.

La sua visione della morte gli sembrò piuttosto idilliaca in quel momento.

Lei era solo avvolta in un lenzuolo bianco. Adagiata con cura su quel letto freddo. Un cartellino sulla testata, con il suo nome scritto di fretta. Non c’erano fiori, né candele, né incensi. Ma ci sarebbero state lacrime, quello era inevitabile.

Le mani tremavano, mentre si avvicinava al tavolo al centro della sala. Poteva avvertire l’odore dell’alcol e gli attrezzi per l’autopsia adagiati su un carrello poco distante, inutilizzati.

Con delicatezza afferrò il lembo del lenzuolo e lentamente, con esasperazione, scostò quell’impalpabile barriera che gli impediva di vederla in viso. Una bell’addormentata in mezzo a buste di plastica e frigoriferi.

Ma in quello che vide non c’era nulla di bello: il solo guardarla gli provocò un conato di vomito.


Un volto sciolto nell’acido.

Un corpo corrotto dalla decomposizione.

Era già un miracolo il semplice fatto che fosse ancora intera.

Se quella era davvero Naomi Misora, qualunque cosa Kira l’avesse obbligata a fare, lei l’aveva fatta maledettamente bene.

E Light si sentì male.

Perché aveva la disgustosa sensazione di conoscere quella persona.

Di conoscerla da molto vicino.


***


Aveva corso per i corridoi, salito e sceso le scale senza una logica precisa, svoltato angoli su angoli.

Stava scappando da quell’orrore. Voleva toglierselo dalla testa.

Poteva già capire cosa Kira le avesse ordinato: fai in modo che non ti trovino.

Ebbe paura. Perché se lui fosse stato veramente Kira, probabilmente le avrebbe chiesto una cosa così oscena come il suicidio e la menomazione.

Ma doveva stare calmo. Lui non era Kira. Lui non era…


Era tornato in camera. Deciso a farsi una doccia, per strappare via dalla pelle quel senso di marciume che lo avvolgeva. Voleva piangere. Voleva urlare.

Poi pensò agli occhi di Ryuuzaki.

E lo cercò disperatamente per tutto l’edificio.

Correndo per i corridoi, salendo e scendendo le scale, svoltando angoli su angoli.


***


Il sole a picco lo abbracciava con testardaggine, anche se a lui non poteva fregare di meno.

Quando hai freddo dentro, tutto intorno può essere incandescente. A te poco importa.

Naomi Misora non era più Naomi Misora.

Era un cadavere. L’ennesimo.

Per il momento quello che gli fece più male.

Il primo che gli faceva male.

Aveva tanto sperato che lei potesse sposarsi come desiderava. Che riuscisse ad avere i suoi bambini e quella villetta con giardino nel centro di New York.

Si era dimenticato che “sperare” non rientra nei permessi di chi fa un lavoro come il loro.

In una circostanza come la sua le cose non le speri: o le ottieni o non le ottieni. Fine della storia.

Ryuuzaki…”

Quella voce allarmata l’aveva salvato dai suoi ragionamenti, anche se solo per poco.

Light-kun doveva averla vista, anche se lui gli aveva detto di non farlo.

Ryuuzaki…”

Gli era corso incontro.

Si era seduto al suo fianco.

Non aveva smesso un secondo di guardarlo.

E Ryuuzaki non aveva rotto quel contatto di sguardi che lo ancorava alla terra.

Yagami Light.

Un diciottenne con delle enormi capacità e un senso della giustizia forte e saldo.

Ma pur sempre un ragazzo normale.

Non un automa divoratore di dolci.

Ryuuzaki…”

Lo guardava con occhi tristi. E L non rispose.

“Magari… magari si sono sbagliati… magari non è lei… forse…”

“È lei Light-kun

“Come… come fai a dirlo?”

Ryuuzaki prese un grande respiro, come se stesse per rivelare il più incredibile dei segreti.

“Naomi aveva una cicatrice che formava una specie di piccola “v”, sulla coscia destra. Se l’era procurata in una sparatoria tre anni fa, prima ancora che io la conoscessi…”

Light lo fissava.

Cicatrice? Dove? Cosa?

Poteva essere che…?

“Come fai a sapere?”

Ryuuzaki sorrise di un sorriso amaro.

Poi si alzò lentamente, cominciando ad avvertire la pelle bollente, sotto i raggi impietosi del sole.

Non si voltò a guardare Light. Rimase fermo a fissare il riverbero del sole sui palazzi di Tokyo.

“Vai da Misa, Light-kun. Stai con lei, almeno per oggi”

Ryuu…?”

“Ricordati che tu sei un ragazzo normale”

Si voltò e gli sorrise

Ricordati che tu non sei ancora come me…


***


Light era andato da Misa.

L’aveva abbracciata, lasciandola di stucco.

Le aveva anche dato un leggero bacio sulla guancia, piccolo, senza pretese.

E poi era stato a vegliare il suo sonno quasi per tutta la notte.

Cercando dentro di se una prova del suo essere umano.

Cercando di pensare a lei come una cosa preziosa, che non doveva perdere.

L’amò da lontano.

Come farebbe un fidanzato impaurito.

Come fece Ryuuzaki, nella fredda sala dell’obitorio.








Parole dall’Autrice

Per scrivere questa fic mi sono basata su un riassunto del Novel di Death Note “Another Note Los Angeles BB Renzoku Satsujin Jiken” che parla del caso di Los Angeles in cui Naomi Misora collabora con L. La cosa fantastica è che non solo le parla attraverso lo schermo, ma si incontrano proprio. E qui la mia fertile fantasia è partita per la tangenziale XD

Questa coppia non mi dispiace affatto, anche se posso capire che così, entrambi, diventano abbastanza OOC. Ma a ognuno è permessa la sua licenza poetica, no? ^__^
In fondo questo è un esperimento...

Al di là di questo, spero sia piaciuta.

Mi raccomando fatemi sapere ^___________^

Kiss ^*^*^*^*^*^

  
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