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Autore: ISI    14/06/2007    5 recensioni
I pensieri di un novellino costretto a farsi in quattro per accontentare i superiori. I pensieri di un ragazzo che ce la mette tutta e non riceve mai un "grazie", piccola riflessione di un Greg stanco dell'ingratitudine che il resto del mondo gli riserva. Forse un po' OOC. Commentate.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg Sanders
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho appena chiuso un caso insieme a Grissom e Sara

I pensieri di un novellino

 

Ho appena chiuso un caso insieme a Grissom e Sara. Sono stanco morto, vorrei andare a casa e farmi una doccia per poi andare a dormire. Ma non posso. E sapete perché? Perché io qui dentro, dentro questa gabbia di matti chiamata Csi, sono il novellino. Sono entrato a far parte del team da poco, pochissimo tempo, sono inesperto, come dice Grissom, imbranato, come dicono Nick e Warrick, fuori di testa, come è solita ricordarmi Katherine, ma cosa peggiore, sono un amico per la mia dolce tenera Sara. Ogni volta che la vedo mi chiedo come diavolo ci si possa innamorare di quel carciofo di Grissom quando c’è un essere bello come me che la tratterebbe come una dea...questione di gusti.

Comunque tornando al discorso di prima non posso tornare a casa perché essendo il più giovane, e dovendo fare esperienza, mi è stato assegnato un altro caso insieme a quelli del turno di giorno. Ora, capisco che il novellino debba fare esperienza, ma tutto ciò non vi sembra troppo? Sono stato sette ore, quattrocentoventi minuti se preferite, sotto il cocente caldissimo sole del deserto del Nevada per analizzare una maledettissima scena del crimine, mentre Grissom parlava del più e del meno con agente della omicidi e Sara gli sbavava dietro. Ho setacciato, e non solo in senso figurato, ogni centimetro di sabbia a circa tre metri dal cadavere. Ho controllato ogni cespuglio, dato che a volte ci si “impigliano”, per così, dire delle fibre o comunque prove importanti. Ho sudato sette camice, ho faticato come un cane e sapete che cosa mi ha detto il mio caro capo quando si è degnato di interessarsi a quello che poi sarebbe il suo lavoro?

-Sei ancora a questo punto Greg? Possibile che se girò un attimo la testa qui va tutto a rotoli?-

Per un attimo mi sono chiesto se quello che avevo sentito era davvero ciò che aveva detto, ma non ci fu bisogno di chiedergli di ripetere la frase.

-Che vuoi farci, Grissom? E’ ancora così inesperto...- aveva commentato Sara quasi prendendo le mie difese.

Avrei voluto tirargli qualcosa, avevo l’intero kit sottomano, forse avrei potuto fargli anche un bel po’ male, ma mi sono trattenuto. Ho espirato, inspirato e mi sono limitato a rispondergli che la prossima volta avrei fatto le cose più velocemente.

Non l’avessi mai fatto! Grissom ha cominciato a dire che cose come esplorare una scena del crimine non sono da farsi di fretta. Dopo circa un’ora, ovvero il tempo che è durato il suo predicozzo, siamo tornati tutti alla base e lì ci siamo messi ad indagare.

Non è stato un caso molto semplice, no non lo è stato affatto. Inizialmente pensavamo che l’assassino fosse la sorella della vittima. Poi invece abbiamo scoperto che non centrava niente e come al solito, dato che i lavori più ingrati toccano tutti al sottoscritto, me la sono dovuta vedere io con la falsa assassina, chiedendole scusa da parte mia e del resto della squadra. Niente in contrario a tutto ciò, solo che la sorella della vittima era un donna alta circa due metri e dieci, con un fisico da lottatore di sumo, che se avesse voluto avrebbe potuto sotterrarmi con una semplice pacca sulla spalla.

Comunque la ricerca del vero colpevole è continuata. Dopo tre giorni di indagini, in cui io ho dovuto fare su e giù per la città, per cercare informazioni utili sulla vittima e sulla sua morte eravamo ancora al punto di partenza. E di chi era la colpa? Mia, di chi altri se no? Perché no cerco abbastanza bene, perché non vedo oltre le menzogne, perché non seguo, come dovrei, le prove. Eppure l’assassino l’avevo trovato. L’avevo detto che quel tipo non mi convinceva per niente, ma voi avete riso sopra alle mie supposizioni, ma non avete potuto ridere di fronte alle prove, di fronte alle prove che io avevo ragione e voi torto.

Non so cosa io debba fare per dimostrarvi, che in fondo in fondo, anche io valgo qualcosa.

Vi giuro che ce la sto mettendo tutta, perché il mio lavoro mi piace era quello che volevo, ma voi non fate altro che criticarmi, per quello che faccio e per come lo faccio.

Forse peccherò di superbia, ma in quello che faccio non mi pare esserci nulla di sbagliato, insomma, me lo avete insegnato voi! Come potete dire poi che quello che faccio è sbagliato? Si forse è vero, indubbiamente pecco di superbia...ma sapete com’è? sono un tipo testardo e frettoloso, uno che vorrebbe imparare tutto e subito, alle volte anche senza sforzo. Forse un giorno saprò riconoscere anche io i miei stessi errori, e forse un giorno sarete capaci di farlo anche voi che mi predicate elencandomi i miei difetti. Forse un giorno mi tratterete come un vostro pari, e non come il novellino di turno, quello che deve fare esperienza.

Ma ora che sono qui, tutto da solo, seduto su questa panca dello spogliatoio, distrutto da tre doppi turni e snervato da circa una dozzina di caffè bevuti per stare in piedi, ora quel giorno mi sembra molto, troppo lontano. Forse quello in cui spero è soltanto una mia effimera fantasia, un’utopia in cui anche io e la mia opinione siamo considerati un mondo in cui qualcuno dice: -Grazie, Greg!-.

La speranza è l’ultima a morire, ma ho l’impressione che l’amaro dalla bocca non se ne andrà tanto facilmente. E’ come avere un mattone sul petto, un peso invisibile che ti grava addosso. Chiedere aiuta agli altri? A coloro che ti stanno attorno? Ma non se ne parla nemmeno! Non si può calare la maschera, bisogna continuare a sorridere, sempre e comunque, bisogna essere sempre professionali e perfetti, pronti a tutto, mai stanchi sempre scattanti, questo è quello che ci impone la società, questo è quello che dobbiamo fare per non deludere glia altri, e alle volte, anche per non deludere noi stessi.

Mi fa male la testa. Pensare troppo deve farmi male davvero. Guardo l’orologio, sono appena le cinque e un quarto di mattina e al di là del vetro della finestra il sole a appena cominciato il suo cammino illuminando il deserto e le sue dune.

Ora basta rimuginare, devo darmi una mossa, altrimenti stasera Grissom avrà un altro motivo per rimproverarmi.

Ora vado non posso davvero aspettare oltre. Nel frattempo cercherò di migliorare, senza però perdere la speranza che quel giorno arrivi.

  
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