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Autore: Schels    01/12/2012    8 recensioni
[Come l'Acqua per gli Elefanti]
[Jacob Jankowski, Water for elephants/ Marylou, On the road]
Dal primo capitolo: "Non la vidi subito in faccia, ma rimasi incantato dai suoi movimenti: sembrava che il suo cuore guidasse il corpo con spasmi disperati e irresistibili per chi la guardasse; una cascata di riccioli biondi le ricadeva sulle spalle esili e lei continuava nella sua danza sensuale, mentre un sorriso le increspava le labbra e, lo giuro, sembrava fosse nata una stella in mezzo a noi per la prima volta. Non avevamo occhi che per lei, tutti quanti. Tutti, compreso io; eppure quella notte non le rivolsi la parola. Continuai ad osservarla, ignaro di quello che il mio animo stava subendo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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NEVER LET ME GO
 
The day we met
NEVER LET ME GO
 
The day we met
 NEVER Never let me go
NEVER LET ME GO
 

The day we met

 

NeNPer chi ha avuto una vita meravigliosa, come me, non è facile rassegnarsi al fatto che non puoi fare più niente per arricchirla ancora.
Quando ci si ritrova a novantadue anni suonati rinchiusi in un ospizio, non c’è molto che tu possa fare.
Sento già che la mia vita è finita, non c’è bisogno che qualcuno me lo dica o che mi prepari psicologicamente. So perfettamente che da un giorno all’altro abbandonerò questo mondo.
Il punto della faccenda è che – devo ammetterlo a me stesso - ho un po’ paura. Nessuno sa quello che ci aspetta dopo, no? Ed io non sono pronto.
I miei occhi hanno visto troppo bellezza, le mie orecchie hanno udito troppe storie, raccontate da persone di ogni dove e il mio cuore ha goduto di troppo amore per poter lasciar andare tutto questo.
So di essere vecchio e so di non poter più fare niente, così ho deciso di spendere gli ultimi anni – mi correggo, probabilmente gli ultimi mesi – della mia vita, ripensando a lei; partendo dal principio e da quel primo sguardo che mi ha cambiato l’esistenza, accarezzerò ogni ricordo ed uscirò felice da questo universo meraviglioso che mi ha ospitato amorevolmente.
Non posso avere la sicurezza che quando chiuderò gli occhi dall’atra parte troverò Marylou ad aspettarmi, perciò voglio tenerla stretta al petto fino alla fine di questa vita.
Ho paura, amore mio.

Ricordo perfettamente la prima volta in cui la vidi.
Era il 1930; mi ero da poco unito il circo dei fratelli Benzini e non avevo un soldo bucato in tasca.
La Grande Depressione non mi aveva lasciato niente; mio padre investì tutti suoi risparmi per i miei studi. Quando i miei genitori morirono in un incidente stradale, mi ritrovai senza una casa.
Decisi di partire per un posto lontano e di proseguire il mio cammino senza voltarmi indietro, perché se l’avessi fatto sarei stato perso. Dopo un giorno ero già sfinito; come fosse stato un segno del cielo, mentre attraversavo le rotaie, un treno passò sulla mia strada: il treno del Circo. Da allora, quella fu l’unica famiglia che mi potevo permettere di avere.
Al Circo mi occupavo delle mansioni più disparate: c’era sempre lavoro da fare. Generalmente il mio più grande impiego era dar da mangiare agli animali e tenerli puliti. In caso si facessero del male, ero sempre io ad occuparmene: avevo conseguito i miei studi alla Cornell University e mi ero laureato in veterinaria; amavo stare a contatto con gli animali, e nonostante ringraziassi il Signore di avere un lavoro in quel difficile periodo, a volte mi sentivo sprecato lì.
Era una vita ardua, quella.
Per avere un pasto decente dovevi sgobbare, ma sgobbare sul serio. Non c’era tempo per il riposo e per i fannulloni.
In poco tempo diventai una macchina: non ero mai stato una persona violenta, eppure diventai rude e scontroso. Usavo le donne. Non avevo amici. Ero solo contro un mondo che mi aveva voltato le spalle.
Marylou è stata la mia salvezza.
Quella sera, avevamo posizionato un enorme tendone dietro al treno, quasi al limitare del bosco. Era un modo per rilassarsi e per infrangere le regole: gli anni del Proibizionismo non furono affatto una passeggiata.
Una volta ogni tal quanto, i ragazzi si impegnavano a trovare dell’alcool, del fumo, ma soprattutto delle belle donne.
Non avevo quasi mai voglia di festeggiare, ma non so per quale motivo, quella sera entrai anche io nel capannone. C’era la musica alta ed ero convinto di non aver mai visto tutti così allegri: mangiavano, bevevano fiumi di non so quanti tipi di alcolici e soprattutto ballavano. Ridevano e ballavano.
Si faceva fatica ad avanzare, perché la folla era un unico, grande organismo che pulsava di vita ed era impossibile fermarla.
Non so bene che cosa successe, ma ad un certo punto si bloccarono, fino a lasciare al centro della pista un enorme spazio. La gente batteva le mani e cantava, ma io non riuscivo a vedere il motivo di tutta quella euforia.
Mi feci avanti, spingendo le persone, finché non mi ritrovai in prima fila e la vidi.
Una ragazza stava ballando insieme a George, quello dello spettacolo con i leoni, una delle nostre più grandi attrazioni.
Non la vidi subito in faccia, ma rimasi incantato dai suoi movimenti: sembrava che il suo cuore guidasse il corpo con spasmi disperati e irresistibili per chi la guardasse; una cascata di riccioli biondi le ricadeva sulle spalle esili e lei continuava nella sua danza sensuale, mentre un sorriso le increspava le labbra e, lo giuro, sembrava fosse nata una stella in mezzo a noi per la prima volta.
Non avevamo occhi che per lei, tutti quanti. Tutti, compreso io; eppure quella notte non le rivolsi la parola. Continuai ad osservarla, ignaro di quello che il mio animo stava subendo.
Un paio di volte il suo sguardo incrociò il mio. Bevvi molto. Mi sentivo strano.
Quegl’occhi verdi mare mi facevano tremare le gambe e questo era assolutamente stupido, da parte mia. Cercai di ignorare la cosa, finché, ad un certo punto, George le prese la mano e la portò con sé, ed io lo odiai come non avevo mai fatto con nessuno. Per qualche strana ragione, lo invidiavo.
Quella sera, troppo stupido per fermarmi a pensare che forse avrei dovuto cercarla e provare a parlare con la ragazza, andai da Barbara. Scaricai i miei impulsi come solo un animale poteva fare ma, se possibile, mi sentivo ancor più insoddisfatto.

Mi svegliai all’alba e vidi il sole sorgere.
Seduto sul prato, uno degli spettacoli più meravigliosi mai visti davanti a me, mi misi le mani tra i capelli e una lacrima tracciò una linea invisibile sulla mia guancia. Chi ero stato in quei due mesi? Dove ero finito? Sembrava assurdo, eppure quella ragazza mi aveva sconvolto. La confusione che sentivo dentro da quando il mio sguardo aveva incrociato il suo, mi aveva spronato ad affrontare la paura e il senso di perdita che avevo sempre cercato di ricacciare indietro, prima di quel momento.
La verità era che mi mancavano i miei genitori.
La verità era che mi odiavo per il male che provocavo alle persone, semplicemente perché avevo bisogno di scaricare la mia sofferenza.
La verità era che a volte, di notte, neanche chiudevo occhio perché il dolore mi abbracciava nella sua morsa letale ed io non potevo fare niente se non ignorarlo.
Ignorarlo e andare avanti come se non fossi umano.

Può una giornata normale trasformarsi in qualcosa di speciale?

Quel pomeriggio, mi sembrava un miraggio, eppure da lontano, mentre pulivo la gabbia delle giraffe, intravidi una massa di boccoli biondi da dietro il cancello.
Mi si bloccò il respiro.
Cercai di calmarmi, invano. Sospirai e, dopo qualche minuto, decisi di avvicinarla.
Non scappare più da te stesso, Jacobmi dissi. Non farlo più.
Camminavo lentamente, quasi impaurito da quello che mi avrebbe aspettato. Quando arrivai a pochi passi dalla ragazza, rimasi immobile.
“Apri” ripeteva, “Apri questa cazzo di porta!”
Ricordo che dei singhiozzi le scuotevano il petto e che la sua voce dolce tremava.
Mi schiarii la voce e lei si voltò. Con orgoglio si asciugò le lacrime e disse: “Salve.”
Stava parlando con me, era chiaro. Eppure non riuscii a rispondere subito. La guardavo, come ipnotizzato e non riuscivo a capire quello che mi stava succedendo. Di nuovo, ancora. Era così frustrante.
Aggrottò le sopracciglia. “Mi chiamo Marylou. Sai per caso dov’è George?”
Finalmente, trovai il coraggio di dire qualcosa: “Io sono Jacob e no, non so dove sia George.”
Dio, se era bella. Intrappolò tra i denti il labbro inferiore, rosso e pieno. Aveva le guance arrossate e i suoi occhi erano infuocati di rabbia. Sembravano riuscire a scalfire il marmo, da quanto erano espressivi. Marylou aveva gli occhi di un colore e di una forma rara; le davano un’aria preziosa. Era impossibile guardarla e non pensare ai segreti che avrebbero potuto nascondere quelle due gemme lucenti; era impossibile guardarla e non pensare che avesse qualcosa di speciale.
“Mi deve dei soldi, quello stronzo.”
Le sue parole furono un colpo al cuore, per me. Improvvisamente ricordai che Marylou non era una ragazza come le altre. Gli uomini, per avere la sua compagnia, dovevano pagare. Era difficile formulare un pensiero del genere, per me: nessuno aveva mai notato quanto fosse indifesa? Quanto fosse diversa?
“Quanti anni hai, Marylou?” le chiesi di getto, senza neanche pensare bene a quello che stavo per fare. Lei si irrigidì e guardandomi sommessamente sussurrò: “Diciassette. Ho diciassette anni ed ho bisogno di quei soldi, perché non mangio da ieri pomeriggio.”
Sospirai. “Marylou – era così bello pronunciare il suo nome – mi dispiace, non credo che li abbia.”
Chiuse le mani in due pugni stretti e si limitò ad annuire.
“Puoi restare qui” dissi.
“Certo, ho bisogno di quei soldi. Devo almeno provarci, rimarrò ad aspettarlo” rispose, fraintendo le mie parole.
La mia proposta era assurda, me ne rendevo conto. Eppure, non potei fare a meno di avanzarla. Cosa avrebbe detto August, se per caso lo avesse notato? Non aveva bisogno di altre persone da sfamare. Forse avrei potuto chiedere a Barbara. Ricordai che lei aveva sempre avuto piacere ad avere nuove ragazze nel suo spettacolo. Gestiva personalmente i suoi guadagni, era in una posizione superiore rispetto ad noi altri. Ed era mia amica; avrei potuto chiederle questo favore, no? Così, spinto da non so cosa, forse dalla disperazione – che, ne sono certo, deve essere anche quello che spinse Marylou ad accettare – le dissi: “No, non hai capito. Intendevo qui. Rimani con noi, con il Circo. Posso trovarti un lavoro.”
 
 
                                                                                                                                                
                                                                                                                                                         ___


 
Dovete credermi se vi dico che non ho potuto controllare questa cosa.
Si è praticamente scritta da sola ed io non potuto fare a meno di obbedire a questo cervello malato che mi ritrovo. Spero veramente che vi piaccia, anche un minimo.
‘Water for elephants’ e ‘On the road’ sono due libri/film che hanno una cosa in comune: il messaggio. Sì, ognuno di noi può trovare in entrambi mille significati differenti, ma se ci facciamo caso tutti e due tengono a sottolineare una cosa: la bellezza della vita. La vita che è preziosa e che va vissuta a pieno.
Per questo motivo, ho pensato che questi due personaggi speciali avessero qualcosa da comunicare, insieme. Spero siate d’accordo con me, su questo.
E spero davvero che vi arrivi qualcosa, di non aver scritto strafalcioni e di essere riuscita minimamente a raccontare qualcosa di bello.
Grazie a tutti quelli che proveranno a leggere questa pazzia, siete molto coraggiosi, davvero. Vi ammiro. I capitoli non saranno molti, è una mini-fic.
Un abbraccio, spero che ci risentiremo presto,
Giulia

 

   
 
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