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Autore: JulietAndRomeo    02/12/2012    1 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 21: Epilogo.


«Ah!» un urlo proruppe nel grande salotto di casa mia.
«Ah!» urlai io di rimando, presa in contro piede: «Che diavolo ti urli, Nick?! Mi hai fatto venire un principio d’infarto!» continuai portandomi una mano al cuore.
Chiusi la porta di casa e poggiai le chiavi di casa nella ciotola accanto alla porta.
«Cosa... che... tu...» scosse la testa per far mente locale e poi riprese: «Che cosa hai fatto ai capelli, Macy?» disse scandendo bene le parole.
«Oh! Ti piacciono?» dissi eccitata con un sorriso enorme.
«Macy, non so se te ne sei accorta, ma sono biondi... e verdi...» disse incerto.
«Lo so! Belli, vero? Avevo voglia di un cambiamento, quindi mi sono detta, perché non farlo drastico?» dissi passandomi una mano tra i capelli.
Dopo la brutta avventura con la Mano Rossa, di qualche settimana prima, avevo bisogno di un cambiamento: ‘nuovi capelli, nuova avventura’, mi ero detta.
Mi ero tinta i capelli di biondo e poi, sfruttandone la lunghezza, li avevo colorati, partendo dalla metà, con le sfumature del verde, fino ad arrivare, alle punte, al verde smeraldo.
«Drastico? Questo è... eccessivo, non drastico! Sembri un clown!».
Assottigliai gli occhi e con il gelo nella voce risposi: «Beh, non ho intenzione di cambiare per un bel po’, quindi fatteli piacere, Nicholas».
Così, alzando il naso, entrai in cucina, da cui poco dopo si sentì un rumore di piatti rotti.
«Ma perché avete tutti la stessa reazione?!» domandai scocciata alla signora Smith.
La donna mi guardava ancora con gli occhi spalancati e la bocca altrettanto aperta, quando la porta della cucina si aprì.
«Esca subito da questa casa, o chiamo la polizia» disse la voce di Charles alle mie spalle.
«Cosa?! E perché dovresti farlo?» chiesi voltandomi verso di lui.
«Macy?!» disse la sua voce scandalizzata: «Mi dispiace, credevo fosse un estraneo» riprese abbassando l’attizzatoio del caminetto.
«Voi, tutti e tre» dissi includendo anche Nick che era appena entrato in cucina: «Non capite la moda. E non sapete distinguere le novità da un estraneo» continuai guardando l’attizzatoio.
«Ma, tesoro, non ti piacevano come prima?» disse dolcemente la signora Smith prendendomi una mano tra le sue.
«Certo, ma avevo bisogno di cambiare» risposi sorridendo.
«Ma sei uscita da poco dall’ospedale, non credi che dovresti aspettare un po’ per rivoluzionare la tua vita?» riprese ancora lei.
«Non mi sono fatta asportare un occhio, ho semplicemente cambiato colore ai capelli. Tra un po’ di tempo saranno di nuovo come prima» constatai tranquilla: «E poi, che importanza ha se sono uscita da poco dall’ospedale?».
«Beh, ok. Hai ragione, tesoro, sta tranquilla, sei sempre bellissima» disse la signora Smith accarezzandomi una guancia.
«Si, Margaret ha ragione, Macy» concordò Charles.
«Solo io credo che assomigli ad un clown uscito da un circo?» disse Nick scandalizzato rivolgendosi a Charles e alla signora Smith.
Gli diedi uno scappellotto sulla nuca e risposi: «Evidentemente si, quindi sta zitto. Vado di sopra, ho una mail da spedire».
Mi feci spazio tra Charles e la signora Smith ed uscii dalla cucina, sorridendo.
Cominciai a salire le scale, ma la voce di Nick mi fermò al quinto gradino: «Indipendentemente dai capelli -non posso credere che sto per dirlo- sei sempre bella, ogni giorno che passa sempre di più» disse sorridendo.
«Lo so che i capelli ti piacciono, ma che non vuoi ammetterlo, puoi dire tutto quello che vuoi, ma io conosco la verità» risposi prendendolo in giro.
«In realtà, mi piace quello che c’è sotto i capelli».
«Il mio cervello? Oh si, anche quello è magnifico» dissi mentre lui saliva i pochi gradini che ci dividevano.
«Mi riferivo ad altro, ma va bene lo stesso».
Mi baciò piano, a fior di labbra quasi, e poi si allontanò.
Gemetti frustrata, ancora con gli occhi chiusi, e sentii la sua risatina, prima che poggiasse le labbra sul mio orecchio e mi sussurrasse: «Non avevi qualcosa da scrivere?».
«Mostro» soffiai aprendo gli occhi e posandoli nei suoi.
«Ma chi?» disse guardandosi intorno: «Io? No, in realtà sei tu il mostro, mi tenti in ogni momento e io da bravo ragazzo devo trattenermi dal non saltarti addosso».
«Ma che romantico!» dissi ricominciando a salire le scale.
«Dicevi che non ti piacevano le smancerie» disse lui ancora fermo all’inizio della rampa.
«Touché» ribattei io arrivando in cima.
Lui non rispose e io mi avviai in camera mia.
Erano passata a malapena una settimana da quando ero stata dimessa dall’ospedale ed ero potuta tornare a casa.
Nick, che era stato dimesso molto prima di me, mi aveva fatto trovare la casa addobbata a festa ed effettivamente mi aveva fatto trovare anche una festa... era il mio compleanno e lo avevo dimenticato.
In quelle settimane ero stata troppo sovrappensiero per poterci pensare, e in effetti dopo che avevano tentato di uccidermi, il mio compleanno era l’ultimo dei miei problemi.
In quei giorni, le televisioni americane erano piene di immagini di Tiffany, di mia madre e di Wollaby. Tutti i membri della Mano Rossa erano in televisione ventiquattr’ore su ventiquattro, e per fortuna né il mio nome, né quello di Nick erano trapelati, Lewis aveva mantenuto la promessa.
La cosa più brutta fu la rivelazione della vera identità di mia madre.
Al telegiornale avevano svelato che in effetti il suo vero nome era Jennifer Cullen e non Jenna Lower.
I miei vicini di casa, che ricordavano benissimo mia madre, erano venuti a farmi visita, qualche volta, ma prontamente Nick riusciva sempre ad inventare una scusa per non farmeli vedere.
Se c’era una cosa che odiavo più di mia madre era la pietà e tutti quelli che venivano a parlarmi, avevano negli occhi solo quella.
Da quanto mi aveva riferito Lewis, Miller ed Anderson erano tornati a Washington, alle rispettive agenzie, mentre in qualche giorno si sarebbe tenuto il processo a mia madre, a Tiffany e a tutti gli altri che erano stati catturati grazie alle informazioni ricavate dai vari interrogatori e dai documenti ritrovati in casa di Wollaby. Quest’ultimo era stato portato all’obitorio e poi neanche Lewis sapeva che fine avesse fatto il suo cadavere, fatto sta che il medico legale lo aveva fatto sparire in pochi giorni.
Lewis mi aveva anche informata che anche io e Nick avremmo dovuto testimoniare ai processi e se da un lato, speravo che questa faccenda si fosse definitivamente chiusa, dall’altro ero contenta di essere artefice dell’incarcerazione di mia madre e di quella sottospecie di sanguisuga rossa.
Abbassai la maniglia della porta ed entrai nella mia stanza. Tutto sembrava lo stesso, ma io ero cambiata, adesso mi sentivo una persona nuova, avevo sconfitto il fantasma di mia madre e avevo un figo stratosferico come ragazzo.
Mi avvicinai alla scrivania, posta accanto alla vetrata che dava sul balcone, pigiai il bottone d’accensione del computer e mi diressi verso il comò, situato davanti al letto.
Spostai il quadro che stava sopra il mobile e aprii la cassaforte nascostavi dietro.
Immisi la combinazione e poi abbassai la maniglia. Una piccola teca di vetro con un pezzo di metallo affilato dentro spiccava tra le carte e i documenti contenuti dentro la cassaforte.
Presi la piccola teca e un piccolo sorrisetto mi spunto sul viso.
Gettai uno sguardo al computer che nel frattempo si era avviato, e poi ripresi a guardare la teca.
Mi diressi verso la scrivania e mi sedetti davanti al computer, posando la teca davanti a me.
Entrai nella mia casella e-mail e aprii la finestra per poter scrivere una nuova mail; immisi l’indirizzo di mio padre e poi mi fermai a riflettere su quello che avrei dovuto scrivere.
Alla fine il risultato fu questo:
 
¡Hola señor!
Come stai papà? La Spagna ti era mancata vero?
A dire la verità manca anche a me, l’ultima volta che ci siamo andati insieme tu sei stato morso da un serpente, ma non è andata male per il resto, no?
Ok, questo non c’entra niente e sto divagando, dato che in realtà volevo metterti a conoscenza di alcune cose...
Ricordi quel caso che io e Nick stavamo seguendo? Te ne ho parlato?... Forse no. Beh, comunque, ti basti sapere che stavamo seguendo un caso e le cose sono un po’, come dire... precipitate e siamo finiti entrambi in ospedale, a lui hanno sparato ad una gamba, a me al petto, ma sto bene adesso e sono a casa, quindi sta tranquillo, non c’è bisogno che tu prenda il primo volo per L.A.
Passando alla notizia che credo ti darà un po’ da pensare, durante questo caso ho incontrato la tua ex moglie, mia madre, era la vedova del primo cadavere e la moglie del capo di una banda di pericolosi assassini, aveva fatto uccidere suo marito perché intralciava i suoi piani e ha tentato di sciogliere me nella soda caustica... adorabile, no? : /
Comunque, tra un paio di giorni ci sarà il suo processo e io dovrò testimoniare. Attualmente sia la sua che la nostra foto sono su tutte le televisioni, quindi ti prego, papà, non prendere il primo volo per Los Angeles, so che non sopporti che tutti ti stiano addosso e ti facciano domande su quella donna.
Beh, tra le altre cose c’è anche un’altra novità: io e Nick stiamo insieme.
So che quando leggerai dirai ‘beh, è normale, sono amici e vivono nella stessa casa’. No, io intendo che stiamo insieme, insieme, cioè è il mio ragazzo. A tutti gli effetti. Rinnovo a questo punto l’invito a non tornare in America per uccidere Nick e fargli la solita ramanzina ‘lei è mia figlia, sta attento, ragazzo!’ perché metteresti in imbarazzo me e in soggezione lui, lo so che poi esageri, ti conosco.
Beh, cos’altro?... oh, si! Ho deciso di buttare via la teca di vetro con dentro quel pezzo di metallo. Non devo ricordarmi più di essere forte, questa esperienza ha già messo a dura prova la mia forza di volontà e poi, adesso che quella donna è dietro le sbarre (e a sbattercela sono stata io) mi sento completamente realizzata, non ho più niente da temere, non ho più niente che possa fermarmi.
Sono libera. E in parte lo devo anche a Nick, se non ci fosse stato lui credo che ad un certo punto avrei gettato la spugna e sarei ricaduta in tutto quello che per anni ho evitato come la peste: la depressione cronica.
Ci sono così tante cose che vorrei dirti, ma adesso devo sbarazzarmi di quella fastidiosa teca e non ne ho il tempo, ti scriverò il più presto possibile.
Un beso y un abrazo, papito, te quiero muchísimo,
 
 
Tu hija,*
 
Macy.
 
 
Ps: Mi sono tinta i capelli, di biondo e di verde, nella prossima mail ti mando una foto. Hasta la vista.
 
 
Rilessi l’e-mail più volte, assicurandomi non contenesse errori e di aver scritto tutto.
Poi soddisfatta del risultato premetti invio e mi concessi di appoggiarmi alla sedia e rilassarmi un attimo, godendomi la vista del panorama.
Dopo qualche minuto riportai lo sguardo sulla teca di vetro di fronte a me, con uno slancio l’afferrai e mi fiondai fuori dalla mia stanza.
Scesi le scale di corsa, attirando l’attenzione di Nick e di Charles che, seduti in salotto, discutevano sull’ultima partita dei Lakers.
«Macy!».
Non feci caso al richiamo di Nick e proseguii dritta per la mia strada, proseguendo per il lungo corridoio che portava alle varie stanze della casa, fino ad arrivare al giardino posteriore della casa.
Lì, in fondo, si trovava il capanno degli attrezzi.
Era una piccola costruzione in legno che io e Theodore avevamo costruito in un’estate, per giocare insieme. In seguito quando ero cresciuta era stata adibita a capanno per gli attrezzi.
Aprii la porta, mentre con la coda dell’occhio scorgevo la signora Smith che, inginocchiata su alcune piantine, mi fissava stupita per la mia presenza lì, dove l’ultima volta che avevo messo piede avevo quindici anni.
Entrai senza curarmene e ne uscii poco dopo con un martello.
Misi per terra la teca e la guardai l’ultima volta. Avrei potuto semplicemente aprirla per prendere il metallo, ma volevo che non ne rimanesse niente, quindi con un colpo deciso, e dopo aver indossato gli occhiali di protezione, la mandai in frantumi.
Soddisfatta della mia ‘impresa’ presi il metallo affilato e mi voltai per tornare indietro, abbandonando i pezzi di vetro e il martello nel giardino.
Scansai Charles e Nick che mi avevano seguita, evidentemente, e rientrai in casa, diretta in cucina.
Una volta rientrata, oltre ai passi di Nick, sentii quelli pesanti di Charles e quelli leggeri della signora Smith, che curiosa si era unita ai due uomini, e mi diressi in fretta in cucina.
Quando arrivai, spalancai la porta e velocemente, quasi correndo, mi piazzai davanti al cestino dell’immondizia che conteneva il metallo (la signora Smith era molto rigorosa, per quanto riguardava la raccolta differenziata).
Mi rigirai ancora per qualche secondo il metallo tra le mani, guardandolo come se lo vedessi per la prima volta e sorrisi.
Sorrisi di gusto e, mi rendo conto solo ora che, guardandomi dall’esterno potevo sembrare una squilibrata, ma non mi importava.
In quel pezzetto di metallo erano rinchiuse le mie paure, i miei complessi mentali e la mia adolescenza. Erano rinchiuse tutte le cose che non volevo, tutte le cose che disprezzavo e, quando lo gettai con forza dentro la spazzatura, mi sentii libera, davvero libera dopo tanti anni.
Una lacrima mi scese sulla guancia destra e, subito dopo, quando sentii due braccia forti circondarmi, un sorriso mi illuminò il viso, come non succedeva da una vita.
Alle braccia di Nick si aggiunsero quelle delicate della signora Smith, mentre Charles, restava rigido sulla porta.
Mi allontanai dolcemente da Nick e dalla signora Smith e mi diressi verso il mio salvatore.
Lo abbracciai con tutta la forza che avevo e lo sentii rilassarsi, circondandomi con le sue braccia.
«Grazie Charles. Se non fosse stato per te, non sarei qui. Non ti ho mai ringraziato, quindi anche se una sola parola non sarà mai abbastanza, grazie».
«È stato un piacere».
In quel momento il campanello suonò e Nick andò ad aprire. Mentre io lo seguivo, Charles e la signora Smith mi rivolsero uno sguardo pieno d’affetto per poi tornare ognuno alle proprie mansioni.
Non riuscii neanche a mettere piede in salotto che la figura di Lewis mi rivolse uno sguardo preoccupato.
«Ispettore, che ci fa qui?» chiesi io, fremendo già i curiosità.
«Ci sono novità» disse l’ispettore asciutto.
«Accidenti, le cose devono tirargliele fuori con le tenaglie!» esclamai, sedendomi sul divano.
L’ispettore mi imitò e poi si passò una mano tra i capelli.
«Vedo che sta meglio, Cullen» constatò.
«Si, molto meglio, adesso... lei invece, mi sembra sempre lo stesso».
«Come mai qui?» chiese Nick, inserendosi nella discussione.
«Sembra vi siate ripresi del tutto dalla convalescenza» ripeté l’ispettore.
«Si e lei mi sembra combattuto» dissi osservandolo.
«Lo sono. Non so se devo dirvi quello per cui sono venuto o no. Ovviamente potrete sempre rifiutare» disse l’ispettore guardandomi con curiosità.
«Beh, dato che è venuto fin qui, ce lo dica!» esclamò Nick.
«Stamattina è stata rapita una bambina, a Lakewood» disse l’ispettore.
«Beh? Che stiamo aspettando? Più tempo perdiamo, più probabilità ci sono che non venga trovata viva!» dissi balzando in piedi.
Nick sorrise sotto i baffi e l’ispettore scosse la testa.
«Sapevo che non avrebbe rifiutato» disse prima di uscire di casa.
Presi le chiavi della macchina, ancora parcheggiata nel vialetto di casa e prima di uscire mi voltai verso Nick.
«Se questa volta, mi segui senza che io lo voglia, in qualcosa di sin troppo pericoloso, ti stacco la testa a morsi. Chiaro?» dissi minacciosa.
Lui si avvicinò velocemente a me: «Mi piaci quando sei così aggressiva» mi sussurrò in un orecchio prima di superarmi ed uscire prima di me.
«Hey, non stavo scherzando!» gli urlai dietro prima di chiudermi la porta alle spalle.
Una nuova avventura stava iniziando, ma questa probabilmente sarà un’altra storia.







*'Un bacio e un abbraccio, ti voglio molto bene, tua figlia' è la traduzione dei saluti di Macy a suo padre.



Ed eccomi qui, sempre in ritardo, con l'ultimo capitolo di questa storia. Non posso credere di stare per cliccare su 'completa'.
Non ci voglio pensare.
Passando ai ringraziamenti: un grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, a quelli che l'hanno inserita tra le seguite e a tutti quelli che l'hanno aggiunta alle ricordate.
Un enorme grazie a tutti quelli che l'hanno recensita e grazie anche a tutti quelli che, leggendo in silenzio, sono arrivati a questo capitolo.
Un grazie enorme a tutti voi che mi avete aiutata ad arrivare alla fine di questa storia.
Un bacio enorme, 
JulietAndRomeo <3
   
 
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