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Autore: Soffidea    02/12/2012    2 recensioni
Il regno di Rittenim è caduto nelle mani dei tinneriani, ora padroni dell'intera sponda nord del fiume. Forti della nuova posizione, la discesa verso le terre del sud è una minaccia concreta. Sta ai sovrani dell'alleanza del Tasserin decidere come agire per contrastare le mire espansionistiche dell'impero.
 
Secondo posto e premio scrittura al Voci di Corridoio Contest indetto da MekhetNineOmbre
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti'
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Scelte

 

 

Da tre giorni la pioggia sferzava impietosa le terre del regno.

Una luce improvvisa tinse di una calda tonalità arancione le mura spoglie di una stanza nella torre nord. Con un gesto stanco l'uomo spinse il bambino verso il letto col materasso di piume, chiudendo la porta di legno dietro di sé. Il cavaliere vestiva i colori di Imath, ostentando lo stemma cucito sul pettorale, incurante di come il fango avesse tinto l'alcione argenteo secondo suo gusto. Ser Ivren si riteneva un uomo d'onore, il suo era un portamento dignitoso e gestiva le sue giornate nel pieno rispetto del codice dei bianchi. Nonostante il suo corpo implorasse quel riposo a lungo fuggito, non avrebbe ceduto finché i suoi doveri erano incompiuti.

Liberò le mani dai guanti che lasciò sul tavolo, rivolgendo la sua attenzione alla creatura tremante, ferma in mezzo alla stanza. Levò la mano sinistra indicando l'alcova occupata dalla pesante vasca smaltata, destinandolo alle cure di un'ancella silenziosa. Poco alla volta l'immagine del mendicante coperto di stracci lasciò il posto ai riccioli castani e gli occhi cerulei della stirpe reale. I lineamenti dei genitori del ragazzino tornarono alla sua mente e strinse forte i pugni rammentando la devastazione dell'equinozio. Si impose di tornare al presente, scosse la testa e impugnò la piuma d'oca, vergando un messaggio della massima urgenza per i soli occhi della regina Livanna.

 

 

- - -

 

 

Il camino gettava ombre fumose sulle pareti di pietra.

Dieci candelabri ad otto braccia illuminavano ogni anfratto del salone, ingombro di servi e rumore. Il grande tavolo di legno dominava la sala ed era un mistero come riuscissero le sue gambe a non cedere sotto il peso delle pietanze offerte. Ovunque lo sguardo posasse, incontrava leccornie degne del miglior desco. Zuppe di cacciagione appena ammazzata si alternavano ed altre di pesce, dove castoro, molluschi e gamberi addensavano il liquido speziato. Accanto alle quaglie allo spiedo e alla lingua di bue arrosta, piatti tipici della zona, si trovavano costine di maiale al miele, usignoli in salsa dorata, istrice alle mele. Cavoli, barbabietole, cipolle e patate erano ammassati ovunque, freschi, arrosti o lessati. Soffocata in creme dense e dolcissime, la frutta era fresca oppure candita. Tortine al miele, dolcetti alle erbe e piccole pagnotte al pepe venivano portati di continuo, per assicurarsi che fossero sempre fragranti. Non mancavano caraffe di birra chiara e scura, otri di vino caldo e un particolare liquore locale che si otteneva lasciando macerare diversi tipi di corteccia.

Il banchetto era una formalità che la regina Livanna avrebbe evitato volentieri ma non era nella posizione di offendere Lovian di Lassin, al momento sin troppo prodigo nell'ostentare la sua ospitalità di padrone di casa. Nello sguardo di ferro di Thosser intravide un umore simile al proprio, il guerriero si era sempre trovato più a suo agio con la spada in mano che con la corona in testa. Ma l'uomo era paziente e stava guardando con malcelato disprezzo il gruppo di musicanti, torturando col coltello quel che restava di una trota affumicata. Al contrario, il signore dell'est si godeva ogni istante dei festeggiamenti, facendo onore alla tavola e al vino. Con un sorriso delizioso a curvarle le labbra, consumò con moderazione il lauto pasto ed intrattenne una piacevole conversazione con la più giovane delle mogli di Lovian, l'unico nel continente a ripudiare ferocemente il concetto di monogamia. La fanciulla non poteva contare più di diciassette inverni alle spalle, appena metà della prima regina e nemmeno un terzo di quelli del re.

La luna era alta nel cielo notturno quando i monarchi si ritirarono in una sala diversa.

 

« Avevo inteso che la nostra fosse una riunione discreta, non un festeggiamento da inserire negli annali. » Osservò aspramente Thosser, re di Asthel, Miven, Satri, Elth, Nirve e protettore di Lenhe. I suoi occhi sondavano le tenebre notturne al di là del vetro, stringendo nel pugno la stoffa morbida della tenda.

« Ed ecco l'orso che mi ringhia contro ! » Rispose bonario re Lovian, comodamente seduto sulla poltrona foderata. « Certe cose si notano in ogni caso, nessuna delegazione reale passa inosservata. Lascia che le spie tinneriane corrano a riferire ai loro padroni che abbiamo parlato: l'importante è che non si sappia di cosa. »

Calò un cupo silenzio, interrotto soltanto dagli scoppiettii del fuoco.

Mirest, sovrano di Sintar e dei quattro regni gioiello, stringeva il manico di vetro di un boccale colmo di birra. La pelle bianca era chiazzata di rosso grazie al vino trangugiato, agghindato nei colori vivaci del suo stemma pareva un giullare troppo largo. Sembrava innocuo e un po' tonto, ma dietro l'aspetto ingenuo si celava una mente vigile e crudele. Ruttò sonoramente e prese la parola.

« Lovian ha ragione. » Si passò una mano tra i capelli neri « Per quanto cerchiamo di stanare quei maledetti ce ne sono alcuni che scampano alla forca. Presto ricorrerà l'anniversario del massacro, non è strano che ci si trovi tra noi. »

Di fronte a lui sedeva Livanna, il cigno della perla. Regina di Imath e protettrice di Savia e Nimot, la donna sedeva con la schiena diritta e accarezzava distrattamente la pelliccia di ermellino che le orlava la veste azzurra. La sua bellezza era tema ricorrente in diverse canzoni, godeva del rispetto di molti sacerdoti maggiori e, cosa rara, della Torre. L'esser giusta non le impediva di portare avanti i giochi di potere tanto cari alla sua casta, difatti aveva dato in sposo il suo primogenito alla figlia prediletta di Thossen, intessendo di fatto un'alleanza duratura con il demone dell'ovest. Intelligente quanto bella, ciò che si diceva sul suo conto era vero. La stessa unione dei quattro regni lì presenti era dovuta alla sua volontà, l'alleanza del Tasserin era stata una mossa preventiva contro la minaccia dell'impero tinneriano. All'epoca ne faceva parte anche Rittenim, recente conquista nemica e sconfitta che ardeva ancora consumando il cuore del popolo.

« La gente vuole vendetta. » Rigirò l'anello di zaffiri dell'indice, parlando con voce sommessa « Corre voce che stiano nascendo piccole sommosse nelle città prossime al fiume. »

« Siete ben informata, regina. I rifugiati covano il malcontento e aizzano la brava gente contro lo spauracchio dell'impero. » La voce dell'uomo era profonda e sinistra, come la paura che incuteva nei suoi prigionieri. « Reclamano l'intervento dell'alleanza, ora che uno dei suoi simboli è caduto. »

« Scempiaggini! » Il pugno grassoccio calò con impeto sul legno, facendo tintinnare i bicchieri. « Non dico che Thossen sopravvaluti la questione, però è troppo presto. Quante truppe abbiamo perduto, eh? Possiamo anche render i bordelli gratuiti e pagare le donne per restare gravide, ma non basterebbe ad ingrossare l'esercito in tempi brevi. La gente ha sempre paura, ha sempre sete di sangue: e allora? Noi siamo re, non sediamo sul trono per dargli un contentino. »

« Tuttavia » la donna volse lo sguardo al fuoco, mostrando il nobile profilo « Rabbonirli è qualcosa che dovremo fare in fretta, prima che il dissenso diventi più forte. Chi baderà ai vostri campi se i contadini si faranno massacrare sul confine in nome di un ideale ? »

« L'alternativa è far morire i nostri soldati. » Intervenì Lovian, gettando un osso al cane ai suoi piedi. « Come ci sarebbe d'aiuto diminuire ulteriormente il nostro esercito? »

« Hanno preso Rittenim con l'inganno, ci hanno chiuso al di là del Tannerin. Non potevamo raggiungerli, altrimenti la città non sarebbe caduta. Nessun esercito può sopravvivere se avvelenano i pozzi, aprono le porte e ti sgozzano nel sonno ! »

« Nessuno. » La regina appoggiò il sovrano dell'ovest. « E la nostra buona fede l'abbiamo dimostrata creando una via di fuga per i profughi, tenendo il passo a nostre spese. » Attese che le sue parole fossero assorbite dagli astanti. « E non lo abbiamo mai perduto. Le fortificazioni reggono e le scorte che consumano vengono dalle vostre terre, Mirest, non da Rittenim. » Avvertendo tre sguardi pensosi sulle proprie grazie, la regina accomodò la schiena contro la poltrona. Le sue dita sottili salirono alla collana, smuovendone gli zaffiri per cogliervi la luce del fuoco.

« Suggerite un'azione di rappresaglia? » A discapito di quel che si sussurrava alle sue spalle, il re dell'ovest non si gettava in battaglia senza prima aver riflettuto a lungo sulla strategia da adottare. Era un sanguinario, è vero, ma usava criteri ben precisi. « Avremmo le spalle coperte, questo è vero. Ma ridurci al brigantaggio per impensierirli oltre il fiume non ci fa onore. »

« No Thosser, non è ciò che suggerivo. D'altro canto ci conviene davvero rimanere tranquilli sulla nostra sponda? Ora i loro sforzi son divisi tra le iniziative di piccole bande di resistenza e i disagi di un nuovo regno da gestire. Il popolo non accoglie ben volentieri gli usurpatori. »

« Dove volete arrivare, regina? » Mirest non si prese nemmeno la briga di celare il sospetto nella sua voce.

« Se gli diamo il tempo di accomodarsi sul trono, non lo lasceranno più. Sì, lo so che date tutti Rittenim per persa, è un dato di fatto. Ma il loro impero è vasto, lo è perché non si accontentano di una conquista. I picchi del gelo coprono quasi interamente la loro sponda del fiume, ma nel tratto che ne resta libero potrebbero scendere in forze. E ve li trovereste addosso, re Mirest. »

« Non oserebbero! » Strillò l'uomo, paonazzo dall'ira. « Avrebbero quattro regni addosso, li schiacceremmo. »

« Sì, li schiacceremmo. » Rimarcò il demone dell'ovest « Ma se usassero l'approccio già collaudato a nostre spese, potremmo arrivare tardi. Sareste stretto in un assedio, o peggio. »

« Peggio? Peggio?! Li ricacceremmo nel buco da dove sono giunti! »

« Certamente » lo rabbonì Livanna « Ma sapete anche voi che muovere un esercito richiede giorni. E se aprissero le vostre porte, troveremmo la vostra testa esposta sulle mura, come fecero a Rittenim. »

Re Mirest spalancò la bocca per replicare ma non aveva argomentazioni per svilire la tesi esposta. Era una possibilità. Peggio, era una possibilità concreta. Si massaggiò il collo, sentendo già la mannaia del boia sulla carne.

« Signori, hanno vinto perché ci hanno colto di sorpresa. Non è piacevole ammetterlo, ma è così. Dovremmo ripagarli con la stessa moneta, prima che la guerra si sposti su un terreno peggiore. »

« E come? » Nella voce non c'era traccia di sarcasmo, né di dubbio. In quel momento, la regina seppe di aver già portato a sé l'est. Si voltò verso gli altri due re, ma un cenno nella sua direzione la spinse a parlare.

« La gente ha bisogno di un simbolo, riprendiamoci Rittenim. In forze. Il fiume ci è amico, abbiamo in pugno la rocca del passo: non ci vedranno se non quando saremo nel loro territorio. Possiamo riconquistare direttamente la città. O prendere gli avamposti a nord, e circondarla. Loro non possono permettersi un assedio ma noi sì: avremmo le scorte e tenendo gli avamposti taglieremmo i loro rifornimenti e gli aiuti dell'impero. »

La mano di Thosser si levò in aria, chiedendo silenzio. Rifletté a lungo e annuì appena. « Sì, è possibile. Avremo delle perdite, ma è un rischio calcolato. Prenderla di nuovo spezzerà l'aura di onnipotenza che circonda l'impero, vale la pena rischiare qualche uomo. »

« E sia, sta bene anche a me. » Concesse Lovian, rimasto a lungo in ascolto. « Ma avete scordato una cosa: chi metteremo sul trono quando l'avremo riconquistata? La famiglia reale è stata massacrata, non ci sono eredi legittimi. E quel regno era saldo da oltre dieci generazioni, i cittadini non saranno felici di un ripiego. »

« Lo accetteranno. Se non ci sono discendenti reali che possiamo fare, inventarcene uno? » L'umore del re dell'est era ormai compromesso, scuro per la prospettiva di rimetterci in prima persona. « Succede. Morto un re se ne fa un altro. »

« Si vocifera che il principino sia sfuggito alla forca. » Quelle parole crearono il gelo. Ognuno valutò intimamente quel che comportava la possibilità del marmocchio sul trono. La regina attese, l'espressione neutra sul volto, impassibile.

« No, fandonie. Se fosse vivo, dopo un anno l'avremmo già trovato. Li hanno ammazzati tutti, le loro teste stavano sulle mura. »

« No, Lovian. La sua non c'era. » E il demone dell'ovest parlò con sicurezza, perché sapeva che il bambino era scampato alla tragedia. « Un cavaliere lo mise su una barca dei profughi, ma se ne sono perse le tracce. Sicuramente è morto, altrimenti sarebbe arrivato da noi. Era piccolo ma non stupido. »

« E se così non fosse? Se lo trovassimo, potremo affiancargli una delle nostre figlie. » Suggerì re Lovian, la voce greve dall'avidità.

« Stupidaggini! Il tuo regno è troppo lontano per metterci tua figlia. Così come lo è il vostro, regina, perdonate l'osservazione. E le mie son già sposate. »

« Come le mie, Mirest. Ma i matrimoni si rompono, le disgrazie succedono. Non sarei sorpreso di sapere che un tuo genero ha avuto un incidente e sia stato soppiantato da tuo figlio. »

« Calunnie! Meschine menzogne! io non farei mai del male a... »

« Non lo farebbe, è vero. Perché altrimenti si ritroverebbe in casa una guerra civile, supportata dai mercanti stanchi dei suoi dazi. »

« Lovian, come ti permetti? Taci, prima che si renda chiaro l'ovvio: ti senti già il culo seduto sul trono di Rittenim! »

La regina lasciò che il litigio proseguisse, prestando poca attenzione agli improperi e alle minacce. Aveva sperato di poter sposare la sua bambina con l'erede legittimo, ma l'opzione si era sgretolata. Donare altre terre ai regni alleati non rientrava nelle sue intenzioni. Annoiata, bevve dal proprio calice sorseggiando con garbo la bevanda alcolica, lasciandoli sfogare. Quando ritenne che fosse sufficiente, parlò.

« Smettetela di accapigliarvi come monelli in un cortile. Il principe è morto, così come lo è la sua famiglia. Una sorte triste, il popolo l'accetterà a malincuore. Ma non ci sono alternative. »

« Sì, ma se fosse ancora vivo? » Rincalzò Lovian, famoso per non esser disposto ad abbandonare un guadagno insperato.

« In tal caso » Gli rispose Thosser, in tono basso e incattivito. « Andrà ricongiunto alla famiglia senza indugio. Il principino ci è più utile da morto che da vivo, sarà un simbolo di innocenza spezzata. Quando riavremo la città, la gente piangerà commossa per la vendetta ottenuta. Decideremo in seguito a chi andrà il regno. »

« Siamo dunque d'accordo? » chiese il cigno della perla, affabile e conciliatrice. Quando ottenne l'assenso degli altri, annuì e iniziarono a discutere nel dettaglio le operazioni di guerra.

 

 

- - -

 

 

La piccionaia odorava di pioggia.

Era appena giunta la risposta della regina, il sigillo reale impresso nella cera mostrava l'emblema di Imath: un alcione natante. Il ragazzino stava dormendo su un fianco, di tanto in tanto si agitava in preda agli incubi. A fargli la guardia, il cavaliere che la sovrana aveva incaricato del suo ritrovamento, della sua scorta e della sua salvaguardia.

L'uomo era cereo, negli occhi aleggiava il dolore più sordo. Rilesse per la centesima volta le poche righe destinategli, si passò una mano sul volto, inspirò a fondo. Chiuse gli occhi, ripetendosi nella mente il codice dei bianchi.

Era fedele alla regina.

I suoi ordini erano tutto.

Nel silenzio della notte, si avvicino al letto e sguainò dolcemente la lama dal fodero.

 

  
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