Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Ricorda la storia  |      
Autore: Laura del Sordo    02/12/2012    1 recensioni
La morte, come poesia, fra chi la vive e chi l'ha vissuta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La scena si ripeteva, sempre la stessa, ogni pomeriggio, di ogni giorno.
 
La donna, bionda, con i capelli raccolti in una crocchia lievemente spettinata, leggera, vestita in maniera dimessa, ma dignitosa, passeggiava con aria assorta fra le tombe, tenendo il suo bambino per mano.
 
Le due figurette si aggiravano lentamente fra croci, lapidi e statue, come se si trattasse di un pomeriggio estivo da trascorrere in un giardino pubblico.
 
Il cimitero, nel cuore di Roma, in effetti conservava intatto il fascino di un luogo dove il tempo era fermo, immobile, una bolla di eternità nel cuore di una città fin troppo viva.
 
A quell’ora, poco prima del tramonto, era deserto.
 
I turisti, moltissimi gli stranieri, erano sciamati lentamente verso l’uscita, accompagnati dalla voce che, dall’altoparlante, segnalava in più lingue che il cimitero stava chiudendo, mentre l’aria sulla Quarta Corda di Bach sembrava voler sottolineare che ora, i morti, doveva essere lasciati in pace.
 
La donna ed il bambino, un piccino di pochi anni, invece, sembravano indugiare, quasi perplessi, ritirandosi solo un pochino all’ombra dei bellissimi alberi che ombreggiavano le sepolture.
 
E quando finalmente il cancello si chiudeva, riprendevano il loro girovagare.
“Mamma”, chiedeva il piccolo, “cosa c’e’ scritto lì?”.
 
“C’e’ scritto che questo signore, che si chiamava Shelley, è nato e morto tanto tempo fa”, rispondeva la donna, pazientemente.
 
“Davvero?”, esclamava il bambino, che, girandosi, rimaneva fermo, a pensare a chissà cosa, in contemplazione di quell’angelo piangente, elegantemente accasciato sul sepolcro di un famoso scultore, che lo aveva creato per sua moglie, prima di trovare posto, insieme a lei, nell’eterno riposo.
 
“E lì, mamma? Lì, cosa c’e’ scritto?”, chiedeva ancora il piccolo.
 
“Lì riposa una grande giornalista italiana, amore”.
 
“Anche le donne muoiono, mamma?”, chiedeva di nuovo, con tono esitante, il bambino.
 
“Sì, anche le donne muoiono. Tutti moriamo, in realtà, sai? Ma, vedi, alla fine morire non è così brutto, se poi si riposa in un luogo bellissimo come questo, non credi?”.
 
“Mmmmh, sì, forse”, rispondeva il bambino, un po’ esitante.
 
La passeggiata riprendeva.
 
Ogni tanto, qualche gatto si stiracchiava languidamente, per poi acciambellarsi di nuovo all’ombra di qualche lapide.
 
I gatti erano figure che parevano donare vita a quel posto o, forse, semplicemente a fornire alla morte una leggerezza che i vivi non potevano condividere del tutto.
 
Sembravano dire “Cosa vuoi che importi se schiaccio un pisolino qui? Chi dorme fra questi alberi lo fa per sempre, e non sarà certo la mia presenza, a disturbarlo”.
 
Il bambino camminava trascinando un po’ i piedini, quasi scivolando fra gli aghi dei pini, in quella specie di parodia del pattinare con la quale i bambini si divertono appena prima di cominciare ad annoiarsi.
 
Ogni tanto, si scioglieva dalla mano della donna e correva avanti, magari per spaventare un uccello che si era appena posato per trovare un po’ di riposo.
 
Come tutti i bambini, era attratto e, contemporaneamente, annoiato da quella passeggiata.
 
 La morte gli sembrava una cosa troppo da adulti ma, al tempo stesso, lo attraeva.
 
L’idea che lì, intorno a loro, ci fossero così tante persone morte tutto sommato un po’ di timore glielo incuteva, ma si fidava di sua madre, e dell’aria serena, forse rassegnata, che riusciva a coglierle sul volto.
 
La donna sostava qualche minuto presso qualche sepoltura, un po’ accigliata.
 
Quel luogo, come a tanti, le dava serenità e dolore.
 
Le ricordava chi siamo e chi saremo.
 
Ma, più di tutto, la sua espressione era di tristezza, di una tristezza remota, antica, quasi come alcune di quelle sepolture.
 
Leggeva gli epitaffi a fior di labbra, sembrava che in qualche modo le manifestazioni d’amore dei vivi rendessero il cimitero una specie di grande famiglia, dove chiunque potesse ricordare, e piangere, anche chi in vita gli era stato estraneo.
 
Ogni tanto alzava gli occhi, si guardava intorno e, individuata la figuretta del bambino, tornava a meditare ed a chiudersi in se stessa.
 
Sapeva di essere legata a quel luogo, per sempre.
 
Sapeva di non poterne fuggire il fascino, sapeva che anche negli anni a venire lei, lì, sarebbe stata sempre un’ospite silenziosa, come i tanti che l’avevano preceduta e che, come lei, vagavano, curiosi e desolati, fra nomi, date, storia.
 
“Mamma”, il piccolo la distoglieva dai suoi pensieri, “Mamma, guarda qui: c’e’ la statua di un bambino. Ma anche i bambini muoiono, mamma?”.
 
“Sì, tesoro, anche i bambini muoiono. Nessuno sa perché, né se sia giusto, ma anche i bambini muoiono”.
 
Nel frattempo, come tutti i giorni, il sole stava lentamente calando.
 
A quell’ora era ancora giorno, sebbene il pomeriggio fosse più che inoltrato.
 
“Vieni, amore, dobbiamo andare”, diceva allora la donna, sommessamente.
 
Mentre il bambino la raggiungeva trotterellando, la sua mano già tesa verso la madre, che, a sua volta, gli porgeva la sua.
 
Le due figure si muovevano con leggerezza, avviandosi verso una meta che sembrava ben nota. E, forse, lo era.
 
La giovane, alla fine, si fermava davanti ad una sepoltura. L’ennesima.
 
Era un sepolcro spoglio, la pietra resa grigia da stagioni di piogge e dalla polvere del tempo.
 
Non c’erano piante, se non quelle che ormai crescevano spontaneamente e che, ogni tanto, venivano regolate dal personale del cimitero.
 
Sulla lapide, solo due nomi.
 
“Cosa c’e’ scritto lì, mamma?”, chiedeva il bambino, come ogni volta.
 
“C’e’ il nome di chi vi è sepolto, tesoro, lo sai”.
“E chi vi è sepolto, mamma?”, insisteva il piccolo.
 
“Una donna, una giovane donna, che dorme lì da tanti anni, sai? Era davvero giovane, quando è morta. Aveva solo vent’anni anni e tutta la vita davanti.
Amava un uomo, il suo sposo, ed il suo bambino, che è sepolto con lei. Entrambi sono morti nel 1943, quando Roma fu bombardata. Li amava tanto, sai? Tanto, davvero tanto. E li ama ancora”.
 
“Ed il bambino quanti anni aveva, mamma?”.
 
“Tre anni, tesoro. Avevi soltanto tre anni, quando sei morto”.
 
Il bambino taceva, stringendo appena poco più forte la mano della mamma.
 
Poi, sempre insieme, si avviavano verso la sepoltura.
 
Solo allora, come ogni giorno, i loro contorni sfumavano nella luce che andava spegnendosi, perdendo spessore, come nei sogni.
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: Laura del Sordo