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Autore: Notthyrr    03/12/2012    4 recensioni
[Váli; Narfi; Moði; Magni]
I figli di Thor e i figli di Loki in missione a Midgard. Sono all’altezza della fama dei padri?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fables of Asgard'
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Il ragazzino dai capelli neri stava camminando lungo una strada sterrata ai margini della città. Più che camminare, il suo era un correre arrancando, quasi che le gambe non fossero le sue o fossero appena state investite da un carro da guerra.
Era già buio, indice evidente del suo ritardo. La terra tra i ciottoli sulla strada era ancora impastata di fango. Aveva piovuto, quella mattina di ottobre, e le fronde dei grandi faggi ai lati della carraia grondavano acqua sul terreno e sul capo del frettoloso viandante.
La Luna gli appariva di tanto in tanto, nascosta dai rami neri degli alberi che si chiudevano ad arco sulla sua testa, gettando ombre spettrali davanti a lui e dandogli una spiacevole sensazione di oppressione. Le stelle punteggiavano qua e là l’enorme tappeto nero che avvolgeva l’universo, restando però in oscurità rispetto al satellite, stranamente grande, quella notte, oscurato di tanto in tanto da lugubri nuvole solitarie che lo coprivano e lo rivelavano a intervalli, precipitando il mondo nel buio per poi restituirlo nuovamente alla luce.
La strada si biforcò e il ragazzo fu costretto a fermarsi: a destra svoltava un sentiero ancora più stretto; a sinistra, la carraia pareva continuare a serpeggiare come una viscida biscia grigia.
Gettò un’occhiata al sentiero che svoltava a destra e ne seguì il corso. Con la Luna che usciva dalle nuvole, riuscì a individuare una piccola salita sul fianco di una collinetta e, in fondo, nascosta tra i rami dei faggi, una chiesetta gotica dalla facciata bianca.
La chiesa
… Pensò, quasi tentato a seguire quella strada. Sperano di ingraziarsi un dio che sta nel cielo quando gli dèi camminano tra loro. Sono proprio matti… Sono umani.
Imboccò la stradina di sinistra e riprese la sua andatura strascicata. Un corvo che sbatteva le ali lo fece volgere verso destra, in direzione del ramo dove si era posato gracchiando. Quel luogo era più lugubre di quanto glielo avessero descritto e lui ne aveva una paura folle. Si costrinse a procedere, ripercorrendo mentalmente le istruzioni di suo fratello, ripetute fino alla nausea.
I rami dei faggi si aprirono su un enorme spiazzo circondato da un recinto di ferro battuto. Arrivava fino alle ginocchia del giovane ed era divelto in più punti. Il ragazzo gettò un gamba dalla parte opposta e affondò il piede in qualcosa di morbido. Guardò verso il basso e per poco non urlò: aveva calpestato la terra smossa di una tomba, poteva vederne la lapide biancheggiare sotto i raggi della candida Luna.
Me la pagano. Si disse seccato. Loro e quei maledetti elfi.
Divelse il piede interrato dalla tomba e proseguì: il sentiero lo aveva portato in un cimitero malandato che circondava una villa illuminata soltanto dalla Luna. Le imposte erano sbarrate e, se il ragazzo non l’avesse saputo, avrebbe potuto giurare che fosse completamente disabitata.
Sorpassò un cipresso che copriva una tomba la cui lapide era spaccata a metà da una grossa crepa e proseguì verso la villa, aguzzando la vista per individuare una minima traccia delle persone che stava cercando.
Tremava, il ragazzo, ma cercava di mostrarsi ben saldo sulle gambe nel caso qualcuno avesse deciso di attaccarlo all’improvviso. Glielo avevano detto: non bisognava mai dimostrarsi impauriti. Ma non lo si poteva biasimare a essere percorso da brividi di puro terrore in piena notte, alla luce di una Luna piena che dipingeva sul terreno le nere sagome degli alberi al centro di un cimitero.
Mise il piede su un rametto che scricchiolò sotto il suo peso, facendolo sobbalzare: sguainando un pugnale dal fodero che portava legato alla cintura, il ragazzo si volse indietro in posizione di guardia, ma lo spiazzo era deserto, se non per le lapidi bianche che parevano i denti di una qualche mostruosa creatura che ormai non percorreva più da secoli quel mondo.
Rinfoderò l’arma e proseguì a passi lenti: tutto era cupo e impregnato di morte. Lui, pauroso e dal viso da bambino innocente, non era adatto a quel compito. Anzi: non era adatto a un bel niente, se non a restare chiuso in camera come un codardo.
Udì uno fruscio alle sue spalle. Agendo d’istinto, senza riflettere, sfilò dalla tracolla in pelle un coltello da lancio d’argento e, ruotando su se stesso di centottanta gradi, lo scagliò verso il punto da cui gli era parso giungere il rumore. Il coltello si conficcò nella corteccia del tronco di un cipresso con un suono secco, mentre le foglie frusciavano lievemente per lo spostamento d’aria.
Sono un paranoico… S’accusò sconsolato prima di dirigersi verso la pianta per divellerne l’arma dal fusto.
Fu quando, con uno scricchiolio, riuscì a estrarre la lama del pugnale dall’albero che udì una voce lamentosa e ultraterrena, prima che una mano sbucasse dall’ombra per posarglisi su di una spalla.
«Váli! Voglio la tua anima!»
Il ragazzino strillò e si girò, trovandosi a guardare un viso pallido dagli occhi vitrei, color del ghiaccio. Gli occhi di un morto.







Note: Chiedo infinitamente scusa se da questo capitolo ancora non si riesce a comprendere granché, se non l’identità del malcapitato ragazzino dai capelli neri, ma questa piccola serie che conterà cinque capitoli era in realtà un unico prologo di circa una ventina di pagine A5, scritto in precedenza per qualcosa di molto più lungo.
Spero che il primo capitolo abbia suscitato nei — immagino pochi — lettori un briciolo di curiosità. Credo aggiornerò col secondo in giornata o, in 1-2 giorni.
Grazie mille per la lettura. Una recensione, seppur breve, mi farebbe tremendamente piacere per avere un’idea del risultato.

Grazie ancora.

  
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