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Autore: _fritjof    05/12/2012    3 recensioni
La voce roca risuonava imponente su tutti i soldati tedeschi.
Le labbra albine fremevano di gioia, di terrore e di libertà, in un certo senso.
Ed il tutto perché lui ci credeva
.
( One shot che raffigura Gilbert Beilschmidt al comando di un Konzentrationlager polacco.
Ambientato nella Cracovia nazista. Don't like, don't read. )
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Titolo: Giorni di guerra.
Personaggi: Gilbert Beilschmidt / Altri.
Rating: Giallo.
Genere: Angst, guerra, storico.
Note dell'autore: Il tutto è ambientato nella Cracovia nazista di inizio seconda guerra mondiale, nello stesso campo di concentramento in cui è narrata la vicenda del film Schindler's List. Il discorso di Gilbert alle truppe è esattamente lo stesso del generale Amon: tutti i diritti di ciò appartengono al grande Spielberg; lo scritto a me. Mi scuso per l'eventuale OOC.










Giorni di guerra.

«Schioccò la lingua in un suono secco. Un suono duro, amaro, che rimbombò fra le baracche del Konzentrationslager come una minaccia, un avvertimento fin troppo chiaro, fin troppo udibile da quelle fini orecchie polacche o ebree che si stagliavano ritte dentro ogni casupola.
Corpi smunti, corpi morti, corpi anoressici e pallidi accatastati l'uno sull'altro, giusto per sentire un po' di calore umano, un po' di calore vivo.
Il che faceva strano, certo. Cercare calore in un corpo pelle e ossa— no, togliamo pelle.
Solo delle ossa esangui si ritrovavano ad essere quegli uomini, quelle donne, quei vecchi, perfino quei bambini, tutti crudelmente strappati al mondo civile, costretti a rintanarsi in un treno stipato in cui mancava l'aria, trattati come bestie; non erano più che carne da macello una volta arrivati a quei famigerati campi.
Ma era giusto così.
Non è forse vero, Gilbert?
Oh, . Era assolutamente giusto così.
Loro avevano impunemente sporcato la razza germanica, avevano dominato le più alte cariche governative della Germania; artistiche, musicali, scrittrici; erano arrivati perfino all'istruzione tedesca, dei ragazzi e delle ragazze, ritenuta troppo importante per lasciar che degli infimi ebrei potessero approfittarne.
Allora i nazionalsocialisti avevano preso il potere, e avevano ripulito tutto il paese.
Dovevano solo ringraziarli.

Deglutì.
Non era il momento di pensare a ciò, in quell'esatto attimo. Attimo che, se non avesse colmato con le sue amare e roche parole, sarebbe stato riempito da infelici borbottii di fondo.
Per quanto la spavalderia di Gilbert Beilschmidt gli imponesse di dimenticarsi quei comportamenti disattenti, continuava ad avanzare. Il passo, coronato da anfibi neri in gomma, gli stessi che il loro amato Fϋhrer imponeva a tutti i membri delle Schutzstaffel, avevano camminato su così tanti terreni di qualche campo di concentramento da poterci perdere il conto.
I rubini scintillavano. La chioma argentea era coperta solo dal cappello scuro con l'aquila fiera, impetuosa ed imponente che teneva fra gli artigli inferiori una svastica. O meglio, la svastica, una delle poche fabbricate con il più raffinato argento che si potesse trovare in circolazione in quei giorni di Guerra.
Mosse qualche passo verso il piccolo rombo di terreno, fra cui al centro, proprio nel perfetto nucleo, si poteva ammirare un cerchio con quel simbolo tanto agognato dai soldati del Terzo Reich.
Intorno a lui, disposti su tutti i quattro lati del romboide, ennesimi uomini germanici pronti a morire per il proprio paese.
Un sorrisetto compiaciuto balenò sul volto tanto candido del prussiano; voltò il capo non propriamente aggraziato ma quantomeno Magnifico in un fugace gesto che gli donò la panoramica di tutto quel lembo di terra, agonia e terrore che componevano il Konzentrationslager.
Era ora di cominciare.»


Mh hm—.


«Si schiarì leggermente la gola portando la mano destra, avvolta in un guanto scuro di pelle, alla bocca ancora distorta dal ghigno malsano. Lasciò spaziare comodamente i rubini su quella distesa racchiusa da debole filo spinato e pungente; la bandiera della Germania nazista svolazzava alta nel cielo cupo e polacco, lasciata libera da qualunque pregiudizio terreno, da qualunque cosa che non riguardasse lui personalmente e il popolo tedesco.»


Oggi... oggi si fa la storia. Questo giorno sarà ricordato.
Negli anni avvenire, i giovani chiederanno con stupore riguardo a questo giorno. Oggi si fa la storia; e voi ne siete parte.



«La voce roca risuonava imponente su tutti i soldati tedeschi.
Le labbra albine fremevano di gioia, di terrore e di libertà, in un certo senso.
E il tutto perché lui ci credeva.
Credeva davvero in tutto ciò che stava approvando.
Credeva davvero in tutto quello che si sarebbe affermato nel corso della storia germanica.
Credeva davvero al poter rendere “sterile” il problema ebraico, di potergli dare una fine.»


Seicento anni fa, quando altrove fu addossata loro la colpa delle peste nera, Casimiro il Grande, il “cosiddetto”, disse agli ebrei che potevano venire a Cracovia.
Essi arrivarono. Fecero rotolare i loro averi in città; si sistemarono, misero radici, prosperarono. Negli affari, nelle scienze, nell’istruzione, nelle arti—!
Arrivarono qui senza niente. Niente, e fiorirono.
Per sei secoli c'è stata una Cracovia ebrea.



«Voltava la testa di scatto di tanto in tanto, alzando i rubini in alto, dimostrando che tutto ciò che professava era solo pura verità. Verità che faceva male, tremendamente.
Il capo albino era talmente fiero e concitato di ciò che stava acclamando che quasi non si rese conto di qualcosa, di qualcuno, che si era “infiltrato” fra loro. Fra tutti quei soldati tedeschi, c'era qualcuno che, in qualche assurdo e complicato modo, non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Ma fatto sta che il momento era troppo grande, troppo maestoso davvero per poter far caso a quel gelido corpicino che ascoltava con attenzione le parole rauche del prussiano, soldato che di tanto in tanto si scompigliava la chioma argentea in un gesto quasi involontario.»


... Riflettete su questo.


«Il suono che rimbombava si alzò al cielo brizzolato di neve dicembrina.
Tutti lo osservavano.
Tutti eseguivano un'analisi dettagliata di quel corpo pallido racchiuso in un cappotto del color pece di pelle, finemente decorato ed ornato con le spille a svastica, medaglie al valore e una cintura.»


Da stasera, quei secoli sono una diceria.
Oggi si fa la storia.



«Due foderi v'erano attaccati. L'uno avvolgeva una pistola fumante, la sua Walther P38, lucidata la stessa mattina; l'altro un piccolo pugnale col manico d'avorio nero rifinito da una piccola svastica in argento.
Era l'unico pugnale che era consentito ai soldati tenere e onorare, il simbolo del giuramento di fede assoluta al suo Führer e ad Himmler. Lo stesso pugnale dalla lama d'acciaio su cui era incisa la scritta che tanto ammirava, che tanto amava, che tanto odiava. “Meine Ehre heißt Treue
”, il mio onore si chiama fedeltà. Ed il tutto era una meraviglia.
Neppure gli occhi talmente aperti e digrignati del colore del sangue che ardeva di una fiamma sempre accesa, che doveva rimanere attizzata per sempre, potevano non riconoscere tale raffinatezza.»


... Oggi si fa la storia.


«Uno sguardo a destra, un altro a sinistra. La voce rauca aveva smesso di tuonare, i soldati si stavano distinguendo in un borbottio di sottofondo in quel piccolo Konzentrationslager. L'albino arretrò di qualche passo, elegante quanto piuttosto rozzo nei movimenti, impacciato dalla possente divisa.
Osservava ogni volto, ogni faccia compiaciuta voltata verso di sé. Dio solo allora sapeva quanto il suo ego fosse stato tremendamente assicurato.
Un sorrisetto quasi malato si formò in un batter d'occhio sul volto tanto Magnifico di quel ragazzo chiamato Gilbert, il fratello di Ludwig.
Con una mano si carezzò i capelli chiarissimi, togliendosi per qualche secondo il berretto degno dei più grandi e ricercati sarti e stilisti tedeschi, lo stesso che ricadeva perfettamente sulla sua chioma appena spettinata e dai ciuffi ribelli.
Strinse il copricapo con due dita, avvolte in uno dei due guanti di pelle nera. Ghignò; gli occhi erano al suolo, ammiranti la svastica sotto i suoi stivali gommati, mentre la mano mancina occupata si liberò appena pochi secondi dopo, poggiando un'ennesima volta il berretto nella stessa posizione in cui era sempre stato, coprendo i bei capelli fini e prussiani.
Si voltò con un gesto secco, e con passo felpato — sfiorando appena gli stivali della divisa da SS sul terreno umidiccio del campo — Gilbert si diresse il più lentamente possibile verso uno dei lati della figura che centinaia di soldati dagl'occhi attenti avevano formato.
... Ah, quanto aspettava, e quanto avrebbe aspettato ancora il momento in cui i territori del Terzo Reich si sarebbero davvero potuti definire un popolo puro! A dispetto di quanto affermavano gli altri stupidi e ignoranti paesi schieratisi dal vertice opposto di quel filo tanto sottile che si trovava ad esser la guerra, guerra spietata e crudele, avrebbero vinto loro. Eccome se l'avrebbero fatto.
Soldati, generali, suoi simili, suoi pari, lo accerchiavano a dir poco elegantemente, quasi senza un rigor di logica precisa. Non poteva dirsi più lusingato da quelle cure, quelle attenzioni. Osservavano ogni sua minima mossa e, nel mentre, lui scrutava loro.
Alla fin fine, erano una massa informe di gentaglia, non rappresentavano nulla per l'albino; non li aveva mai incontrati, e mai più, dopo quel momento, li avrebbe rivisti. Eppure, lo sguardo profondo e fiammeggiante vagava in ogni direzione, costretto da un sistema troppo crudele capitanato da Hitler.
Un sistema spietato, disumano, inflessibile, brutale, atroce.
Non avrebbe potuto mai esser contestato da nessuno. E tantomeno combattuto, pena la morte.

Gilbert era eccitato, terribilmente; l'aria si era fatta più densa e gli carezzava le guance pallide, coronate solo da un lieve rossore pungente.
Sapeva che presto sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa d'importante. Lo sentiva crescere dentro di sé.
Allora osservava minuziosamente ogni dettaglio, deciso a captare qualche informazione che gli preannunciasse l'avvenimento aspettato.
I militari seri e composti lo ammiravano impettiti nelle loro divise scure; uniformi ornate con tutte le medaglie possibili ed inimmaginabili, di colori e forme tutte diverse, lo circondavano. La vista era impeccabilmente perfetta. Tanti piccoli soldatini rigidi nei loro scomodi abiti.
Tutti quanti — non poteva esserne più fiero. Tutti tranne... Quello.
Sbatté inevitabilmente le palpebre candide più e più volte. Era forse un uomo — o una donna? — coperta di stracci ciò che i suoi eleganti e sbarazzini rubini erano riusciti a scorgere?
Il giovane si bloccò. Sporadicamente si ricredeva sulle proprie azioni, eppure in quel preciso istante l'aveva fatto. Si era fermato.
Un pensiero crudele gli balenò nella mente libera da qualunque altro effetto: era una piccola e minuta donna, l'aveva vista ed esaminata con occhio attento ad appena un secondo sguardo. Si stava ritraendo nell'ombra da cui era arrivata, conscia del pericolo a cui si era esposta, e nella quale era stata impunemente colpita. Il berretto a strisce le nascondeva parte del viso, ma il luccichio di due occhi spaventati e incauti non si riuscivano a sotterrare facilmente.
La mano albina destra scattò con un gesto amaro ed involontario al fodero della pistola, apritosi quasi magicamente alla sola vista di una prigioniera che sgarrava le regole e che, per questo, sarebbe stata punita con la condanna a pena capitale.
E lì, a pochissimi passi di distanza da quel mucchietto pallido d'ossa, il generale Gilbert strinse gli occhi.
Oh.
Lo svago era arrivato ancor prima che fosse lui a chiederlo. E allora, quando il suo tanto amato fratello, una volta di nuovo ritrovati nella lussuosa villetta di Berlino, gli avrebbe domandato cos'aveva concluso in quella futile mattinata nei ghetti dei Polak, Gilbert avrebbe risposto 
Niente, West. Solo puro e sano divertimento”. E il prussiano non avrebbe affatto mentito.
Un occhio si serrò in una presa scattante, la mira pronta a far centro. L'indice destro scivolò sul grilletto ancor prima di alzare il braccio all'altezza del bersaglio.
Quanti potevano essere? Una ventina di metri?
La consapevolezza della ragazza stava prendendo piede dentro il suo corpo; il volto si trasformò in una vera e propria maschera di terrore, il cuore irrequieto contraeva le sue spalle a tremori violenti.
Ecco dove avrebbe agito il generale.
Sul cuore.»


Drei...


«
Il braccio che terminava con la Walther P38 era ora teso del tutto, la voce solo un roco flebile gemito di vittoria.
Sarebbe fluito molto sangue intento a corrompere la terra su cui stavano camminando, ne era consapevole. Ed il fatto che ormai tutti lo guardassero attoniti, inclusa la nuova ospite, non poteva che fargli correre un brivido gelido che avvolgeva ogni singola vertebra della spina dorsale.

In fondo, qualche metro di vantaggio poteva anche concederglielo.»


Zwei...


«Tu-tum... Tu-tum... Tu-tum... Tu-tum... Se aizzava attentamente le orecchie marmoree, gli pareva anche di riuscire a scorgere l'ultimo gemito ansioso della propria vittima. La sua bestia non si era nemmeno data la pena di alzarsi e mettersi in salvo la pelle.
Ma a quale scopo avrebbe dovuto farlo? Dopotutto, ormai non le rimaneva più nemmeno quella. Nessuno ne aveva più una. Si trovava a giacere inerme su una piccola montagnetta di fango molle e calpestato irripetute volte.
Era solo un'insieme di duecento ossa ammucchiate che possedevano ancora il coraggio di muoversi.»


Eins...


«Bisognava privarla di quel coraggio, di quella resistenza. Nel piccolo mondo perfetto cui si stava lentamente inglobando tutto il centro Europa non aveva nessun ruolo qualcuno in grado di resistere alle grandi autorità.
Perché sì, Gilbert Beilschmidt era un grande capo. Lo era sempre stato, fin dai tempi del vecchio Fritz, von Bismarck e, ora, Hitler. Farsi superare e disonorare non era incluso nei piani accuratamente preparati dai più grandi strateghi di quei giorni di guerra.
Il labbro superiore si alzò impercettibilmente, lasciando intravedere la dentatura perfetta e bianchissima che l'albino poteva sfoggiare. Un ghigno malato si dipinse sul suo volto, mentre l'unico occhio aperto continuava a cogliere ulteriori dettagli sulla figura smunta che si era intromessa fra tutti loro.
Non avrebbe dovuto immischiarsi. No.
L'unica volontà che ora come ora riusciva a riconoscere l'albino era il desiderio di sangue. Sangue sul terriccio umido.
Possedeva l'arma. La possibilità. L'occasione.
Cosa avrebbe dovuto attendere? Nient'altro.
Era pronto. Inspirò, attento a non distogliere la concentrazione accumulata attentamente verso il proprio bersaglio.
La bocca candida si piegò in un sorriso sincero, le sopracciglia leggermente aggrottate comunicavano solo desiderio.
I rubini non erano mai stati così accesi, così aizzati, così vivi


... BANG!










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Ringrazio infinitamente la Moglie per avermi fatto da beta.
Thank you, Darling. ♥

   
 
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