Last, Say Goodbye.
"Hai preso
il posto di una persona particolare, per lui."
"Cerca di essere
discreto."
"Non fargli troppe
domande."
"E se ti tratta male, lascialo perdere. Sta soffrendo."
"Hai capito, Tobi?"
Annuire.
Lentamente, annuire. Niente di più facile, niente di più inutile - almeno per
lui. Essere appena arrivato comportava una serie di complicati gesti servili a
cui era meglio sottostare senza farsi troppe domande.
Non sapeva
chi fosse quello
prima di lui.
Non gli
importava quanto fosse stato importante per il suo sempai, o quanto avesse segnato il suo cuore nel profondo. Non credeva affatto nei sentimenti duraturi e non voleva
convincersi di essere solo un rimpiazzo. Semplicemente perché non lo era.
Adesso di
fianco a Deidara c'era lui.
Lui.
E non
un marionettista qualsiasi. Una bambola troppo fragile per
sembrare umana. Quasi…
… un
gioco.
"Il giorno in cui Sasori è morto, io non ho saputo dire niente."
"Semplicemente, non pensavo a
quell'eventualità. Perché avrei dovuto?"
"Aveva un senso, che venisse ucciso da una vecchia e da una ragazzina?"
"No."
"Non l'aveva. Capisci, Tobi?"
Non capiva
nemmeno il senso di quello. Perché c'era bisogno di un
addio, quando per settimane ci si
era scambiati promesse silenziose, o momenti d'affetto?
Aveva
intuito quel legame. Ne aveva saggiato i confini con
disperata consapevolezza. Convinto di non potersi insinuare in quel territorio
nascosto, lo aveva rispettato. E aveva semplicemente
cercato di fondarne un altro.
Tuttavia.
Il motivo per cui il sempai si rodesse così
tanto per un ricordo rimaneva un mistero. Ma d'altra
parte…
… nemmeno
lui aveva mai pensato ad una simile eventualità.
"Così quando Deidara è morto, non avevo pensato
ad addio."
"Che
senso poteva avere?"
"Voglio dire, non l'avevo mai
capito prima d'ora."
"Perché
proprio il sempai?"
"Poi ho capito."
A lui non
aveva mai fatto ribrezzo, il sangue. Non provava piacere nel vederlo, e nemmeno
disgusto.
Era un
liquido così, che stava dentro il corpo.
Avrebbe
dovuto essere così, di fatto: non si sarebbe dovuto vedere, quel rosso, perché
era l'inequivocabile segno della sconfitta. Il senso dell'addio non esisteva,
solo perché automaticamente escludeva qualsiasi incontro futuro.
E una
cosa del genere non doveva avere
senso.
Non
avrebbe mai potuto immaginare che in quel momento il suo sempai
sarebbe stramazzato al suolo privo di sensi, ricoperto
di carminio.
Davvero,
non avrebbe potuto.
…
Davvero.
"Suppongo dovremo
dirci addio adesso."
"Sempai."
"Non vorrei pentirmi di questo momento. Vorrei
usarlo come avrei dovuto fare tempo fa."
"…"
"Dì qualcosa, sciocco."
"Non mi piacciono gli addii. Non le dirò
addio."
"Addio, comunque, Tobi."
"Sì."
Poi pensi al dolore, all'addio in
sé.
Ti penti perché sapevi cosa dire.
E non l'hai fatto.
Davvero, avresti potuto aprire la
bocca e parlare.
Dire qualcosa per salutarlo, per
non farlo sentire colpevole.
Lui voleva il suo addio.
E tu gliel'hai negato.
Non ti chiami Sasori, non sei una
maledetta bambola fatta di pezzi umani.
Ma avresti potuto salutarlo.
Perché Deidara
per te era qualcosa.
Anche se salutarlo voleva dire rimanere
solo.
E dover cercare qualcuno a cui dire
addio.
Di nuovo.
No, lo so.
Lo so, è orrenda.
Abbiate
pietà. La mia febbre ha toccato i 40.6 or ora.
Dovevo
fare qualcosa.